Nell’individuo sano il midollo osseo (MO) contiene una quota di elementi della serie eosinofila compresa tra l’1 e il 6%, mentre nel sangue periferico (SP) il conteggio degli eosinofili è compreso tra 0,05 e 0,5 × 109/l. L’eosinofilia viene definita dalla presenza nel SP di eosinofili in quantità >0,5×109/l. La definizione di ipereosinofilia e di sindrome ipereosinofila si basa sui criteri di Chusid (1975): eosinofili nel SP >0,5×109/l riscontrati per un periodo di almeno sei mesi, in assenza di cause determinanti e in associazione con segni di danno d’organo. Gli stessi criteri sono stati adottati dalla WHO per la diagnosi della leucemia cronica a eosinofili (LCrEo) e della LCrEo-non altrimenti specificata (NOS). Le principali cause di eosinofilia secondaria sono le allergie, le malattie dermatologiche/infettive/reumatiche/respiratorie, alcuni disordini gastrointestinali, alcuni farmaci, le vasculiti, le neoplasie associate a eosinofilia non clonale, la GVHD, la sindrome di Gleich e alcuni disordini del sistema immunitario.
Nella leucemia acuta mieloide (LAM) associata a eosinofilia è necessario adottare un preciso algoritmo diagnostico finalizzato ad un trattamento terapeutico ottimale, differente sulla base della diversa alterazione molecolare. Nella LAM l’eosinofilia nel sangue periferico e nel midollo osseo è in genere determinata da traslocazioni di CFB (presenti in circa il 20% delle LAM dell’adulto), di PDGFR ovvero da altre traslocazioni rare come ETV6-ABL1. Nella classificazione FAB era stata descritta una entità chiamata LMA-Eo associata ad alterazioni del cromosoma 16, come inv(16) o t(16;16). Fino all’edizione del 2008 della Classificazione WHO delle neoplasie ematologiche, le leucemie acute sono state categorizzate secondo la linea di appartenenza in mieloidi o linfoidi. Nel 2008 è stata introdotta una nuova categoria di neoplasie ematologiche caratterizzata dalla presenza di specifiche anomalie genetiche (riarrangiamenti di FGFR1, PDGFA e PDGFB), che determinano l’insorgenza di leucemie acute mieloidi o linfoidi associate ad eosinofilia. Sono anche descritte alcune traslocazioni di PDGFB, tra le quali la più frequente è ETV6-PDGFB, spesso associate a neoplasie mieloproliferative (NMP). Infine, la pronta identificazione di una alterazione di PDGFR è fondamentale per la sensibilità al trattamento con imatinib rispetto alle altre forme (Gotlib J, 2017).
La LAM di per sé causa raramente una eosinofilia secondaria: la clonalità della eosinofilia può essere facilmente sospettata dalla presenza di blasti spesso associata a citopenie, e in questi contesti vanno ricercate le alterazioni sopra riportate. Nei casi di eosinofilia isolata in assenza di cause e in assenza di una importante quota di blasti, si ricercano i criteri diagnostici associati a NMP, per mettere in diagnosi differenziale la LCrEo, o, in presenza di monocitosi sempre in assenza di cause, la leucemia mielomonocitica cronica (LMMCr) con eosinofilia o la leucemia mieloide cronica atipica (LMC-Atip) con eosinofilia. E’ necessario pertanto ricercare anche le alterazioni di JAK2V617, KITD816V, PCM1‐JAK2, BCR‐JAK2, ETV6‐JAK2, ETV6‐ABL1 o ETV6‐FLT3. I pazienti con leucemia granulocitica cronica BCR‐ABL1 possono presentare eosinofilia in fase di progressione o nella crisi blastica. Infine l’eosinofilia può essere una manifestazione della mastocitosi sistemica sia come forma reattiva che clonale (Naymagon L et al, 2019).
BIBLIOGRAFIA
Professore Associato in Ematologia, Università Cattolica del Sacro Cuore. Direttore UOC Emotrasfusione, Direttore Banca Cordone Ombelicale UNICATT, Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS – Roma
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