La cellula di origine della leucemia linfatica cronica (LLC) è un linfocito B che esprime il CD5 e che ha incontrato l’antigene in una reazione che può avvenire all’interno o al di fuori del centro germinativo (CG). Molto spesso gli antigeni riconosciuti dal BCR del linfocito leucemico sono rappresentati da autoantigeni. Tra questi il più studiato è la miosina IIA non muscolare (MyIIA), una proteina che ha un ruolo nella regolazione dell’adesione e della migrazione cellulare e che viene esposta assieme ad altri determinanti antigenici sulla superficie di cellule apoptotiche. La capacità del BCR di alcuni linfociti di riconoscere questa proteina determina uno stato di attivazione, che avviene al di fuori del CG e quindi non avvia il processo di ipermutazione somatica del gene che codifica per la porzione variabile delle catene immunoglobuliniche. La trasformazione di questi linfociti origina una forma di LLC “non mutata” con decorso aggressivo, che utilizza BCR stereotipati VH1-69/D3-16/J3 e rappresenta circa l’1% delle LLC (Chu CC et al, 2010).
Il corrispettivo murino dei linfociti da cui origina la LLC è rappresentato dalle cellule B1a, linfociti B/CD5+ che si sviluppano nella vita fetale grazie alla presenza su queste cellule di BCR in grado di rispondere a molti antigeni ed autoantigeni. Si riteneva che, sulla base della loro polireattività ed attivazione, i linfociti B1a, che persistono in piccola quantità nella vita adulta, fossero propensi a generale cloni leucemici.
Hayakawa e colleghi del Chase Cancer Centre di Philadelphia, in un articolo comparso recentemente su Leukemia, hanno identificato una popolazione di linfociti murini (cellule B1a) con BCR in grado di reagire contro la miosina IIA. Questi linfociti, generati durante la vita fetale e mantenuti nella vita adulta, erano in grado di sviluppare una forma aggressiva di LLC, promossa dall’iperespressione di TCL1 indotta dal transgene Em-TCL1. La selezione del clone leucemico si sviluppava attraverso il vantaggio di alcuni linfociti dotati di specifiche sequenze della complementarity determining region 3 (CDR3) e si associava alla comparsa di una delezione della regione cromosomica corrispondente alla regione 13q14 umana.
Questi esperimenti documentano che la genesi della LLC nel topo può attraversare diverse fasi:
1) generazione di linfociti con BCR in grado di rispondere ad autoantigeni o dotati di BCR “polireattivi”, con selezione ristretta (biased) di alcune famiglie di BCR durante la vita fetale. Tra i vari autoantigeni la MyIIA è quello meglio caratterizzato;
2) l’automantenimento di questa popolazione di linfociti, fenomeno che comporta un’ulteriore selezione di BCR con determinati CDR3;
3) sviluppo di lesioni genetiche (13q-), che si sovraimpongono in questo contesto, conferendo un vantaggio al clone emergente.
Questi dati confermano il crescente interesse della comunità scientifica per il ruolo del BCR e della stimolazione antigenica nella patogenesi della LLC. Il BCR nel linfocito leucemico può generare in via autonoma segnali di attivazione intracellulare (Dühren-von Minden M et al, 2012) e, stimolato da (auto)antigeni (ed es. MYIIA), genera le condizioni per lo sviluppo di lesioni genetiche che aumentano la “fitness” del clone favorendone l’espansione (Landau DA et al, 2015).
Durante una lunga fase della storia naturale della LLC (prima progressione, ricaduta, fase refrattaria agli agenti chemioterapici) gli inibitori del signaling intracellulare del BCR (ibrutinib o idelalisib) esercitano un’azione terapeutica di straordinaria efficacia nonostante la presenza di numerose e ben documentate lesioni citogenetico-molecolari aventi significato prognostico con i comuni regimi chemio-immunoterapici (Rigolin GM et al, 2015).
Fonte:
BIBLIOGRAFIA
Professore Ordinario di Ematologia, Università degli Studi di Ferrara
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