Con il termine di Istiocitosi vengono definiti un gruppo di disordini rari che hanno in comune la proliferazione e accumulo di cellule di derivazione dendritica o macrofagica in diversi tessuti e organi (Egeler RM e DāAngio GJ, 1995).
Allo stato attuale, sembra che la maggior parte degli istiociti derivi dalla cellula staminale CD34+ che, condizionata dalle citochine presenti nel microambiente cellulare, si sviluppa lungo due percorsi principali, caratterizzati rispettivamente da cellule CD14+ e CD14- (Figura I) (Weitzman S e Jaffe R, 2005). In realtĆ , cambiamenti nel microambiente determinano una modulazione continua tra le cellule nelle diverse vie di sviluppo.
Figura I: Rappresentazione schematica della via di sviluppo istiocitaria (Weitzman S e Jaffe R, 2005).
La prima classificazione delle istiocitosi, pubblicata nel 1987 dal Working Group dellāIstiocyte Society e integrata nel corso del tempo (Favara BE et al, 1997; Badalian-Very G et al, 2013), prevedeva 3 categorie in base alle caratteristiche cliniche e immunoistochimiche: istiocitosi a cellule di Langerhans (ICL) di derivazione dalle cellule dendritiche, istiocitosi a cellule non-Langerhans derivanti dalla linea macrofagica e le istiocitosi maligne. In un contesto clinico definito, la caratteristica distintiva dellāICL era e rimane la presenza nella lesione delle cosiddette cellule di Langerhans (CL), istiociti CD1a+/CD207 Langerin+/S100+. Le istiocitosi a cellule non-Langerhans comprendevano un gruppo eterogeneo di disordini caratterizzati dallāaccumulo di istiociti con caratteristiche immunofenotipiche diverse dalle CL, tra cui lo xantogranuloma giovanile, la malattia di Rosai-Dorfman o istiocitosi del seno con massiva linfoadenopatia e la malattia di Erdheim-Chester.
Recentemente, in base alle conoscenze sui meccanismi patogenetici, alla presentazione clinica e alle caratteristiche molecolari, ĆØ stata proposta una nuova classificazione delle istiocitosi e delle neoplasie delle linee dendritica e macrofagica (Emile JF et al, 2016). Questi disordini sono stati suddivisi in 5 gruppi: L (istiocitosi Langerhans), C (istiocitosi non-Langerhans cutanee e mucocutanee), M (istiocitosi maligne), R (malattia di Rosai-Dorfman e istiocitosi non-Langerhans non cutanee), H (linfoistiocitosi emofagocitica) (Figura II) (Frater JL, 2016).
Figura II: Rappresentazione schematica delle patologie comprese nei 5 diversi gruppi in cui sono suddivisi le istiocitosi e le neoplasie delle linee dendritica e macrofagica (Frater JL, 2016).
Lāistiocitosi a cellule di Langerhans (ICL) ĆØ una malattia rara e rappresenta il disordine istiocitario cronico più frequente, con un’incidenza annuale stimata di 5,4 casi per milione nei bambini (Guyot-Goubin A et al, 2008) e di 1-2 casi per milione negli adulti (Baumgartner I et al, 1997). In realtĆ , lāincidenza potrebbe essere più alta in virtù dellāesistenza di forme cliniche pauci-sintomatiche e della scarsitĆ di dati nella popolazione adulta. La distribuzione per sesso ĆØ variabile nelle diverse casistiche; in etĆ pediatrica i maschi risultano colpiti in proporzione più che doppia rispetto alle femmine, ma con lāaumentare dellāetĆ la predominanza del sesso maschile si riduce fin quasi ad invertirsi. La distribuzione dellāICL ĆØ ubiquitaria, anche se la presentazione della malattia potrebbe variare nei differenti gruppi etnici (Broadbent V et al, 1994). Quantunque siano stati riportati casi di malattia in gemelli e tra fratelli (Miller DR, 1996), non ĆØ stata dimostrata ad oggi alcuna componente genetica. Lo spettro delle manifestazioni cliniche varia dalla lesione singola che tende a regredire spontaneamente, il cosiddetto granuloma eosinofilo, a lesioni osteolitiche multiple della teca cranica associate a esoftalmo e diabete insipido (DI), definita come malattia di Hand-Schüller-Christian, fino a una rarissima forma disseminata multiorgano dallāandamento acuto e potenzialmente fatale, chiamata malattia di Letterer-Siwe.
La scarsa conoscenza sullāeziopatogenesi giustificò la definizione di “Istiocitosi X”, utilizzato da Lichtenstein nel 1953 per definire i tre diversi disordini, il granuloma eosinofilo, la malattia di Hand-Schüller-Christian e la malattia di Letterer-Siwe, caratterizzati tutti dalla presenza di aggregati simil-neoplastici di istiociti con infiltrazione di granulociti eosinofili. Nel 1973, Nezelof dimostrò che i granulomi erano il risultato della proliferazione e diffusione di istiociti patologici, caratterizzati dalla presenza di granuli intracitoplasmatici di Birbeck (Nezelof C et al, 1973). Nel 1987, lāHistiocyte Society (HS) sostituƬ il termine Istiocitosi X con il termine ICL per definire questi disordini.
LāICL ĆØ un disordine proliferativo caratterizzato dallāaccumulo di istiociti atipici (CD1a+/CD207 langerina+/S100+), accanto a istiociti normali, linfociti ed eosinofili, che formano i granulomi, infiltrati caratteristici della malattia. Lāeziopatogenesi rimane sconosciuta, anche se sono state formulate diverse ipotesi, dalla natura neoplastica della malattia ad unāalterazione del sistema immunitario, ad infezioni virali, a modifiche specifiche dei linfociti. I recenti progressi della ricerca supportano un modello in cui la CL dellāICL deriva da unāattivazione patologica della via MAPK (mitogen-activated protein kinases) per lāacquisizione di mutazioni somatiche in precursori della linea mieloide (Zinn DJ et al, 2016a). I primi dati sulla natura anomala degli istiociti erano emersi nel 1982 con lāevidenza, attraverso la microscopia elettronica, dei granuli di Birbeck, organelli citoplasmatici funzionalmente importanti per la presentazione dell’antigene, riscontrati solo nella CL.
Le CL, cellule di derivazione emopoietica con la funzione di presentare l’antigene, appartengono alla categoria delle cellule dendritiche, anche se i meccanismi omeostatici (fattori di crescita e trascrizionali) che regolano il loro numero e distribuzione sono diversi da quelli delle cellule dendritiche classiche. La presenza di marcatori di superficie specifici, quali il CD1a ed il CD207, noto anche come langherina (lectina tipo C, che agisce internalizzando lāantigene in collegamento con i granuli di Birbeck), permettono lāidentificazione di istiociti anomali il cui riscontro ĆØ diagnostico per ICL. La caratterizzazione immunoistochimica con questi antigeni permette la diagnosi differenziale con lāistiocitosi a cellule indeterminate (CD207-), con la malattia di Rosai-Dorfman (istiociti multinucleati con evidente emperipolesi, CD1a- o CD207-). LāICL si distingue dallāistiocitosi maligna per la presenza di istiociti con atipie nucleari ed elevato indice mitotico.
La variabilitĆ nelle manifestazioni cliniche, che va da una lesione unica che può regredire spontaneamente a forme disseminate con coinvolgimento multiorgano potenzialmente fatali, ha alimentato il dubbio sulla patogenesi di questa malattia, provocando un dibattito decennale (Arceci RJ et al, 1998; Degar BA e Rollins BJ, 2009). La controversia sulla patogenesi ĆØ focalizzata essenzialmente sulla questione se lāICL possa essere considerata un disordine infiammatorio disreattivo o una neoplasia (Laman JD et al, 2003; Nezelof C e Basset F, 2004).
Il polimorfismo cellulare dellāinfiltrato infiammatorio delle lesioni, caratterizzato da una predominanza di linfociti, eosinofili e macrofagi e dalla presenza di istiociti CD1a+/CD207+ in una percentuale variabile dallā1% al 75% (mediana 8%) ha supportato lāipotesi iniziale della patogenesi immune dellāICL. Di conseguenza, i primi studi sono stati concentrati sul ruolo nella risposta immunitaria e infiammatoria del suo presunto precursore cellulare (Laman JD et al, 2003). La funzione principale delle CL ĆØ quella di utilizzare i processi dendritici presenti nello strato basale dellāepidermide per rilevare antigeni estranei grazie anche alla presenza di diverse citochine, alcune delle quali (per esempio, il fattore di necrosi tumorale, TNF-α) secrete dai cheratinociti epidermici. La CL attivata raccoglie ed elabora lāantigene, migra nei linfonodi regionali dove dĆ inizio ad una risposta immunitaria adattativa, presentando ai linfociti T lāantigene trasformato. Il processo di migrazione delle CL sembra essere controllato, almeno in parte, dallāespressione sequenziale di recettori per le chemochine presenti sulla loro superficie. Rispetto alle CL normali, gli istiociti dellāICL hanno una maggiore capacitĆ proliferativa ed una più bassa capacitĆ di presentare lāantigene. Questo suggerisce che le CL si arrestano ad uno stato di attivazione più immaturo (GeissmannĀ F et al, 2001). Studi più recenti hanno dimostrato che le CL esibiscono un unico profilo trascrizionale che le distingue non solo dalle cellule plasmocitoidi ma anche da quelle di Langerhans epidermiche (AllenĀ CE et al, 2010; Hutter C et al, 2012). In particolare, le CL sono le uniche cellule dendritiche che coesprimono Notch1 e i suoi ligandi Jagged-1 e 2 (Hutter C et al, 2012). La presenza della mutazione di Notch1 potrebbe contribuire alla patogenesi della ICL, come ipotizzato nel primo caso descritto di un paziente che ha sviluppato una ICL dopo una leucemia linfoblastica acuta a cellule T in cui la cellula leucemica e la CL presentavano la medesima mutazione attivante di Notch1 (Rodig SJ et al, 2008). Le cellule ICL sono, quindi, cellule dendritiche immature distinte e la via del segnale Notch JAG-mediata può giocare un ruolo importante nel mantenimento dello stato di immaturitĆ . La contemporanea presenza di CL patologiche in più organi e tessuti, compresi la cute e i linfonodi, come si verifica nella malattia di Letterer-Siwe, ha portato a formulare l’ipotesi che lāinfiltrazione tessutale nella ICL potrebbe essere dovuta ad una disregolata espressione dei recettori per le chemochine.
A supporto della natura infiammatoria della ICL, ci sono anche evidenze cliniche, in particolare la possibilitĆ di regressione spontanee delle lesioni e la buona risposta ad una blanda chemioterapia di forme estese. Inoltre, alcuni studi hanno dimostrato sia lāimpossibilitĆ ad immortalizzare le CL sia la presenza di alcune sequenze di DNA di virus nel sangue venoso periferico e nei tessuti di pazienti con ICL (Matsushita M et al, 2014). Uno studio ha messo in evidenza che le CL, a causa delle loro caratteristiche di cellule dendritiche immature, possono promuovere l’espansione di linfociti T regolatori con conseguente blocco del sistema immunitario ospite che non riesce ad eliminare le CL, suggerendo che l’accumulo di CL ĆØ dovuto alla loro prolungata sopravvivenza piuttosto che alla loro proliferazione incontrollata (Senechal B et al, 2007).
Le lesioni dellāICL contengono, oltre alle CL, altre cellule infiammatorie, quali linfociti T, macrofagi, plasmacellule, eosinofili, cellule giganti multinucleate osteoclasti-like e neutrofili. Nella Figura III ĆØ schematizzato il meccanismo di interazione tra le diverse componenti cellulari con il relativo network di citochine e chemochine (Morimoto A et al, 2014). Le CL CD1a+/CD207+ esprimono anche il marcatore CCR6 della cellula dendritica immatura e producono il suo ligando (CCL20/MIP-3α) cosƬ come CCL5/RANTES (CCR1/3/5 ligando) e CXCL11/I-TAC (CXCR3 ligando) (Annels NE et al, 2003). Recentemente, ĆØ stato riportato che le CL CD1a+/CD207+ nei pazienti con lesioni multifocali esprimono CXCR4 e il suo ligando (CXCL12/SDF-1) (Quispel W et al, 2013). Eā stato ipotizzato che i recettori per chemochine presenti sulla CL CD1a+/CD207+ e le interazioni con i ligandi possono avere un ruolo nella migrazione ematogena nelle lesioni non solo delle CL ma anche di eosinofili e linfociti T CD4+ (Morimoto et al, 2014). Lo stimolo reciproco da parte delle cellule infiltranti e le CL determina la produzione di numerose citochine, come il granulocyte-macrophage colony-stimulating factor (GM-CSF), lāinterferone (IFN)-γ, il TNF-α, e numerose interleuchine (IL) (IL-1α, IL-2, IL-3, IL-4, IL-5, IL-7, e IL-10) (Egeler RM et al, 1999). Recentemente, ĆØ stato dimostrato che i livelli sierici di alcune citochine/chemochine delle lesioni infiammatorie e dei fattori-attivanti sia le cellule dendritiche che i macrofagi, sono marcatori prognostici negativi (IL-2R, IL-12p40, IL-18 e CXCL9) (Morimoto A et al, 2014). Lāaumentata produzione di alcune citochine – quali lāIFN-γ, il TNF-α, lāIL-6, il GM-CSF da parte delle CL e dei linfociti associati – potrebbe spiegare alcune manifestazioni cliniche della malattia. Ad esempio, lāincremento del TNF-α nei tessuti lesionali potrebbe essere responsabile della febbre, dei fenomeni osteolitici, delle alterazioni ematologiche e di quelle epatiche.
Nelle lesioni dellāICL sono presenti anche cellule giganti multinucleate simili a osteoclasti non solo nellāosso ma anche nelle lesioni cutanee e linfonodali. Questo perchĆ© sia le cellule ICL che le cellule T producono in queste lesioni le citochine RANKL (receptor activator of nuclear factor kappa-B ligand) e il GM-CFS, che inducono lāaumento degli osteoclasti (da Costa CE et al, 2005). Gli enzimi derivati dalle cellule giganti multinucleate osteoclasti-like potrebbero svolgere un ruolo importante nella distruzione cronica dei tessuti che si osserva nelle lesioni caratteristiche dellāICL (da Costa CE et al, 2005).
Figura III. Il meccanismo di interazione cellulare ed il network citochine/chemochine nellāICL (Morimoto A et al, 2014).
Alcune manifestazioni cliniche dellāICL (granuloma cronico aggressivo, riassorbimento osseo, lesioni dei tessuti molli e lesioni neurodegenerative) sono simili a quelle osservate in altre malattie umane interleukina-17A (IL-17A)-correlate (infezione da micobatteri, malattia di Crohn, artrite reumatoide e sclerosi multipla).Ā Lāinteresse speculativo ĆØ stato, quindi, rivolto verso lo studio del ruolo di questa citochina nello sviluppo del granuloma con risultati contrastanti. Un recente studio ha dimostrato una percentuale maggiore di monociti IL-17A+ nel sangue venoso periferico di pazienti con ICL rispetto ai controlli normali e che le cellule IL-17A+ sono monociti con elevati livelli sia di IL-17A e sia di RORC (retinoic acid orphan receptor C) mRNA, che ĆØ associato allāestensione di malattia. Inoltre, i livelli sierici di IL-17A prodotta dai monociti correlavano sia coi livelli di RORC che con lāattivitĆ di malattia (Lourda M et al, 2014).
Il modello alternativo riguardante la patogenesi dell’ICL ĆØ tradizionalmente basato sulla ipotesi della trasformazione neoplastica della cellula di Langerhans epidermica (Nezelof C et al, 1973). La scoperta della clonalitĆ delle cellule CD1a+ presenti nelle lesioni ICL ha permesso di supportare, ulteriormente, la natura neoplastica dellāICL (WillmanĀ CL et al, 1994; YuĀ RC et al, 1994). Inoltre, all’interno delle lesioni di ICL si osservano gli stessi meccanismi patogenetici che di solito si associano alle patologie neoplastiche, come l’evasione immunitaria causata dall’aumento dei linfociti T regolatori, l’infiammazione promossa dalla neoplasia con l’aumento locale e sistemico delle citochine pro-infiammatorie, l’espressione di metallo-proteasi promuoventi l’invasione e le metastasi (Hayashi T et al, 1997; da Costa CE et al, 2005; Allen CE et al, 2010) e l’overespressione di BCL2L1, che favorirebbe la resistenza all’apoptosi (Schouten B et al, 2002; Amir G e Weintraub M, 2008; Allen CE et al, 2010). A supporto dellāipotesi neoplastica, altri studi hanno riportato una instabilitĆ cromosomica (Betts DR et al, 1998), perdita di eterozigositĆ in diversi cromosomi (Murakami I et al, 2002), ridotta lunghezza dei telomeri (Bechan GI et al, 2008), elevata espressione di Ki-67, TP53, c-myc, H-ras, e Bcl-2 nelle CL (Schouten B et al, 2002).Tuttavia, il fatto che la clonalitĆ cellulare non sia indicativa di malignitĆ e la persistente impossibilitĆ di identificare anomalie genetiche specifiche hanno impedito di classificare lāICL come un disturbo neoplastico (da Costa CE et al, 2009).
L’analisi delle alterazioni genomiche nella ICL ha rappresentato tradizionalmente una sfida a causa della eterogeneitĆ cellulare delle lesioni. L’avvento di nuove tecnologie di sequenziamento ha facilitato l’amplificazione genomica e la possibilitĆ di identificare una mutazione critica di una singola base in una popolazione di cellule rare. Una svolta storica ĆØ avvenuta con la scoperta di una prima mutazione puntiforme somatica ricorrente, BRAF-V600E, in circa il 60% delle lesioni di ICL (Badalian-Very G et al, 2010). L’elevata prevalenza della mutazione BRAF-V600E nellāICL ĆØ stata confermata da successivi studi in ampie coorti di pazienti (Sahm F et al, 2012; Satoh T et al, 2012; Berres ML et al, 2014; Chackraborty R et al, 2014). La mutazione BRAF-V600E ĆØ stato identificata in circa lā8% di tutti i tumori umani, raramente essa ĆØ associata a emopatie maligne non-istiocitarie, ad eccezione della leucemia a cellule capellute, di cui rappresenta il marcatore diagnostico (Tiacci E et al, 2011; Abdel-Wahab O e Park CY, 2014). BRAF V600E ĆØ specifica delle CL dellāICL ed ĆØ assente in CL proliferanti normali ed in altri tipi di istiocitosi, quali la malattia di Rosai-Dorfman e lo xantogranuloma giovanile. Ad oggi, il significato prognostico di questa mutazione non ĆØ ancora chiaro poichĆØ ĆØ stata riscontrata sia nelle forme multisistemiche (MS) che in quelle unisistemiche (SS), anche se recentemente ĆØ stato segnalato un maggior rischio di riattivazione nei pazienti che presentano la mutazione (BerresĀ ML et al, 2014). Inoltre, in un recente studio ĆØ stato dimostrato che i pazienti con mutazione di BRAF-V600E mostrano una maggiore resistenza alla chemioterapia, un più alto tasso di riattivazione a 5 anni e la comparsa di sequele permanenti a lungo termine causati dalla malattia e/o dal trattamento eseguito (HĆ©ritier S et al, 2016). Ā BRAF ricopre un importante ruolo nellāambito della cascata del segnale, che inizia con lāattivazione del recettore delle tirosin-chinasi e procede con la fosforilazione di diverse chinasi, quali Ras, Raf, MEK (mitogen-activated ERK kinase), ERK (extracellular signal-regulated kinase) (Figura IV), con il risultato di una modulazione dell’espressione genica (MontagutĀ C e SettlemanĀ J, 2009). Oltre alla mutazione BRAF-V600E, sono state descritte altre mutazioni all’interno del locus genico BRAF, comprese le mutazioni somatiche BRAF-V600D e BRAF-600DLAT e la mutazione germinale/polimorfismo BRAF-T599A con acquisizione di funzione (Satoh T et al, 2012; Kansal R et al, 2013). Indipendentemente dal genotipo di BRAF (wild type o mutato) riscontrato allāinterno della lesione, lāattivazione (fosforilazione) sia di MERK ed ERK risulta sempre presente (Chakraborty R et al, 2014). Questo dato ha suggerito lāipotesi che lāattivazione della via ERK sia sempre presente nellāICL (Badalian-Very G et al, 2010) e che lāattivazione del recettore tirosin-chinasico sia dovuto ad una iper-espressione del recettore stesso o del suo ligando. LāICL, quindi, potrebbe essere considerata come un disordine proliferativo incontrollato che origina da una mutazione somatica di un gene regolatore della proliferazione cellulare, non ancora identificato, con attivazione di citochine infiammatorie di accompagnamento (Laman JD et al, 2003).
Figura IV. Rappresentazione lineare semplificata dellāattivazione RAF-MEK-ERK nelle neoplasie umane (MontagutĀ C e SettlemanĀ J, 2009, modificato).
Recentemente, utilizzando le tecnica di whole exome sequencing (WES) e di next generation sequencing (NGS), sono state identificate nuove mutazioni geniche aggiuntive che determinano lāattivazione della via di ERK: mutazioni di ARAF, che comportano lāattivazione costitutiva di ARF e di MEK (Nelson DS et al, 2014) e mutazioni MAP2K1, di tipo mutualmente esclusivo con le mutazioni di BRAF (Brown NA et al, 2014; Nelson DS et al, 2015).
BRAF ĆØ la chinasi centrale della via di MAPK che coinvolge RAS, RAF, MEK, ERKĀ (Figura IV), traduce segnali extracellulari e regola le funzioni cellulari critiche (Davies H et al,Ā 2002). Se la mutazione di BRAF ĆØ presente in circa la metĆ delle lesioni ICL, mentre ERK risulta fosforilato nel 100% dei casi, quali sono gli altri meccanismi che attivano ERK? La procedura WES ĆØ stata utilizzata per studiare il tessuto bioptico e il sangue venoso periferico di pazienti con ICL, con lo scopo di cercare di identificare varianti mutazionali di BRAF e vie di attivazioni alternative di ERK. Mutazioni attivanti a carico degli esoni 2-3 di MAP2K1 sono state riscontrate nel 33% di lesioni ICL con fenotipo BRAF wild type (Chakraborty R et al, 2014) e mutazioni somatiche del pathway MAPK di tipo mutualmente esclusivo, tutte risultanti nellāattivazione di ERK, erano presenti nel 75% delle lesioni di ICL (Chakraborty R et al, 2014; Nelson DS et al, 2015). Lāimpatto delle differenti mutazioni di MAPK (o di PI3K) rimangono incerte, tuttavia la frequenza delle mutazioni del pathway MAPK nella ICL suggerisce un suo ruolo funzionale per lāattivazione patologica di ERK, fisiologicamente implicato nella differenziazione e nella maturazione cellulare mieloide (Berres ML et al, 2015). Recentemente, sono stati riportati casi di ulteriori mutazioni a carico dei geni MAPK, che includono ARAF and ERBB3 (Nelson DS et al, 2014; Chakraborty R et al, 2014). Il meccanismo dell’attivazione patologica di ERK nel restante 25% dei pazienti con ICL rimane sconosciuta. Nella Figura V ĆØ riportata la frequenza relativa delle mutazioni dell’attivazione di chinasi nella ICL (Emile JF et al, 2016). Nei casi in cui non sono presenti mutazioni di MAPK, lāattivazione di ERK potrebbe essere dovuta ad alterazioni di MAPK non rilevabili con il sequenziamento dellāesoma (es. fusioni, delezioni o duplicazioni) o a mutazioni attivanti altri percorsi o ad altri meccanismi patogenetici (es, metilazione) (Chakraborty R et al, 2014). I meccanismi patogenetici dellāattivazione a valle di ERK non sono ancora ben definiti.
Figura V. Frequenza relativa delle mutazioni dell’attivazione di chinasi nella ICL (Emile JF et al, 2016).
Lāorigine mieloide della CL nellāICL ĆØ stata confermata in diversi studi. Lāanalisi dellāespressione genica delle cellule nelle lesioni ICL ha rilevato che il profilo trascrizionale delle CL CD207(+) presenti ĆØ molto simile a quello della cellula dendritica di derivazione mieloide piuttosto che delle cellule di Langerhans epidermiche CD207(+) (Allen CE et al, 2010; Sahm F et al, 2012). Inoltre, dal momento che la mutazione di BRAF-V600E rappresenta il ābar codeā, ĆØ stato possibile identificare la mutazione BRAF-V600E allāinterno sia dei precursori delle cellule dendritiche mieloidi CD11c+ e dei monociti CD14+ circolanti che nelle cellule staminali midollari CD34+ di pazienti con ICL ad alto rischio (Berres ML et al, 2014). Il significato funzionale dellāattivazione di MAPK nelle cellule dei precursori mieloidi nella ICL ĆØ supportato anche dallāosservazione, in un modello murino, che lāespressione forzata di BRAF-V600E nelle cellule CD11c+ determina un fenotipo di ICL ad alto rischio. Un dato interessante ĆØ che lāespressione di BRAF-V600E nelle cellule langherina+ determina un fenotipo molto più attenuato senza lāidentificazione di cellule circolanti BRAF-V600E e un quadro clinico simile alla ICL umana a basso rischio. Tutte queste osservazioni supportano lāipotesi che alla base della patogenesi della ICL ci sia il modello della cellula dendritica mieloide āfuorviataā in cui lāattivazione patologica di ERK determina la proliferazione, la sopravvivenza, la differenziazione e lāattivazione dei precursori mieloidi delle cellule dendritiche (Figura VI) (Berres ML et al, 2015; Allen CE et al, 2015).
Figura VI. Modello della patogenesi della dis-regolazione delle cellule mieloidi dendritiche causata dall’attivazione patologica di ERK (Allen CE et al, 2015).
Lāipotesi che la ICL non fosse di derivazione da CL epidermiche aberranti ĆØ stata anche confermata dallāosservazione che la langherina (CD207) e i granuli di Birbeck nascono in un più ampio spettro di linee e sottopopolazioni cellulari di quanto inizialmente osservato (Chikwava K et al, 2004; Ginhoux F et al, 2007; Segerer S et al, 2008).
Il fatto che la ICL sia caratterizzata da un largo spettro di manifestazioni cliniche e che istologicamente le lesioni ICL di una malattia ad alto rischio siano indistinguibili da quelle di una malattia a basso rischio hanno stimolato la ricerca sui meccanismi che possono regolare la severitĆ e l’estensione Ā della ICL. Ā Recentemente, nei pazienti con malattia MS ad alto rischio con mutazione di BRAF V600E a livello delle CL intra-lesionali ĆØ stata riscontrata la stessa mutazione anche nelle cellule circolanti e in quelle midollari, mentre Ā nei pazienti con malattia SS a basso rischio, la mutazione BRAF V600E era assente sia nelle cellule circolanti che in quelle midollari (Berres ML et al, 2014). La presenza della stessa mutazione di BRAF V600E riscontrata nelle cellule dendritiche CD11c+ e nei monociti CD14+ dei pazienti MS ad alto rischio con mutazione dimostra, inoltre, che esiste una mutazione somatica che coinvolge sia una specifica cellula dendritica comune e sia i progenitori dei monociti. Lo studio del sangue midollare dei pazienti che presentavano la mutazione di BRAF V600E nelle cellule circolanti ha dimostrato che le cellule con la mutazione appartenevano al compartimento delle cellule staminali ematopoietiche (CSE) CD34+. Nei casi in cui la mutazione di BRAF V600E era presente nelle cellule CD34+, ĆØ stata evidenziata la stessa mutazione anche nelle cellule B CD19+, nelle cellule CD11c+ e nelle CD14+, mentre era assente nei linfociti CD3+ (Berres ML et al, 2014). Il modello di differenziamento mieloide ‘fuorviato’ alla base di patogenesi della ICL potrebbe spiegare il vasto spettro delle manifestazioni cliniche della malattia. Secondo questo modello, il grado di estensione e l’aggressivitĆ di malattia non ĆØ legata alle alterazioni genomiche e funzionali a livello istiocitario, ma allo stadio in cui avviene l’attivazione patologica di ERK durante il processo di differenziamento mieloide (Figura VII).
La presenza della mutazione di BRAF V600E anche nella cellula staminale ematopoietica della leucemia a cellule capellute (Chung SS et al, 2014) apre la questione diĀ come sia possibile che la stessa mutazione determini due distinte patologie. Probabilmente, le alterazioni epigenetiche o l’aggiunta di ulteriori mutazioni somatiche o la comparsa di mutazioni in differenti stadi dell’emopoiesi potrebbero spiegare la manifestazione fenotipica diversa delle due patologie (Berres ML et al, 2013).
Figura VII. Modello del differenziamento ‘mieloide fuorviato’ della patogenesi della ICL (Zinn DJ et al, 2016a).
LāICL ĆØ una patologia sistemica caratterizzata da un quadro clinico e sintomatologico molto variabile, condizionato dal tipo di tessuto coinvolto e dallāestensione della malattia. Lāandamento della malattia ĆØ in genere benigno anche se nei bambini, soprattutto in quelli di etĆ <2 anni, può essere più aggressiva. La malattia può essere localizzata (per lo più a livello osseo cutaneo), oppure diffusa con interessamento di più organi e/o apparati (osso, ipofisi, sistema emopoietico, fegato, milza, linfonodi, occhio, intestino, cuore e sistema nervoso) con una prognosi più severa. In alcuni casi, la diagnosi può essere occasionale. Nelle forme disseminate, tipiche dellāetĆ pediatrica, sono frequenti sintomi generali quali febbre, astenia e ridotto accrescimento staturo-ponderale. In una minoranza di casi la malattia può esplodere, gravissima, giĆ nei primi mesi di vita con un quadro simil-leucemico: lesioni cutanee diffuse papulo-pustolose, purpuriche e/o necrotiche, febbre, epato-splenomegalia, adenomegalia, citopenia. Questa forma, in passato definita malattia di Letterer-Siwe, ĆØ gravata da una mortalitĆ del 20%, anche con i più moderni trattamenti.
Lāinteressamento osseo ĆØ presente nellā80-90% circa dei pazienti con ICL e le manifestazioni cliniche dipendono dalla sede colpita (StĆ„lemark H et al, 2008). La presentazione più frequente, soprattutto nelle forme localizzate, ĆØ una tumefazione accompagnata da dolore. A volte la sintomatologia può essere aspecifica, come si verifica nellāinteressamento della mastoide, in cui i sintomi (otiti ricorrenti, colesteatoma e persino la perdita dellāudito) possono essere confusivi e ritardare la diagnosi. I segmenti ossei più frequentemente interessati sono riportati essere il cranio (49%), la pelvi (23%), il femore (17%), coste, clavicola e scapola (8%), omero, massiccio facciale (mandibola, mascella e orbita) e vertebre (7%) (Lanzkowsky P, 2010).
Le lesioni della teca cranica presentano le caratteristiche di una osteolisi permeante, margini netti e ben definiti, a doppio contorno, assenza di reazione periostale, a volte con sequestro di frammento osseo allāinterno; nelle lesioni confluenti, il quadro radiografico ĆØ a carta geografica (Figure VIII, IX e X).
Figura VIII. Lesione singola del tavolato cranico (esame RX) con immagine calcifica intralesionale (sequestro osseo) ben evidenziabile con la TC (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura IX. Lesione osteolitica a margini netti localizzata in sede temporo-occipitale sinistra in corrispondenza della sutura temporo-lambdoidea (esame RX, proiezione L-L). Lāesame scintigrafico in proiezione P-A evidenziava un moderato uptake della regione mastoidea sinistra. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura X. Grossolana lesione osteolitica che mostra aspetto confluente a carta geografica in sede frontale sinistra. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma.
Il coinvolgimento delle ossa lunghe (24%) interessa sopratutto il femore e lāomero (Figura XI). Lāaccrescimento lesionale provoca un assottigliamento della corticale con reazione periostale lamellare e osteosclerotica periferica. Anche nel caso delle ossa lunghe, diverse lesione osteolitiche possono confluire con aspetto radiografico a carta geografica. Il tessuto lesionale può invadere i tessuti molli perischeletrici.
Figura XI. Grossolane aree osteolitiche a carta geografica con aspetto confluente a carico del III distale dellāomero, con margini superiori più definiti rispetto agli inferiori (asterischi), e con una reazione di tipo lamellare (freccia bianca). Le Immagini di RM evidenziano i segni di rimaneggiamento midollare sui piani sagittali (T1 e T2 a sinistra) e la distruzione della corticale ossea sui piani assiali (T1 e T2 a destra). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Il coinvolgimento delle ossa pelviche presenta caratteristiche peculiari in base allāevoluzione della lesione: allāinizio i foci osteolitici sono poco definiti, durante lāevoluzione della lesione (tipicamente allāileo), aumenta la reazione osteosclerotica periferica e infine, la coalescenza interna delle lesioni genera un aspetto simile a quello riscontrato nelle lesioni della teca cranica (Figura XII).
Figura XII. Lesione osteolitica del bacino a destra, a margini netti, con aspetti confluenti a carta geografica cui si associa intensa reazione osteosclerotica di contenimento (asterisco). Ulteriore lesione osteolitica a carico del collo femorale destro caratterizzato da osteolisi a margini netti con aspetto a carta geografica (freccia). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Nel coinvolgimento della colonna vertebrale, gli spazi intersomatici sono conservati e la lesione litica, inizialmente, ha aspetto permeante (Figura XIII) e, successivamente, può evolvere fino al collasso del corpo vertebrale che assume il caratteristico aspetto di vertebra plana allāesame radiografico (Figura XIV).
Figura XIII. Lesione osteolitica limitata ad una porzione del corpo vertebrale, al peduncolo, alla lamina e alle masse laterali, evidenziata con la radiografia (a sinistra). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura XIV. Tipico quadro di vertebra plana con gli spazi intersomatici ben conservati (a destra RM). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Le lesioni delle ossa piatte presentano caratteristiche diverse in base al segmento scheletrico colpito. Il coinvolgimento delle coste presenta un aspetto radiologico di osteolisi permeante a morso di tarma, con possibilitĆ di frattura patologica negli stadi avanzati. Eā presente una reazione periostale lamellare. Eā possibile unāestensione del tessuto lesionale ai tessuti molli perischeletrici (Figura XV). Le lesioni litiche scapolari e clavicolari hanno margini netti ed obliqui con reazione periostale incostante in quelle scapolari e con abbondante reazione periostale associata a distruzione della corticale in quelle clavicolari (Figura XVI).
Figura XV. Nella proiezione A-P del torace, si apprezza lesione costale che presenta caratteri di osteolisi permeante sul suo versante superiore (linea continua) ed aspetto a morso di tarma sul suo versante inferiore (linea tratteggiata). La scansione TC evidenzia una massa extrapleurica (freccia bianca) associata alla distruzione della corticale ossea. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura XVI. Lesione clavicolare osteolitica a morso di tarma (freccia bianca) con aree osteorarefattive allāinterno della lesione osteolitica principale, definite hole within a hole, suggestivo per coinvolgimento dei tessuti molli perischeletrici. La scansione assiale TC mostra riassorbimento della corticale con reazione sclerotica (freccia spessa) e la scintigrafia evidenzia intenso uptake del radiofarmaco (freccia nera). (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
La cute ĆØ sede di malattia in circa un terzo di pazienti con diagnosi di ICL. Nel 10% dei casi la malattia cutanea ĆØ isolata e può andare incontro, soprattutto nei bambini, a regressione spontanea nel corso di settimane o mesi. La forma isolata ĆØ più comune nei bambini al di sotto dellāanno di vita, mentre quelle multiorgano si riscontrano con uguale frequenza nei bambini e negli adulti. Le sedi maggiormente colpite sono le pieghe, il capo, il tronco. Le lesioni possono assumere gli aspetti più diversi: usualmente si presentano come delle papule purpuriche di colorito variabile dal bruno al rosso, vescicole, pustole, ulcere e/o croste (Figura XVII). In alcuni casi le lesioni cutanee si manifestano con un aspetto seborrea-like ossia placche eritematose ricoperte da squame sottili localizzate al cuoio capelluto, dietro le orecchie, nelle pieghe inguinali o ascellari o nellāarea perineale; in queste ultime sedi si possono presentare con delle fessurazioni purpuriche (Figura XVIII). In rari casi, si osservano lesioni vegetanti in particolare a livello perineale che possono essere confuse con i condilomi.
Figura XVII. Lesione cutanea ulcerativa.
Figura XVIII. Lesioni cutanee inguinali caratteristiche delle forme neonatali.
Le localizzazioni a carico del cavo orale, più frequenti negli adulti, hanno unāincidenza variabile dal 10 al 35% nelle diverse casistiche. Le lesioni possono interessare lāosso mandibolare e, meno frequentemente, il mascellare e/o la mucosa orale e/o i denti. Il coinvolgimento osseo ĆØ rappresentato da una lesione osteolitica unica con o senza compromissione dellāosso alveolare. Il coinvolgimento dellāalveolo dentale può determinare unāipermobilitĆ del/i dente/i (Figura XIX) Si possono osservare anche unāipertrofia e/o unāulcerazione localizzata della mucosa gengivale come manifestazione isolata o associata a lesioni dellāalveolo e/o dellāosso (Figura XX).
Figura XIX. Aree osteolitiche dei processi alveolari del mascellare e del mandibolare con il tipico aspetto del floating tooth (dente che balla). Eā presente anche una lesione osteolitica in sede parieto-occipitale. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura XX. Lesione estesa della mucosa del palato duro con coinvolgimento anche dellāosso mascellare e dei denti (sinistra). Lesione localizzata a carico della mucosa perialveolare con coinvolgimento dellāalveolo e del dente corrispondente (destra). (Casistica personale).
Il polmone ĆØ, caratteristicamente, un organo bersaglio della ICL nel paziente adulto e fumatore, mentre ĆØ interessato solo nel 20% dei bambini con malattia disseminata. Le lesioni, inizialmente nodulari, evolvono verso la cavitazione fino alla formazione di bolle enfisematose che compromettono la normale funzionalitĆ respiratoria anche a riposo. Il quadro radiologico può mettere in evidenza unāinfiltrazione interstiziale, di tipo reticolare o micronodulare o numerose cisti che configurano un quadro polmonare di tipo āhoneycombingā (Figura XXI, XXII, XXIII). Negli stadi più avanzati si evidenziano ampie bolle con un quadro enfisematoso, che si accompagna a fibrosi. Le bolle enfisematose possono rompersi e provocare uno pneumotorace, evenienza che si verifica soprattutto in giovani adulti di sesso maschile. Le lesioni più gravi si riscontrano tipicamente nei campi polmonari superiori e nelle zone peri-ilari. La funzionalitĆ respiratoria può essere, quindi, variamente compromessa: da una riduzione degli scampi gassosi a livello alveolare, clinicamente asintomatica, fino ad unāalterazione di tipo restrittivo di entitĆ variabile e allāinsufficienza respiratoria.
Figura XXI. Lesioni polmonari reticolo-nodulari (a sinistra) e lesioni nodulari e cistiche (a destra) evidenziate con la radiologia tradizionale. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura XXII. Lesioni polmonari nodulari a margini irregolari centrolobulari e peribronchiali (a sinistra). Coesistenza di lesioni nodulari e cistiche (a destra) evidenziate con TC ad alta risoluzione. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Figura XXIII. Quadro polmonare di tipo honey-combing, caratteristico dello stato avanzato della malattia, con cavitĆ cistiche confluenti. E presente uno pneumotorace a destra. (Gianfranco Gualdi, UniversitĆ Sapienza-Azienda Policlinico Umberto I, Roma).
Il coinvolgimento linfonodale può essere isolato (unico sistema compromesso), generalmente laterocervicale oppure può accompagnarsi a lesioni ossee e/o cutanee; raramente, può far parte di una malattia disseminata, soprattutto nei bambini.
Il coinvolgimento del sistema emopoietico ĆØ raro nellāadulto, mentre nei bambini fa parte di un quadro di malattia disseminata e più grave, ed ĆØ quasi sempre associato ad unāepato-splenomegalia. Il coinvolgimento midollare può manifestarsi con anemia, leucopenia, trombocitopenia e con sintomi associati, quali la febbre o le emorragie. LāentitĆ della citopenia può non essere in relazione con il grado di infiltrazione midollare; in questo caso, ĆØ spesso dovuta ad un ipersplenismo conseguente a compromissione splenica della malattia.
Lāepatomegalia ĆØ molto comune nella istiocitosi multisistemica, ma la disfunzione dāorgano non sempre ĆØ presente. Lāaumento di volume del fegato può essere dovuto a diversi fattori, quali una localizzazione di malattia nel parenchima epatico oppure unāipertrofia ed iperplasia delle cellule del Kuppfer, e/o, più raramente, una compressione da parte dei linfonodi dellāilo epatico. Si può riscontrare anche unāostruzione dei dotti biliari con segni di colestasi anche severa. Nei casi avanzati, la colangite può esitare in fibrosi e cirrosi, la cui patogenesi non ĆØ chiara; in questo stadio, lāevoluzione epatica può essere indipendente dallo stato di attivitĆ della malattia sistemica. La splenomegalia ĆØ rara allāesordio ed ĆØ caratteristica delle forme disseminate, soprattutto in etĆ pediatrica.
Talora la malattia può esordire con poliuria e polidipsia (assunzione di 6-8 litri di acqua al giorno) che rappresentano la manifestazione clinica del diabete insipido (DI), dovuto a compromissione ipofisaria. Il DI può essere lāunico sintomo di malattia, precedendo anche di molti anni la diagnosi di ICL, oppure può manifestarsi a distanza variabile dalla diagnosi. In questo caso, Il rischio di sviluppare un DI ĆØ maggiore nei pazienti con coinvolgimento delle ossa del volto o della base cranica. Lesioni dellāarea ipotalamo-ipofisaria possono più raramente causare anche pan-ipopituitarismo e modificazioni del comportamento, soprattutto quando colpiscono i bambini molto piccoli. La presenza alla RM di un ispessimento del peduncolo ipofisario sembra associata ad una fase di attivitĆ della malattia e quindi al rischio di sviluppare un deficit ipofisario multiplo (GH, ormoni tiroidei, gonadotropine). Se si esclude il coinvolgimento della regione ipotalamo-ipofisaria, una localizzazione di malattia a carico del sistema nervoso, sia centrale che periferico, ĆØ rara in tutti i gruppi di etĆ . La lesione può essere parenchimale isolata o può associarsi a lesioni della teca cranica, delle orbite e della mastoide. I distretti cerebrali coinvolti sono: il ponte, gli emisferi cerebrali, i gangli della base, il chiasma e i nervi ottici; sporadicamente si osserva un coinvolgimento meningeo diffuso. I sintomi neurologici dipendono dalla sede e dalle dimensioni della lesione e comprendono: atassia, disartria, nistagmo, deficit dei nervi cranici, iper-riflessia, alterazioni delle funzioni intellettive e del comportamento, emi- o para-paresi. Questi sintomi, comunque, possono essere dovuti anche allāestensione di lesioni presenti in un osso contiguo o nelle meningi. Le lesioni extra-assiali esercitano un effetto massa che può causare sintomi focali, ipertensione endocranica e idrocefalo. In circa lā1% di pazienti con ICL, durante o anche dopo la fine del trattamento, si può osservare la comparsa di sintomi quali atassia, incoordinazione, deficit dei nervi cranici dovuti a lesioni degenerative progressive a carico dei nuclei dentati cerebellari, dei gangli della base e/o del ponte o della sostanza bianca cerebellare e/o cerebrale.
Anche se non molto frequente, una tumefazione intra o peri-orbitaria, senza coinvolgimento osseo, che determina esoftalmo e che può regredire spontaneamente ĆØ una manifestazione caratteristica dellāICL. Un coinvolgimento primitivo della tiroide, con o senza alterazione funzionale (ipotiroidismo), ĆØ molto raro e può interessare sia i bambini che gli adulti. Localizzazioni più rare, segnalate soprattutto nellāambito di una malattia disseminata, sono quelle a carico dellāapparato gastrointestinale con una sintomatologia caratterizzata da vomito, diarrea e un quadro di malassorbimento, e quelle a carico dellāapparato genitale femminile, prevalentemente nella popolazione adulta.
Considerando lāestrema variabilitĆ delle manifestazioni cliniche, lāICL può essere confusa con diverse altre patologie (Tabella I). Oltre allāanamnesi clinica, unāaccurata valutazione della sede e delle caratteristiche delle lesioni può orientare nella diagnosi differenziale. Per una corretta definizione della patologia ĆØ indispensabile la biopsia della lesione più accessibile. La diagnosi definitiva si basa sullāesame istologico e immunoistochimico che permette lāidentificazione morfologica delle CL che risultano positive per la proteina S-100 e per lāantigene CD1a. La diagnosi immunoistochimica ĆØ obbligatoria tranne nei casi in cui la sede lesione ĆØ tale che la biopsia potrebbe comportare dei rischi per il paziente, come nella compromissione di un corpo vertebrale tipo vertebra plana senza coinvolgimento di altri organi o tessuti. In questo caso la diagnosi ĆØ radiologica, essendo la lesione tipica dellāICL.
Attualmente, per la definizione diagnostica viene utilizzato un nuovo marcatore specifico per la langherina, il CD207, che ha sostituito la ricerca dei granuli di Birbeck dal momento che la sua espressione correla pienamente con la loro presenza. Ci sono, tuttavia, degli organi, quali il fegato, in cui le CL non contengono i granuli di Birbeck ed il CD1a e/o la langherina (CD207) possono essere negativi.
Tabella I: Diagnosi differenziale delle manifestazioni dellāICL.
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Una volta definita la diagnosi istologica, ĆØ indispensabile eseguire indagini ematochimiche, strumentali e specialistiche utili per la definizione degli organi potenzialmente coinvolti e lāentitĆ della loro compromissione. Per una corretta valutazione dellāestensione della malattia ĆØ importante la ricerca accurata anche di eventuali localizzazioni asintomatiche occulte.
Nella Tabella II sono riassunte le indagini indispensabili per un corretto iter diagnostico in tutti i pazienti con ICL.
Tabella II: Indagini diagnostiche indispensabili in bambini e adulti con ICL.
Lāanamnesi personale ĆØ mirata allāidentificazione del tipo e della durata dei sintomi, in particolare di quelli specifici quali: dolore, gonfiore, eruzioni cutanee, otorrea, irritabilitĆ , febbre, perdita di appetito, diarrea, perdita di peso, ritardo nella crescita, polidipsia, poliuria, dispnea, esposizione al fumo, abitudini di vita e alterazioni neurologiche. Negli adulti ĆØ importante lāaccertamento di eventuali comorbiditĆ . Lāesame fisico ĆØ mirato ad una accurata valutazione della cute e delle mucose, del cavo orale (lesioni gengivali e palatali), dellāaddome (epato-splenomegalia), del sistema nervoso (papilledema, anomalie dei nervi cranici, segni cerebellari) e dei polmoni.
Per la valutazione delle dimensioni del fegato e della milza viene utilizzata lāecografia addominale. Nei pazienti adulti, ĆØ utile eseguire indagini a carico di organi bersaglio, quali il polmone, lāipofisi ed il cavo orale, anche in assenza di sintomi: le prove di funzionalitĆ respiratoria con diffusione dellāanidride carbonica (DLCO) possono identificare precocemente una compromissione polmonare non rilevabile radiologicamente, la RM dellāencefalo con gadolinio può dare indicazioni sullāipofisi e la radiografia ortopanoramica con valutazione odontoiatrica può evidenziare lesioni non altrimenti identificabili.
Per quanto riguarda la valutazione di eventuali lesioni ossee, possono essere utilizzate sia la scintigrafia ossea che la radiografia dello scheletro, ma per la diagnosi di certezza viene presa in considerazione solo la/e lesione/i Ā rilevabili alla radiografia.
Nel caso siano presenti segni e sintomi particolari, le indagini di base devono essere integrate con esami specifici, dettagliati nella Tabella III.
Per una migliore definizione diagnostica, la TC e la RM sono indagini strumentali complementari, utili a garantire uno studio più accurato del coinvolgimento della corticale e della spongiosa ossea, e dei tessuti molli perischeletrici. Nel coinvolgimento vertebrale ĆØ utile lāapprofondimento con la RM della colonna per escludere la presenza di tessuto neoformato che potrebbe interessare il midollo spinale.
Dai dati finora disponibili, la PET non ha indicazioni nĆ© nella stadiazione nĆ© nella gestione clinica dellāICL, poichĆ© malgrado sia una indagine altamente sensibile ĆØ poco specifica (Agarwal KK et al, 2016).
La biopsia osteomidollare ĆØ indicata solo in presenza di anemia e/o piastrinopenia e/o leucopenia, senza causa evidente.
In caso di coinvolgimento polmonare isolato, se il broncolavaggio non ĆØ diagnostico per ICL (<5% di cellule CD1a+ nei non-fumatori) ĆØ dāobbligo eseguire la biopsia polmonare, per una corretta diagnosi differenziale con altre patologie.
Tabella III: Condizioni che richiedono approfondimento diagnostico e relative indagini.
Per un corretto approccio terapeutico, vengono presi in considerazione il tipo e il numero degli organi colpiti al momento della diagnosi. La malattia viene definita uni-sistemica o single system (SS-ICL) quando è colpito un solo organo o sistema; a sua volta, in base al numero delle lesioni viene definita uni-focale (unica lesione), multifocale (più lesioni a carico dello stesso organo o sistema). La malattia viene definita multi-sistemica o multisystem (MS-ICL) quando sono coinvolti due o più organi o sistemi, compresi quegli organi considerati a rischio per il paziente. Sono considerati organi a rischio sia per i bambini che per gli adulti il sistema ematopoietico, la milza e il fegato; negli adulti, un importante organo a rischio è il polmone. Vengono definiti organi a rischio dal momento che un loro coinvolgimento comporta un maggior rischio di complicanze (e di morte).
La classificazione clinica viene utilizzata alla diagnosi per pianificare la strategia terapeutica. Nella Tabella IV ĆØ illustrata la classificazione attualmente proposta e utilizzata nei bambini e negli adolescenti nellāambito dei protocolli internazionali dellāHS. Negli adulti, ĆØ giustificata una classificazione diversa (Tabella V), avendo gli adulti una malattia con manifestazioni ed andamento clinico diverse rispetto ai bambini.
Tabella IV: Classificazione della malattia applicata nei pazienti di etĆ <18 anni nellāambito dei protocolli dellāHS.
Tabella V: Classificazione della malattia applicata nei pazienti di etĆ >18 anni nelle linee guida LCH 2011.
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Il decorso della malattia ĆØ variabile e, in parte, imprevedibile. I dati disponibili sullāandamento clinico e sulla risposta alla terapia derivano prevalentemente da casistiche pediatriche. Le forme localizzate (cute, osso) hanno una buona prognosi e possono regredire anche spontaneamente o con terapie locali. Le forme diffuse richiedono, invece, la chemioterapia che non sempre risulta efficace, soprattutto nella malattia multi-sistemica con disfunzione dāorgano, frequenti nei bambini di etĆ <2 anni.
I primi farmaci citotossici che hanno dimostrato efficacia nel trattamento dellāICL, in monochemioterapia o in associazione, sono stati: il clorambucil, la vincristina (VCR), la ciclofosfamide (CTX), il methotrexate (MTX), la 6-mercaptopurina (6-MP) e la vinblastina (VBL). Solo a partire dagli anni ā80, grazie allo sviluppo di studi clinici prospettici cooperativi, ĆØ stato possibile avere indicazioni utili al miglioramento della strategia terapeutica.
Dal primo studio clinico prospettico multicentrico italiano, AIEOP-CNR H.X ā83 (Ceci A et al, 1993), sono emersi due importanti indicazioni: a) lāefficacia della combinazione VBL e prednisone (PDN) nei bambini con malattia diffusa senza disfunzione dāorgano; b) lāinefficacia di una polichemioterapia anche intensiva (VCR, adriamicina (ADR), CTX e PDN) in quelli con disfunzione dāorgano.
Contemporaneamente, da due studi cooperativi europei (DAL HX-83 e DAL HX-90) (Gadner H et al, 1994), in cui erano previste, nelle forme disseminate, una polichemioterapia iniziale con PDN, VBL ed etoposide (VP-16) e, nei rispondenti, una terapia di mantenimento continuativa con 6-MP e reinduzioni con PDN e VBL + VP-16 + MTX a medie dosi in quelli con disfunzioni dāorgano, sono emerse altre due utili indicazioni: a) lāidentificazione della risposta alla terapia iniziale come fattore prognostico e b) lāutilitĆ della terapia di mantenimento.
Su queste basi, a partire dal 1991, sono stati sviluppati studi collaborativi internazionali nellāambito dellāHistiocyte Society (HS), con lāobiettivo di migliorare lāandamento della malattia. Con il primo studio, LCH-I, ĆØ stata dimostrata unāefficacia sovrapponibile della VBL e del VP-16 nei bambini con forma multi-sistemica, per quanto riguarda sia la risposta al trattamento che la sopravvivenza, con una minore tossicitĆ della VBL (Gadner H et al, 2001). Nello studio successivo, LCH-II, che prevedeva una strategia diversa in base alla presenza o assenza di alcuni fattori di rischio (epatomegalia, splenomegalia, compromissione midollare, etĆ <2 anni) ĆØ stata confermata lāutilitĆ di una terapia di mantenimento con 6-MP. Eā emerso che lāaggiunta del VP-16 come terzo farmaco non influiva nĆ© sulla risposta al trattamento nĆ© sulla sopravvivenza nĆ© sulla riduzione delle riattivazioni nei pazienti con un coinvolgimento degli organi a rischio e/o con una scarsa risposta al trattamento iniziale, che continuavano ad avere una prognosi sfavorevole (Gadner H et al, 2008). Il protocollo successivo, LCH-III ha dimostrato che un trattamento di 12 mesi ĆØ più efficace nel ridurre lāincidenza di riattivazioni nei bambini āa basso rischioā rispetto ad trattamento più breve (6 mesi) e ha confermato che lāaggiunta allāassociazione VBL+ PDN di un terzo farmaco, il MTX a dosi intermedie, non influenza nĆ© la risposta al trattamento nĆ© la prognosi dei pazienti āa rischioā (Gadner H et al, 2013). Inoltre, ĆØ stato osservato un miglioramento nella prognosi modificando precocemente (dopo 6 settimane) il trattamento in base alla risposta iniziale: prolungare la terapia fino a 12 settimane nei pazienti non in risposta completa e cambiare tipo di trattamento (terapia di salvataggio) nei pazienti in progressione di malattia (o anche prima se c’ĆØ evidenza) (Gadner H et al, 2013). Nella Tabella VI sono schematizzati i risultati ottenuti dai 3 studi promossi dallāHystiocyte Society.
Tabella VI: Risultati dei tre studi internazionali dell’Histiocyte Society.
Circa il 50% dei pazienti risulta essere refrattario alla terapia di induzione o sviluppa riattivazioni della malattia entro 5 anni (Minkov M et al, 2008). I dati riguardanti i pazienti ricaduti derivano in gran parte da studi pilota, survey o casi clinici pubblicati.
Uno studio ha dimostrato lāefficacia di basse dosi di cladribina nei pazienti refrattari alla prima linea terapeutica con o senza organi a rischio con una risposta del 22% e del 66%, rispettivamente (Weitzman S et al, 2009).
La clofarabina, un analogo nucleosidico di seconda generazione, ha mostrato un’attivitĆ significativa come agente singolo, verso le ICL refrattarie a cladribina o citarabina Ā a basso ed alto rischio (Abraham A et al, 2013; Simko SJ et al, 2014). Per i pazienti con ICL refrattaria ad alto rischio, il regime di salvataggio più efficace si ĆØ dimostrata la combinazione di cladribina e citarabina, che però ad alte dosi ĆØ gravata da elevata tossicitĆ (Rosso DA et al, 2016; Donadieu J et al, 2015).
Il trapianto allogenico di cellule ematopoietiche staminali (HSCT) ĆØ risultato efficace nei pazienti con ICL che ricadono dopo numerosi regimi di salvataggio, utilizzando sia regimi di condizionamento ad intensitĆ ridotta (RIC) che mieloablativi (MAC), con una sopravvivenza globale a 3 anni del 71% nei pazienti riceventi RIC e del 77% nei pazienti riceventi MAC (Veys PA et al, 2015).
La malattia multifocale ossea ricorrente può giovarsi della terapia con indometacina somministrata in maniera continuativa per un periodo di tempo variabile, dipendente dalla risposta (Munn SE et al, 1999; Brajer J et al, 2014).
Recentemente, sono stati riportati risultati incoraggianti con l’idrossiurea, in monoterapia o in associazione con il MTX, in pazienti con ICL refrattari o con recidive multiple con minima tossicitĆ (Zinn DJ et al, 2016b).
I dati pubblicati sullāICL negli adulti sono frammentari (case report o casistiche limitate), dal momento che le manifestazioni dāesordio sono variabili e quindi possono coinvolgere diversi specialisti. Dai dati disponibili emerge che negli adulti la malattia ha una storia naturale tendente alla cronicizzazione, che le remissioni spontanee sono rare, che un coinvolgimento dellāosso, del polmone e del cavo orale ĆØ frequente.
Come terapia di prima linea negli adulti, oltre alle combinazione VBL+PDN e VP-16+PDN utilizzata nei bambini (Giona F et al, 1997), sono stati impiegati altri farmaci, quali la citarabina in monoterapia, la cladribina e schemi terapeutici utilizzati nei linfomi, quali il MACOP-B (MTX, ADR, CTX, VCR, PDN e bleomicina) (Cantu MA et al, 2012; Derenzini E et al, 2010; Girschikofsky M et al, 2013).
Nella forma polmonare isolata, tipo honey-combing, difficile da trattare, lāuso del PDN a dosaggio non elevato associato a fisioterapia respiratoria dĆ buoni risultati sia in termini di outcome che di qualitĆ di vita.
Indipendentemente dal tipo e/o dalla combinazione di farmaco utilizzato, la risposta al trattamento negli adulti ĆØ inferiore rispetto a quella osservata nei bambini, soprattutto in alcune forme particolare. La malattia ossea ricorrente può rispondere a trattamenti terapeutici alternativi, quali lāindometacina e lāinterferone (Giona F et al, 2002a). Nelle forme multifocali con disfunzione dāorgano ed in quelle con coinvolgimento neurologico si ĆØ dimostrata efficace la cladribina (Girschikofsky M et al, 2013). Gli adulti con ICL SS o MS riattivata possono giovarsi della monoterapia con cladribina, cosƬ come dimostrato da uno studio di fase II (Saven A et al, 1999). Nelle forme di ICL aggressive, il RIC-HSCT ĆØ stato utilizzato con successo, ma sono necessari ulteriori studi di conferma (Ingram W et al, 2006).
Alcune sedi di malattia, quali il SNC continuano ad essere difficilmente trattabili con i chemioterapici convenzionali e/o con la radioterapia, sia negli adulti che nei bambini. Ā Pazienti con coinvolgimento del sistema nervoso centrale sono stati trattati con successo con l’associazione cladribina e citarabina, probabilmente perchĆ© entrambi questi farmaci riescono a passare la barriera ematoencefalica (McClain KL et al, 2005). Recentemente, sono state segnalate risposte alla cladribina in monochemioterapia in pazienti con lesioni intraparenchimali cerebrali (Adam Z et al, 2013; Baumann M et al, 2012).
Il trattamento ĆØ condizionato dal tipo e dal numero delle sedi coinvolte, dal coinvolgimento o meno di organi a rischio e dallāetĆ (bambini e adolescenti fino a 18 anni, Ā e adulti). Gli obiettivi del trattamento sono la remissione della malattia, la riduzione delle riattivazioni, la riduzione della tossicitĆ e delle sequele invalidanti. Il DI, che solitamente non risponde al trattamento per la malattia, va trattato con desmopressina ad un dosaggio personalizzato. Per il trattamento ottimale di alcune forme ĆØ indispensabile una gestione combinata multidisciplinare (Giovannetti et al, 2009). La scelta dei trattamenti varia dalla semplice osservazione, alla terapia locale, al curettage chirurgico, alla chemioterapia sistemica in base allāorgano coinvolto e alla estensione della malattia (Allen CE et al, 2015).
Wait and watch. In alcune forme, quali una lesione unica della teca cranica, una localizzazione retro-oculare senza compromissione dei tessuti circostanti, lesioni cutanee isolate nei neonati (senza compromissione di altri organi), ĆØ indicata lāosservazione clinica, laboratoristica e/o strumentale periodica, dal momento che le lesioni possono regredire spontaneamente.
Terapia locale. La terapia locale ha indicazione selettiva in alcune forme in cui sono interessati organi particolari, quali la cute e lāosso. In particolare:
Terapia sistemica. Molti sono i farmaci e gli schemi attualmente utilizzati nel trattamento dellāICL: steroidi, farmaci antiblastici quali VCR, VBL, VP-16, 6-MP, MTX, citarabina, cladribina, clofarabina, idrossiurea, antinfiammatori non-steroidei, agenti immunomodulatori (interferone alfa, ciclosporina A). In particolare:
LāHSCT, anche con regimi di condizionamento a intensitĆ ridotta, rappresenta unāopzione terapeutica nei casi di malattia con coinvolgimento degli organi a rischio, refrattaria ad altre terapie di salvataggio.
Gli schemi terapeutici più largamente utilizzati nei bambini (etĆ <18 anni alla diagnosi) sono quelli proposti nellāambito dellāHystiocyte Society, che hanno coinvolto un numero crescente di Paesi e di centri nel corso degli anni. Ciò ha consentito di ottenere, in periodi di tempo relativamente brevi, risultati utili a migliorare la terapia e quindi lāoutcome soprattutto dei pazienti con malattia più estesa. Lāattuale studio (LCH-IV), a cui aderiscono 26 paesi, tra cui lāItalia come gruppo AIEOP (Associazione Italiana Ematologia e Oncologia Pediatrica), ĆØ molto articolato (7 strati) e dĆ indicazioni specifiche su: a) approccio terapeutico di prima linea; b) terapia di salvataggio per i pazienti con ICL-MS con o senza coinvolgimento dāorgano a rischio non rispondenti alla prima linea o rispondenti con riattivazione di malattia; c) trattamento delle lesioni coinvolgenti il SNC; d) monitoraggio nel tempo di tutti i pazienti con ICL. La strategia terapeutica prevista nel protocollo LCH IV ĆØ schematizzata nella Tabella VII. In particolare, per le ICL-SS ĆØ previsto un atteggiamento conservativo (wait and watch) o terapia locale, mentre la terapia sistemica ĆØ riservata ai casi in progressione. Una valutazione precoce (dopo 6 settimane) al trattamento con VBL+PDN ĆØ previsto nei pazienti con ICL-SS multifocale e ICL-MS, in modo da intensificare il trattamento in caso di malattia non rispondente o in progressione. Una terapia di mantenimento randomizzata sia nel tipo (+ intensificazione con 6MP) che nella durata (12 vs 24 mesi per i pazienti ICL-MS ad alto rischio e 6 vs 12 mesi per i pazienti con ICL-SS con lesioni ossee del massiccio cranio-facciale o lesioni multifocali ossee) dovrebbe dare una risposta sia sul tipo che sulla durata ottimale del trattamento nelle diverse forme, in modo da ridurre sia le riattivazioni di malattia che le sequele a lungo termine.
Una terapia di salvataggio con VCR+PDN+ citarabina ĆØ prevista per i pazienti con ICL-MS senza coinvolgimento dāorgano non rispondenti alla prima linea o inizialmente rispondenti ma con riattivazione della malattia, mentre per quelli con coinvolgimento di organi a rischio ĆØ prevista la combinazione di cladribina e citarabina. Come opzione terapeutica di salvataggio ĆØ previsto anche il trapianto di cellule staminali con regime di condizionamento a intensitĆ ridotta per i pazienti con ICL-MS con organo a rischio e che hanno fallito le terapie di prima linea. In caso di coinvolgimento del SNC, ĆØ prevista la cladribina nelle localizzazioni da malattia, mentre nelle forme neurodegenerative i due farmaci di scelta sono le immunoglobuline endovena o la citarabina. Eā previsto anche un monitoraggio dellāoutcome e delle sequele a lungo termine di tutti i pazienti.
Tabella VII: Strategia terapeutica prevista nel protocollo LCH IV per i pazienti di etĆ <18 anni alla diagnosi.
Non ci sono studi cooperativi internazionali in corso sul trattamento degli adulti con ICL, dopo il fallimento nel reclutamento dei pazienti nel primo studio prospettico dellāHistiocyte Society (LCH-A1 study). Le strategie terapeutiche sono diverse, soprattutto nelle forme di ICL-MS.
Attualmente, in Nord America come terapia di prima linea di queste forme vengono utilizzati la citarabina, VP-16 o la cladribina in monochemioterapia, mentre in Europa viene preferita lāassociazione VBL+PDN (Girschikofsky M et al, 2013). Nelle forme con coinvolgimento del SNC, nelle forme ricorrentiĀ e/o particolarmente aggressive ĆØ previsto lāuso della cladribina da sola o in associazione con lāARA-C (Girschikofsky M et al, 2013).
In Italia, nellāambito del gruppo cooperativo GIMEMA, le linee guida diagnostiche e terapeutiche, LCH 2001, modificate nel corso degli anni prevedono una terapia di prima linea diversificata in base allāestensione della malattia e al tipo di organo colpito (Tabella VIII) (Giona F et al, 2002b). In particolare, lāassociazione VBL+PDN viene utilizzata nella ICL-SS non ossea e nella ICL-MS viscerale (comprese le localizzazioni polmonari nodulari) con o senza compromissione ossea.Ā Il PDN a basso dosaggio ĆØ previsto nelle forme polmonari honey combing; lāindometacina viene utilizzata nelle forme ossee e la cladribina in monochemioterapiaĀ nelle forme SNC e in quelle aggressive. Nella Tabella VIII ĆØ schematizzato lāapproccio terapeutico attualmente in uso. Nei casi con coinvolgimento di particolari organi o tessuti ĆØ previsto un approccio combinato con altri specialisti (in particolare lo pneumologo, lāodontoiatra, il chirurgo maxillo-facciale, il dermatologo e lāendocrinologo).
Tabella VIII: Strategia terapeutica secondo linee guida LCH 2001 modificate per i pazienti di etĆ >18 anni alla diagnosi.
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L’imatinib mesilato, un potente inibitore competitivo delle tirosin kinasi associate ad ABL, ARG, KIT, PDGFRA e PDGFRB (platelet derived growth factor receptor beta), si ĆØ dimostrato in grado di inibire la differenziazione dei progenitori CD34+ a cellule dendritiche (Appel S et al, 2004). Sulla base di queste evidenze, ĆØ stato testato in casi di ICL-MS con compromissione cerebrale e polmonare refrattari alla terapia convenzionale, con risultati non soddisfacenti (Montella L et al, 2004; Wagner C et al, 2009; Janku F et al, 2010).
I recenti progressi nella comprensione della patogenesi dellāICL, ed in particolare la scoperta delle mutazioni di A/BRAF e MAP2K1, hanno posto le basi per lāimpiego di terapie target nei pazienti con ICL.
Il primo farmaco utilizzato ĆØ stato un inibitore di BRAF-V600E, il vemurafenib, giĆ efficace nei melanomi BRAF-V600E mutati (REF) e nella leucemia a cellule capellute (Tiacci E et al, 2011). Il vemurafenib impiegato in 4 pazienti con ICL e concomitante malattia di Erdheim Chester ha dato una risposta sostenuta (range, 10-16 mesi) anche se gravataĀ da complicanze, soprattutto cutanee, a breve e lungo termine (Haroche J et al, 2015). Sono stati segnalati altri 2 casi di pazienti adulti con IC refrattaria, trattati con successo con vemurafenib (Charles J et al, 2014; Bubolz AM et al, 2014). Per quanto riguarda lāesperienza in etĆ pediatrica, sono stati segnalati casi sporadici di bambini trattati e rispondenti al vemurafenib (una bambina di 2 mesi con ICL-MS refrattaria e un bimbo di 3 anni con ICL neurodegenerativa) (HĆ©ritier S et al, 2015; Donadieu J et al, 2014).
Un altro inibitore di prima generazione di BRAF, il dabrafenib, ĆØ attualmente utilizzato in uno studio di fase I/II in bambini con neoplasie, tra cui lāICL, in cui ĆØ presente la mutazione BRAF-V600E. I dati preliminari di questo studio riportano una risposta stabile in un ragazzo con ICL refrattaria (Kieran MW et al, 2014).
Numerosi studi hanno dimostrato che non tutte le neoplasie con mutazioni di BRAF-V600E rispondono in maniera simile agli inibitori di BRAF, poichĆ© alcune varianti delle mutazioni di MAP2K1 sembrano mostrare una resistenza all’inibizione della via MEK. Risultati poco incoraggianti sono stati riportati con un inibitore pan-AKT, lāafuresertib, in pazienti con ICl sia di nuova diagnosi che refrattari (Arceci RJ et al, 2016). Una potenziale alternativa terapeutica potrebbe essere un inibitore di MEK, il trametinib (Flaherty KT et al, 2012). Schemi di combinazione di farmaci, come la combinazione di inibitori di BRAF e di ERK, o l’associazione di inibitori BRAF/MEK e chemioterapia, potrebbero essere unāalternativa efficacie nel prevenire lo sviluppo di resistenze e potrebbe risultare meno tossico e/o cancerogeno (Abla O et al, 2015).
Recentemente, sono stati confermati i risultati incoraggianti con la terapia metromomica biomodulatoria (Reichle A et al, 2005) utilizzando basse dosi di trofosfamide, pioglitazone, etoricoxib e base dosi di desametazone in pazienti pluritrattati e refrattari ai trattamenti (Heudobler D et al, 2016)
LāICL può causare complicanze acute e/o sequele permanenti a carico degli organi colpiti e/o di quelli contigui. Una volta instaurato, il danno può essere irreversibile, come nel caso delle lesioni ipofisarie. In uno studio retrospettivo su 124 bambini con coinvolgimento osseo allāesordio, il 29% presentava una o più sequele permanenti (DI, problematiche estetiche e/o ortopediche), soprattutto quelli con la forma MS (Lau LM et al, 2008).
Una complicanza tardiva molto particolare e rarissima (1%) ĆØ rappresentata dalle lesioni neurodegenerative a carico del SNC, che compaiono indipendentemente dalla presenza di malattia attiva e non sono responsive al trattamento. Sono state riportate soprattutto nei pazienti con DI (circa il 95% dei casi clinici con sindrome neurodegenerative hanno il DI) ed in quelli con il coinvolgimento delle ossa del volto o della base cranica. Clinicamente, si manifesta con deterioramento progressivo della coordinazione motoria con atassia e deficit dei nervi cranici. La patofisiologia della forma neurodegenerativa associata alla ICL ĆØ ancora poco conosciuta, ma si ĆØ ipotizzato che sia una reazione alla ICL su base autoimmune o infiammatoria (Grois N et al, 2005).
L’associazione tra ICL con una varietĆ di diverse neoplasie ĆØ stata riportata sia nei bambini che negli adulti con ICL ed ĆØ stata dimostrata essere superiore al previsto. LāICL può precedere, intercorrere o essere secondaria allo sviluppo di una neoplasia. Le neoplasie più frequentemente associate sono i linfomi (Hodgkin e non-Hodgkin), le leucemie (linfoidi e mieloidi) ed il carcinoma polmonare (Egeler RM et al, 1993). Dall’ultimo update del LCH-Malignancy Study Group dellāHistiocyte Society, il 28% delle neoplasie sono risultate sincroni (Egeler RM et al, 1998). Sono stati riportati casi sporadici di associazione sincrona tra ICL e retinoblastoma, adenocarcinoma gastrico, neuroblastoma, carcinoma papillifero tiroideo, carcinoma della lingua, basalioma, mesotelioma e nefroblastoma. Sono stati segnalati casi di sviluppo di ICL prima, durante o dopo la diagnosi di leucemia (linfoide o mieloide) (Egeler RM et al, 1993).
La patogenesi dell’associazione tra ICL e neoplasie rimane ancora poco conosciuta. Eā stato ipotizzato che lo sviluppo di ICL in pazienti con neoplasie contemporanee o precedenti allo sviluppo di ICL possa esse dovuto a interazioni cellulari distinte ed a specifici pattern di segnale prodotti nel microambiente lesionale (PimentelĀ A et al, 2011).
Sono dovuti passare oltre 2400 anni dalla prima descrizione di un presunto caso di istiocitosi da parte di Ippocrate per capire alcuni dei meccanismi patogenetici alla base della malattia. La maggior parte degli eventi che hanno influito sulle conoscenze di questa malattia si sono concentrati, a partire dalla descrizione nel 1800 del primo bambino con lesioni litiche alla teca cranica, negli ultimi decenni (Figura XXIV).
Figura XXIV: Sequenza dei maggiori eventi nella storia dellā ICL, a partire dalla primo caso descritto e pubblicato da Thomas Smith nel 1800Ā (Zinn DJ et al, 2016a).
Lo sviluppo delle tecniche di biologia molecolare, che ha portato allāidentificazione di mutazioni somatiche attivanti il pathway MAPK e alla caratterizzazione del profilo genomico della CL dellāICL, ha permesso la definizione di un modello patogenetico dellāICL in cui ĆØ coinvolta una Ā cellula dendritica di derivazione mieloide āfuorviataā (Figura XXV).
Figura XXV: Meccanismo patogenetico dellāICL secondo il modello della cellula dendritica mieloide āfuorviataā (Zinn DJ et al, 2016a).
Lāidentificazione di mutazioni a diversi livelli del pathway MAPK ĆØ stato ed ĆØ un elemento importante non solo per la conoscenza dei meccanismi patogenetici ma anche per lo sviluppo diĀ inibitori specifici, potenzialmente utili per il trattamento (Figura XXVI).
Figura XXVI: Mutazioni specifiche finora riportate nellāICL con il loro potenziale di attivazione e gli eventuali inibitori farmacologi (Zinn DJ et al, 2016a).
Solo un approccio terapeutico al paziente con ICL simile a quello per i pazienti con neoplasia che preveda lāutilizzo di studi cooperativi prospettici clinici e biologici integrati potrĆ continuare a migliorare lāoutcome di bambini e adulti affetti da ICL.
Dirigente medico di 1° livello, presso lāEmatologia - Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia - UniversitĆ āSapienzaā Roma
Ematologia, "Sapienza" UniversitĆ di Roma
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