Le Istiocitosi

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Introduzione

 

Con il termine di Istiocitosi vengono definiti un gruppo di disordini rari che hanno in comune la proliferazione e accumulo di cellule di derivazione dendritica o macrofagica in diversi tessuti e organi (Egeler RM e D’Angio GJ, 1995).

La prima classificazione delle istiocitosi, pubblicata nel 1987 dal Working Group dell’Istiocyte Society e integrata nel corso del tempo (Favara BE et al, 1997; Badalian-Very G et al, 2013), prevedeva 3 categorie in base alle caratteristiche cliniche e immunoistochimiche: istiocitosi a cellule di Langerhans (ICL) di derivazione dalle cellule dendritiche, istiocitosi a cellule non-Langerhans derivanti dalla linea macrofagica e le istiocitosi maligne. In un contesto clinico definito, la caratteristica distintiva dell’ICL era e rimane la presenza nella lesione delle cosiddette cellule di Langerhans (CL), istiociti CD1a+/CD207 Langerin+/S100+. Le istiocitosi a cellule non-Langerhans comprendevano un gruppo eterogeneo di disordini caratterizzati dall’accumulo di istiociti con caratteristiche immunofenotipiche diverse dalle CL, tra cui lo xantogranuloma giovanile, la malattia di Rosai-Dorfman o istiocitosi del seno con massiva linfoadenopatia e la malattia di Erdheim-Chester.

Nel 2016, veniva proposta una nuova classificazione delle istiocitosi e delle neoplasie delle linee dendritica e macrofagica, sulla base di nuove acquisizioni sui meccanismi patogenetici, sulle caratteristiche molecolari, e sulla clinica (Emile JF et al, 2016). Questi disordini venivano, quindi, suddivisi in 5 gruppi: L (istiocitosi Langerhans), C (istiocitosi non-Langerhans cutanee e mucocutanee), M (istiocitosi maligne), R (malattia di Rosai-Dorfman e istiocitosi non-Langerhans non cutanee), H (linfoistiocitosi emofagocitica) (Figura I) (Frater JL, 2016).

 

Figura I: Rappresentazione schematica delle patologie comprese nei 5 diversi gruppi in cui , nel 2016, sono state suddivise le istiocitosi e le neoplasie delle linee dendritica e macrofagica (Frater JL, 2016).

 

Recentemente, in base alle caratteristiche biologiche, molecolari e immunofenotipiche, la classificazione WHO del 2022 riconosce la derivazione da progenitori mieloidi comuni delle linee monocitica/ istiocitica/dendritica di diverse patologie, quali le malattie clonali delle cellule dendritiche plasmacitoidi, le neoplasie a cellule di Langerhans e altre neoplasie delle cellule dendritiche, le neoplasie a cellule istiocitiche, che comprendono, tra le altre, anche la malattia di Rosai-Dorfman (RDD) e un’altra entitĆ  nosologica di recente identificazione, l’istiocitosi ALK-positiva (Khoury JD et al, 2022) (Tabella I)

 

Tabella I. Classificazione delle neoplasie a cellule istiocitiche e dendritiche (Khoury JD et al, 2022).

 

L’identificazione di mutazioni nei geni della via MAPK, come BRAF, ARAF, MAP2K1, NRAS e KRAS, anche se con frequenze molto variabili, nell’istiocitosi e nel sarcoma a cellule di Langerhans, nella malattia di Erdheim-Chester, nella xantogranuloma giovanile, nella RDD, nel sarcoma istiocitico e nell’istiocitosi ALK-positiva hanno suggerito l’esistenza di una via genetica comune a tutti questi disordini (Jaffe ES, Chan JKC, 2022). La frequenza delle mutazioni della via MAPK nei diversi disordini ĆØ riportata nella Figura II (Gulati N, Allen CE, 2021).

Figura II. Frequenza delle mutazioni della via MAPK nei divversi disordini istiocitari Istiocitosi (Gulati N, Allen CE, 2021).

 

La diagnosi di proliferazione delle cellule dendritiche plasmacitoidi mature (MPDCP) associata a una neoplasia mieloide si basa su dati recenti che hanno evidenziato cellule dendritiche plasmocitoidi clonali nel contesto di una neoplasia mieloide. Un accumulo di cellule MPDCP clonali sono state riscontrate nel midollo osseo sia di pazienti con leucemia mielomonocitica cronica portatori di mutazioni attivanti la via mutazioni della via RAS (Lucas N et al, 2019), sia di pazienti con leucemia mieloide acuta, anche in associazione a mutazioni di RUNX1 (Zalmai L et al, 2021; Xiao W et al, 2021).

La diagnosi di neoplasia blastica a cellule dendritiche plasmacitoidi si basa essenzialmente su criteri immunofenotipici (Khoury JD et al, 2022).

L’inclusione della RDD in questo gruppo di patologie ha il razionale nel riscontro di un accumulo di istiociti di grandi dimensioni con il caratteristico fenomeno dell’emperipolesi, che risultano positivi per la proteina S100 e che presentano frequenti mutazioni gain-of-function della via MAPK (Jacobsen E et al, 2017; Chakraborty R et al, 2021).

L’istiocitosi ALK-positiva ĆØ stata caratterizzata negli ultimi anni e si contraddistingue per la presenza di una traslocazione del gene ALK e da una notevole risposta alla terapia con inibitori di ALK (Chang KTE et al, 2019; Kemps PG et al, 2022). Si raccomanda, quindi, l’immunocolorazione per l’ALK nei casi di proliferazioni istiocitarie che non corrispondono a entitĆ  definite, per la definizione precisa del tipo di istiocitosi. Il quadro clinico ĆØ eterogeneo con forme mono e multisistemiche, che possono colpire qualsiasi fascia di etĆ . Frequente ĆØ il coinvolgimento del sistema nervoso, centrale o periferico, e della cute, con un’ottima risposta al trattamento sistemico e/o chirurgico. Nei neonati, tipicamente, coinvolge il fegato, la milza e/o il midollo osseo, con un decorso lento, che può risolversi spontaneamente o con la chemioterapia (Chan JK et al, 2008; Kemps PG et al, 2022].

 

Istiocitosi a cellule di Langerhans

 

L’istiocitosi a cellule di Langerhans (ICL) ĆØ una malattia rara del sistema monocitico-macrofagico e rappresenta il disordine istiocitario cronico più frequente. Può presentarsi a tutte le etĆ , ma ĆØ più frequente nei bambini, con un’incidenza annuale stimata di 2.6-8.9 casi per milione nei bambini di etĆ  inferiore a 15 anni, con etĆ  mediana alla diagnosi di 3 anni (Rodriguez-Galindo C, Allen CE, 2020) e di 1-2 casi per milione negli adulti (Baumgartner I et al, 1997). In realtĆ , l’incidenza potrebbe essere più alta in virtù dell’esistenza di forme cliniche pauci-sintomatiche e della frammentarietĆ  di dati nella popolazione adulta. Spesso la diagnosi nell’adulto ĆØ tardiva. La distribuzione per sesso ĆØ variabile nelle diverse casistiche; in etĆ  pediatrica i maschi risultano colpiti in proporzione più che doppia rispetto alle femmine, ma con l’aumentare dell’etĆ  la predominanza del sesso maschile si riduce fin quasi ad invertirsi. La distribuzione dell’ICL ĆØ ubiquitaria, anche se l’incidenza delle forme multisistemiche sembra maggiore nei bambini di etnia ispanica e minore in quella africana (Ribeiro KB et al, 2015). Ā Una minore incidenza nell’etnia africana ĆØ stata anche riportata nella popolazione adulta (Goyal G et al, 2018). Uno studio di genomica in gruppi famigliari ha rilevato un’associazione del polimorfismo del gene SMAD6 con l’ICL, soprattutto nei pazienti ispanici (Peckman-Gregory EC et al, 2018). Il riscontro di un’aumentata incidenza in gemelli omozigoti ha suggerito la possibilitĆ  di una predisposizione germline (Aricò M et al, 2005).

Lo spettro delle manifestazioni cliniche varia dalla lesione singola che tende a regredire spontaneamente, il cosiddetto granuloma eosinofilo, a lesioni osteolitiche multiple della teca cranica associate a esoftalmo e diabete insipido (DI), de malattia di Hand-Schüller-Christian, fino a una rarissima forma disseminata multiorgano dall’andamento acuto e potenzialmente fatale, chiamata malattia di Letterer-Siwe.

La scarsa conoscenza sull’eziopatogenesi giustificò la definizione di “Istiocitosi X”, utilizzato da Lichtenstein nel 1953 per definire i tre diversi disordini, il granuloma eosinofilo, la malattia di Hand-Schüller-Christian e la malattia di Letterer-Siwe, caratterizzati tutti dalla presenza di aggregati simil-neoplastici di istiociti con infiltrazione di granulociti eosinofili. Nel 1973, Nezelof dimostrò che i granulomi erano il risultato della proliferazione e diffusione di istiociti patologici, caratterizzati dalla presenza di granuli intracitoplasmatici di Birbeck (Nezelof C et al, 1973). Nel 1987, l’Histiocyte Society (HS) sostituƬ il termine Istiocitosi X con il termine ICL per definire questi disordini.

L’ICL ĆØ contraddistinta dalla presenza diun accumulo di istiociti atipici (CD1a+/CD207 langerina+/S100+), accanto a istiociti normali, linfociti ed eosinofili, che formano i granulomi, infiltrati caratteristici della malattia. L’eziopatogenesi rimane sconosciuta, anche se sono state formulate diverse ipotesi, dalla natura neoplastica della malattia ad un’alterazione del sistema immunitario, ad infezioni virali, a modifiche specifiche dei linfociti. I recenti progressi della ricerca supportano un modello in cui la CL dell’ICL deriva da un’attivazione patologica della via MAPK (mitogen-activated protein kinases) per l’acquisizione di mutazioni somatiche in precursori della linea mieloide (Zinn DJ et al, 2016a). I primi dati sulla natura anomala degli istiociti erano emersi nel 1982 con l’evidenza, attraverso la microscopia elettronica, dei granuli di Birbeck, organelli citoplasmatici funzionalmente importanti per la presentazione dell’antigene, riscontrati solo nella CL.

Le cellule di Langerhans sono cellule di derivazione emopoietica con la funzione di presentare l’antigene, e appartengono alla categoria delle cellule dendritiche, anche se i meccanismi omeostatici (fattori di crescita e trascrizionali) che regolano il loro numero e distribuzione sono diversi da quelli delle cellule dendritiche classiche. La presenza di marcatori di superficie specifici, quali il CD1a ed il CD207, noto anche come langherina (lectina tipo C, che agisce internalizzando l’antigene in collegamento con i granuli di Birbeck), permettono l’identificazione di istiociti anomali il cui riscontro ĆØ diagnostico per ICL. La caratterizzazione immunoistochimica con questi antigeni permette la diagnosi differenziale con l’istiocitosi a cellule indeterminate (CD207-), con la malattia di Rosai-Dorfman (istiociti multinucleati con evidente emperipolesi, CD1a- o CD207-). L’ICL si distingue dall’istiocitosi maligna per la presenza di istiociti con atipie nucleari ed elevato indice mitotico.

 

Patogenesi: l’ICL ĆØ un disordine reattivo o una malattia neoplastica?

 

La variabilitĆ  nelle manifestazioni cliniche, che va da una lesione unica che può regredire spontaneamente a forme disseminate con coinvolgimento multiorgano potenzialmente fatali, ha alimentato il dubbio sulla patogenesi di questa malattia, provocando un dibattito decennale (Arceci RJ et al, 1998; Degar BA e Rollins BJ, 2009). La controversia sulla patogenesi ĆØ stata alimentata anche dalla somiglianza istologica tra le cellule dell’ICL e le cellule di Langerhans epidermiche e si ĆØ focalizzata essenzialmente sulla questione se l’ICL possa essere considerata un disordine infiammatorio disreattivo o una neoplasia (Laman JD et al, 2003; Nezelof C e Basset F, 2004; Rodriguez-Galindo C, Allen CE, 2020).

 

L’ICL ĆØ un disordine reattivo?

 

Il polimorfismo cellulare dell’infiltrato infiammatorio delle lesioni, caratterizzato da una predominanza di linfociti, eosinofili e macrofagi e dalla presenza di istiociti CD1a+/CD207+ in una percentuale variabile dall’1% al 75% (mediana 8%) ha supportato l’ipotesi iniziale della patogenesi immune dell’ICL. Di conseguenza, i primi studi sono stati concentrati sul ruolo nella risposta immunitaria e infiammatoria del suo presunto precursore cellulare (Laman JD et al, 2003). La funzione principale delle CL ĆØ quella di utilizzare i processi dendritici presenti nello strato basale dell’epidermide per rilevare antigeni estranei grazie anche alla presenza di diverse citochine, alcune delle quali (per esempio, il fattore di necrosi tumorale, TNF-α) secrete dai cheratinociti epidermici. La CL attivata raccoglie ed elabora l’antigene, migra nei linfonodi regionali dove dĆ  inizio ad una risposta immunitaria adattativa, presentando ai linfociti T l’antigene trasformato. Il processo di migrazione delle CL sembra essere controllato, almeno in parte, dall’espressione sequenziale di recettori per le chemochine presenti sulla loro superficie, in particolare CCR7 (C-C motif chemokine receptor 7) (Ohl L et al, 2004). Rispetto alle CL normali, gli istiociti dell’ICL hanno una maggiore capacitĆ  proliferativa ed una più bassa capacitĆ  di presentare l’antigene. Questo suggerisce che le CL si arrestano ad uno stato di attivazione più immaturo (GeissmannĀ F et al, 2001). Studi più recenti hanno dimostrato che le CL esibiscono un unico profilo trascrizionale che le distingue non solo dalle cellule plasmocitoidi ma anche da quelle di Langerhans epidermiche (AllenĀ CE et al, 2010; Hutter C et al, 2012). In particolare, le CL sono le uniche cellule dendritiche che coesprimono Notch1 e i suoi ligandi Jagged-1 e 2 (Hutter C et al, 2012). La presenza della mutazione di Notch1 potrebbe contribuire alla patogenesi della ICL, come ipotizzato nel primo caso descritto di un paziente che ha sviluppato una ICL dopo una leucemia linfoblastica acuta a cellule T in cui la cellula leucemica e la CL presentavano la medesima mutazione attivante di Notch1 (Rodig SJ et al, 2008). Le cellule ICL sono, quindi, cellule dendritiche immature distinte e la via del segnale Notch JAG-mediata può giocare un ruolo importante nel mantenimento dello stato di immaturitĆ . La contemporanea presenza di CL patologiche in più organi e tessuti, compresi la cute e i linfonodi, come si verifica nella malattia di Letterer-Siwe, ha portato a formulare l’ipotesi che l’infiltrazione tessutale nella ICL potrebbe essere dovuta ad una disregolata espressione dei recettori per le chemochine.

A supporto della natura infiammatoria della ICL, ci sono anche evidenze cliniche, in particolare la possibilitĆ  di regressione spontanee delle lesioni e la buona risposta ad una blanda chemioterapia di forme estese. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato sia l’impossibilitĆ  ad immortalizzare le CL sia la presenza di alcune sequenze di DNA di virus nel sangue venoso periferico e nei tessuti di pazienti con ICL (Matsushita M et al, 2014). Uno studio ha messo in evidenza che le CL, a causa delle loro caratteristiche di cellule dendritiche immature, possono promuovere l’espansione di linfociti T regolatori con conseguente blocco del sistema immunitario ospite che non riesce ad eliminare le CL, suggerendo che l’accumulo di CL ĆØ dovuto alla loro prolungata sopravvivenza piuttosto che alla loro proliferazione incontrollata (Senechal B et al, 2007).

Le lesioni dell’ICL contengono, oltre alle CL, altre cellule infiammatorie, quali linfociti T, macrofagi, plasmacellule, eosinofili, cellule giganti multinucleate osteoclasti-like e neutrofili. Nella Figura III ĆØ schematizzato il meccanismo di interazione tra le diverse componenti cellulari con il relativo network di citochine e chemochine (Morimoto A et al, 2014). Le CL CD1a+/CD207+ esprimono anche il marcatore CCR6 della cellula dendritica immatura e producono il suo ligando (CCL20/MIP-3α) cosƬ come CCL5/RANTES (CCR1/3/5 ligando) e CXCL11/I-TAC (CXCR3 ligando) (Annels NE et al, 2003). Recentemente, ĆØ stato riportato che le CL CD1a+/CD207+ nei pazienti con lesioni multifocali esprimono CXCR4 e il suo ligando (CXCL12/SDF-1) (Quispel W et al, 2013). ƈ stato ipotizzato che i recettori per chemochine presenti sulla CL CD1a+/CD207+ e le interazioni con i ligandi possono avere un ruolo nella migrazione ematogena nelle lesioni non solo delle CL ma anche di eosinofili e linfociti T CD4+ (Morimoto A et al, 2014). Lo stimolo reciproco da parte delle cellule infiltranti e le CL determina la produzione di numerose citochine, come il granulocyte-macrophage colony-stimulating factor (GM-CSF), l’interferone (IFN)-γ, il TNF-α, e numerose interleuchine (IL) (IL-1α, IL-2, IL-3, IL-4, IL-5, IL-7, e IL-10) (Egeler RM et al, 1999). Recentemente, ĆØ stato dimostrato che i livelli sierici di alcune citochine/chemochine delle lesioni infiammatorie e dei fattori-attivanti sia le cellule dendritiche che i macrofagi, sono marcatori prognostici negativi (IL-2R, IL-12p40, IL-18 e CXCL9) (Morimoto A et al, 2014). L’aumentata produzione di alcune citochine – quali l’IFN-γ, il TNF-α, l’IL-6, il GM-CSF da parte delle CL e dei linfociti associati – potrebbe spiegare alcune manifestazioni cliniche della malattia. Ad esempio, l’incremento del TNF-α nei tessuti lesionali potrebbe essere responsabile della febbre, dei fenomeni osteolitici, delle alterazioni ematologiche e di quelle epatiche.

Nelle lesioni dell’ICL sono presenti anche cellule giganti multinucleate simili a osteoclasti non solo nell’osso ma anche nelle lesioni cutanee e linfonodali. Questo perchĆ© sia le cellule ICL che le cellule T producono in queste lesioni le citochine RANKL (receptor activator of nuclear factor kappa-B ligand) e il GM-CFS, che inducono l’aumento degli osteoclasti (da Costa CE et al, 2005). Gli enzimi derivati dalle cellule giganti multinucleate osteoclasti-like potrebbero svolgere un ruolo importante nella distruzione cronica dei tessuti che si osserva nelle lesioni caratteristiche dell’ICL (da Costa CE et al, 2005).

 

Figura III. Il meccanismo di interazione cellulare ed il network citochine/chemochine nell’ICL (Morimoto A et al, 2014).

 

Alcune manifestazioni cliniche dell’ICL (granuloma cronico aggressivo, riassorbimento osseo, lesioni dei tessuti molli e lesioni neurodegenerative) sono simili a quelle osservate in altre malattie umane interleukina-17A (IL-17A)-correlate (infezione da micobatteri, malattia di Crohn, artrite reumatoide e sclerosi multipla).Ā  L’interesse speculativo ĆØ stato, quindi, rivolto verso lo studio del ruolo di questa citochina nello sviluppo del granuloma con risultati contrastanti. Uno studio ha dimostrato una percentuale maggiore di monociti IL-17A+ nel sangue venoso periferico di pazienti con ICL rispetto ai controlli normali e che le cellule IL-17A+ sono monociti con elevati livelli sia di IL-17A e sia di RORC (retinoic acid orphan receptor C) mRNA, che ĆØ associato all’estensione di malattia. Inoltre, i livelli sierici di IL-17A prodotta dai monociti correlavano sia coi livelli di RORC che con l’attivitĆ  di malattia (Lourda M et al, 2014).

 

L’ICL ĆØ una malattia neoplastica?

 

Il modello alternativo riguardante la patogenesi dell’ICL ĆØ tradizionalmente basato sulla ipotesi della trasformazione neoplastica della cellula di Langerhans epidermica (Nezelof C et al, 1973). La scoperta della clonalitĆ  delle cellule CD1a+ presenti nelle lesioni ICL ha permesso di supportare, ulteriormente, la natura neoplastica dell’ICL (Willman CL et al, 1994; Yu RC et al, 1994). Inoltre, all’interno delle lesioni di ICL si osservano gli stessi meccanismi patogenetici che di solito si associano alle patologie neoplastiche, come l’evasione immunitaria causata dall’aumento dei linfociti T regolatori, l’infiammazione promossa dalla neoplasia con l’aumento locale e sistemico delle citochine pro-infiammatorie, l’espressione di metallo-proteasi promuoventi l’invasione e le metastasi (Hayashi T et al, 1997; da Costa CE et al, 2005; Allen CE et al, 2010) e l’overespressione di BCL2L1, che favorirebbe la resistenza all’apoptosi (Schouten B et al, 2002; Amir G e Weintraub M, 2008; Allen CE et al, 2010). A supporto dell’ipotesi neoplastica, altri studi hanno riportato una instabilitĆ  cromosomica (Betts DR et al, 1998), perdita di eterozigositĆ  in diversi cromosomi (Murakami I et al, 2002), ridotta lunghezza dei telomeri (Bechan GI et al, 2008), elevata espressione di Ki-67, TP53, c-myc, H-ras, e Bcl-2 nelle CL (Schouten B et al, 2002).Tuttavia, il fatto che la clonalitĆ  cellulare non sia indicativa di malignitĆ  e la persistente impossibilitĆ  di identificare anomalie genetiche specifiche hanno impedito di classificare l’ICL come un disturbo neoplastico (da Costa CE et al, 2009).

L’analisi delle alterazioni genomiche nella ICL ha rappresentato tradizionalmente una sfida a causa della eterogeneitĆ  cellulare delle lesioni. L’avvento di nuove tecnologie di sequenziamento ha facilitato l’amplificazione genomica e la possibilitĆ  di identificare una mutazione critica di una singola base in una popolazione di cellule rare. Una svolta storica ĆØ avvenuta con la scoperta di una prima mutazione puntiforme somatica ricorrente, BRAF-V600E, in circa il 60% delle lesioni di ICL (Badalian-Very G et al, 2010). L’elevata prevalenza della mutazione BRAF-V600E nell’ICL ĆØ stata confermata da successivi studi in ampie coorti di pazienti (Sahm F et al, 2012; Satoh T et al, 2012; Berres ML et al, 2014; Chackraborty R et al, 2014). La mutazione BRAF-V600E ĆØ stata riscontrata in circa l’8% di tutti i tumori umani, ed ĆØ risultata raramente associata a emopatie maligne non-istiocitarie, ad eccezione della leucemia a cellule capellute, di cui rappresenta il marcatore diagnostico (Tiacci E et al, 2011; Abdel-Wahab O e Park CY, 2014). BRAF-V600E ĆØ specifica delle CL dell’ICL ed ĆØ assente in CL proliferanti normali ed in altri tipi di istiocitosi, quali la malattia di Rosai-Dorfman e lo xantogranuloma giovanile. Ad oggi, il significato prognostico di questa mutazione non ĆØ ancora chiaro poichĆØ ĆØ stata riscontrata sia nelle forme multisistemiche (MS) che in quelle unisistemiche (SS), anche se recentemente ĆØ stato segnalato un maggior rischio di riattivazione nei pazienti che presentano la mutazione (Berres ML et al, 2014). Inoltre, in un recente studio ĆØ stato dimostrato che i pazienti con mutazione di BRAF-V600E mostrano una maggiore resistenza alla chemioterapia, un più alto tasso di riattivazione a 5 anni e la comparsa di sequele permanenti a lungo termine causati dalla malattia e/o dal trattamento eseguito (HĆ©ritier S et al, 2016). Il geneĀ BRAF ricopre un importante ruolo nell’ambito della cascata del segnale, che inizia con l’attivazione del recettore delle tirosin-chinasi e procede con la fosforilazione di diverse chinasi, quali RAS, RAF, MEK (mitogen-activated ERK kinase), ERK (extracellular signal-regulated kinase) (Figura IV), con il risultato di una modulazione dell’espressione genica (Montagut C, Settleman J, 2009). Oltre alla mutazione BRAF-V600E, sono state descritte altre mutazioni all’interno del locus genico BRAF, comprese le mutazioni somatiche BRAF-V600D e BRAF-600DLAT e la mutazione germinale/polimorfismo BRAF-T599A con acquisizione di funzione (Satoh T et al, 2012; Kansal R et al, 2013). Indipendentemente dal genotipo di BRAF (wild type o mutato) riscontrato all’interno della lesione, l’attivazione (fosforilazione) sia di MERK ed ERK ĆØ risultata sempre presente (Chakraborty R et al, 2014). Questo dato ha suggerito l’ipotesi che l’attivazione della via ERK sia sempre presente nell’ICL (Badalian-Very G et al, 2010) e che l’attivazione del recettore tirosin-chinasico sia dovuto ad una iper-espressione del recettore stesso o del suo ligando. L’ICL, quindi, potrebbe essere considerata come un disordine proliferativo incontrollato che origina da una mutazione somatica di un gene regolatore della proliferazione cellulare, non ancora identificato, con attivazione di citochine infiammatorie di accompagnamento (Laman JD et al, 2003).

 

Figura IV. Rappresentazione lineare semplificata dell’attivazione RAF-MEK-ERK nelle neoplasie umane (Montagut C, Settleman J, 2009, modificato).

 

Recentemente, utilizzando le tecnica di whole exome sequencing (WES) e di next generation sequencing (NGS), sono state identificate in circa l’85% dei casi studiati di ICL nuove mutazioni geniche aggiuntive che determinano l’attivazione della via di ERK: mutazioni di ARAF, che comportano l’attivazione costitutiva di ARF e di MEK (Nelson DS et al, 2014) e mutazioni MAP2K1, di tipo mutualmente esclusivo con le mutazioni di BRAF (Brown NA et al, 2014; Nelson DS et al, 2015).

 

Meccanismi molecolari e ipotesi patogenetiche nella ICL

 

BRAF ĆØ la chinasi centrale della via di MAPK che coinvolge RAS, RAF, MEK, ERKĀ  (Figura IV), traduce segnali extracellulari e regola le funzioni cellulari critiche (Davies H et al,Ā  2002). Fisiologicamente la via di traduzione di MAPK inizia tramite il legame del fattore di crescita al recettore RTK (receptor tyrosine kinase) che a sua volta attiva in maniera sequenziale le proteine RAS, RAF, MEK e ERK che regolano il programma di trascrizione genetica. Se la mutazione di BRAF ĆØ presente in circa la metĆ  delle lesioni ICL, mentre ERK risulta fosforilato nel 100% dei casi, quali sono gli altri meccanismi che attivano ERK? La metodica WES ĆØ stata utilizzata per studiare il tessuto bioptico e il sangue venoso periferico di pazienti con ICLallo scopo di identificare varianti mutazionali di BRAF e vie di attivazioni alternative di ERK. Mutazioni attivanti a carico degli esoni 2-3 di MAP2K1 sono state riscontrate nel 33% di lesioni ICL con fenotipo BRAF wild type (Chakraborty R et al, 2014) e mutazioni somatiche del pathway MAPK di tipo mutualmente esclusivo, tutte risultanti nell’attivazione di ERK, sono state trovate nel 75% delle lesioni di ICL (Chakraborty R et al, 2014; Nelson DS et al, 2015). L’impatto delle differenti mutazioni di MAPK (o di PI3K) rimangono incerte; tuttavia, la frequenza delle mutazioni del pathway MAPK nella ICL suggerisce un suo ruolo funzionale per l’attivazione patologica di ERK, fisiologicamente implicato nella differenziazione e nella maturazione cellulare mieloide (Berres ML et al, 2015). Sono stati riportati casi di ulteriori mutazioni a carico dei geni MAPK, che includono ARAF and ERBB3 (Nelson DS et al, 2014; Chakraborty R et al, 2014). Il meccanismo dell’attivazione patologica di ERK nel restante 25% dei pazienti con ICL rimane sconosciuta.. Nei casi in cui non sono presenti mutazioni di MAPK, l’attivazione di ERK potrebbe essere dovuta ad alterazioni di MAPK non rilevabili con il sequenziamento dell’esoma (es. fusioni, delezioni o duplicazioni) o a mutazioni attivanti altri percorsi o ad altri meccanismi patogenetici (es, metilazione) (Chakraborty R et al, 2014). I meccanismi patogenetici dell’attivazione a valle di ERK non sono ancora ben definiti.

L’origine mieloide della CL nell’ICL ĆØ stata confermata in diversi studi. L’analisi dell’espressione genica delle cellule nelle lesioni ICL ha rilevato che il profilo trascrizionale delle CL CD207(+) presenti ĆØ molto simile a quello della cellula dendritica di derivazione mieloide piuttosto che delle cellule di Langerhans epidermiche CD207(+) (Allen CE et al, 2010; Sahm F et al, 2012). Inoltre, dal momento che la mutazione di BRAF-V600E rappresenta il ā€œbar codeā€, ĆØ stato possibile identificare la mutazione BRAF-V600E all’interno sia dei precursori delle cellule dendritiche mieloidi CD11c+ e dei monociti CD14+ circolanti che nelle cellule staminali midollari CD34+ di pazienti con ICL ad alto rischio (Berres ML et al, 2014). Il significato funzionale dell’attivazione di MAPK nelle cellule dei precursori mieloidi nella ICL ĆØ supportato anche dall’osservazione, in un modello murino, che l’espressione forzata di BRAF-V600E nelle cellule CD11c+ determina un fenotipo di ICL ad alto rischio. Un dato interessante ĆØ che l’espressione di BRAF-V600E nelle cellule langherina+ determina un fenotipo molto più attenuato senza l’identificazione di cellule circolanti BRAF-V600E e un quadro clinico simile alla ICL umana a basso rischio. Tutte queste osservazioni supportano l’ipotesi che alla base della patogenesi della ICL ci sia il modello della cellula dendritica mieloide ā€œfuorviataā€ la cui attivazione patologica di ERK ne determina la proliferazione, la sopravvivenza e la differenziazione, condizionando l’estensione della malattia (Figura V) (Berres ML et al, 2015; Allen CE et al, 2015; Allen CE et al, 2018).

 

Figura V. Modello della patogenesi della disregolazione delle cellule mieloidi dendritiche causata dall’attivazione patologica di ERK (Allen CE et al, 2015).

 

Di fatto, la ICL ĆØ caratterizzata da un largo spettro di manifestazioni cliniche; inoltre, Ā istologicamente le lesioni ICL di una malattia ad alto rischio siano indistinguibili da quelle di una malattia a basso rischio. Studi clinici in pazienti con forme diverse di ICL hanno dato un iportante contributo alla conoscenza dei meccanismi che possono regolare la severitĆ  e l’estensione Ā della ICL. Ā In uno studio su pazienti con malattia MS ad alto rischio con mutazione di BRAF V600E a livello delle CL intra-lesionali, ĆØ stata riscontrata la stessa mutazione anche nelle cellule circolanti e in quelle midollari, mentreĀ nei pazienti con malattia SS a basso rischio, la mutazione BRAF V600E era assente sia nelle cellule circolanti che in quelle midollari (Berres ML et al, 2014). La presenza della stessa mutazione di BRAF V600E riscontrata nelle cellule dendritiche CD11c+ e nei monociti CD14+ dei pazienti MS ad alto rischio con mutazione dimostra, inoltre, che esiste una mutazione somatica che coinvolge sia una specifica cellula dendritica comune e sia i progenitori dei monociti. Lo studio del sangue midollare dei pazienti che presentavano la mutazione di BRAF V600E nelle cellule circolanti ha dimostrato che le cellule con la mutazione appartenevano al compartimento delle cellule staminali ematopoietiche (CSE) CD34+. Nei casi in cui la mutazione di BRAF V600E era presente nelle cellule CD34+, ĆØ stata evidenziata la stessa mutazione anche nelle cellule B CD19+, nelle cellule CD11c+ e nelle CD14+, mentre era assente nei linfociti CD3+ (Berres ML et al, 2014). Il modello di differenziamento mieloide ‘fuorviato’ alla base di patogenesi della ICL potrebbe spiegare il vasto spettro delle manifestazioni cliniche della malattia. Secondo questo modello, il grado di estensione e l’aggressivitĆ  di malattia non ĆØ legata alle alterazioni genomiche e funzionali a livello istiocitario, ma allo stadio in cui avviene l’attivazione patologica di ERK durante il processo di differenziamento mieloide (Zinn DJ et al, 2016 (Figura VI).

La presenza della mutazione di BRAF-V600E anche nella cellula staminale ematopoietica della leucemia a cellule capellute (Chung SS et al, 2014) apre la questione diĀ  come sia possibile che la stessa mutazione determini due distinte patologie. Probabilmente, le alterazioni epigenetiche o l’aggiunta di ulteriori mutazioni somatiche o la comparsa di mutazioni in differenti stadi dell’emopoiesi potrebbero spiegare la manifestazione fenotipica diversa delle due patologie (Berres ML et al, 2013).

 

Figura VI. Modello del differenziamento ‘mieloide fuorviato’ della patogenesi della ICL (Zinn DJ et al, 2016a).

 

L’ipotesi che la ICL non fosse di derivazione da CL epidermiche aberranti ĆØ stata anche confermata dall’osservazione che la langherina (CD207) e i granuli di Birbeck nascono in un più ampio spettro di linee e sottopopolazioni cellulari di quanto inizialmente osservato (Chikwava K et al, 2004; Ginhoux F et al, 2007; Segerer S et al, 2008).

 

Manifestazioni cliniche

 

L’ICL ĆØ una patologia sistemica caratterizzata da un quadro clinico e sintomatologico molto variabile, condizionato dal tipo di tessuto coinvolto e dall’estensione della malattia. L’andamento della malattia ĆØ in genere benigno anche se nei bambini, soprattutto in quelli di etĆ  <2 anni, può essere più aggressiva. La malattia può essere localizzata (per lo più a livello osseo cutaneo), oppure diffusa con interessamento di più organi e/o apparati (osso, ipofisi, sistema emopoietico, fegato, milza, linfonodi, occhio, intestino, cuore e sistema nervoso) con una prognosi più severa. In alcuni casi, la diagnosi può essere occasionale. Nelle forme disseminate, tipiche dell’etĆ  pediatrica, sono frequenti sintomi generali quali febbre, astenia e ridotto accrescimento staturo-ponderale. In una minoranza di casi la malattia può esplodere, gravissima, giĆ  nei primi mesi di vita con un quadro simil-leucemico: lesioni cutanee diffuse papulo-pustolose, purpuriche e/o necrotiche, febbre, epato-splenomegalia, adenomegalia, citopenia. Questa forma, in passato definita malattia di Letterer-Siwe, ĆØ gravata da una mortalitĆ  del 20%, anche con i più moderni trattamenti.

 

Coinvolgimento osseo

 

L’interessamento osseo ĆØ presente nell’80-90% circa dei pazienti con ICL; nel 50% dei casi le lesioni sono singole. e le manifestazioni cliniche dipendono dalla sede colpita (StĆ„lemark H et al, 2008). La presentazione più frequente, soprattutto nelle forme localizzate, ĆØ una tumefazione accompagnata da dolore. A volte la sintomatologia può essere aspecifica, come si verifica nell’interessamento della mastoide, in cui i sintomi (otiti ricorrenti, colesteatoma e persino la perdita dell’udito) possono essere confusivi e ritardare la diagnosi. I segmenti ossei più frequentemente interessati sono riportati essere la teca cranica (50-60%), la colonna vertebrale, la pelvi, il femore , coste, clavicola e scapola, omero emassiccio facciale (mandibola, mascella e orbita) (Lanzkowsky P, 2010; Rodriguez-Galindo C, Allen CE, 2020).

Lo studio radiografico delle lesioni ossee solitamente rivela lesioni osteolitiche, senza sclerosi marginale con o senza reazione periostale.

Le lesioni della teca cranica presentano le caratteristiche di una osteolisi permeante, margini netti e ben definiti, a doppio contorno, assenza di reazione periostale, a volte con sequestro di frammento osseo all’interno; nelle lesioni confluenti, il quadro radiografico ĆØ a carta geografica (Figure VII, VIII e IX). Oltre la teca, possono essere coinvolte la base cranica, l’orbita e la mastoide.

 

Figura VII. Lesione singola del tavolato cranico (esame RX) con immagine calcifica intralesionale (sequestro osseo) ben evidenziabile con la TC (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Figura VIII. Lesione osteolitica a margini netti localizzata in sede temporo-occipitale sinistra in corrispondenza della sutura temporo-lambdoidea (esame RX, proiezione L-L). L’esame scintigrafico in proiezione P-A evidenziava un moderato uptake della regione mastoidea sinistra. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Figura IX. Grossolana lesione osteolitica che mostra aspetto confluente a carta geografica in sede frontale sinistra. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma.

 

Il coinvolgimento delle ossa lunghe (24%) interessa sopratutto il femore e l’omero (Figura X). L’accrescimento lesionale provoca un assottigliamento della corticale con reazione periostale lamellare e osteosclerotica periferica. Anche nel caso delle ossa lunghe, diverse lesioni osteolitiche possono confluire con aspetto radiografico a carta geografica. Il tessuto lesionale può invadere i tessuti molli perischeletrici.

 

Figura X. Grossolane aree osteolitiche a carta geografica con aspetto confluente a carico del III distale dell’omero, con margini superiori più definiti rispetto agli inferiori (asterischi), e con una reazione di tipo lamellare (freccia bianca). Le Immagini di RM evidenziano i segni di rimaneggiamento midollare sui piani sagittali (T1 e T2 a sinistra) e la distruzione della corticale ossea sui piani assiali (T1 e T2 a destra). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Il coinvolgimento delle ossa pelviche presenta caratteristiche peculiari in base all’evoluzione della lesione: all’inizio i foci osteolitici sono poco definiti, durante l’evoluzione della lesione (tipicamente all’ileo), aumenta la reazione osteosclerotica periferica e infine, la coalescenza interna delle lesioni genera un aspetto simile a quello riscontrato nelle lesioni della teca cranica (Figura XI).

 

Figura XI. Lesione osteolitica del bacino a destra, a margini netti, con aspetti confluenti a carta geografica cui si associa intensa reazione osteosclerotica di contenimento (asterisco). Ulteriore lesione osteolitica a carico del collo femorale destro caratterizzato da osteolisi a margini netti con aspetto a carta geografica (freccia). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Nel coinvolgimento della colonna vertebrale, gli spazi intersomatici sono conservati e la lesione litica, inizialmente, ha aspetto permeante (Figura XII) e, successivamente, può evolvere fino al collasso del corpo vertebrale che assume il caratteristico aspetto di vertebra plana all’esame radiografico (Figura XIII).

 

Figura XII. Lesione osteolitica limitata ad una porzione del corpo vertebrale, al peduncolo, alla lamina e alle masse laterali, evidenziata con la radiografia (a sinistra). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Figura XIII. Tipico quadro di vertebra plana con gli spazi intersomatici ben conservati (a destra RM). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Le lesioni delle ossa piatte presentano caratteristiche diverse in base al segmento scheletrico colpito. Il coinvolgimento delle coste presenta un aspetto radiologico di osteolisi permeante a morso di tarma, con possibilitĆ  di frattura patologica negli stadi avanzati. ƈ presente una reazione periostale lamellare. ƈ possibile un’estensione del tessuto lesionale ai tessuti molli perischeletrici (Figura XIV). Le lesioni litiche scapolari e clavicolari hanno margini netti ed obliqui con reazione periostale incostante in quelle scapolari e con abbondante reazione periostale associata a distruzione della corticale in quelle clavicolari (Figura XV).

 

Figura XIV. Nella proiezione A-P del torace, si apprezza lesione costale che presenta caratteri di osteolisi permeante sul suo versante superiore (linea continua) ed aspetto a morso di tarma sul suo versante inferiore (linea tratteggiata). La scansione TC evidenzia una massa extrapleurica (freccia bianca) associata alla distruzione della corticale ossea. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Figura XV. Lesione clavicolare osteolitica a morso di tarma (freccia bianca) con aree osteorarefattive all’interno della lesione osteolitica principale, definite hole within a hole, suggestivo per coinvolgimento dei tessuti molli perischeletrici. La scansione assiale TC mostra riassorbimento della corticale con reazione sclerotica (freccia spessa) e la scintigrafia evidenzia intenso uptake del radiofarmaco (freccia nera). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Coinvolgimento cutaneo

 

La cute ĆØ sede di malattia in circa un terzo di pazienti con diagnosi di ICL. Nel 10% dei casi la malattia cutanea ĆØ isolata e può andare incontro, soprattutto nei bambini, a regressione spontanea nel corso di settimane o mesi, in circa il 60% dei casi. La forma isolata ĆØ più comune nei bambini al di sotto dell’anno di vita, mentre quelle multiorgano si riscontrano con uguale frequenza nei bambini e negli adulti. Le sedi maggiormente colpite sono le pieghe, il capo, il tronco. Le lesioni possono assumere gli aspetti più diversi: usualmente si presentano come delle papule purpuriche di colorito variabile dal bruno al rosso, vescicole, pustole, ulcere e/o croste (Figura XVI). In alcuni casi le lesioni cutanee si manifestano con un aspetto seborrea-like ossia placche eritematose ricoperte da squame sottili localizzate al cuoio capelluto, dietro le orecchie, nelle pieghe inguinali o ascellari o nell’area perineale; in queste ultime sedi si possono presentare con delle fessurazioni purpuriche (Figura XVII). Questa manifestazione ĆØ tipica dei bambini; mentre negli adulti ĆØ più frequente il riscontro di lesioni eczematose nelle zone genitali. Alcune lesioni, presenti alla nascita o subito dopo, come papule, pustole o vecicole, se non c’è il coinvolgimento di un altro organo o apparato, possono regredire spontaneamente (Dennim MH et al, 2018; Schmitt AR et al, 2017). In rari casi, si osservano lesioni vegetanti in particolare a livello perineale che possono essere confuse con i condilomi.

 

Figura XVI. Lesione cutanea ulcerativa.

 

Figura XVII. Lesioni cutanee inguinali caratteristiche delle forme neonatali.

 

Coinvolgimento del cavo orale

 

Le localizzazioni a carico del cavo orale, più frequenti negli adulti, hanno un’incidenza variabile dal 10 al 35% nelle diverse casistiche. Le lesioni possono interessare l’osso mandibolare e, meno frequentemente, il mascellare e/o la mucosa orale e/o i denti. Il coinvolgimento osseo ĆØ rappresentato da una lesione osteolitica unica con o senza compromissione dell’osso alveolare. Il coinvolgimento dell’alveolo dentale può determinare un’ipermobilitĆ  del/i dente/i (Figura XVIII) Si possono osservare anche un’ipertrofia e/o un’ulcerazione localizzata della mucosa gengivale come manifestazione isolata o associata a lesioni dell’alveolo e/o dell’osso (Figura XIX).

 

Figura XVIII. Aree osteolitiche dei processi alveolari del mascellare e del mandibolare con il tipico aspetto del floating tooth (dente che balla). E’ presente anche una lesione osteolitica in sede parieto-occipitale. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

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Figura XIX. Lesione estesa della mucosa del palato duro con coinvolgimento anche dell’osso mascellare e dei denti (sinistra). Lesione localizzata a carico della mucosa perialveolare con coinvolgimento dell’alveolo e del dente corrispondente (destra). (Casistica personale).

 

Compromissione polmonare

 

Il polmone ĆØ, caratteristicamente, un organo bersaglio della ICL nel paziente adulto e fumatore, mentre ĆØ interessato solo nel 20% dei bambini con malattia disseminata. Le lesioni, inizialmente nodulari, evolvono verso la cavitazione fino alla formazione di bolle enfisematose che compromettono la normale funzionalitĆ  respiratoria anche a riposo. Il quadro radiologico può mettere in evidenza un’infiltrazione interstiziale, di tipo reticolare o micronodulare o numerose cisti che configurano un quadro polmonare di tipo ā€œhoneycombingā€ (Figure XX, XXI, XXII). Negli stadi più avanzati si evidenziano ampie bolle con un quadro enfisematoso, che si accompagna a fibrosi. Le bolle enfisematose possono rompersi e provocare uno pneumotorace, evenienza che si verifica soprattutto in giovani adulti di sesso maschile. Le lesioni più gravi si riscontrano tipicamente nei campi polmonari superiori e nelle zone peri-ilari. La funzionalitĆ  respiratoria può essere, quindi, variamente compromessa: da una riduzione degli scampi gassosi a livello alveolare, clinicamente asintomatica, fino ad un’alterazione di tipo restrittivo di entitĆ  variabile e all’insufficienza respiratoria. La sintomatologia clinica ĆØ condizionata, quindi, dall’entitĆ  del danno polmonare. In alcuni casi, ĆØ casuale il riscontro di lesioni ad una radiografia del torace eseguita per altri motivi. Nella maggior parte dei pazienti, ĆØ presente tosse, accompagnata in alcuni casi, da dispnea. Più raramente i pazienti possono esordire con pneumotorace.

 

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Figura XX. Lesioni polmonari reticolo-nodulari (a sinistra) e lesioni nodulari e cistiche (a destra) evidenziate con la radiologia tradizionale. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Figura XXI. Lesioni polmonari nodulari a margini irregolari centrolobulari e peribronchiali (a sinistra). Coesistenza di lesioni nodulari e cistiche (a destra) evidenziate con TC ad alta risoluzione. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

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Figura XXII. Quadro polmonare di tipo honey-combing, caratteristico dello stato avanzato della malattia, con cavitĆ  cistiche confluenti. E presente uno pneumotorace a destra. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ  Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).

 

Coinvolgimento linfonodale

 

Il coinvolgimento linfonodale può essere isolato (unico sistema compromesso), generalmente laterocervicale oppure può accompagnarsi a lesioni ossee e/o cutanee; raramente, può far parte di una malattia disseminata, soprattutto nei bambini.

 

Compromissione del midollo osseo

 

Il coinvolgimento del sistema emopoietico ĆØ raro nell’adulto, mentre nei bambini fa parte di un quadro di malattia disseminata e più grave, ed ĆØ quasi sempre associato ad un’epato-splenomegalia. Il coinvolgimento midollare può manifestarsi con anemia, leucopenia, trombocitopenia e con sintomi associati, quali la febbre o le emorragie. L’entitĆ  della citopenia può non essere in relazione con il grado di infiltrazione midollare; in questo caso, ĆØ spesso dovuta ad un ipersplenismo conseguente a compromissione splenica della malattia.

 

Compromissione del fegato e della milza

 

L’epatomegalia ĆØ molto comune nella istiocitosi multisistemica, ma la disfunzione d’organo non sempre ĆØ presente. L’aumento di volume del fegato può essere dovuto a diversi fattori, quali una localizzazione di malattia nel parenchima epatico oppure un’ipertrofia ed iperplasia delle cellule del Kuppfer, e/o, più raramente, una compressione da parte dei linfonodi dell’ilo epatico. Si può riscontrare anche un’ostruzione dei dotti biliari con segni di colestasi anche severa. Nei casi avanzati, la colangite può esitare in fibrosi e cirrosi, la cui patogenesi non ĆØ chiara; in questo stadio, l’evoluzione epatica può essere indipendente dallo stato di attivitĆ  della malattia sistemica. La splenomegalia ĆØ rara all’esordio ed ĆØ caratteristica delle forme disseminate, soprattutto in etĆ  pediatrica.

 

Compromissione del sistema nervoso

 

Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale può essere dovuto a infiltrazione attiva di malattia oppure a lesioni degenerative, in genere come sequela del trattamento. Il rischio di sviluppare una malattia neurodegenerativa dipende da diverse variabili, tra cui la presenza di diabete insipido(DI), una malattia multisistemica, il coinvolgimento di ossa del cranio e orbita e la presenza di mutazione BRAF-V600E (Heritier S et al, 2018). Ha una prevalenza variabile dal 2,9 al 57% (Grois N et al, 2010; Yeh EA et al, 2018).

Talora la malattia può esordire con poliuria e polidipsia (assunzione di 6-8 litri di acqua al giorno) che rappresentano la manifestazione clinica del DI, dovuto a compromissione ipofisaria, che alla RMN può essere associata a ispessimento dell’infundibulo oppure alla cosiddetta sella vuota. Il DI può essere l’unico sintomo di malattia, precedendo anche di molti anni la diagnosi di ICL, oppure può manifestarsi a distanza variabile dalla diagnosi. In questo caso, Il rischio di sviluppare un DI ĆØ maggiore nei pazienti con coinvolgimento delle ossa del volto o della base cranica. Lesioni dell’area ipotalamo-ipofisaria possono più raramente causare anche pan-ipopituitarismo e modificazioni del comportamento, soprattutto quando colpiscono i bambini molto piccoli. Alterazioni a carico dell’adenoipofisi, tipiche del bambino con ICL, si manifestano in maniera caratteristica con carenze di GH (growth hormone o ormone della crescita) e/o TSH (ormone tireotropo). La presenza alla RM di un ispessimento del peduncolo ipofisario sembra associata ad una fase di attivitĆ  della malattia e quindi al rischio di sviluppare un deficit ipofisario multiplo (GH, ormoni tiroidei, gonadotropine). Se si esclude il coinvolgimento della regione ipotalamo-ipofisaria, una localizzazione di malattia a carico del sistema nervoso, sia centrale che periferico, ĆØ rara in tutti i gruppi di etĆ . La lesione può essere parenchimale isolata o può associarsi a lesioni della teca cranica, delle orbite e della mastoide. I distretti cerebrali coinvolti sono: il ponte, gli emisferi cerebrali, i gangli della base, il chiasma e i nervi ottici; sporadicamente si osserva un coinvolgimento meningeo diffuso. I sintomi neurologici dipendono dalla sede e dalle dimensioni della lesione e comprendono: atassia, disartria, nistagmo, deficit dei nervi cranici, iper-riflessia, alterazioni delle funzioni intellettive e del comportamento, emi- o para-paresi. Questi sintomi, comunque, possono essere dovuti anche all’estensione di lesioni presenti in un osso contiguo o nelle meningi. Le lesioni extra-assiali esercitano un effetto massa che può causare sintomi focali, ipertensione endocranica e idrocefalo. In circa l’1% di pazienti con ICL, durante o anche dopo la fine del trattamento, si può osservare la comparsa di sintomi quali atassia, incoordinazione, deficit dei nervi cranici dovuti a lesioni degenerative progressive a carico dei nuclei dentati cerebellari, dei gangli della base e/o del ponte o della sostanza bianca cerebellare e/o cerebrale.

La ICL neurodegenerativa può presentarsi in due forme distinte; una forma in cui si riscontrano alterazioni radiologiche in assenza di sintomatologia specifica, la cosiddetta LACI (LCH -Associated abnormal CNS imaging) e una forma sintomatica, la cosiddetta LACS (LCH-Associated abnormal CNS symptoms) (Yeh EA et al, 2018).

 

Altre localizzazioni

 

Anche se non molto frequente, una tumefazione intra o peri-orbitaria, senza coinvolgimento osseo, che determina esoftalmo e che può regredire spontaneamente ĆØ una manifestazione caratteristica dell’ICL. Un coinvolgimento primitivo della tiroide, con o senza alterazione funzionale (ipotiroidismo), ĆØ molto raro e può interessare sia i bambini che gli adulti. Localizzazioni più rare, segnalate soprattutto nell’ambito di una malattia disseminata, sono quelle a carico dell’apparato gastrointestinale con una sintomatologia caratterizzata da vomito, diarrea e un quadro di malassorbimento, e quelle a carico dell’apparato genitale femminile, prevalentemente nella popolazione adulta.

 

Percorso diagnostico

 

Considerando l’estrema variabilitĆ  delle manifestazioni cliniche, l’ICL può essere confusa con diverse altre patologie (Tabella II). Oltre all’anamnesi clinica, un’accurata valutazione della sede e delle caratteristiche delle lesioni può orientare nella diagnosi differenziale. Per una corretta definizione della patologia ĆØ indispensabile la biopsia della lesione più accessibile. La diagnosi definitiva si basa sull’esame istologico e immunoistochimico che permette l’identificazione morfologica delle CL che risultano positive per la proteina S-100 e per l’antigene CD1a. La diagnosi immunoistochimica ĆØ obbligatoria tranne nei casi in cui la sede lesione ĆØ tale che la biopsia potrebbe comportare dei rischi per il paziente, come nella compromissione di un corpo vertebrale tipo vertebra plana senza coinvolgimento di altri organi o tessuti. In questo caso la diagnosi ĆØ radiologica, essendo la lesione tipica dell’ICL.

Per la definizione diagnostica viene utilizzato un nuovo marcatore specifico per la langherina, il CD207, che ha sostituito la ricerca dei granuli di Birbeck dal momento che la sua espressione correla pienamente con la loro presenza. Ci sono, tuttavia, degli organi, quali il fegato, in cui le CL non contengono i granuli di Birbeck ed il CD1a e/o la langherina (CD207) possono essere negativi. Attualmente, alla luce delle nuove scoperte molecolari, ĆØ fondamentale la ricerca della mutazione BRAF-V600E nei tessuti coinvolti. Nei pazienti con malattia multisistemica e negativitĆ  per BRAF-V600E andrebbe considerato l’utilizzo di NGS per ricercare mutazioni della via di segnale MAPK/ERK (Salama HA et al, 2021).

 

Tabella II: Diagnosi differenziale delle manifestazioni dell’ICL.

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Indagini diagnostiche per la valutazione dell’estensione della malattia

 

Una volta definita la diagnosi istologica, ĆØ indispensabile eseguire indagini ematochimiche, strumentali e specialistiche utili per la definizione degli organi potenzialmente coinvolti e l’entitĆ  della loro compromissione. Per una corretta valutazione dell’estensione della malattia ĆØ importante la ricerca accurata anche di eventuali localizzazioni asintomatiche occulte.

Nella Tabella III sono riassunte le indagini indispensabili per un corretto iter diagnostico in tutti i pazienti con ICL.

 

Tabella III: Indagini diagnostiche indispensabili in bambini e adulti con ICL.

 

L’anamnesi personale ĆØ mirata all’identificazione del tipo e della durata dei sintomi, in particolare di quelli specifici quali: dolore, gonfiore, eruzioni cutanee, otorrea, irritabilitĆ , febbre, perdita di appetito, diarrea, perdita di peso, ritardo nella crescita, polidipsia, poliuria, dispnea, esposizione al fumo, abitudini di vita e alterazioni neurologiche. Negli adulti ĆØ importante l’accertamento di eventuali comorbiditĆ . L’esame fisico ĆØ mirato ad una accurata valutazione della cute e delle mucose, del cavo orale (lesioni gengivali e palatali), dell’addome (epato-splenomegalia), del sistema nervoso (papilledema, anomalie dei nervi cranici, segni cerebellari) e dei polmoni.

Per la valutazione delle dimensioni del fegato e della milza viene utilizzata l’ecografia addominale. Nei pazienti adulti, ĆØ utile eseguire indagini a carico di organi bersaglio, quali il polmone, l’ipofisi ed il cavo orale, anche in assenza di sintomi: le prove di funzionalitĆ  respiratoria con diffusione dell’anidride carbonica (DLCO) possono identificare precocemente una compromissione polmonare non rilevabile radiologicamente, la RM dell’encefalo con gadolinio può dare indicazioni sull’ipofisi e la radiografia ortopanoramica con valutazione odontoiatrica può evidenziare lesioni non altrimenti identificabili.

Per quanto riguarda la valutazione di eventuali lesioni ossee, possono essere utilizzate sia la scintigrafia ossea che la radiografia dello scheletro, ma per la diagnosi di certezza viene presa in considerazione solo la/e lesione/i rilevabili alla radiografia.

Nel caso siano presenti segni e sintomi particolari, le indagini di base devono essere integrate con esami specifici, dettagliati nella Tabella IV.

Per una migliore definizione diagnostica, la TC e la RM sono indagini strumentali complementari, utili a garantire uno studio più accurato del coinvolgimento della corticale e della spongiosa ossea, e dei tessuti molli perischeletrici. Nel coinvolgimento vertebrale ĆØ utile l’approfondimento con la RM della colonna per escludere la presenza di tessuto neoformato che potrebbe interessare il midollo spinale.

Dai dati finora disponibili, l’utilizzo della PET Ā che ĆØ una indagine altamente sensibile ma poco specifica (Agarwal KK et al, 2016), che tuttavia può essere utile negli adulti, sia per caratterizzare l’estensione della malattia alla diagnosi sia per valutare la risposta al trattamento (Salama HA et al, 2021).

La biopsia osteomidollare ĆØ indicata solo in presenza di anemia e/o piastrinopenia e/o leucopenia, senza causa evidente.

In caso di coinvolgimento polmonare isolato, se il broncolavaggio non ĆØ diagnostico per ICL (<5% di cellule CD1a+ nei non-fumatori) ĆØ d’obbligo eseguire la biopsia polmonare, per una corretta diagnosi differenziale con altre patologie.

 

Tabella IV: Condizioni che richiedono approfondimento diagnostico e relative indagini.

 

Classificazione clinica

 

Per un corretto approccio terapeutico, vengono presi in considerazione il tipo e il numero degli organi colpiti al momento della diagnosi. L’attuale sistema classificativo prende in considerazione la sede della/e lesione/i, il numero di organi e tessuti coinvolti (singola o multi-sistemica/locale o multifocale) e sul coinvolgimento o meno di organi considerati a rischio. Sono considerati organi a rischio sia per i bambini che per gli adulti il sistema ematopoietico, la milza e il fegato; negli adulti, un importante organo a rischio ĆØ il polmone. Vengono definiti organi a rischio dal momento che un loro coinvolgimento comporta un maggior rischio di complicanze (e di morte) (Rodriguez-Galindo C, Allen CE, 2020; Gulati N, Allen CE, 2021). La malattia viene definita uni-sistemica o single system (SS-ICL) quando ĆØ colpito un solo organo o sistema; a sua volta, in base al numero delle lesioni viene definita uni-focale (unica lesione), multifocale (più lesioni a carico dello stesso organo o sistema). La malattia viene definita multi-sistemica o multisystem (MS-ICL) quando sono coinvolti due o più organi o sistemi, compresi quegli organi considerati a rischio per il paziente. Per quanto riguarda Ā la frequenza, la malattia uni-sistemica e quella multisistemica rappresentano ciascuno il 50% dei casi di ICL. Tra i pazienti con malattia multisistemica circa il 15% si presenta con il coinvolgimento di un organo a rischio (Rodriguez-Galindo C, Allen CE, 2020).

La classificazione clinica alla diagnosi viene utilizzata per pianificare un’appropriata strategia terapeutica. Nella Tabella V ĆØ illustrata la classificazione attualmente proposta e utilizzata nei bambini e negli adolescenti nell’ambito dei protocolli internazionali attualmente in uso. Negli adulti, ĆØ giustificata una classificazione diversa (Tabella VI), avendo gli adulti una malattia con manifestazioni ed andamento clinico diverse rispetto ai bambini.

 

Tabella V: Classificazione della malattia applicata nei pazienti di etĆ  <18 anni nell’ambito dei protocolli dell’HS.

 

Tabella VI: Classificazione della malattia applicata nei pazienti di etĆ  >18 anni nelle linee guida LCH 2011.

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Trattamento, decorso e prognosi

 

Il decorso della malattia ĆØ variabile e, in parte, imprevedibile. I dati disponibili sull’andamento clinico e sulla risposta alla terapia derivano prevalentemente da casistiche pediatriche. Le forme localizzate (cute, osso) hanno una buona prognosi e possono regredire anche spontaneamente o con terapie locali. Le forme diffuse richiedono, invece, la chemioterapia che non sempre risulta efficace, soprattutto nella malattia multi-sistemica con disfunzione d’organo, frequenti nei bambini di etĆ  <2 anni.

I primi farmaci citotossici che hanno dimostrato efficacia nel trattamento dell’ICL, in monochemioterapia o in associazione, sono stati: il clorambucil, la vincristina (VCR), la ciclofosfamide (CTX), il methotrexate (MTX), la 6-mercaptopurina (6-MP) e la vinblastina (VBL). Solo a partire dagli anni ’80, grazie allo sviluppo di studi clinici prospettici cooperativi, ĆØ stato possibile avere indicazioni utili al miglioramento della strategia terapeutica.

Dal primo studio clinico prospettico multicentrico italiano, AIEOP-CNR H.X ’83 (Ceci A et al, 1993), sono emersi due importanti indicazioni: a) l’efficacia della combinazione VBL e prednisone (PDN) nei bambini con malattia diffusa senza disfunzione d’organo; b) l’inefficacia di una polichemioterapia anche intensiva (VCR, adriamicina (ADR), CTX e PDN) in quelli con disfunzione d’organo.

Contemporaneamente, da due studi cooperativi europei (DAL HX-83 e DAL HX-90) (Gadner H et al, 1994), in cui erano previste, nelle forme disseminate, una polichemioterapia iniziale con PDN, VBL ed etoposide (VP-16) e, nei rispondenti, una terapia di mantenimento continuativa con 6-MP e reinduzioni con PDN e VBL + VP-16 + MTX a medie dosi in quelli con disfunzioni d’organo, sono emerse altre due utili indicazioni: a) l’identificazione della risposta alla terapia iniziale come fattore prognostico e b) l’utilitĆ  della terapia di mantenimento.

Su queste basi, a partire dal 1991, sono stati sviluppati studi collaborativi internazionali nell’ambito dell’Histiocyte Society (HS), con l’obiettivo di migliorare l’andamento della malattia. Con il primo studio, LCH-I, ĆØ stata dimostrata un’efficacia sovrapponibile della VBL e del VP-16 nei bambini con forma multi-sistemica, per quanto riguarda sia la risposta al trattamento che la sopravvivenza, con una minore tossicitĆ  della VBL (Gadner H et al, 2001). Nello studio successivo, LCH-II, che prevedeva una strategia diversa in base alla presenza o assenza di alcuni fattori di rischio (epatomegalia, splenomegalia, compromissione midollare, etĆ  <2 anni) ĆØ stata confermata l’utilitĆ  di una terapia di mantenimento con 6-MP. E’ emerso che l’aggiunta del VP-16 come terzo farmaco non influiva nĆ© sulla risposta al trattamento nĆ© sulla sopravvivenza nĆ© sulla riduzione delle riattivazioni nei pazienti con un coinvolgimento degli organi a rischio e/o con una scarsa risposta al trattamento iniziale, che continuavano ad avere una prognosi sfavorevole (Gadner H et al, 2008). Il protocollo successivo, LCH-III ha dimostrato che un trattamento di 12 mesi ĆØ più efficace nel ridurre l’incidenza di riattivazioni nei bambini ā€œa basso rischioā€ rispetto ad trattamento più breve (6 mesi) e ha confermato che l’aggiunta all’associazione VBL+ PDN di un terzo farmaco, il MTX a dosi intermedie, non influenza nĆ© la risposta al trattamento nĆ© la prognosi dei pazienti ā€œa rischioā€ (Gadner H et al, 2013). Inoltre, ĆØ stato osservato un miglioramento nella prognosi modificando precocemente (dopo 6 settimane) il trattamento in base alla risposta iniziale: prolungare la terapia fino a 12 settimane nei pazienti non in risposta completa e cambiare tipo di trattamento (terapia di salvataggio) nei pazienti in progressione di malattia (o anche prima se c’ĆØ evidenza) (Gadner H et al, 2013). Nella Tabella VII sono schematizzati i risultati ottenuti dai 3 studi promossi dall’Hystiocyte Society.

 

Tabella VII: Risultati dei tre studi internazionali dell’Histiocyte Society.

 

Circa il 50% dei pazienti risulta essere refrattario alla terapia di induzione o sviluppa riattivazioni della malattia entro 5 anni (Minkov M et al, 2008). I dati riguardanti i pazienti ricaduti derivano in gran parte da studi pilota, survey o casi clinici pubblicati.

Uno studio ha dimostrato l’efficacia di basse dosi di cladribina nei pazienti refrattari alla prima linea terapeutica con o senza organi a rischio con una risposta del 22% e del 66%, rispettivamente (Weitzman S et al, 2009).

La clofarabina, un analogo nucleosidico di seconda generazione, ha mostrato un’attivitĆ  significativa come agente singolo, verso le ICL refrattarie a cladribina o citarabina Ā a basso ed alto rischio (Abraham A et al, 2013; Simko SJ et al, 2014). Per i pazienti con ICL refrattaria ad alto rischio, il regime di salvataggio più efficace si ĆØ dimostrata la combinazione di cladribina e citarabina, che però ad alte dosi ĆØ gravata da elevata tossicitĆ  (Rosso DA et al, 2016; Donadieu J et al, 2015).

Il trapianto allogenico di cellule ematopoietiche staminali (HSCT) ĆØ risultato efficace nei pazienti con ICL che ricadono dopo numerosi regimi di salvataggio, utilizzando sia regimi di condizionamento ad intensitĆ  ridotta (RIC) che mieloablativi (MAC), con una sopravvivenza globale a 3 anni del 71% nei pazienti riceventi RIC e del 77% nei pazienti riceventi MAC (Veys PA et al, 2015).

La malattia multifocale ossea ricorrente può giovarsi della terapia con indometacina somministrata in maniera continuativa per un periodo di tempo variabile, dipendente dalla risposta (Munn SE et al, 1999; Brajer J et al, 2014).

Recentemente, sono stati riportati risultati incoraggianti con l’idrossiurea, in monoterapia o in associazione con il MTX, in pazienti con ICL refrattari o con recidive multiple con minima tossicitĆ  (Zinn DJ et al, 2016b).

I dati pubblicati sull’ICL negli adulti sono frammentari (case report o casistiche limitate), dal momento che le manifestazioni d’esordio sono variabili e quindi possono coinvolgere diversi specialisti. Dai dati disponibili emerge che negli adulti la malattia ha una storia naturale tendente alla cronicizzazione, che le remissioni spontanee sono rare, che un coinvolgimento dell’osso, del polmone e del cavo orale ĆØ frequente.

Come terapia di prima linea negli adulti, oltre alle combinazioni VBL+PDN e VP-16+PDN utilizzata nei bambini (Giona F et al, 1997), sono stati impiegati altri farmaci, quali la citarabina in monoterapia, la cladribina e schemi terapeutici utilizzati nei linfomi, quali il MACOP-B (MTX, ADR, CTX, VCR, PDN e bleomicina) (Cantu MA et al, 2012; Derenzini E et al, 2010; Girschikofsky M et al, 2013).

Nella forma polmonare isolata, tipo honey-combing, difficile da trattare, l’uso del PDN a dosaggio non elevato associato a fisioterapia respiratoria dĆ  buoni risultati sia in termini di outcome che di qualitĆ  di vita.

Indipendentemente dal tipo e/o dalla combinazione di farmaco utilizzato, la risposta al trattamento negli adulti ĆØ inferiore rispetto a quella osservata nei bambini, soprattutto in alcune forme particolare. La malattia ossea ricorrente può rispondere a trattamenti terapeutici alternativi, quali l’indometacina e l’interferone (Giona F et al, 2002a). Nelle forme multifocali con disfunzione d’organo ed in quelle con coinvolgimento neurologico si ĆØ dimostrata efficace la cladribina (Girschikofsky M et al, 2013). Gli adulti con ICL SS o MS riattivata possono giovarsi della monoterapia con cladribina, cosƬ come dimostrato da uno studio di fase II (Saven A et al, 1999). Nelle forme di ICL aggressive, il RIC-HSCT ĆØ stato utilizzato con successo, ma sono necessari ulteriori studi di conferma (Ingram W et al, 2006).

Alcune sedi di malattia, quali il SNC continuano ad essere difficilmente trattabili con i chemioterapici convenzionali e/o con la radioterapia, sia negli adulti che nei bambini. Ā Pazienti con coinvolgimento del sistema nervoso centrale sono stati trattati con successo con l’associazione cladribina e citarabina, probabilmente perchĆ© entrambi questi farmaci riescono a passare la barriera ematoencefalica (McClain KL et al, 2005). Recentemente, sono state segnalate risposte alla cladribina in monochemioterapia in pazienti con lesioni intraparenchimali cerebrali (Adam Z et al, 2013; Baumann M et al, 2012).

 

Strategie terapeutiche attuali

 

Il trattamento ĆØ condizionato dal tipo e dal numero delle sedi coinvolte, dal coinvolgimento o meno di organi a rischio e dall’etĆ  (bambini e adolescenti fino a 18 anni, e adulti). Gli obiettivi del trattamento sono la remissione della malattia, la riduzione delle riattivazioni, la riduzione della tossicitĆ  e delle sequele invalidanti. Il DI, che solitamente non risponde al trattamento per la malattia, va trattato con desmopressina ad un dosaggio personalizzato. Per il trattamento ottimale di alcune forme ĆØ indispensabile una gestione combinata multidisciplinare (Giovannetti et al, 2009). La scelta dei trattamenti varia dalla semplice osservazione, alla terapia locale, al curettage chirurgico, alla chemioterapia sistemica in base all’organo coinvolto e alla estensione della malattia (Allen CE et al, 2015).

Wait and watch. In alcune forme, quali una lesione unica della teca cranica, una localizzazione retroculare senza compromissione dei tessuti circostanti, lesioni cutanee isolate nei neonati (senza compromissione di altri organi), ĆØ indicata l’osservazione clinica, laboratoristica e/o strumentale periodica, dal momento che le lesioni possono regredire spontaneamente. Per le forme polmonari isolate dell’adulto con iniziale danno d’organo, ĆØ indicata la cessazione del fumo con un periodo di osservazione, per valutare eventuale regressione spontanea.

Terapia locale.Ā La terapia locale ha indicazione selettiva in alcune forme in cui sono interessati organi particolari, quali la cute e l’osso. In particolare:

  • Il curettage chirurgico ĆØ indicato nelle lesioni ossee di piccole dimensioni (<2 cm) e può rappresentare il trattamento risolutivo. ƈ controindicato nelle lesioni più estese perchĆ© può determinare un aumento sia della dimensioni del difetto osseo che del tempo di guarigione, con rischio di danno scheletrico permanente.
  • L’iniezione intra-lesionaleĀ di metilprednisolone rappresenta una valida alternativa terapeutica in caso di lesioni ossee particolari (lesione vertebrale, osso alveolare con compromissione della mucosa e ipermobilitĆ  dei denti). In alcuni casi, ĆØ indicata l’associazione con una terapia sistemica. Per la vertebra plana isolata ĆØ indicata la fisioterapia per ridurre le sequele funzionali a carico della colonna vertebrale.
  • La radioterapiaĀ ĆØ indicata nel caso di lesioni uniche di particolari segmenti ossei non trattabili con altre terapie locali, quali per esempio la clavicola, e lesioni cerebrali da malattia non rispondenti ad altri trattamenti.
  • Applicazioni topiche di steroidi o di mecloretaminaĀ sono utilizzate nelle lesioni cutanee.
  • La pleurodessi ĆØ indicata in caso di pneumotorace non rispondente a tecniche standard, quali il drenaggio pleurico.

Terapia sistemica.Ā Molti sono i farmaci e gli schemi attualmente utilizzati nel trattamento dell’ICL: steroidi, farmaci antiblastici quali VCR, VBL, VP-16, 6-MP, MTX, citarabina, cladribina, clofarabina, idrossiurea, antinfiammatori non-steroidei, agenti immunomodulatori (interferone alfa, ciclosporina A). In particolare:

  • L’associazione VBL con uno steroide ĆØ quella più utilizzata nella terapia di prima linea sia nei bambini che negli adulti, anche se con modalitĆ  diverse.
  • La terapia di mantenimento con o senza 6MP ĆØ indicata sia per i bambini che per gli adulti con malattia non localizzata; la durata dipende dall’etĆ  e dalle sedi di malattia.
  • La cladribina in monochemioterapia o in associazione con la citarabina ĆØ impiegata nelle localizzazioni cerebrali e nelle forme con coinvolgimento del sistema emopoietico e nelle forme con lesioni epatiche con disfunzione d’organo.
  • Alcuni agenti immunomodulatori (interferone alfa, ciclosporina A) e gli antinfiammatori non-steroidei vengono utilizzati in alcune forme particolari.

L’HSCT, anche con regimi di condizionamento a intensitĆ  ridotta, rappresenta un’opzione terapeutica nei casi di malattia con coinvolgimento degli organi a rischio, refrattaria ad altre terapie di salvataggio.

 

Trattamento dell’ICL del bambino e dell’adolescente

 

Gli schemi terapeutici più largamente utilizzati nei bambini (etĆ  <18 anni alla diagnosi) sono quelli proposti nell’ambito dell’Hystiocyte Society, che hanno coinvolto un numero crescente di Paesi e di centri nel corso degli anni. Ciò ha consentito di ottenere, in periodi di tempo relativamente brevi, risultati utili a migliorare la terapia e quindi l’outcome soprattutto dei pazienti con malattia più estesa. L’attuale studio (LCH-IV), a cui aderiscono 26 paesi, tra cui l’Italia come gruppo AIEOP (Associazione Italiana Ematologia e Oncologia Pediatrica), ĆØ molto articolato (7 strati) e dĆ  indicazioni specifiche su: a) approccio terapeutico di prima linea; b) terapia di salvataggio per i pazienti con ICL-MS con o senza coinvolgimento d’organo a rischio non rispondenti alla prima linea o rispondenti con riattivazione di malattia; c) trattamento delle lesioni coinvolgenti il SNC; d) monitoraggio nel tempo di tutti i pazienti con ICL. La strategia terapeutica prevista nel protocollo LCH IV ĆØ schematizzata nella Tabella VIII. In particolare, per le ICL-SS ĆØ previsto un atteggiamento conservativo (wait and watch) o terapia locale, mentre la terapia sistemica ĆØ riservata ai casi in progressione. Una valutazione precoce (dopo 6 settimane) al trattamento con VBL+PDN ĆØ previsto nei pazienti con ICL-SS multifocale e ICL-MS, in modo da intensificare il trattamento in caso di malattia non rispondente o in progressione. Una terapia di mantenimento randomizzata sia nel tipo (+ intensificazione con 6MP) che nella durata (12 vs 24 mesi per i pazienti ICL-MS ad alto rischio e 6 vs 12 mesi per i pazienti con ICL-SS con lesioni ossee del massiccio cranio-facciale o lesioni multifocali ossee) dovrebbe dare una risposta sia sul tipo che sulla durata ottimale del trattamento nelle diverse forme, in modo da ridurre sia le riattivazioni di malattia che le sequele a lungo termine.

Una terapia di salvataggio con VCR+PDN+ citarabina ĆØ prevista per i pazienti con ICL-MS senza coinvolgimento d’organo non rispondenti alla prima linea o inizialmente rispondenti ma con riattivazione della malattia, mentre per quelli con coinvolgimento di organi a rischio ĆØ prevista la combinazione di cladribina e citarabina. Come opzione terapeutica di salvataggio ĆØ previsto anche il trapianto di cellule staminali con regime di condizionamento a intensitĆ  ridotta per i pazienti con ICL-MS con organo a rischio e che hanno fallito le terapie di prima linea. In caso di coinvolgimento del SNC, ĆØ prevista la cladribina nelle localizzazioni da malattia, mentre nelle forme neurodegenerative i due farmaci di scelta sono le immunoglobuline endovena o la citarabina. E’ previsto anche un monitoraggio dell’outcome e delle sequele a lungo termine di tutti i pazienti.

 

Tabella VIII: Strategia terapeutica prevista nel protocollo LCH IV per i pazienti di etĆ  <18 anni alla diagnosi.

 

Trattamento dell’ICL dell’adulto

 

Non ci sono studi cooperativi internazionali in corso sul trattamento degli adulti con ICL, dopo il fallimento nel reclutamento dei pazienti nel primo studio prospettico dell’Histiocyte Society (LCH-A1 study). Le strategie terapeutiche sono diverse, soprattutto nelle forme di ICL-MS.

Attualmente, in Nord America come terapia di prima linea di queste forme vengono utilizzati la citarabina, VP-16 o la cladribina in monochemioterapia, mentre in Europa viene preferita l’associazione VBL+PDN (Girschikofsky M et al, 2013). Nelle forme con coinvolgimento del SNC, nelle forme ricorrenti e/o particolarmente aggressive ĆØ previsto l’uso della cladribina da sola o in associazione con l’ARA-C (Girschikofsky M et al, 2013).

In Italia, nell’ambito del gruppo cooperativo GIMEMA, le linee guida diagnostiche e terapeutiche, LCH 2001, modificate nel corso degli anni prevedono una terapia di prima linea diversificata in base all’estensione della malattia e al tipo di organo colpito (Tabella IX) (Giona F et al, 2002b). In particolare, l’associazione VBL+PDN viene utilizzata nella ICL-SS non ossea e nella ICL-MS viscerale (comprese le localizzazioni polmonari nodulari) con o senza compromissione ossea.Ā  Il PDN a basso dosaggio ĆØ previsto nelle forme polmonari honey combing; l’indometacina viene utilizzata nelle forme ossee e la cladribina in monochemioterapiaĀ  nelle forme SNC e in quelle aggressive. Nella Tabella IX ĆØ schematizzato l’approccio terapeutico attualmente in uso. Nei casi con coinvolgimento di particolari organi o tessuti ĆØ previsto un approccio combinato con altri specialisti (in particolare lo pneumologo, l’odontoiatra, il chirurgo maxillo-facciale, il dermatologo e l’endocrinologo).

 

Tabella IX: Strategia terapeutica secondo linee guida LCH 2001 modificate per i pazienti di etĆ  >18 anni alla diagnosi.

Ā 

Approccio con terapie target

 

Imatinib

 

L’imatinib mesilato, un potente inibitore competitivo delle tirosin-kinasi associate ad ABL, ARG, KIT, PDGFRA e PDGFRB (platelet derived growth factor receptor alfa/beta), in grado di inibire la differenziazione dei progenitori CD34+ a cellule dendritiche (Appel S et al, 2004), ĆØ stato il primo inibitore ad essere testato in casi di ICL-MS con compromissione cerebrale e polmonare refrattari alla terapia convenzionale, con risultati non soddisfacenti (Montella L et al, 2004; Wagner C et al, 2009; Janku F et al, 2010).

 

Inibitori di BRAF

 

I progressi nella comprensione della patogenesi dell’ICL, ed in particolare la scoperta delle mutazioni di A/BRAF e MAP2K1, hanno permesso l’impiego di terapie mirate all’inibizione di queste mutazioni nei pazienti con ICL.

Il primo farmaco utilizzato ĆØ stato un inibitore di BRAF-V600E, il vemurafenib, giĆ  efficace nei melanomi BRAF-V600E mutati (REF) e nella leucemia a cellule capellute (Tiacci E et al, 2011). Il vemurafenib ĆØ stato impiegato sia negli adulti che nei bambini, resistenti al trattamento convenzionale. In 4 pazienti adulti con ICL e concomitante malattia di Erdheim Chester il vemurafenib ha dato una risposta sostenuta (range, 10-16 mesi) anche se gravata da complicanze, soprattutto cutanee, a breve e lungo termine (Haroche J et al, 2015). Analogamente, una risposta al trattamento ĆØ stata riportata in 2 pazienti adulti con IC refrattaria (Charles J et al, 2014; Bubolz AM et al, 2014). I primi dati dell’uso del vemurafenib in etĆ  pediatrica riguardavano una bambina di 2 mesi con ICL-MS refrattaria e un bimbo di 3 anni con ICL neurodegenerativa. (HĆ©ritier S et al, 2015; Donadieu J et al, 2014). Nel 2019, ĆØ stato pubblicato uno studio retrospettivo internazionale su 54 bambini, con un’etĆ  mediana di 1,8 anni, con ICl, BRAF-V600E mutati, refrattari al trattamento convenzionale. La maggior parte dei pazienti (81%) presentava un coinvolgimento di organi a rischio. La durata mediana del trattamento con il vemurafenib era stata di 13,9 mesi. Dopo 8 settimane, tutti i pazienti avevano presentato una risposta, che era completa in 38 e parziale in 16. Una riattivazione della malattia ĆØ stata riportata in 24 dei 30 pazienti a cui era stato sospeso il trattamento con vemurafenib e a cui non era stata fatta alcuna terapia di mantenimento. Tutti e 18 pazienti trattati nuovamente con vemurafenib avevano ottenuto una risposta. L’effetto collaterale più frequentemente osservato era un rash cutaneo, mentre non ĆØ stata rilevata l’insorgenza di neoplasie cutanee secondarie (Donadieu J et al, 2019). Una recente metanalisi, volta a determinare l’efficacia e la sicurezza di vemurafenib, in particolare nei casi refrattari/recidivati, analizza i dati di 107 pazienti con ICL, trattati con vemurafenib, da solo o in combinazione. Tutti i pazienti tranne 3 avevano ricevuto un precedente trattamento, nella maggior parte dei casi (92,86%) prednisolone più vinblastina. Il tempo mediano alla prima risposta clinica con vemurafenib ĆØ stato di una settimana. Il tempo mediano alla migliore risposta ĆØ stato di 5,25 mesi. Una risposta ĆØ stata riportata in 101/107 (94.4%). I principali effetti collaterali del Ā vemurafenib sono stati riportati a carico della cute, in particolare rash o fotosensibilitĆ  (Mohapatra D et al, 2022).

Un altro inibitore di prima generazione di BRAF, il dabrafenib, ĆØ stato utilizzato in uno studio di fase I/II in bambini con neoplasie, tra cui l’ICL, in cui ĆØ presente la mutazione BRAF-V600E. I dati preliminari di questo studio riportano una risposta stabile in un ragazzo con ICL refrattaria (Kieran MW et al, 2014), con una buona tolleranza (Kieran MW et al, 2019).

Numerosi studi hanno dimostrato che non tutte le neoplasie con mutazioni di BRAF-V600E rispondono in maniera simile agli inibitori di BRAF, poichĆ© alcune varianti delle mutazioni di MAP2K1 sembrano mostrare una resistenza all’inibizione della via MEK. Risultati poco incoraggianti sono stati riportati con un inibitore pan-AKT, l’afuresertib, in pazienti con ICl sia di nuova diagnosi che refrattari (Arceci RJ et al, 2016). Una potenziale alternativa terapeutica potrebbe essere un inibitore di MEK, il trametinib (Flaherty KT et al, 2012). Schemi di combinazione di farmaci, come la combinazione di inibitori di BRAF e di ERK, o l’associazione di inibitori BRAF/MEK e chemioterapia, potrebbero essere un’alternativa efficacie nel prevenire lo sviluppo di resistenze e potrebbe risultare meno tossico e/o cancerogeno (Abla O et al, 2015).

Risultati incoraggianti sono stati riportati con la terapia metronomica biomodulatoria (Reichle A et al, 2005) utilizzando basse dosi di trofosfamide, pioglitazone, etoricoxib e base dosi di desametazone in pazienti pluritrattati e refrattari ai trattamenti (Heudobler D et al, 2016).

 

Sequele a lungo termine

 

L’ICL può causare complicanze acute e/o sequele permanenti a carico degli organi colpiti e/o di quelli contigui. Una volta instaurato, il danno può essere irreversibile, come nel caso delle lesioni ipofisarie. In uno studio retrospettivo su 124 bambini con coinvolgimento osseo all’esordio, il 29% presentava una o più sequele permanenti (DI, problematiche estetiche e/o ortopediche), soprattutto quelli con la forma MS (Lau LM et al, 2008).

Una complicanza tardiva molto particolare e rarissima (1%) ĆØ rappresentata dalle lesioni neurodegenerative a carico del SNC, che compaiono indipendentemente dalla presenza di malattia attiva e non sono responsive al trattamento. Sono state riportate soprattutto nei pazienti con DI (circa il 95% dei casi clinici con sindrome neurodegenerative hanno il DI) ed in quelli con il coinvolgimento delle ossa del volto o della base cranica. Clinicamente, si manifesta con deterioramento progressivo della coordinazione motoria con atassia e deficit dei nervi cranici. La patofisiologia della forma neurodegenerativa associata alla ICL ĆØ ancora poco conosciuta, ma si ĆØ ipotizzato che sia una reazione alla ICL su base autoimmune o infiammatoria (Grois N et al, 2005).

 

Associazione ICL e neoplasie

 

L’associazione tra ICL con una varietĆ  di diverse neoplasie ĆØ stata riportata sia nei bambini che negli adulti con ICL ed ĆØ stata dimostrata essere superiore al previsto. L’ICL può precedere, intercorrere o essere secondaria allo sviluppo di una neoplasia. Le neoplasie più frequentemente associate sono i linfomi (Hodgkin e non-Hodgkin), le leucemie (linfoidi e mieloidi) ed il carcinoma polmonare (Egeler RM et al, 1993). Dall’ultimo update del LCH-Malignancy Study Group dell’Histiocyte Society, il 28% delle neoplasie sono risultate sincroni (Egeler RM et al, 1998). Sono stati riportati casi sporadici di associazione sincrona tra ICL e retinoblastoma, adenocarcinoma gastrico, neuroblastoma, carcinoma papillifero tiroideo, carcinoma della lingua, basalioma, mesotelioma e nefroblastoma. Sono stati segnalati casi di sviluppo di ICL prima, durante o dopo la diagnosi di leucemia (linfoide o mieloide) (Egeler RM et al, 1993).

La patogenesi dell’associazione tra ICL e neoplasie rimane ancora poco conosciuta. E’ stato ipotizzato che lo sviluppo di ICL in pazienti con neoplasie contemporanee o precedenti allo sviluppo di ICL possa esse dovuto a interazioni cellulari distinte ed a specifici pattern di segnale prodotti nel microambiente lesionale (Pimentel A et al, 2011).

 

Conclusioni

 

Sono dovuti passare oltre 2400 anni dalla prima descrizione di un presunto caso di istiocitosi da parte di Ippocrate per capire alcuni dei meccanismi patogenetici alla base della malattia. La maggior parte degli eventi che hanno influito sulle conoscenze di questa malattia si sono concentrati, a partire dalla descrizione nel 1800 del primo bambino con lesioni litiche alla teca cranica, negli ultimi decenni (Figura XXIII).

 

Figura XXIII: Sequenza dei maggiori eventi nella storia dell’ ICL, a partire dalla primo caso descritto e pubblicato da Thomas Smith nel 1800Ā  (Zinn DJ et al, 2016a).

 

Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare, che ha portato all’identificazione di mutazioni somatiche attivanti il pathway MAPK e alla caratterizzazione del profilo genomico della CL dell’ICL, ha permesso la definizione di un modello patogenetico dell’ICL in cui ĆØ coinvolta una Ā cellula dendritica di derivazione mieloide ā€œfuorviataā€ (Figura XXIV).

 

Figura XXIV: Meccanismo patogenetico dell’ICL secondo il modello della cellula dendritica mieloide ā€œfuorviataā€ (Zinn DJ et al, 2016a).

 

L’identificazione di mutazioni a diversi livelli del pathway MAPK ĆØ stato ed ĆØ un elemento importante non solo per la conoscenza dei meccanismi patogenetici ma anche per lo sviluppo diĀ  inibitori specifici, potenzialmente utili per il trattamento (Figura XXV).

 

Figura XXV: Mutazioni specifiche finora riportate nell’ICL con il loro potenziale di attivazione e gli eventuali inibitori farmacologi (Zinn DJ et al, 2016a).

 

Solo un approccio terapeutico al paziente con ICL simile a quello per i pazienti con neoplasia che preveda l’utilizzo di studi cooperativi prospettici clinici e biologici integrati potrĆ  continuare a migliorare l’outcome di bambini e adulti affetti da ICL.

 

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A cura di:

Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione – Sapienza UniversitĆ  di Roma

Fiorina Giona
Fiorina Giona
Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione – Sapienza UniversitĆ  di Roma
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