A cura di: Sara Grammatico, Antonella Vitale, Robin Foà
Il blinatumomab (AMG 103; AMGEN, UK) appartiene a una famiglia di anticorpi bispecifici coinvolgenti le cellule T chiamati BiTE® (Bispecific T-cell Engager); esso deriva dalla fusione di due regioni variabili presenti in due anticorpi monoclonali a singola catena, diretti contro il CD19 ed il CD3, e legati da una catena a cinque amminoacidi non immunogenica.
L’antigene CD19 è espresso sulle cellule neoplastiche (mature e immature) della linea linfoide B ed attiva numerose vie di segnale (Syk, fosfatifdilinositolo-3 kinasi e fosfolipasi-Cγ 2), stimolando la funzione e la differenziazione delle cellule B normali, promuovendo la leucemogenesi e la capacità di auto-rinnovamento delle cellule neoplastiche (Baracho GV et al, 2011; Raponi S et al, 2011; Kong Y, et al, 2008). Di conseguenza, il CD19 sembra essere un target ideale da poter utilizzare per il trattamento delle leucemie acute linfoidi (LAL).
La struttura del blinatumomab permette un alto grado di flessibilità, consentendo di legarsi contemporaneamente ai due epitopi presenti sulla superficie di due diverse cellule (Nagorsen D et al, 2012). L’anticorpo si lega da una parte, tramite il CD3, alle cellule T, che vengono attivate, e dall’altra alle cellule B che esprimono il CD19, inducendo una citotossicità perforino-mediata. In esperimenti in cui vengono messe in cocoltura cellule T e cellule B, il blinatumomab provoca una elevata attività di lisi mediata da cellule CD8+, CD4+, cellule effettrici della memoria α β, γ δ e cellule della memoria centrale, senza richiedere attivazione, espansione o agenti costimolatori. La lisi cellulare coinvolge una serie di proteine citotossiche, come la perforina, e vari granzimi, che normalmente sono contenuti in vescicole secretorie delle cellule T citotossiche e che vengono rilasciati quando l’anticorpo BiTE® forma una sinapsi tra la cellula T e la cellula target (Haas C et al, 2009). L’attività citotossica T mediata è indipendente dalla presenza del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I, che spesso è deregolato nelle cellule tumorali (Portell CA et al, 2013). Durante le prime ore di infusione, si osserva una rapida diminuzione delle cellule T, dovuta ad un fenomeno di ridistribuzione di queste cellule che aderiscono all’endotelio vasale; inoltre, il rilascio di citochine causa un rapido incremento ed una stimolazione delle stesse cellule T. D’altro canto, le cellule B vanno rapidamente incontro a fenomeni di apoptosi fino alla loro scomparsa in circa 2 giorni, scomparsa che si mantiene per l’intera durata di infusione dell’anticorpo (Portell CA et al, 2013; Klinger M et al, 2012; Bargou R et al, 2008).
I primi studi riguardanti l’utilizzo di blinatumomab nell’uomo sono stati eseguiti su pazienti con linfoma non-Hodgkin (LNH) refrattari o recidivati, in particolare linfoma indolente, mantellare e a grandi cellule B. Con una dose di 60 µg/m2/d, somministrata in infusione continua, 18 pazienti su 22 valutabili (82%) hanno ottenuto una risposta (Bargou R et al, 2008; Goebeler M, 2011).
In considerazione dei buoni risultati ottenuti nei LNH, il blinatumomab è stato anche testato nei pazienti con LAL-B. Topp et al (Topp MS et al, 2011; Topp MS et al, 2012) hanno riportato l’esperienza di uno studio di fase 2 in pazienti con malattia minima residua (MMR) persistente o in incremento. Ventuno pazienti con persistenza di MMR dopo induzione e consolidamento secondo schema GMALL (15 pazienti con MMR sempre positiva e 5 con recidiva molecolare) sono stati trattati con blinatumomab i.v. in infusione continua per 4 settimane alla dose di 15 µg/m2/d seguito da 2 settimane di pausa. E’ stato possibile valutare 20 pazienti (1 paziente ha interrotto precocemente la somministrazione per crisi convulsive di grado 3 durante il primo ciclo); l’80% dei pazienti (16 su 20) ha ottenuto una negativizzazione della MMR entro 4 cicli, la maggior parte dei quali dopo il primo ciclo. La sopravvivenza libera da malattia (RFS) a 33 mesi è stata del 61% (12 pazienti). Nove pazienti sono stati successivamente sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali (allo-TMO); a 33 mesi, 6 pazienti erano in RC (65% RFS), 2 sono recidivati ed 1 è morto per graft-versus-host disease (GVHD). Degli 11 pazienti non sottoposti ad allo-TMO, 6 hanno mantenuto la RC (RFS del 60% a 31 mesi), 4 hanno avuto una recidiva (2 extramidollari e 2 con sviluppo di una popolazione blastica CD19-) e 1 ha ritirato il consenso. E’ interessante notare che tra questi 11 pazienti ve ne erano 4 con LAL Philadelphia positiva (Ph+); 2 pazienti trattati successivamente con un inibitore delle tirosin-kinasi (TKI) hanno mantenuto la RC mentre 2, senza successiva terapia con TKI, sono andati incontro a recidiva.
Il gruppo tedesco ha valutato l’efficacia del blinatumomab con uno studio di fase 2 anche in 36 pazienti con LAL-B refrattari o recidivati (Topp MS et al, 2012b). Lo studio, che prevedeva una dose escalation, ha considerato come ottimale una dose iniziale di 5 µg/m2/d nella prima settimana di trattamento, per evitare una sindrome da rilascio di citochine ed effetti sul SNC durante la fase iniziale per eccessiva lisi tumorale data l’elevata massa di malattia. Il restante trattamento prevedeva una dose di 15 µg/m2/d. Ventisei dei 36 pazienti (72%) hanno ottenuto una RC, e 13 di essi sono stati avviati ad allo-TMO: 12 hanno ottenuto una RC persistente, 1 ha avuto una recidiva con una popolazione blastica CD19-. Tra i 13 pazienti non sottoposti ad allo-TMO, 8 (61,5%) hanno presentato una recidiva (2 con blasti CD19-). La sopravvivenza mediana globale è stata di 9,8 mesi, e di 14,1 mesi nei rispondenti.
Il blinatumomab è stato anche utilizzato in 3 pazienti pediatrici in recidiva dopo allo-TMO. Essi hanno ottenuto una rapida negativizzazione della MMR, anche se la risposta è stata persistente solo in 1 caso. In tutti i pazienti, si è osservata un’espansione dei linfociti T del donatore, senza GVHD (Handgretinger R et al, 2011). Attualmente è in corso uno studio di fase I/II per pazienti pediatrici recidivati/refrattari. Anche in questa popolazione di pazienti la dose massima tollerata è stata stabilita a 15 µg/m2/d, partendo da una dose iniziale di 5 µg/m2/d per ridurre la sindrome da rilascio di citochine. Ad oggi, sono stati riportati i risultati su 34 pazienti, con una overall response rate del 41% (Zugmaier G et al, 2013).
Gli effetti collaterali che si osservano durante l’infusione di blinatumomab possono essere diversi; tra questi una sindrome da rilascio di citochine, in genere caratterizzata da febbre, brividi, ipotensione e dispnea, e dovuta alla rapida eliminazione delle cellule B da parte delle cellule T citotossiche durante le fasi iniziali del trattamento (una premedicazione con steroidi può ridurre la sintomatologia). In gran parte dei pazienti è possibile notare una leucopenia ed una ipogammaglobulinemia, con conseguente aumento del rischio di infezioni, probabilmente causate dalla deplezione delle cellule B e la ridistribuzione ed attivazione delle cellule T. Inoltre, nel 15-20% dei pazienti sono stati riportati effetti sul sistema nervoso centrale (SNC), come encefalopatia, atassia, tremori, convulsioni, disorientamento, confusione e disturbi del linguaggio. Tali sintomi possono essere anche gravi (grado 3 o 4) ma per lo più reversibili con la sospensione temporanea del farmaco. Probabilmente il danno sul SNC è causato da un’irritazione del neuroendotelio indotta dalle cellule T attivate e dal rilascio di citochine. Data la relativa frequenza degli effetti collaterali neurologici è molto importante un adeguato monitoraggio della sintomatologia, con un attento esame obiettivo e dei test che vengono regolarmente somministrati al paziente per valutare le variazioni dello status neurologico. Inoltre, è opportuno eseguire una profilassi anticonvulsivante per ridurre l’insorgenza di tali effetti. E’ da sottolineare che i pazienti con infiltrazione leucemica del SNC o anamnesi positiva per patologie neurologiche rilevanti (epilessia, paresi, afasia, demenza, morbo di Parkinson, psicosi, encefalopatie, ecc.) non sono candidabili al trattamento con l’inibitore.
Alla luce dei risultati ottenuti nei vari studi sopra riportati, il blinatumomab sembra offrire una terapia assai efficace per tutti i pazienti affetti da LAL-B (anche Ph+), sia per i casi recidivati/refrattari, che per quelli con MMR persistente, ponendosi quindi come uno dei farmaci più promettenti per la cura delle LAL-B (Bassan R et al, 2012). Il prossimo obiettivo è di testare l’efficacia di questo farmaco anche come terapia di prima linea, in sostituzione di trattamenti più tossici. Potrà rispondere a tale quesito lo studio americano (United States Intergroup Trial, E1910) attualmente in corso in pazienti affetti da LAL all’esordio, con età compresa tra i 35 e 70 anni; lo scopo è di confrontare il blinatumomab associato a chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia (Litzow MR, 2013). I pazienti vengono randomizzati a ricevere o meno 2 cicli di blinatumomab dopo una chemioterapia di induzione e stratificati in base alla MMR valutata dopo il primo ciclo di chemioterapia. Coloro che sono stati randomizzati al trattamento con l’anticorpo continueranno la somministrazione alternata alla chemioterapia (Portell CA et al, 2013).
Data la rapida capacità del blinatumomab di ottenere una “clearence” tumorale e la non-cross reattività con la chemioterapia, questo agente può essere considerato una ottima terapia “ponte” per tutti quei pazienti candidati ad un allo-TMO. Inoltre, vista la buona tollerabilità di questo farmaco, anche pazienti anziani o comunque non eleggibili a terapie intensive o allo-TMO potranno beneficiare del suo utilizzo.
Professore Emerito di Ematologia, Università Sapienza, Roma
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