Trombosi e piastrinopenia immune primaria

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Nei recenti studi registrativi e negli studi di estensione sull’efficacia e la sicurezza dell’impiego degli agonisti del recettore della trombopoietina (thrombopoietin-receptor agonists, TPO-ra) – romiplostim ed eltrombopag – nella forma primaria di piastrinopenia immune (ITP) sono stati segnalati eventi tromboembolici venosi ed arteriosi nel 5-6% dei casi trattati. Questo tasso grezzo è spesso considerato sovrapponibile per entità a quello osservabile nei pazienti con ITP cronica, suggerendo l’ipotesi che vi sia un aumentato tasso di eventi tromboembolici in questa patologia, nonostante la piastrinopenia. Su questa premessa, negli ultimi anni sono stati condotti molti studi soprattutto di coorte e di popolazione nei pazienti con ITP per meglio valutare la presenza e l’entità del rischio. Del resto, un aumentato rischio di eventi trombotici (ET) è stato osservato anche in altre malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso sistemico, la malattia infiammatoria intestinale e la sindrome di Behçet (Zoller et al, 2012a).

In questo approfondimento verrà dato conto dei risultati di questi studi e discussa la necessità di ulteriori approfondimenti.

 

STUDI DI POPOLAZIONE

Questi studi sono stati condotti analizzando database elettronici dei diversi servizi sanitari nazionali contenenti informazioni sui singoli pazienti.

Un recente studio condotto su dati sanitari della popolazione svedese (Zoller et al, 2012b) registrati dal 1964 al 2008 ha dimostrato un aumentato rischio di embolia polmonare nei primi 12 mesi successivi a ricovero ospedaliero per malattia autoimmune; il rischio era particolarmente elevato per pazienti con diagnosi di ITP  (ratio di incidenza standardizzato rispetto a quello atteso nella popolazione generale: 10.7, 95% CI 7.9-14.2).

Sempre recentemente, altri studi (Norgaard et al, 2012; Severinsen et al, 2010) hanno stimato il rischio di ET in una coorte di pazienti con diagnosi di ITP cronica (ovvero con almeno due diagnosi ospedaliere di ITP in un arco di tempo superiore a 6 mesi di osservazione), individuata all’interno del Registro Nazionale Danese dei Pazienti, confrontandolo con quello della popolazione generale (dati estratti dal Civil Registration System) aggiustandolo per sesso, età (inferiore e superiore a 60 anni) e comorbidità (presente o assente). Il sistema di registrazione nosografica danese facilita questo tipo di studi, in quanto fin dal 1977 riporta la codifica delle diagnosi ospedaliere di ingresso dei residenti. Dal 1995 sono state registrate anche le diagnosi dei pazienti ambulatoriali.  In 379 pazienti con ITP cronica (età mediana 53 anni, 240 [63%] di sesso femminile) senza precedenti trombotici, erano stati codificati 29 episodi di trombosi arteriosa (tipo non specificato) durante un follow-up totale di 2.551 anni/paziente  (ratio degli eventi incidenti: 11.3, 95% CI 7.9-16.3 per 1.000 pazienti/anno); nella coorte di comparazione (3.790 soggetti) erano codificati 254 eventi di trombosi arteriosa durante un follow-up di 27.902 anni/paziente, per una incidenza di 9.1 (95% CI 8.0-10.2). Il rapporto dei due tassi (aggiustato per sesso, età e comorbidità e stimato con regressione di Cox) era pari a 1.32 (95% CI 0.88-1.98), pertanto statisticamente non significativo. Nelle medesime popolazioni veniva condotto uno studio per stimare la frequenza degli episodi di trombosi venosa profonda: gli eventi incidenti nei pazienti erano 10/391 durante una osservazione totale di 1.879 anni/paziente (ratio 5.3, 95% CI 2.86-9.8 per 1.000 pazienti/anno) rispetto a 33/3.128 soggetti sani in un follow-up di 16.196 anni/paziente (ratio 2.0, 95% CI 1.45-2.87) per 1.000 pazienti/anno, differenza appena significativa (rapporto tra tassi: 2.65, 95% CI 1.27-5.50). Gli stessi registri sono stati utilizzati per  uno studio inteso a confrontare il rischio di trombosi venosa profonda in pazienti splenectomizzati per varie indicazioni,  con quello della popolazione generale e di una coorte di pazienti sottoposti ad appendicectomia (Thomsen et al, 2010). All’interno di un ampio gruppo di soggetti splenectomizzati (3821), 269 avevano eseguito l’intervento per una diagnosi di ITP; il rischio di ET – escludendo gli eventi occorsi nei primi dodici mesi che non vengono riportati – era 2.7 (95% CI 1.1-6.3) rispetto alla popolazione generale e di 2.6 (95% CI 0.9-7.1) verso la coorte di pazienti appendicectomizzati.

Un altro studio di popolazione (Sarpatwari et al, 2010) condotto in Gran Bretagna, identificava la coorte dei pazienti con ITP all’interno del General Practice Research Database, un sistema informatico in cui i pazienti sono registrati a cura dei medici di base. I pazienti con ITP venivano inclusi se era disponibile la storia medica almeno 1 anno prima della diagnosi e per 3 mesi dopo; la conta piastrinica doveva essere almeno inferiore a 150 x 109/L. La coorte di comparazione era costituita da pazienti inclusi nello stesso database, ma senza una diagnosi di ITP. Gli eventi di interesse erano ET, venosi, arteriosi e combinati.  La coorte di pazienti con ITP era costituita da 1070 soggetti, quella dei pazienti non ITP (coorte di comparazione) era costituita da 4280 soggetti; da notare che al baseline non era disponibile la conta piastrinica di 376 (35%) dei pazienti con ITP e che 246 (23%) avevano una conta > 75 x 109/L. Durante una osservazione mediana di 47.6 mesi (range 3-192.5) l’incidenza cumulativa per trombosi venosa, arteriosa e combinata era del 2.9%, 4.1%, 6.1% nella coorte ITP e del 1.9%, 3% e 4.6% nella coorte non-ITP. Il tasso, rapportato a 1.000 ITP-pazienti/anno, era 6.6 (95% CI 4.5-9.4) per eventi venosi, (vs non ITP-pazienti: 4.2; 95% CI 3.3-5.2) molto simile al tasso osservato nello studio danese (Severinsen et al, 2010); il rapporto aggiustato tra tassi di incidenza era al limite della significatività (1.58, 95% CI 1.01-2.48). Per quanto riguarda i tassi degli eventi arteriosi, per la coorte ITP era  9.6 (95% CI 7.0-12.9) vs 6.7 (95% CI 5.6-8); il rapporto aggiustato tra tassi non risultava significativo (1.37; 95% CI 0.94-2.0).

Limiti degli studi da popolazione

Gli studi condotti nelle coorti svedese, danese ed inglese sopra descritti dimostrano un aumentato rischio di eventi trombotici venosi in pazienti con ITP rispetto alla popolazione generale, mentre la frequenza degli eventi arteriosi sembra comparabile. I limiti di questi  studi sono molteplici: incertezza sull’accuratezza della diagnosi di ITP primaria: nello studio inglese, ad esempio, il valore predittivo positivo dei codici informatici per identificare pazienti con ITP oscillava tra 84% e 96% (Schoonen et al, 2009); inadeguatezza della soglia di conta piastrinica utilizzata per definire la diagnosi di ITP (< 150 x 109/L),  soglia considerata a bassa specificità; insufficiente definizione della fase cronica negli studi danesi – basata su criteri meramente operativi (due o più ricoveri ospedalieri con diagnosi di ITP in un periodo di almeno 6 mesi) e non corrispondente a quella attualmente in uso (Rodeghiero F, et al 2009); assenza di informazioni sullo stato della malattia, sulla terapia e sulla conta piastrinica al momento dell’episodio; assenza di dati disponibili in caso di pazienti assistiti solo a livello ambulatoriale; incompleta registrazione di  dati sui fattori di rischio per trombosi. Infine, la popolazione di riferimento risulta essere eterogenea tra i vari studi, riferendosi genericamente o a tutti i pazienti registrati presso i medici di base del Regno Unito purché non affetti da piastrinopenia (Sarpatwari et al, 2010) o alla popolazione generale in senso lato (Severinsen et al, 2010; Norgaard et al, 2012; Zoller et al, 2012b).

 

STUDI DI COORTE

La prima osservazione di ET in pazienti con ITP deriva da uno studio retrospettivo, non privo di bias metodologici, condotto in 186 pazienti (Aledort et al, 2004). In questo studio erano stati registrati un totale di 18 ET(13 venosi e 5 arteriosi) in 10 pazienti, dei quali 11 (61.1%) erano occorsi durante il follow-up post diagnosi; 5 (50%) di questi pazienti erano stato sottoposti in precedenza a splenectomia. La splenectomia, in effetti, può essere complicata da ET, sia nell’immediato periodo post-operatorio sia durante il follow-up a più lungo termine (Kojouri K, et al 2004). In uno studio retrospettivo condotto in una coorte di 105 pazienti sottoposti a splenectomia e risultati refrattari all’intervento chirurgico (McMillan et al, 2004), venivano rilevati 13 episodi di ET, con un’incidenza cumulativa del 12.3% durante un follow-up mediano di 110 mesi. In un altro studio a disegno retrospettivo (Vianelli N et al, 2005), erano stati osservati 12 episodi di trombosi in 402 pazienti sottoposti ad intervento di splenectomia (solo 57 soggetti, pari al 14%, risultavano refrattari), per una incidenza cumulativa di ET pari al 2%. La trombosi della vena porta, che può complicare il decorso post-operatorio della splenectomia soprattutto in pazienti con neoplasia, viene raramente riportata sulla base dei sintomi clinici in pazienti con ITP (Valeri et al, 1998). Tuttavia, ove ricercata con esami doppler seriati nel post-operatorio, la sua evenienza può raggiungere frequenze molto più elevate (l’8% in uno studio prospettico francese) di quanto stimato clinicamente (Chaffanjon et al, 1998). La patogenesi e la frequenza degli eventi vascolari dopo splenectomia (effettuata per cause diverse, inclusa l’ITP) sono state di recente estesamente rivisitate (Crary et al, 2009).

L’associazione di ET nei soggetti con ITP e concomitante presenza di anticorpi antifosfolipidi (anti-phospholipid antibodies, APA) e/o anticoagulante lupico (lupus anticoagulant, LA) rimane non chiarita ed è oggetto di discussione. La complessità del problema risiede, almeno in parte, nell’insufficiente standardizzazione dei criteri per definire la natura primaria o secondaria dell’ITP nelle diverse coorti, nella scarsa standardizzazione dei test di laboratorio per APA/LA e nella eterogenea frequenza con cui questi test vengono effettuati nei pazienti con ITP arruolati nei vari studi. Dalla mera presenza di APA/LA, che non qualifica la piastrinopenia come secondaria (Rodeghiero et al, 2009), si differenzia la situazione clinica descritta come sindrome da anticorpi antifosfolipidi (anti-phospholipid syndrome, APS), che richiede, oltre alla positività per APA/LA, anche la presenza di trombosi o morbidità fetale (Miyakis et al, 2006) e che non infrequentemente presenta anche piastrinopenia.  In effetti, la frequente presenza di piastrinopenia in pazienti con APS (riportata fino al 30% – 45% dei casi) (Alarcon-Segovia et al, 1989; Asherson et al, 1989; Mackworth-Young et al, 1989) rende in parte confuso il confine fra ITP primaria con positività ad APA/LA e successivo sviluppo di trombosi e ITP secondaria ad APS, manifesta al momento della diagnosi o precedentemente. Infatti, la frequenza di APA in pazienti con ITP primaria (con o senza trombosi) è stimata essere tra il 25% e il 67% e l’associazione con un aumentato rischio trombotico non è stata definitivamente stabilita. In particolare 4 studi hanno valutato la relazione tra APA e il rischio di trombosi in pazienti con ITP. In un primo studio prospettico condotto in 149 pazienti con ITP, dopo un follow-up medio di 2.5 anni, nessuno dei 69 (44%) pazienti con APA sviluppava trombosi (Stasi et al, 1994).  In contrasto con tale risultato, gli altri tre studi rilevavano una correlazione tra APA e rischio di trombosi. In una valutazione prospettica condotta su 82 pazienti (Diz-Küçükkaya et al, 2001), di cui 31 con APA, la sopravvivenza libera da evento trombotico era del 39% nei pazienti APA-positivi rispetto al 97% di pazienti APA-negativi, dopo un follow-up di 5 anni (p=0.0004).  Uno studio retrospettivo (Deseilligny Despujol et al, 2008), condotto su 215 pazienti con ITP, evidenziava una ridotta prevalenza di APA positività (55 pazienti, 26%); 14 pazienti (7%) sviluppavano trombosi durante un follow-up mediano di 31 mesi, dei quali 4 (29%) con APA (hazard ratio per trombosi in analisi multivariata = 9.9, CI 95% 2.3-43.3 per LA positività e 7.5, CI 95% 1.8-31.5 per anticorpi anticardiolipina a titolo elevato). Infine, in un piccolo studio (Funauchi et al, 1997) condotto su 27 pazienti con ITP, 5 su 7 pazienti APA positivi sviluppavano trombosi o abortività. Cumulando i dati di questi 4 studi, su 623 pazienti, 33 di 48 (69%) pazienti con trombosi erano APA-positivi (OR: 5.71, CI 95% 2.9-11.3; p < 0.0001) (Comellas-Kirkerup et al, 2010). Pertanto, i pazienti con ITP e presenza di APA/LA sembrano differenziarsi dai pazienti con ITP senza APA/LA per una maggiore propensione a sviluppare trombosi. Tuttavia, l’International  Working Group sulla standardizzazione delle definizioni nelle ITP (Rodeghiero F, et al 2009) ha ritenuto di doverli comunque classificare come affetti da ITP primaria, tenuto conto che il trattamento clinico della piastrinopenia non si differenzia per la presenza di APA. Al contrario, il panel per i criteri classificati della APS propone di classificare tali pazienti come “trombocitopenici-APA associati” (Miyakis et al, 2006), mentre altri autori (Comellas-Kirkerup et al, 2010) sostengono la necessità di ritenere questo gruppo di pazienti come un subset peculiare all’interno della APS (APS “ematologica”) con tendenza a sviluppare trombosi e/o complicanze ostetriche.

Due farmaci agonisti del recettore della  trombopoietina (TPO-ra), romiplostim ed eltrombopag, sono stati di recente registrati per il trattamento della ITP cronica o refrattaria. Alcuni studi condotti su coorti di pazienti esposti per lungo tempo a tali agenti hanno sollevato alcune domande su un loro possibile potenziale trombofilico. Già in alcuni studi condotti tra gli anni ’90-2000 con le trombopoietine ricombinanti di prima generazione era stata notata la non infrequente evenienza di complicanze trombotiche: in 4 sperimentazioni (Comellas-Kirkerup et al, 2010; Archimbaud et al, 1999; Fanucchi et al, 1997; Basser et al, 1997; Schiffer et al, 2000) in particolare, su un totale di 181 soggetti con neoplasie ematologiche e solide, trattati con PEG-rHuMGDF (Pegylated Recombinant Human Megakaryocyte Growth and Development Factor) erano stati registrati 7 ET (3.8%) durante il breve periodo di sperimentazione (2-6 settimane di osservazione). Gli studi registrativi per romiplostim e eltrombopag hanno riportato la frequenza degli eventi trombotici, considerati come “adverse events”, confrontandoli con quelli registrati nei bracci trattati con placebo o terapia standard, senza riportare significative differenze (Kuter DJ, et al 2008; Bussel JB et al, 2009a; Cheng G et al, 2011). Va osservato che la numerosità del campione sottoposto a sperimentazione negli studi di fase II e III è calcolata per rilevare una differenza nell’efficacia tra i due bracci di trattamento (usualmente si considera nella ipotesi a priori uno scarto del 30%) mentre differenze minori (come possono verificarsi nel rate degli eventi collaterali) non sono rilevate per ridotta potenza statistica; tali differenze, se riguardano eventi severi, possono però essere rilevanti clinicamente. E’ pertanto opportuno poter disporre di dati di sicurezza derivati da studi post-marketing o da meta-analisi o da studi a lungo termine, ove la limitata numerosità dei pazienti viene in parte ovviata dalla prolungata esposizione al farmaco (possibile fattore di rischio).  In uno studio osservazionale a lungo termine (Bussel JB et al, 2009b) condotto su 142 pazienti esposti a romiplostim per una media di 69 settimane, erano riportati 12 eventi trombotici in 7 pazienti (4.9%). Il tasso per tempo di esposizione viene calcolato in un altro studio su analoga popolazione e stimato essere dello 0.08 per 100/pazienti ogni settimana (grossolanamente 4.6 per 100/pazienti/anno) (Gernsheimer et al, 2010). Al congresso 2012 dell’American Society of Hematology (ASH) tali dati sono stati aggiornati e rivalutati (Cines et al, 2012), analizzando 13 studi di pazienti trattati con romiplostim dal 2002 al 2011. Durante un follow up su 994 pazienti (periodo di osservazione totale 1.520 anni/paziente) erano stati registrati 83 ET, con un tasso di 5 per 100 pazienti/anno. Questo tasso è risultato sovrapponibile a quello rilevato in 138 pazienti trattati con placebo o terapia standard, seguiti però per soli 110 anni/paziente. Anche pereltrombopag, sono disponibili dati di osservazione da uno studio a lungo termine (Saleh MN et al, 2013); in 299 pazienti esposti a tale farmaco per una mediana di 100 settimane (range 2-1.267) erano stati registrati 20 ET occorsi in 16 (5%) soggetti, per un tasso di 3.17 per 100 pazienti/anno.

In generale, gli ET in corso di trattamento con TPO-ra non sembrano essere correlati con una conta piastrinica superiore ai limiti di norma o al dosaggio del farmaco; sono segnalati soprattutto in pazienti con fattori di rischio per aterotrombosi e tromboembolismo venoso (come età avanzata, ipertensione, insufficienza cardiaca congestizia, malattia coronarica, pregressi eventi venosi, presenza di tumore, APL/LA). Il tasso appare essere superiore al quello osservato nella popolazione generale e nelle coorti di pazienti con ITP non esposte a TPO-ra, ma non è noto se questa maggiore incidenza dipenda al farmaco o da caratteristiche della malattia (ITP più grave o di più lunga durata e precedentemente esposta a numerose linee di terapia, compresa la splenectomia) o, semplicemente, da maggiore accuratezza nella rilevazione degli eventi clinici.

Limiti degli studi di coorte

La valutazione degli eventi è prevalentemente su base anamnestica, senza conferma con dati strumentali. Molte casistiche sono di tipo monocentrico e con bias di inclusione. La numerosità delle coorti disponibili non consente il calcolo di stime robuste del rischio. Negli studi registrativi spesso le metodologie di laboratorio non sono standardizzate e quindi generano dati difficilmente generalizzabili.

 

CONCLUSIONI

Certamente la piastrinopenia nei pazienti con ITP non è un fattore protettivo per la trombosi. Al contrario, allo stato attuale delle conoscenze è plausibile ritenere che la condizione di ITP primaria rappresenti di per sé un fattore di rischio per eventi tromboembolici venosi e arteriosi, anche se non è possibile definirne con esattezza l’entità, che tuttavia sembra essere almeno doppia rispetto ai soggetti sani. In particolare, non è definitivamente stabilito se la presenza di APA/LA alla diagnosi aumenti il rischio e non si raccomanda di effettuare test per il loro rilievo.

Il rischio di trombosi appare più elevato nei pazienti splenectomizzati, ma non esistono confronti diretti con pazienti trattati uniformemente con altre terapie. L’impiego dei TPO-ra ha dimostrato nei trial clinici registrativi e negli studi di estensione un tasso di incidenza di trombosi arteriosa e venosa superiore a quello stimato dagli studi di popolazione  e di coorte. Il rischio non sembra correlato alla conta piastrinica. Pur in assenza di dati definitivi, appare prudente escludere da questi farmaci i pazienti con preesistenti fattori di rischio tromboembolico. I soggetti in trattamento richiedono attento monitoraggio e una valutazione critica sulla necessità di profilassi antitrombotica nelle circostanze che la richiedono.

 

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A cura di:

Fondazione Progetto Ematologia, affiliata alla Divisione di Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza

Francesco Rodeghiero
Francesco Rodeghiero
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