Nel corso delle malattie mieloproliferative, alcune condizioni cliniche particolari sono di grande rilevanza per la loro complessità e per la qualità di vita dei pazienti, ma la loro bassa incidenza non ha portato a studi conclusivi per sostenere sicure raccomandazioni diagnostiche e terapeutiche.
Gravidanza
Come sottolineato dalle recenti raccomandazione dell’European LeukemiaNet (Barbui T 2011) queste pazienti devono essere gestite da un team multidisciplinare, che comprenda ematologi e ostetrici.
Si raccomanda di sospendere qualsiasi farmaco possibilmente teratogenico, almeno tre mesi prima del concepimento e, a seconda dei rischi vascolari della madre e di quelli che insorgono durante la gravidanza, le opzioni terapeutiche variano dalla sola aspirina all’eparina a basso peso molecolare (LMWH) alla terapia citoriduttiva.
Secondo gli esperti dell’European LeukemiaNet, le raccomandazioni (Tabella I) sono che tutte le pazienti con ET e PV devono essere trattate con aspirina (100 mg/die) per tutta la durata della gravidanza e per almeno 6 settimane dopo il parto.
Tabella I: Come trattare la gravidanza nella Trombocitemia Essenziale
L’utilizzo di LMWH è considerato sicuro e il sanguinamento è raro, ma si deve fare molta attenzione a questo riguardo allorquando le piastrine superano il valore di 1,5 milioni per 109/L, situazione che spesso si associa a emorragie spontanee. La somministrazione di LMWH è indicata per la profilassi ed il trattamento di trombosi venose profonde e per ridurre la mortalità fetale, in donne con gravidanze ad alto rischio.
Talora, è necessario combinare LMWH e basse dosi di aspirina, ove si intenda aumentare l’efficacia della terapia antitrombotica in alcune situazioni a rischio particolarmente alto. Anche la somministrazione di LMWH deve essere continuata per almeno 6 settimane dopo il parto.
L’impiego di farmaci citoriduttivi è una area molto controversa. Si deve considerare che, durante la gravidanza, l’ematocrito e la trombocitosi tendono a correggersi e questo potrebbe ridurre il bisogno di salassi e di farmaci citoriduttivi.
Secondo le linee guida italiane e secondo il consenso di esperti, candidate a farmaci citoriduttivi sono le donne che hanno presentato in precedenza episodi di trombosi maggiore, che hanno concomitanti fattori di rischio cardiovascolare quali diabete, ipertensione mal controllata, fumo, obesità o emorragie, o quando vi è una chiara storia familiare di trombosi. In questi casi, il farmaco da preferire è l’interferon alfa. Si deve tener conto che idrossiurea, busulfano e anagrelide sono farmaci da evitare per le loro potenzialità teratogene, particolarmente durante il primo trimestre di gravidanza.
Bambini
Le malattie mieloproliferative sono rare nei bambini di età inferiore a 18 anni. La più frequente è la ET.
I criteri diagnostici sono gli stessi che negli adulti, ma si raccomanda uno screening familiare, per differenziare le forme di ET JAK2V617F-negative, da disordini rari, dovuti a mutazioni del gene della trombopoietina o del suo recettore MPL. Anche nei casi di eritrocitosi JAK2- ed esone 12-negativi, viene suggerito di ricercare eventuali mutazioni del recettore dell’eritropoietina.
Solo nei casi di ripetuti episodi di trombosi nella famiglia, può essere utile fare uno screening di fattori trombofilici quali antitrombina III, proteina C, proteina S, mutazioni del fattore II e fattore V Leiden.
Per quanto riguarda la terapia si deve considerare che i bambini sono a basso rischio vascolare e, pertanto, la terapia citoriduttiva deve essere considerata in casi estremamente selezionati.
Le linee guida inglesi suggeriscono idrossiurea per controllare i sintomi, anche se altri farmaci, quali anagrelide e interferon, potrebbero essere indicati. L’anagrelide, peraltro, non è un farmaco di prima linea per il trattamento della ET in Europa. L’uso di aspirina deve essere considerato con cautela, dato il rischio di sindrome di Reyes.
Trombosi splancniche
Le trombosi delle vene addominali comprendono l’occlusione della vena porta, delle vene sovraepatiche (sindrome di Budd Chiari) e delle vene mesenteriche e si incontrano in maniera caratteristica nelle malattie mieloproliferative.
La diagnosi di malattia mieloproliferativa può essere difficile, perché la contemporanea splenomegalia, il sanguinamento gastrointestinale o l’emodiluizione possono mascherare le anomalie ematologiche.
La determinazione della mutazione JAK2V617 è di grande aiuto diagnostico e viene trovata in circa il 45% dei pazienti con sindrome di Budd Chiari e nel 34% dei casi con trombosi della vena porta.
La terapia è rappresentata dalla somministrazione di eparina, nonostante l’alto rischio di sanguinamento, seguita da anticoagulazione orale con warfarin per lunghi periodi, se non per tutta la vita.
Nella sindrome di Budd Chiari si devono considerare anche altre procedure quali lo shunt transgiugulare intraepatico portosistemico, angioplastica e in casi particolari anche il trapianto di fegato. Per i pazienti che, nonostante l’ipersplenismo, hanno un numero di piastrine superiore a 400.000 per 109/L, è indicata la terapia citoriduttiva con idrossiurea.
Chirurgia
I pazienti con malattie mieloproliferative hanno un rischio aumentato di complicazioni emostatiche e di mortalità, quando vengono sottoposti a procedure chirurgiche.
Gli studi al riguardo sono molto limitati e viene raccomandato un appropriato controllo dell’ematocrito e delle piastrine, con salassi o terapia mielosoppressiva.
Il numero delle piastrine deve essere tenuto sotto le 400.000 per 109/L, particolarmente quando si pianifica la splenectomia, che può comportare trombocitosi estrema, con rischio di emorragie.
L’aspirina dovrebbe essere sospesa almeno 1 settimana prima della chirurgia elettiva, specie in alcuni interventi di neurochirurgia, nei quali anche un sanguinamento minore può portare a danni permanenti. In tutti i pazienti una dose profillattica di LMWH (4000 u/sc) è indicata per ridurre i rischi di trombosi post-operatorie.
Direttore Scientifico Fondazione per la Ricerca (FROM), Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo.
Dal 1981al 2005, Primario della Divisione di Ematologia, Ospedali Riuniti di Bergamo, che ha fondato nel 1981. Dal 1998 al 2008 Responsabile del Dipartimento Onco-ematologico degli Ospedali Riuniti di Bergamo.
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