Nei pazienti con leucemia acuta mieloide (LAM) all’esordio l’aggiunta di basse dosi frazionate di gemtuzumab ozogamicin alla chemioterapia standard è in grado di indurre un miglioramento significativo della prognosi senza provocare una eccessiva tossicità. Uno studio multicentrico randomizzato di fase 3 (Castaigne S et al. Lancet, 2012, 379:1508-16) è stato condotto allo scopo di chiarire l’efficacia dell’anticorpo coniugato anti-CD33 nei pazienti adulti (età compresa fra 50 e 70 anni) affetti da LAM, utilizzando uno schema che prevedeva il trattamento chemioterapico standard (daunorubicina e Ara-C, 3 + 7) con o senza l’aggiunta di 5 dosi di gemtuzumab (3 mg/mq nei giorni 1, 4 e 7 durante l’induzione e al giorno 1 di ognuno dei due cicli di consolidamento).
Su un totale di 278 pazienti randomizzati e inclusi nell’analisi, le risposte complete sono state paragonabili dei due gruppi (75% nel braccio di controllo verso 81% nel braccio gemtuzumab). Tuttavia, la EFS a 2 anni (17,1% verso 40,8%; p = 0,0003), la OS (41,9% verso 53,2%; p = 0,0368) e la RFS (22,7% verso 50,3%; p = 0,0003) sono risultate significativamente superiori nei pazienti riceventi gemtuzumab. Per quanto riguarda la tossicità ematologica, rappresentata principalmente da trombocitopenia persistente, essa è stata più frequente nei pazienti inseriti nel braccio gemtuzumab (22% verso 4% nel gruppo di controllo), senza però un aumento della mortalità per tossicità.
L’introduzione di gemtuzumab ozogamicin nel trattamento della LAM è stata accompagnata da risultati contrastanti, dovuti principalmente alla tossicità ematologica del farmaco e alla frequente tossicità epatica (VOD). In questo studio si è scelta una differente strategia di somministrazione dell’anticorpo, con dosi più basse (3 mg/mq invece di 6 o 9 mg/mq) ma ripetute di gentuzumab, così da raggiungere un dosaggio cumulativo maggiore ma gravato da minore tossicità. I risultati dimostrano come tale regime presenti la piastrinopenia persistente come principale evento avverso e permetta un miglioramento significativo degli indici di sopravvivenza. Come sottolineato dagli autori della ricerca, «il beneficio associato alla somministrazione di gemtuzumab non era evidente nei pazienti con profilo di rischio citogenetico sfavorevole e risultava più marcato in quelli con citogenetica favorevole o intermedia e nei casi FLT3-ITD-positivi».
Fonte: The Lancet
PubMed Link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22482940
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