Nuovi target e nuove terapie per il paziente affetto da mieloma multiplo recidivato e refrattario: belantamab-mafodotin

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Belantamab-mafodotin, anticorpo monoclonale IgG1-k umanizzato coniugato con l’agente citotossico monometil-auristatina-F (MMAF) e diretto contro l’antigene di maturazione B linfocitaria (BCMA), ha ricevuto dalla European Medicine Agency (EMA) e dalla Food and Drug Administration (FDA) americana l’approvazione per utilizzo come trattamento antineoplastico nei pazienti con mieloma multiplo recidivato e refrattario (RRMM). In Europa, belantamab-mafodotin ha ricevuto un’approvazione condizionata per pazienti con RRMM che abbiano ricevuto in precedenza almeno 4 linee terapeutiche, che abbiano fallito almeno un inibitore del proteasoma (PI), un immunomodulante (IMiD) e un anticorpo monoclonale anti-CD38, e che siano risultati refrattari all’ultima linea di trattamento.

 

L’ampio utilizzo di PI e IMiD alla diagnosi e alla recidiva, così come il progressivo scivolamento in avanti degli anticorpi monoclonali anti-CD38 (daratumumab e isatuximab) dapprima in triplette per il paziente in recidiva e ora in combinazione con IMiD e PI a formare triplette e quadruplette per il paziente di nuova diagnosi, da un lato permette di raggiungere tassi e profondità di risposte senza precedenti, con sopravvivenze libere da progressione (PFS) sempre più lunghe, ma dall’altro pone il problema di come trattare i pazienti che risultano refrattari a tali farmaci e combinazioni. Tali pazienti, definiti “triple-class refractory”, non solo sono sempre più numerosi, ma acquisiscono questo status sempre più precocemente dato l’esteso impiego di IMiD, PI e anticorpi monoclonali nelle prime due linee di terapia.

 

Belantamab-mafodotin, parte della famiglia degli anticorpi monoclonali coniugati (antibody-drug conjugate, ADC), è costituito da un anticorpo monoclonale IgG-k diretto contro il BCMA, antigene di superficie altamente espresso dalle plasmacellule monoclonali meilomatose, e coniugato con la MMAF, agente citotossico inibitore dei microtubuli responsabile dell’arresto del ciclo cellulare e infine della morte della cellula stessa. L’associazione di queste due molecole, anticorpo e MMAF, permette all’anticorpo di traghettare l’agente citotossico direttamente all’interno della cellula target, riducendo significativamente gli effetti off-target e di conseguenza la tossicità del farmaco. Belantamab-mafodotin non possiede unicamente un’attività citotossica diretta correlata alla MMAF, ma agisce anche attraverso il sistema immunitario circostante potenziando i meccanismi di “antibody dependent cellular cytotoxicity” (ADCC) e “antibody dependent cellular phagocytosis (ADCP).

 

Lo studio che ha condotto all’approvazione di belantamab-mafodotin da parte di EMA e FDA è lo studio di fase II DREAMM-2 (Lonial S, 2020) nel quale 221 pazienti affetti da RRMM hanno ricevuto due differenti dosi di belantamab e.v. (2,5 mg/kg o 3,4 mg/kg) in cicli di 21 giorni, definite sulla base dei risultati ottenuti nello studio di fase I pubblicato da Trudel S. et al. (DREAMM-1) (Trudel S, 2018). I pazienti arruolati nello studio erano pesantemente pretrattati (mediana di 6-7 linee di terapie precedenti) e la maggior parte di essi refrattari a PI, IMiD e anticorpi monoclonali anti-CD38.

Un terzo circa dei pazienti trattati ha ottenuto almeno una risposta parziale in seguito alla somministrazione di belantamab-mafodotin alle due dosi testate (overall response rate, OSS 31% alla dose di 2,5 mg/kg vs 34% alla dose di 3,4 mg/kg), con un tasso di risposte parziali molto buone (VGPR) sovrapponibili nei due bracci (19% vs 20%).

Alla dose di 2,5 mg/kg, ossia quella scelta dagli autori e approvata dagli enti regolatori sulla base dei dati di efficacia e sicurezza prodotti nello studio, la PFS mediana è risultata pari a 2,9 mesi, mentre le risposte ottenute sono apparse durature (durata mediana della risposta 11 mesi).

Le principali tossicità di belantamab-mafodotin sono la cheratopatia e la piastrinopenia, i cui eventi avversi severi, ossia di grado 3-4, si sono verificati nel 27% e 20% dei pazienti trattati alla dose di 2,5 mg/kg.

La tossicità oculare in particolare, è un effetto collaterale peculiare di belantamab-mafodotin, che ha condotto ad una riduzione del dosaggio del farmaco nel 23% dei pazienti, ma soltanto nell’1% dei casi si è tradotto in una definitiva interruzione della somministrazione del farmaco. Nonostante il breve follow-up dello studio al momento della pubblicazione, un terzo degli eventi oculari si era risolto con l’interruzione del trattamento, ad indicare come la temporanea sospensione e l’eventuale riduzione di dose alla ripresa rappresenti una possibile strategia nella gestione di tali eventi avversi, assieme al monitoraggio oftalmologico clinico-strumentale. Le reazioni infusionali invece, principalmente verificatesi durante la prima infusione del farmaco e di grado lieve, sono state descritte in una minoranza dei pazienti (21%).

 

Belantamab-mafodotin rappresenta quindi una nuova opzione terapeutica per i pazienti con MM definito “triple-class refractory”, popolazione orfana di efficaci opzioni terapeutiche, dotata di meccanismo d’azione e target differenti da quelli di tutti gli altri farmaci approvati sino ad ora in Europa.

 

Sono in corso diversi studi in cui belantamab-mafodotin è oggetto di studio sia come agente singolo (DREAMM-3, belantamab-mafodotin vs pomalidomide-desametasone) sia come in combinazione con bortezomib-desametasone (Vd) (DREAMM-7, belantamab-mafodotin-Vd vs daratumumab-Vd) e pomalidomide-desametasone (Pd) (DREAMM-8, belantamab-mafodotin-Pd vs bortezomib-Pd).

 

 

Bibliografia:

 

  • Lonial S, Lee HC, Badros A et al. Belantamab mafodotin for relapsed or refractory multiple myeloma (DREAMM-2): A two-arm, randomised, open-label, phase 2 study. Lancet Oncol 2020;21: 207–221.

 

  • Trudel S, Lendvai N, Popat R et al. Targeting B-cell maturation antigen with GSK2857916 antibody-drug conjugate in relapsed or refractory multiple myeloma (BMA117159): A dose escalation and expansion phase 1 trial. Lancet Oncol 2018;19:1641–1653.

 

 

 

 

A cura di:

Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

Roberto Mina
Roberto Mina
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
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