L’Italia è tra i Paesi al mondo con la più lunga aspettativa di vita alla nascita. L’età media della popolazione italiana è attualmente di circa 44 anni ed è proiettata ad aumentare nei prossimi anni per effetto della maggior longevità: i cittadini italiani di età >65 anni, che rappresentano il 20,9% della popolazione nel 2013, saranno il 23,3% nel 2023, il 27,7% nel 2033 e il 31,8% nel 2043; analogamente i cittadini di età >85 anni, attualmente il 3% della popolazione, diventeranno il 4% nel 2023, il 4,9% nel 2033 e il 6,1% nel 2043. La speranza di vita attuale per un soggetto che ha compiuto i 65 anni di età è di ulteriori 18,7 anni per gli uomini e 22,3 anni per le donne (http://demo.istat.it/uniprev2011/index.html).
In questo scenario è indispensabile interrogarsi sulle caratteristiche biologiche e gli obiettivi del trattamento in una popolazione di pazienti oncologici tradizionalmente sottorappresentata negli studi clinici (che per definizione includono quasi esclusivamente pazienti “fit”) e per i quali gli standard terapeutici definiti dai trial clinici internazionali devono essere ridiscussi ed eventualmente adattati.
Negli ultimi anni si è imposto il concetto della valutazione del “fitness status” come indicatore più appropriato della forma fisica e della tolleranza ai trattamenti chemioterapici rispetto all’età cronologica. La valutazione multidimensionale del fitness status geriatrico comprende la determinazione del Performance Status (Karnofsky o ECOG), dello stato funzionale (ADL, Activities of Daily Living, o IADL, Instrumental Activities of Daily Living), delle comorbidità (ad es. Charlson Comorbidity Index), dello stato cognitivo, del livello di supporto familiare e sociale e, non ultimo, dei farmaci assunti e del rischio di interazioni con i trattamenti antineoplastici proposti (Extermann M, 2007). Uno studio retrospettivo italiano condotto in pazienti di età >65 anni affetti da NHL diffuso a grandi cellule ha dimostrato che la valutazione geriatrica complessiva è più efficace del semplice giudizio clinico nel valutare quali pazienti possano beneficiare di un trattamento di intensità paragonabile a quello dei soggetti più giovani: in questo studio venivano definiti fit i soggetti che presentavano contemporaneamente età <80 anni, score ADL pari a 6, <3 comorbidità di grado 3 e nessuna sindrome geriatrica. Tali soggetti ottenevano percentuali di risposta al trattamento, PFS e OS non differenti rispetto ai pazienti più giovani, mentre l’outcome dei pazienti giudicati fit secondo il semplice giudizio clinico ma non tali secondo la valutazione geriatrica multidimensionale era decisamente inferiore (sopravvivenza a 2 anni pari a 23% vs 77% nei pazienti unfit vs fit) (Tucci A, 2009).
Trattamento dei linfomi non Hodgkin indolenti nel paziente anziano e unfit
Considerata la storia naturale di questi linfomi, in molti casi è giustificato un atteggiamento terapeutico di attesa, dal momento che la probabilità per questi pazienti di non necessitare di alcun trattamento è fino al 40% per chi viene diagnosticato ad un’età >70 anni (Ardeshna KM, 2003).
Per i pazienti anziani/unfit con malattia avanzata, sintomatica o comunque indicazione all’inizio del trattamento vengono impiegati regimi non contenenti antracicline (ad esempio R-CVP), la cui efficacia è stata tuttavia recentemente messa in dubbio. Uno studio della Fondazione Italiana Linfomi (FIL) ha dimostrato che un regime chemioterapico di breve durata contenente antracicline (rituximab, fludarabina, mitoxantrone, desametasone: R-FND) seguito da un consolidamento con 4 dosi settimanali di rituximab determina, in pazienti con linfoma follicolare di età 60-75 anni, una percentuale di RC del 69% con una PFS a 3 anni del 66% e una OS a 3 anni dell’89% (Vitolo U, 2013). Lo stesso studio ha dimostrato che il mantenimento per 2 anni con rituximab non ha condotto ad un miglioramento significativo della PFS in questa coorte di pazienti.
Uno secondo studio condotto dalla FIL ha indagato fattibilità ed efficacia del trattamento di prima linea con bendamustina in pazienti anziani (>65 anni) con linfoma follicolare in stadio avanzato. In questo caso, il trattamento consisteva in 4 cicli mensili comprendenti bendamustina (90 mg/m2 giorni 1-2), rituximab (375 mg/m2 giorno 1) e mitoxantrone (8 mg/m2 giorno 1), seguito da un consolidamento con 4 dosi settimanali di rituximab. La remissione completa è stata ottenuta in 52 su 69 pazienti valutabili (75%) e in 18 su 19 pazienti (95%) valutabili per la risposta molecolare è stata ottenuta la negatività del riarrangiamento Bcl-2, confermando che regimi di combinazione comprendenti bendamustina sono efficaci e ben tollerati anche in pazienti anziani e unfit (Boccomini C, 2012).
Trattamento del linfoma mantellare nel paziente anziano e unfit
Il miglioramento terapeutico ottenuto nei linfomi mantellari con l’impiego di alte dosi di citarabina e autotrapianto (ASCT) (Romaguera JE, 2005) non si è tradotto in un beneficio per i pazienti anziani, nei quali questi regimi determinano tossicità molto elevate che precludono la possibilità di evidenziarne l’efficacia. Uno studio randomizzato multicentrico europeo ha confrontato lo schema R-CHOP con lo schema R-FC in 532 pazienti anziani affetti da linfoma mantellare, di età mediana pari a 70 anni, non eleggibili per la terapia ad alte dosi: i pazienti che presentavano risposta al trattamento di prima linea andavano incontro a una seconda randomizzazione tra terapia di mantenimento con rituximab o con interferone alfa. Lo studio ha dimostrato che, a fronte di tassi di remissione completa simili (R-CHOP 34% vs R-FC 40%), lo schema R-FC era associato a un più alto tasso di progressione (14% vs 5% con R-CHOP) e a una sopravvivenza a 4 anni inferiore (47% vs 62% del braccio R-CHOP): inoltre, il mantenimento con rituximab era in grado di ridurre del 45% il rischio di progressione o morte rispetto al mantenimento con interferone alfa. Gli autori hanno concluso che R-CHOP seguito da mantenimento con rituximab deve essere considerato lo standard di trattamento per pazienti con linfoma mantellare anziani o non candidabili ad ASCT (Kluin-Nelemans HC et al, 2012). Uno studio dell’European MCL Intergroup study ha dimostrato che l’ottenimento di una remissione molecolare completa nei pazienti con linfoma mantellare determina una prolungata sopravvivenza indipendentemente dall’età (Pott C, 2009): tale endpoint è pertanto oggetto di studio in relazione soprattutto ai nuovi farmaci biologici (lenalidomide, bortezomib), che sono idealmente impiegabili anche nei pazienti anziani e unfit.
Trattamento dei linfomi non Hodgkin aggressivi nel paziente anziano e unfit
Una delle limitazioni principali nel trattamento dei NHL aggressivi nei pazienti anziani è la cardiotossicità delle antracicline, che tuttavia proprio in questo tipo di linfomi esercitano la loro maggior efficacia terapeutica. Un’analisi di registro condotta negli Stati Uniti su 7.559 casi di anziani con DLBCL, diagnosticati tra il 1992 e il 2002, ha mostrato un miglioramento della sopravvivenza mediana da 15 a 21 mesi, in relazione ad un maggior impiego delle antracicline e all’introduzione del rituximab in associazione alla chemioterapia (Link BK, 2011). Pertanto, sono stati proposti vari schemi di polichemioterapia includenti dosaggi inferiori di doxorubicina o analoghi meno cardiotossici come l’epirubicina, con risultati contrastanti (Tirelli U, 1992; Sonneveld P, 1995; Merli F, 2007; Pavanello F, 2013). Uno studio prospettico condotto su 150 pazienti unfit di età >80 anni ha mostrato che l’impiego di dosi attenuate di chemioterapia in associazione a dosi standard di rituximab (R-miniCHOP) determina un tasso di RC del 62% e una sopravvivenza a due anni del 59%: tale studio ha inoltre individuato l’ipoalbuminemia quale unico parametro in analisi multivariata predittivo della sopravvivenza in questa coorte di pazienti molto anziani (Peyrade F, 2011).
La maggior parte delle esperienze più recenti riguarda l’impiego della doxorubicina liposomiale non peghilata (Myocet®), farmaco che presenta un profilo di cardiotossicità più favorevole: studi condotti in pazienti anziani (età mediana 70-76 anni) e unfit hanno mostrato che il regime R-COMP (analogo a R-CHOP con la sostituzione di Myocet 50 mg/m2 al posto della doxorubicina) determina tassi di RC del 57-79% e una sopravvivenza globale del 70-77% con un follow-up mediano di 24-33 mesi (Luminari S, 2009; Gimeno E, 2011; Dell’Olio M, 2011). In tutti questi studi gli eventi avversi gravi di natura cardiaca sono stati assenti o hanno riguardato una percentuale molto bassa di pazienti, indicando che la doxorubicina liposomiale consente di mantenere un’adeguata efficacia terapeutica con minori effetti collaterali nei pazienti con pregressa comorbidità cardiaca o età avanzata.
Interessanti, anche se in una popolazione molto limitata, i dati sulla combinazione bendamustina e rituximab: 14 pazienti con linfoma aggressivo di età mediana pari a 85 anni, giudicati ineleggibili al trattamento R-CHOP, hanno ricevuto 4-6 cicli BR ottenendo un tasso di RC del 54% e una prolungata sopravvivenza (follow-up da 20 a 72 mesi) nel 43% dei pazienti (Weidmann E, 2011).
BIBLIOGRAFIA
Università degli Studi di Verona, Professore Onorario di Ematologia, già Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, della UOC di Ematologia e del Dipartimento di Medicina
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