Il cromosoma Philadelphia (Ph) è l’anomalia citogenetica più comune nell’ambito della leucemia acute linfoblastica (LAL) e rappresenta più del 50% delle alterazioni molecolari riscontrate nelle LAL dell’adulto con più di 50 anni (Foà R, 2011). Nel contesto pediatrico la LAL Ph+ è più rara, rappresentando il 3-4% di tutte le LAL (Schlieben S et al, 1996). Prima dell’avvento degli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI), questa forma leucemica era caratterizzata da una prognosi infausta con una sopravvivenza libera da eventi (EFS) a 5 anni variabile tra il 28% e il 32% (Aricò M et al, 2000; Aricò M et al, 2010), con indicazione in tutti i pazienti ad eseguire l’irradiazione profilattica del sistema nervoso centrale (SNC) e il trapianto allogenico di cellule staminali (allo-SCT). Così come nell’adulto, l’introduzione di imatinib, TKI di prima generazione, ha migliorato notevolmente l’outcome dei bambini con LAL Ph+, con una EFS a 5 anni di del 55-60% (Shultz KR et al, 2014; Biondi A et al, 2018). Nonostante i risultati positivi ottenuti con l’utilizzo di imatinib in questa patologia, la resistenza al farmaco per l’incorrere di mutazione puntiformi e le recidive non sono eventi rari. In questo contesto, l’utilizzo di TKI di seconda generazione potrebbero fornire risultati migliori e ridurre il rischio di recidiva.
È stato recentemente pubblicato su JAMA Oncology uno studio cinese multicentrico randomizzato di fase 3 (Shen S et al, 2020) in cui pazienti pediatrici con LAL Ph+ venivano randomizzati a ricevere imatinib o dasatinib (TKI di seconda generazione) associati ad una chemioterapia intensiva.
Tra gennaio 2015 e settembre 2018, sono stati arruolati in questo studio 189 pazienti di età compresa tra 0 e 18 anni (età media: 7,8 anni; IQR: 5,2-11,3 anni) e assegnati in modo casuale a ricevere dasatinib alla dose di 80 mg/m2/die (n=92) o imatinib alla dose di 300 mg/m2/die (n=97), in associazione a un regime chemioterapico intensivo. In nessun paziente è stata eseguita l’irradiazione cranica per la profilassi del SNC; globalmente i pazienti hanno ricevuto 18-20 rachicentesi medicate. L’allo-SCT veniva raccomandato solo per i pazienti ad alto rischio con malattia minima residua (MMR) >1% (BCR-ABL1/ABLx100 >1%) al termine dell’induzione.
Non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi di pazienti in termini di remissioni complete (RC) e di risposte molecolari al termine dell’induzione (giorno +46): globalmente 183/189 (96,8%) pazienti risultavano in RC al termine dell’induzione e 145/189 (78,%) presentavano una MMR <0,01%.
Poiché i risultati di un’analisi ad interim programmata hanno mostrato una EFS significativamente più elevata nel gruppo dasatinib, ad ottobre 2018 è stata interrotta la randomizzazione e imatinib è stato sostituito con dasatinib in tutti i pazienti ancora in trattamento.
Gli autori riportano una EFS a 4 anni pari al 71% con dasatinib e al 48,9% con imatinib (HR: 2,36; IC 95%: 1,27-4,40; p=0,007); con una sopravvivenza globale (OS) a 4 anni, rispettivamente, dell’88,4% e del 69,2% (HR: 2,26; IC 95%: 1,02-4,99; p=0,04).
Il rischio cumulativo di ricaduta a 4 anni per i pazienti trattati con imatinib e dasatinib è stato, rispettivamente, del 19,8% contro il 34,4% (p=0,01) e, in particolare, il rischio di recidiva isolata del SNC è risultata inferiore con dasatinib rispetto ad imatinib (2,7% contro 8,4%; p=0,06), probabilmente per la sua capacità di penetrare la barriera emato-encefalica. Nel presente studio, nessun paziente ha effettuato la radioterapia craniale e solo 4 pazienti sono stati sottoposti ad allo-SCT (1 trattato con dasatinib, 3 con imatinib).
Entrambi i trattamenti sono stati ben tollerati e hanno mostrato un profilo simile di tossicità: gli eventi avversi più comuni sono stati le infezioni e le pancreatiti. Sono stati registrati 5 decessi per infezione in ciascun gruppo, ma nessuna di queste è stata attribuita direttamente al trattamento con TKI.
In conclusione, in questo studio, l’associazione di dasatinib alla dose di 80 mg/m2/die con uno schema chemioterapico intensivo, ha prodotto risultati superiori rispetto a imatinib (300 mg/m2/die) nel trattamento della LAL Ph+ del bambino.
Questo risultato è in contrasto con quelli di due recenti studi pediatrici di fase 2 che hanno utilizzato dasatinib alla dose di 60 mg/m2/die al giorno (Hunger SP et al, 2017; Slayton WB et al, 2018) con una EFS che non differiva significativamente dei controlli storici trattati con imatinib. Gli autori attribuiscono i migliori risultati ottenuti nei pazienti trattati con dasatinib principalmente alla dose più elevata utilizzata. Questo aumento di dosaggio porterebbe ad una aumentata esposizione sistemica al farmaco e anche ad una migliore attività anti-leucemica sul sistema nervoso centrale.
NDR. Per ciascuna serie di LAL Ph+ pediatriche trattate con la combinazione imatinib o dasatinib e “intensive chemotherapy” sono riportati 5 decessi, per un tasso di mortalità del 5-6%. Né dal testo dell’articolo né dai materiali supplementari si evince in quale fase di malattia si siano osservati questi decessi, ma si legge che sono avvenuti per “fatal infections” (non per recidiva). Nella discussione gli autori suggeriscono che “the intensity of chemotherapy should be reduced in future studies”. Va ricordato come nei pazienti adulti con LAL Ph+ la chemioterapia sia da tempo significativamente de-intensificata per ridurre la tossicità della combinazione con i TKI e, quindi, i decessi per tossicità. Gli studi multicentrici GIMEMA da 15 anni non usano chemioterapia sistemica in induzione ma solo un TKI più steroidi e profilassi del sistema nervoso centrale. Nell’ultimo protocollo, l’induzione con dasatinib e steroidi viene consolidata con l’anticorpo monoclonale bispecifico blinatumomab, quindi con una strategia di induzione-consolidamento chemo-free. In tutti questi studi, le percentuali di remissione completa sono stati del 94-100%, anche nei pazienti anziani, praticamente senza decessi in induzione.
RF
Fonte:
BIBLIOGRAFIA
Ematologia, Università Sapienza, Roma
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