Selezione degli abstract più rilevanti presentati all’ASH 2016 sulla leucemia mieloide acuta

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A Phase 2 Randomized Study of Low Dose Ara-C with or without Glasdegib (PF-04449913) in Untreated Patients with Acute Myeloid Leukemia or High-Risk Myelodysplastic Syndrome

Cortes JE et al. Abstract 99

In questo studio randomizzato di fase 2 è stata valutata l’efficacia dell’aggiunta di glasdegib alle basse dosi di ara-C (LDAC) in pazienti con leucemia mieloide acuta (LAM) o sindrome mielodisplastica (SMD) ad alto rischio non candidabili a chemioterapia intensiva. Il glasdegib è un potente, selettivo inibitore orale del pathway di Hedgehog (HhP), che è attivato in maniera aberrante nelle LAM e nelle SMD e che promuove la sopravvivenza delle cellule tumorali.

Sono stati arruolati e randomizzati (rapporto 2:1) 132 pazienti: 88 pazienti sono stati trattati con LDAC sotto cute (20 mg 2 volte al dì per 10 giorni ogni 28 giorni) più glasdegib 100 mg/die e 44 pazienti sono stati trattati solo con LDAC, fino al raggiungimento di un beneficio clinico. L’endpoint primario era l’overall survival (OS). La durata mediana di trattamento è stata di 83 giorni per il braccio LDAC + glasdegib e 47 giorni per il braccio LDAC.

La percentuale di remissione completa è stata più elevata nel braccio LDAC + glasdegib (15% vs 1%, p = 0,0142). Anche la OS mediana è risultata migliore nel braccio sperimentale (8,3 mesi vs 4,9 mesi, p = 0,002) e la differenza nelle SMD aumenta stratificando per fascia di rischio: 12,2 mesi vs 6,0 mesi (p = 0,0035) nei pazienti a rischio basso-intermedio; 4,4 mesi vs 2,3 mesi (p = 0,0422)  nei pazienti ad alto rischio; 8,3 mesi vs 4,3 mesi (p = 0,0004) nei pazienti con LAM.

Per quanto riguarda la tossicità, gli eventi avversi strettamente correlati all’inibizione del HhP sono stati la disgeusia (23,8%), gli spasmi muscolari (20,2%) e l’alopecia (10,7%). Gli eventi avversi comuni, ma più frequenti nel braccio LDAC + glasdegib, sono stati la neutropenia febbrile, anche di grado severo, e la tossicità gastrointestinale. La sepsi è stata più frequente, invece, nel braccio LDAC. Simile, infine, la percentuale di polmoniti nei due bracci di trattamento. In Tabella I sono riportati i risultati principali dello studio.

Gli investigatori hanno concluso che l’aggiunta di glasdegib alle basse dosi di Ara-C nei pazienti non suscettibili di chemioterapia intensiva migliora la sopravvivenza globale, particolarmente nella fascia di rischio basso-intermedio, con un profilo di sicurezza accettabile.

Tabella I: Sommario dei risultati dello studio

 

A Phase 2 Study of Pracinostat and Azacitidine in Elderly Patients with Acute Myeloid Leukemia (AML) Not Eligible for Induction Chemotherapy: Response and Long-Term Survival Benefit

Garcia Manero G et al. Abstract 100

Il pracinostat è un potente inibitore orale delle istone-deacetilasi di classe I, II e IV, che ha mostrato una modesta attività in monoterapia nelle leucemie mieloidi acute (LAM) recidivate.

È stato, quindi, condotto uno studio di fase 2 per valutare il pracinostat in combinazione con azacitidina (AZA) nei pazienti ≥ 65 anni con LAM non candidabili a chemioterapia di induzione (Blood 2015;126:453) e di cui qui sono riportati i risultati di sopravvivenza e risposta a lungo termine.

Sono stati arruolati, tra il dicembre 2013 e il dicembre 2014, 50 pazienti con LAM (33 de novo e 17 secondaria) con età mediana di 75 anni (range 66-84 anni). I pazienti hanno ricevuto pracinostat al dosaggio di 60 mg per 3 giorni/settimana per 3 settimane ed AZA a 75 mg/m2 per 7 giorni, con cicli ripetuti ogni 28 giorni, fino a progressione di malattia, perdita di risposta o scarsa tollerabilità. Il numero mediano di cicli di terapia è stato 6,5 (range 1-24) L’endpoint primario era “complete response rate composite” (cCR), costituito da CR + CRi + MLFS secondo i criteri IWG. Endpoint secondari hanno incluso l’overall response rate (cCR+PR), la durata di risposta e l’overall survival (OS). La CR è stata ottenuta in 21 pazienti (42%), la CRi in 2 pazienti (4%) e la MLFS in 3 (6%) con una cCR del 52%. La durata mediana di cCR è stata di 13,2 mesi (range 10,9-21,5 mesi) e, con un follow up mediano di 21 mesi, l’OS è stata di 19,1 mesi. Nella Tabella II sono riassunte le risposte e l’ OS in base alle caratteristiche basali.

Tabella II: Risposte e sopravvivenza secondo le caratteristiche al basale

Per quanto riguarda la tossicità, gli eventi avversi non ematologici di grado severo (≥ grado 3) più comuni (≥5% dei pazienti) sono stati: astenia, anoressia, polmonite, sepsi, infezioni delle vie urinarie, nausea, mal di schiena, ipossia, iponatriemia e sincope. La tossicità ematologica di grado severo (≥ grado 3) ha compreso: trombocitopenia (46%), neutropenia febbrile (44%), neutropenia (36%), anemia (30%) e pancitopenia (6%). La mortalità a 30 giorni è stata del 2%, quella a 60 giorni del 10%.

Gli investigatori hanno concluso che il pracinostat + AZA ha indotto un alto tasso di risposta in pazienti anziani affetti da LAM e che le risposte sono state durature ed indipendenti dall’età, dal rischio citogenetico, dal PS ECOG e dal tipo di LAM (de novo o secondaria). La remissione è stata raggiunta nella maggior parte dei casi precocemente, ma in alcuni pazienti è stata necessaria una prolungata esposizione per ottimizzare la risposta. Alla luce di tali risultati, è previsto uno studio di fase 3 con AZA ± pracinostat in pazienti affetti da LAM non candidabili a chemioterapia di induzione.

 

Safety and Efficacy of Venetoclax Plus Low-Dose Cytarabine in Treatment-Naive Patients Aged ≥65 Years with Acute Myeloid Leukemia

Wei A et al. Abstract 102

I farmaci anti Bcl-2, molecola anti-apoptica, si sono dimostrati efficaci in diverse neoplasie ematologiche. Venetoclax è un potente e selettivo inibitore orale di Bcl-2 (Figura I) che si è dimostrato efficace, in monoterapia, nei pazienti con leucemia mieloide acuta (LAM) recidivata o refrattaria.

Figura I: Meccanismo d’azione di venetoclax

In questo studio vengono presentati i dati di sicurezza ed efficacia sull’utilizzo di venetoclax (VEN) al dosaggio di 600 mg/die in associazione alle basse dosi di Ara-C (LDAC). I pazienti sono stati considerati eleggibili se non candidabili a chemioterapia intensiva, se con ECOG tra 0 e 2, e con un’adeguata funzione renale ed epatica. Sono stati esclusi i pazienti già trattati con citarabina, con leucemia acuta promielocitica o con coinvolgimento del sistema nervoso centrale. Il VEN è stato somministrato al dosaggio di 600 mg per os nei giorni 2-28 del primo ciclo e nei giorni 1-28 dal secondo ciclo in poi; LDAC è stata somministrata sottocute al dosaggio di 20 mg/m2 nei giorni 1-10 di ogni ciclo di 28 giorni. Inoltre, per prevenire la sindrome da lisi tumorale, i pazienti sono stati ricoverati durante il primo ciclo e la dose di VEN è stata aumentata gradualmente nei primi 5 giorni di trattamento.  È stato dimostrato che la somministrazione di VEN + LDAC non modifica in maniera significativa la farmacocinetica dei due farmaci somministrati singolarmente (Figura II).

Figura II: Farmacocinetica di venetoclax più o meno LDAC

Gli eventi avversi di grado 3-4, escluse le citopenie, sono stati: neutropenia febbrile (35%), ipertensione (20%), ipofosfatemia (20%), calo dell’appetito, iperbilirubinemia, iponatriemia, ipossia, ipotensione, polmonite, sepsi, sincope, infezione delle vie urinarie, vomito; non vi sono stati episodi di sindrome da lisi tumorale.

15/20 (75%) pazienti hanno raggiunto una risposta obiettiva (CR + CRi + PR). L’OS stimata per tutti i pazienti è stata del 74,7%, ma è stata migliore nei pazienti che hanno ottenuto una risposta al trattamento (Figura III). Le percentuali di risposta sono state più elevate nei pazienti che non avevano ricevuto un trattamento precedente con agenti ipometilanti e che non avevano sindrome mieloproliferativa antecedente (Tabella III)

Figura III: OS nei rispondenti verso i non-rispondenti

Tabella III: Tassi di risposta complessiva (ORR) e sopravvivenza globale (OS)

 

Randomized Phase II Trial of Two Schedules of Decitabine As Frontline Therapy in Elderly Patients with Acute Myeloid Leukemia Ineligible for Standard Cytotoxic Induction Regimens

Khan M et al. Abstract 1612

Gli agenti ipometilanti decitabina e 5-azacitidina sono comunemente usati per il trattamento della leucemia mieloide acuta nei pazienti anziani non considerati eleggibili a chemioterapia intensiva. La decitabina viene somministrata al dosaggio di 20 mg/m2 per 5 giorni. In questo studio sono stati messi a confronto due diversi schemi di trattamento con decitabina, sia in termini di efficacia, e quindi di remissioni complete (CR), remissioni complete con mancato recupero ematologico (CRi) o delle piastrine (CRp) e di sopravvivenza globale (OS), sia che di tossicità.

Sono stati arruolati e randomizzati 47 pazienti con età mediana di 77 anni (range 62-90): 23 pazienti (40%) sono stati trattati con decitabina al dosaggio di 20 mg/m2 per 5 giorni, 34 pazienti (60%) sono stati trattati con lo stesso dosaggio ma per 10 giorni. Le caratteristiche citogenetiche erano simili nei due gruppi.

L’overall response rate (CR+CRi+CRp+PR) e la complete response rate non sono state significativamente diverse nei due bracci; l’OS mediana è stata di 4,9 mesi nel braccio a 5 giorni e 9,3 nel braccio a 10 giorni con p = 0,88 (Figura IV); l’event free survival (EFS) mediana è stata di 3,1 mesi nel braccio a 5 giorni e 4,6 mesi nel braccio a 10 giorni con p = 0,92; la durata di risposta mediana è stata di 9,4 mesi vs 6,4 mesi con p = 0,68 (Figura V).

È stato, quindi, concluso che non vi sono differenze significative tra i due bracci e che sono necessari studi di combinazione tra agenti ipometilanti e farmaci con bersaglio molecolare.

Figura IV: Sopravvivenza globale (OS)

Figura V: Durata della risposta

 

Genomic Subtypes of Nucleophosmin (NPM1) Mutations Are Associated with Clinical Outcome in AML – a COG and SWOG Intergroup Collaboration

Selim D et al. Abstract 285

Alcune alterazioni molecolari nelle leucemie acute mieloidi (LAM) sono associate a diverso outcome. Le mutazioni frameshift del gene della nucleofosmina (NPM1) sono comuni nelle LAM, in particolare in pazienti adulti. Tale mutazione comporta un’alterazione del segnale di esportazione nucleare (NES) e una conseguente localizzazione anomala della proteina NPM. La più frequente mutazione, l’inserzione TCTG, è definita di tipo A; tutte le altre, definite di tipo non A, sono descritte solo nel 25% dei casi di LAM dell’adulto, ma oltre 50% dei casi di LAM del bambino. In questo studio sono stati studiati gli effetti dei diversi tipi di mutazione NPM sulle caratteristiche della malattia e sull’outcome sia nel bambino che nell’adulto.

Sono stati raccolti i profili genomici di 2301 pazienti arruolati nei più recenti trial COG e SWOG. È stata, innanzitutto, dimostrata una significativa correlazione tra prevalenza di NPM ed età: <1% dei bambini con età inferiore ad 1 anno, 29% nei pazienti tra i 10 e i 18 anni, 36% in quelli 45-60 anni (p = 0,004). La variante tipo A è stata riscontrata in 128 pz (62%) e le varianti non-A in 78 pz (38%); la variante A è stata significativamente più frequente nei pazienti meno giovani (p = 0,018). Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa per quanto riguarda il tasso di CR tra i due tipi di mutazione (93% tipo A vs 91% tipo non A, p = 0,625), mentre l’event free survival (EFS) a 5 anni è stata significativamente inferiore per il tipo A (39% vs 64%, p = 0,01), con una corrispondente relapse free survival (RFS) di 41% vs 70% (p = 0,002) (Figura VIa). Inoltre, è stato valutato l’impatto della mutazione NPM1 nei pazienti con mutazione FLT3/ITD+ e FLT3/ITD-: nei pazienti con mutazione FLT3/ITD la presenza di NPM1 tipo A peggiora l’EFS (27% vs 57%, p = 0,033), così come nei pazienti FLT3/ITD- (45% vs 68%, p = 0,012) (Figura VIc). L’analisi multivariata di Cox ha dimostrato che la presenza di NPM1 è un fattore prognostico indipendente di EFS e RFS (Figura VId). In conclusione, esiste, quindi, un valore biologico di NPM1, indipendente dall’età, e, poiché le mutazioni di tipo A hanno un outcome inferiore rispetto a quelle non A, una migliore caratterizzazione genomica può migliorare ulteriormente la stratificazione prognostica delle LAM.

Figura VI:  NPM1 e outcome clinico

 

A Comprehensive Panel of Molecular Mutations Notably Improves a Cytogenetic Prognostication System in Routine AML Diagnostics

Haferlach C et al. Abstract 286

In seguito alla scoperta di nuove alterazioni molecolari coinvolte nelle leucemie mieloidi acute (LAM), sono stati proposti diversi nuovi sistemi di classificazione prognostica, che combinino il cariotipo con le mutazioni molecolari.

Lo scopo di questo lavoro è stato di testare il valore prognostico di alcuni marcatori molecolari in aggiunta al cariotipo e di determinare quali pazienti possano essere monitorati con un marcatore molecolare di malattia residua minima (MRD).

Sono stati valutati 867 pazienti con LAM de novo con età < 60 anni (età mediana 48); di tutti i pazienti è stato determinato il cariotipo e lo stato mutazionale di: KMT2A-PTD, FLT3-ITD, ASXL1CEBPADNMT3ANPM1RUNX1 e TP53. I pazienti con t(15,17)/PML-RARα+ sono stati considerati in un gruppo separato (n = 89, 10%) e gli altri sono stati, quindi, divisi, secondo le caratteristiche citogenetiche, in 3 gruppi di rischio con overall survival (OS) a 5 anni significativamente diverse (p<0,001):

  • a rischio favorevole: t(8,21)/RUNX1-RUNX1T1: n = 89 ed inv(16)/t(16,16)/CBFB-MYH11: n = 47, OS = 66%
  • a rischio intermedio: n = 570 (68%), OS = 53%
  • a rischio sfavorevole: n = 119 (14%), OS = 28%

Sono stati poi definiti ulteriori sottogruppi:

  • CEBPA dm: n = 44 (5%), con un OS = 83%, sovrapponibile a quella delle PML-RARα+
  • NPM1mut/FLT3-ITD-: n = 181 (21%), con un OS = 62%, sovrapponibile alle LAM CBF
  • NPM1mut/FLT3-ITD+: n = 137 (16%), con un OS = 47%.

Infine, mediata analisi multivariata secondo Cox, è stato valutato l’impatto prognostico delle alterazioni molecolari nelle categorie citogenetiche a rischio intermedio ed alto: TP53, ASXL1 e FLT3-ITD sono, indipendentemente dal cariotipo, associati ad una ridotta OS a 5 anni (25% vs 54%, p = 0,001); la presenza di KMT2A o del riarrangiamento MECOM peggiora ulteriormente la prognosi di un cariotipo complesso.

È stata quindi dimostrata la fattibilità di un sistema di classificazione prognostica basato sull’identificazione delle alterazioni molecolari note e dello studio del cariotipo (Figura VII) e che lo studio di tali parametri permette di identificare un marcatore molecolare nell’84% dei pazienti.

Figura VII: Overall survival sulla base delle alterazioni molecolari presenti.

 

Increased Idarubicin Dosage during Consolidation Therapy for Adult Acute Myeloid Leukemia Improves Leukemia-Free Survival

Kenneth B et al. Abstract 338

Le antracicline sono tra i farmaci più attivi nella leucemia mieloide acuta (LAM). Nel protocollo ALLG nella terapia di induzione viene utilizzata l’idarubicina al dosaggio di 9 mg/m2 per 3 giorni (dose totale 27 mg/m2) in associazione alle alte dosi di Ara-C ed etoposide; è stato dimostrato che un incremento del dosaggio di idarubicina a 36 mg/m2 in questa fase è troppo tossico (Leukemia 2001, 15:1331). Così, per migliorare l’outcome dei pazienti con LAM, è stato effettuato questo studio randomizzato di fase 3 che confronta il dosaggio di idarubicina standard con uno intensivo durante il consolidamento.

Tra il 2003 ed il 2010 sono stati arruolati 422 pazienti con età tra i 16 ed il 60 anni affetti da LAM. 345 hanno raggiunto la remissione completa dopo l’induzione e 293 pazienti sono stati randomizzati: 146 hanno ricevuto il braccio standard di consolidamento (Ara-C a 100mg/m2 per 5 giorni, etoposide a 75 mg/m2 per 5 giorni ed idarubicina a 9 mg/m2 per 2 giorni), e 147 quello intensivo (con idarubicina a 9 mg/m2 per 3 giorni). L’età mediana è stata di 45 anni in entrambi i bracci (range 16-60) ed entrambi i gruppi sono stati bilanciati per quanto riguarda la citogenetica sfavorevole o la frequenza di mutazioni FLT3-ITD o NPM1. L’endpoint primario è stato la leukemia-free survival (LFS) e l’endpoint secondario è stato l’overall survival (OS).

La durata di neutropenia e trombocitopenia di grado 3-4 è stata significativamente più lunga nel braccio intensivo ma non ci sono state differenze di tossicità non ematologica di grado 3-4. Nel braccio standard non ci sono stati pazienti morti per cause non correlate a recidiva, mentre ve ne sono stati 2 nel braccio intensivo. 41 pazienti del braccio standard e 37 nel braccio intensivo sono andati a trapianto allogenico durante la prima remissione. Per i risultati del lavoro sono stati quindi valutati i pazienti non sottoposti a trapianto allogenico con un follow-up mediano di 5,3 anni (range: 0,6-9,9) ed è stato dimostrato un miglioramento della LFS nel braccio intensivo: a 3 anni LFS 47% (95%CI: 40-56%) versus 35% (28-44%) con p = 0,045 (Figura IX). L’OS a 3 anni è stata del 61% (95%CI: 54-70%) nel braccio intensivo versus 50% (95%CI: 43-59%) con p = 0,092. Inoltre, sebbene le citogenetiche sfavorevoli, la presenza della mutazione FLT3-ITD e l’assenza di NPM1, siano associate ad un peggiore outcome, in questo studio non è stato evidenziato un miglioramento della sopravvivenza in specifici gruppi di rischio.

Figura VIII: Probabilità di DFS per braccio di trattamento.

 

Phase II Results of Ara-C and Idarubicin in Combination with the Selective Inhibitor of Nuclear Export (SINE) Compound Selinexor (KPT-330) in Patients with Relapsed or Refractory AML

Fiedler et al. Abstract 341

Selinexor inibisce la proteina di trasporto nucleare esportina (XPO1), che è iperespressa in diverse neoplasie. Le cellule ematologiche neoplastiche sono particolarmente sensibili all’inibizione di tale molecola e vanno incontro ad apoptosi, mentre le cellule ematologiche normali vengono, in buona parte, risparmiate. Tale meccanismo d’azione rende il selinexor (KPT-330) un’interessante molecola nel trattamento della leucemia mieloide acuta (LAM) in combinazione con Ara-C ed idarubicina.

In questo studio di fase 1 sono stati arruolati, tra settembre 2014 ed giugno 2016, in 3 centri tedeschi, 42 pazienti affetti da leucemia mieloide acuta recidivati/refrattari.

I pazienti hanno ricevuto tutti Ara-C (100 mg/m2, g 1-7) ed idarubicina (10 mg/m2, g 1,3,5) ogni 4 settimane in associazione a due diverse schedule di selinexor: la coorte 1 ha ricevuto selinexor al dosaggio di 40 mg/m2 per os due volte/settimana per 4 settimane, la coorte 2 ha ricevuto selinexor al dosaggio di 60 mg/m2 due volte/settimana per 3 settimane.

Nella coorte 1 sono stati arruolati 27 pazienti (16 M, 11F) con età mediana di 58 anni (range 22-78), che avevano precedentemente ricevuto un numero mediano di terapie di 2 (range 1-5), tra cui il trapianto allogenico (10 pazienti), il 33% dei pazienti di questa coorte aveva una citogenetica sfavorevole; nella coorte 2 sono stati arruolati 15 pazienti (9 M, 6 F), con età mediana di 60 anni (range 29-77) e numero mediano di trattamenti precedenti 1 (range 1-2), tra cui il trapianto allogenico (6 pazienti), il 40% aveva una citogenetica sfavorevole. Tutti i pazienti di entrambi i gruppi hanno ricevuto almeno un ciclo di induzione, 2 pazienti per gruppo hanno ricevuto un consolidamento.

Per quanto riguarda la tossicità, nella coorte 1 gli eventi di grado 3-4 più frequenti sono stati: vomito (4%), nausea (11%), diarrea (52%); nella coorte 2, invece, sono stati: vomito (7%), nausea (7%) e diarrea (40%). Il tempo mediano di recupero ematologico nei pazienti che hanno raggiunto una RC o RCi è stato per i neutrofili ≥500/mcl di 40 giorni vs 37 e per le piastrine ≥50000/mcl di 32 vs 29 giorni. Tra le possibili cause di morte correlate al farmaco vi è stata una sindrome da risposta infiammatoria sistemica nella coorte 1 ed una sindrome emofagocitica nella coorte 2.

L’ overall response rate (ORR) nella coorte 1 è stata del 55,5%, il 40% di questi pazienti sono stati sottoposti ad allo-TMO o a infusione di DLI raggiungendo una relapse free survival (RFS) di 454 giorni ed una overall survival (OS) di 465 giorni; dei 9 pazienti non trapiantati, 3 sono ricaduti, con una RFS di 241 giorni ed una OS di 339 giorni. L’ORR nella coorte 2 è stata del 54,5% ed al momento dell’analisi  nessun paziente era stato sottoposto a trapianto, né era ricaduto con una RFS ed una OS di 96 giorni.

In conclusione, sebbene la prognosi dei pazienti con AML recidivata o refrattaria rimane molto severa, questi risultati sembrano suggerire un’opzione di terapia efficace e tollerabile che può permettere di raggiungere il trapianto allogenico. La dose di selinexor più bassa sembra essere maggiormente tollerabile in questo gruppo di pazienti pluritrattati.

Impact of Age and Midostaurin-Dose on Response and Outcome in Acute Myeloid Leukemia with FLT3-ITD: Interim-Analyses of the AMLSG 16-10 Trial

Schlenk RF et al. Abstract 449

Le internal tandem duplications nel recettore FLT3 delle tirosina chinasi (FLT3-ITD) sono riscontrate in circa il 25% dei pazienti adulti con leucemia mieloide acuta (LAM) e sono associate ad una peggiore prognosi. La midostaurina è un inibitore multi-targeted delle chinasi che, in associazione alla chemioterapia intensiva, ha mostrato una certa attività nelle LAM FLT3+; la tossicità e l’interazione farmacologica con gli inibitori del CYP3A4 (ad es. posaconazolo), però, ne richiedono una riduzione di dose.

In questo lavoro gli autori hanno voluto valutare l’impatto dell’età (<60 anni vs >60 anni) e dell’adattamento del dosaggio della midostaurina sulla risposta e sull’outcome dei pazienti affetti da LAM FLT3+ arruolati nello studio AMLSG 16-10. In tale studio venivano arruolati tutti i pazienti con età tra i 18 ed i 70 anni con nuova diagnosi di LAM FLT3+, che ricevevano un’induzione con daunorubicina (60 mg/m2, g1-3), citarabina (200 mg/m2 in infusione continua g1-7) e midostaurina 50 mg 2 volte al dì dal giorno +8 fino a 48 ore prima dell’inizio del ciclo successivo. Come consolidamento i pazienti venivano avviati a trapianto allogenico, o, alternativamente, alle alte dosi di citarabina in associazione alla midostaurina dal giorno +6. Tutti i pazienti ricevevano il mantenimento con sola midostaurina per 1 anno (Figura IX). Dopo l’arruolamento di 147 pazienti tra giugno 2012 ed aprile 2014, vi è stato un emendamento che prevedeva un ulteriore arruolamento fino a 284 pazienti ed una riduzione del 12,5% della dose iniziale di midostaurina in caso di associazione con forti inibitori di CYP3A4. In Tabella IV sono riportate le caratteristiche al baseline dei pazienti arruolati.

Figura IX: Disegno dello studio AMLSG 16-10.

Tabella IV: Caratteristiche dei pazienti arruolati.

L’overall response rate (ORR) dopo la terapia di induzione è stato del 76% (uguale per i pz<60 e per i pz>60 anni) e la percentuale di morti è stata del 4% nei pazienti più giovani e del 10% in quelli più anziani. La dose di midostaurina durante la prima induzione è stata ridotta nel 53% della coorte 1 e nel 71% della coorte 2, per tossicità nel 58% e 49% e per associazione farmacologica nel 9% e 23% dei pazienti, rispettivamente, della coorte 1 e coorte 2. Non è stata osservata nessuna differenza significativa nella risposta all’induzione nelle due coorti di pazienti. 129 pazienti sono stati sottoposti a trapianto allogenico in prima remissione e non sono state riscontrate differenze significative nell’incidenza di recidiva o di morte nelle due fasce di età (Figura X).

Figura X: Incidenza cumulativa di recidiva e morte post-alloTMO.

98 pazienti hanno iniziato la terapia di mantenimento (73 dopo allo-TMO e 25 dopo le alte dosi di citarabina) e non sono state riscontrate differenze di incidenza cumulativa di recidiva (CIR) (Figura XI), mentre la tossicità, in particolare la citopenia, è stata maggiore nei pazienti che avevano effettuato il trapianto.

Figura XI: Incidenza di recidiva dopo il mantenimento.

Non è stata dimostrata una differente overall survival nelle due fasce di età (Figura XII).

Figura XII: Sopravvivenza globale secondo età.

In conclusione, l’associazione di midostaurina alla chemioterapia di induzione e come terapia di mantenimento, dopo allotrapianto o dopo le alte dosi di citarabina, è un’opzione fattibile ed efficace senza un impatto negativo dell’età o della riduzione di dose sull’outcome.

Characteristics and Outcomes of Older Patients with Secondary AML According to Treatment Approach

Boddu PC et al. Abstract 2788

Le leucemie mieloidi acute (LAM) dell’età avanzata e quelle secondarie a precedenti malattie ematologiche o a chemioterapia hanno, sicuramente, una prognosi peggiore con minori percentuali di remissione ed una ridotta disease free survival (DFS). Per questo gruppo di pazienti sono, quindi, strettamente necessarie nuove strategie terapeutiche.

In questo studio retrospettivo, monocentrico, sono stati analizzati i pazienti, con età compresa tra i 60 e i 75 anni, che hanno ricevuto diagnosi di LAM tra il 1990 ed il 2015. Tutti i pazienti avevano almeno una caratteristica di alto rischio: precedente malattia ematologica (SMD, CMML, MPN o anemia aplastica), precedente chemioterapia, anomalie citogenetiche sfavorevoli. I pazienti sono stati divisi in 5 gruppi in base al tipo di terapia ricevuta:

  • Chemioterapia intensiva con alte dosi di Ara-C (HiDAC)
  • Agenti ipomentilanti (HMA)
  • Basse dosi di Ara-C (LDAC)
  • Ara-C liposomiale e daunorubicina (CPX-351)
  • Altri farmaci sperimentali (INV)

I cariotipi sono stati divisi in 4 categorie: sfavorevole, diploide, intermedio, sconosciuto.

Gli endpoint sono stati la percentuale di risposte complete (CR) e di risposte complete con bassa conta piastrinica (CRp) e la percentuale di mortalità ad 8 settimane.

Sono stati valutati un totale di 931 pazienti con età mediana di 68 anni (range: 60-75); il cariotipo era noto nell’89% dei pazienti, con il 57,5% sfavorevole ed il 31% intermedio. La percentuale di CR/CRp totale è stata del 39,5%, più bassa nei pazienti trattati con HMA (36%) e INV (16%) che nei pazienti trattati con HiDAC (46%), CPX (45%) e LDAC (43%). La mortalità ad 8 settimane totale è stata del 20%: HiDAC 23%, HMA 12%, CPX 10%, LDAC 19%, INV 27%. L’OS totale è stata di 6 mesi ed è rappresentata nella Figura XIII per ogni gruppo di pazienti: i pazienti che hanno ricevuto trattamenti meno intensivi (HMA + LDAC) hanno avuto una OS maggiore dei pazienti trattati in maniera più intensiva (6,9 vs 5,4; p = 0,002, Figura XIV). Nell’analisi multivariata, età >70, cariotipo sfavorevole, e precedenti trattamenti sono stati associati ad una ridotta OS; così l’utilizzo di HMA/INV, il cariotipo sfavorevole o intermedio, una storia di precedenti trattamenti è associata ad una ridotta percentuale di CR.

In conclusione, i regimi meno intensivi sono associati ad una ridotta possibilità di CR, ma anche ad una ridotta mortalità precoce e ad una migliore sopravvivenza globale. Attualmente i farmaci sperimentali non hanno dato un miglioramento dell’outcome soddisfacente, per cui sono assolutamente necessarie nuove strategie terapeutiche per questi pazienti.

Figura XIII: Sopravvivenza globale (OS) in base al regime di trattamento.

Figura XIV: OS nei pazienti trattati con regimi intensivi e meno intensivi.

Deficiency of Current Acute Myeloid Leukemia (AML) Response Criteria to Predict Response to Hypomethylating Agent Therapy: The Value of Long-Lasting Stable Disease Williams S et al. Abstract 2799

I criteri di risposta dell’International Working Group (IWG) per le leucemie acute, sono stati stabiliti nel 2003, epoca in cui la principale terapia era la chemioterapia intensiva e non erano ancora stati approvati gli agenti ipometilanti (HMA) per il trattamento delle leucemie mieloidi acute (LAM) dell’anziano. Sebbene pochi di questi pazienti raggiungano una risposta profonda, molti mantengono una malattia stabile per diversi mesi ottenendo anche un beneficio clinico. In questo lavoro gli autori vogliono descrivere l’outcome dei pazienti anziani con LAM trattati con agenti ipometilanti che raggiungono una malattia stabile (SD).

Sono stati valutati 56 pazienti con LAM ed età mediana di 76 anni (range 59-91), afferenti alla Mayo Clinic tra febbraio 2007 e giugno 2015; tutti hanno ricevuto HMA come prima linea terapeutica e la risposta alla terapia è stata valutata secondo i criteri IWG 2003. I pazienti con SD sono stati divisi in due coorti: 1) short-lasting (<6 cicli di HMA), 2) long-lasting ( >6 cicli di HMA). La citogenetica era favorevole nel 2%, intermedia nel 62% e sfavorevole nel 36%. Le risposte sono state: CR in 10 pazienti (18%), CRi in 3 pazienti (5%), PR in 3 (5%) e SD in 40 pazienti. Tra le 2 coorti non c’erano differenze statisticamente significative per quanto riguarda età mediana, conta leucocitaria, conta assoluta dei neutrofili, conta piastrinica, percentuale di blasti periferici e midollari, cellularità midollare e sesso; invece la citogenetica a rischio intermedio era più frequente nella coorte 2 (90% vs 43%, p = 0,006) e quella ad alto rischio nella coorte 1 (57% vs 10 %, p = 0,006); FLT3 era presente nel 30% dei pazienti della coorte 1 e nel 25% della coorte 2.

L’OS mediana è stata significativamente più alta nella coorte 2: 18 vs 4 mesi (p = 0,0002, Figura XV).

Figura XV: Sopravvivenza globale (OS) per tipo di trattamento.

Per quanto riguarda l’analisi multivariata, sia l’età (p<0,0001) che la SD long-lasting (p = 0,01) sono associate significativamente all’OS, mentre non lo sono né la categoria di rischio citogenetico né il tipo di agente ipomeetilante somministrato. Una malattia stabile, di lunga durata, conferisce un vantaggio di sopravvivenza nei pazienti anziani con LAM trattati con HMA e sono, quindi, necessari nuovi criteri di risposta per questa categoria di pazienti.

Vadastuximab Talirine Monotherapy in Older Patients with Treatment Naive CD33-Positive Acute Myeloid Leukemia (AML)

Bixby DL et al. Abstract 590

Il CD33 è espresso in circa il 90% dei casi di leucemia mieloide acuta (LAM). Vadastuximab talirine (33A) è un anticorpo diretto contro il CD33 coniugato con 2 molecole di dimero di pirrolobenzodiazepina (PBD). Dopo il legame, 33A viene internalizzato e trasportato nei lisosomi dove il dimero viene liberato e, legando il DNA, porta alla morte cellulare.

Questo studio di fase 1 è stato disegnato per valutare la sicurezza, la tollerabilità, la farmacocinetica e l’attività antileucemica di questa molecola in monoterapia. La dose raccomandata di 33A in monoterapia è stata identificata con 40 mcg/kg; sono stati considerati eleggibili per lo studio i pazienti con nuova diagnosi di LAM CD33+ non candidabili a chemioterapia intensiva. Il farmaco è stato somministrato endovena ogni 3 settimane per almeno 2 cicli, seguito poi da un’eventuale terapia di mantenimento a basse dosi nei pazienti che avevano ottenuto la CR o CRi.

27 pazienti con età mediana di 74 anni (range 67-89) sono stati trattati con 40 mcg/kg di 33A, il 70% aveva un cariotipo intermedio ed il 26% sfavorevole; la percentuale mediana di blasti all’esordio era del 47%.

Per quanto riguarda la tossicità, gli eventi avversi di grado 3 più frequenti sono stati: trombocitopenia (47%), neutropenia febbrile (41%), anemia (33%), astenia e polmonite (19%); altri eventi comuni correlati al farmaco sono stati: diminuzione dell’appetito, diarrea, edemi periferici, vertigini, brividi, tosse, dispnea ed epistassi; la mortalità precoce è stata 0% a 30 giorni e 15% a 60 giorni. L’efficacia è stata valutata in 26 pazienti: 6 pazienti (23%) hanno raggiunto la CR, 8 (31%) la CRi e 5 pazienti (19%) la remissione morfologica. La maggior parte delle remissioni è stata ottenuta dopo un ciclo e si è verificata anche nei casi ad alto rischio come i pazienti più anziani (>75 anni), o con cariotipo sfavorevole o FLT3/ITD+. Al momento della raccolta dei dati l’OS era del 37% (10 pazienti vivi). I dati sulla farmacocinetica hanno confermato gli studi precedenti con una rapida eliminazione del farmaco.

In conclusione, 33A ha dimostrato una valida attività antileucemica permettendo di ottenere il 54% di risposte (CR+CRi) in una popolazione ad alto rischio, raddoppiando i risultati ottenuti fino ad ora con le terapie convenzionali come gli agenti ipometilanti o le basse dosi di Ara-C. Inoltre il farmaco è ben tollerato e la percentuale di mortalità precoce è piuttosto bassa. Tutti questi risultati incoraggiano gli autori a valutare nuove strategie terapeutiche, in combinazione con le classiche terapie di induzione e consolidamento o in fase pre- e post-trapianto.

 

Vadastuximab Talirine Plus Hypomethylating Agents: A Well-Tolerated Regimen with High Remission Rate in Frontline Older Patients with Acute Myeloid Leukemia (AML)

Fahti A et al. Abstract 591

Il trattamento delle LAM dell’anziano è complicato dalla scarsa tolleranza ai trattamenti intensivi e dalla maggiore frequenza di una resistenza biologica alla terapia in questa categoria di pazienti. Gli agenti ipometilanti (HMA), attualmente utilizzati, permettono basse percentuali di remissioni e modeste sopravvivenze. Studi preclinici hanno dimostrato che l’utilizzo degli ipometilanti determina un upregolazione del CD33 e ciò potrebbe potenziare l’attività citotossica dell’anticorpo anti-CD33 vadastuximab talirine (33A). Questo studio di fase 1 vuole valutare la sicurezza, la tollerabilità, la farmacocinetica e l’attività antileucemica del 33A in associazione agli HMA.

Nello studio è stata somministrata endovena una singola dose di 33A al dosaggio di 10 mcg/kg all’ultimo giorno di somministrazione di HMA. Sono stati arruolati 43 pazienti con età mediana di 75 anni, tutti con cariotipo sfavorevole (38%) o intermedio (62%); la durata mediana di trattamento è stata di 19,3 settimane (range: 2-86).

Per quanto riguarda la tossicità (Figura XVI), non sono state riportate reazioni all’infusione; gli eventi avversi di grado ≥3 più frequenti sono stati: trombocitopenia (55%), anemia (43%), neutropenia febbrile (43%), neutropenia (38%), polmoniti (19%), leucopenia (17%).

Figura XVI: Eventi avversi.

Altri eventi avversi riportati sono stati: astenia (58%), nausea (47%), stipsi (43%), diminuzione dell’appetito, edemi periferici (40%), febbre (32%), dispnea (28%), diarrea (26%), vertigini (25%). La mortalità a 30 e a 60 giorni è stata, rispettivamente, del 2% e dell’8%. Il 37% delle dosi è stato rinviato per la mielosoppressione.

L’efficacia è stata valutata in 49 pazienti (Tabella V): 36 pazienti (73%) hanno raggiunto la CR (n = 21, 43%) o la CRi (n = 15, 31%).

Tabella V: Risultati di efficacia.

Le remissioni sono state raggiunte dopo una mediana di 2 cicli e si sono verificate anche nei pazienti ad alto rischio. La relapse free survival mediana è stata 9,1 mesi e l’OS del 42% dopo 10 mesi di follow up (Figura XVII).

Figura XVII: Sopravvivenza globale per età.

Questa combinazione terapeutica è, quindi, ben tollerata e sembra migliorare molto l’efficacia degli HMA in monoterapia in questa particolare popolazione di pazienti.

Phase IB/II Study of Nivolumab in Combination with Azacytidine (AZA) in Patients (pts) with Relapsed Acute Myeloid Leukemia (AML)

Daver N et al. Abstract 763

È stato dimostrato che il blocco della via PD-1/PD-L1 intensifica la risposta T-cellulare contro le cellule leucemiche in modelli murini con leucemia mieloide acuta (LAM) (Zhang et al, Blood 2009), ma la sola inibizione dei PD-1 ha una limitata attività nelle LAM (Berger et al, Clin Cancer Res 2008), per cui sono stata ipotizzate possibili strategie di combinazione per potenziare gli effetti anti-tumorali ed immunogenici degli inibitori di PD-1. È stato inoltre osservato che l’azacitidina iperattiva la via PD-1/PD-L1, fatto che potrebbe spiegare la resistenza all’agente ipometilante (Yang et al., Leukemia 2013), per cui si è pensato di poter superare tale resistenza associando l’inibitore di PD-1 nivolumab. In questo studio di fase IB/II sono stati arruolati 51 pazienti con LAM, già precedentemente trattati, con età mediana di 69 anni (range: 45-90) e caratteristiche prognostiche sfavorevoli. I pazienti sono stati trattati con AZA al dosaggio di 75mg/m2 giorni 1-7 e nivolumab al dosaggio di 3 mg/kg giorni 1 e 14, con cicli ripetuti ogni 4-5 settimane.

È stato possibile valutare la risposta in 35 pazienti: 6 pazienti (18%) hanno raggiunto la CR o CRi, 5 (15%) hanno ottenuto un miglioramento ematologico (HI), 9 (26%) hanno ottenuto una riduzione del 50% del numero dei blasti, 3 pazienti (9%) hanno avuto una malattia stabile per un periodo >6 mesi, e 12 pazienti (34%) sono andati incontro a progressione di malattia. La mortalità a 4 e 8 settimane è stata, rispettivamente, 0 e 6%; l’overall survival (OS) mediana di 9,5 mesi (range: 1,8-14,3), migliore rispetto alla casistica storica dei pazienti trattati con sola AZA come terapia di salvataggio (Figura XVIII).

Figura XVIII: OS con AZA+nivo verso dati storici con protocolli di salvataggio con AZA in a) tutti i salvataggi e b) solo primo e secondo salvataggio.

La tossicità immuno-mediata di grado 3-4 e di grado 2 si è verificata, rispettivamente, in 7 (14%) e 6 pazienti (12%) e si è manifestata come polmoniti, nefriti, transaminiti, rash cutaneo. Tra questi, un solo paziente è deceduto per polmonite mentre gli altri hanno risposto alla terapia steroidea e sono stati ritrattati senza problemi con nivolumab.

Inoltre, al baseline, è stato effettuato uno studio citofluorimetrico su sangue midollare e periferico per stabilire il numero di cellule T e l’espressione delle recettori co-stimolatori sulle cellule T e dei ligandi sulle cellule leucemiche ed è stato osservato che i pazienti rispondenti al trattamento avevano un livello più alto di cellule T CD3+ (p = 0,10), CD8+ (p = 0,02) e più basso di T-reg (p=0,01) (Figura XIX).

Figura XIX: Sottopopolazioni T e stato di attivazione.

A CD123-Targeting Antibody-Drug Conjugate (ADC), IMGN632, Designed to Eradicate Acute Myeloid Leukemia (AML) Cells While Sparing Normal Bone Marrow Cells

Kovtun Y et al. Abstract 768

CD123 è una molecola target attraente perché molto più espressa sulle cellule leucemiche che sulle normali, ma gli studi preclinici, fino ad ora riportati, con molecole anti-CD123 sono comunque gravati da una importante mielosoppressione. In questo lavoro viene presentata un nuovo ADC che uccide le cellule leucemiche CD23+ risparmiando le normali cellule midollari.

È stato generato un nuovo anticorpo anti-CD23 coniugato con dimeri di indolinobenzodiazepine (IGNs). Per scegliere l’ottimale carico IGN, sono state confrontate la citotossicità di un ADC con una mono-immina IGN (A-ADC) con quella di un ADC con una dimmina IGN (C-ADC), sulle cellule normali e leucemiche. L’efficacia è stata valutata utilizzando linee cellulari leucemiche con livelli di CD23 simili a quelli dei pazienti e con marcatori molecolari prognostici sfavorevoli. Entrambi gli ADC si sono dimostrati altamente citotossici, con dipendenza dal CD123 ed un vantaggio del C-ADC in termini di attività. C-ADC si è dimostrato più tossico sulle cellule midollari di donatori sani, prediligendo, quindi, una mielosoppressione clinica, e meno tollerato nel topo. Quindi, per una maggiore selettività sulle cellule leucemiche ed una maggiore tollerabilità, per gli ulteriori studi è stato scelto A-ADC e rinominato IMGN632.

Per confrontare IMGN632 con un ADC precedentemente approvato per il trattamento delle LAM, è stata valutata l’efficacia di IMGN632 e di gemtuzumab ozogamicin (GO) su cellule midollari di 11 donatori sani e di 17 pazienti affetti da LAM: solo 6 dei 17 campioni cellulari di pazienti con LAM si sono dimostrati sensibili al GO a concentrazioni tali da non impattare sui normali progenitori, tutti e 17 campioni, invece, si sono dimostrati altamente sensibili a IMGN632.

IMGN632 ha, quindi, dimostrato una potente attività sulle cellule leucemiche a concentrazioni tali da non impattare sulle cellule normali, suggerendo, così, un’efficace trattamento per le LAM con una assente o limitata mielosoppressione.

Final Results of the Chrysalis Trial: A First-in-Human Phase 1/2 Dose-Escalation, Dose-Expansion Study of Gilteritinib (ASP2215) in Patients with Relapsed/Refractory Acute Myeloid Leukemia (R/R AML)

Perl A et al. Abstract 1069

Gilteritinib (ASP2215) è un nuovo, potente ed altamente selettivo inibitore di FLT3 che ha mostrato, in vitro, attività contro FLT3-ITD e la mutazione puntiforme FLT3-D835 che conferisce resistenza agli inibitori di FLT3. Gli obiettivi dello studio di fase1/2 CHRYSALIS sono stati: stabilire la sicurezza e la tollerabilità di gilteritinib (endpoint primari), la farmacocinetica e la farmacodinamica e gli effetti antileucemici in pazienti con leucemia mieloide acuta (LAM) recidivata o refrattaria.

Tra l’ottobre 2013 e giugno 2015, in 28 centri degli Stati Uniti, sono stati arruolati 252 pazienti (129 M e 123 F), con età mediana di 62 anni (range: 21-90), indipendentemente dallo stato mutazionale di FLT3. I pazienti sono stati arruolati in 7 diverse coorti di dose-escalation (Figura XX).

Figura XX: Disegno dello studio.

Tutti i pazienti erano stati pesantemente trattati in precedenza (Tabella VI).

Tabella VI: Caratteristiche della popolazione CHRYSALIS TRIAL.

Le principale cause di discontinuazione del trattamento sono state: progressione di malattia (n=75), perdita di efficacia (n=44), eventi avversi (n=34) e morte (n=29); le cause di morte correlabili al trattamento sono state 7: embolia polmonare, insufficienza respiratoria, emottisi, emorragia intracranica, fibrillazione ventricolare, shock settico, neutropenia. La massima dose tollerata è stata stabilita a 300 mg quando 2 dei 3 pazienti della coorte a 450 mg hanno avuto una tossicità limitante (DLT) con diarrea ed ipertransaminasemia. Diarrea ed astenia sono stati gli eventi avversi non ematologici più frequenti (Tabella VII), meno del 5% dei pazienti ha avuto un allungamento del QT basale >500 msec.

Tabella VII: Eventi avversi CHRYSALIS.

Le concentrazioni del gilteritinib sono state generalmente proporzionali alla dose ed è stata dimostrata una lunga emivita (45-159 ore) con accumulo al giorno +15 (Figura XXI).

Figura XXI: Farmacocinetica di gilteritinib.

Gilteritinib ha mostrato una buona attività antileucemica con un ORR=49%; le risposte sono state meno frequenti nei pazienti con FLT3 wild-type (ORR=12%) e, sebbene le risposte complete e parziali si siano verificate a tutti i dosaggi del farmaco, sono state maggiori a concentrazioni >100 ng/mL, che corrispondono a dosaggi ≥80 mg/die (Figura XXII).

Figura XXII: Sopravvivenza globale nei pazienti FLT3mut+ trattati con gilteritinib.

Infatti, nei 169 pazienti FLT3+ che hanno ricevuto un dosaggio ≥80 mg la ORR è stata del 52% (Figura XXIII) con una overall survival (OS) mediana di 31 settimane (range: 1,7-61) ed una durata mediana di risposta di 20 settimane (range: 1,1-55).

Figura XXIII: Attività antileucemica di gilteritinib.

Le risposte cliniche si sono verificate sia nei pazienti FLT3-ITD che  FLT3-D835, così come nei pazienti che erano stati precedentemente trattati o meno con altri TKI (Figura XXIV).


Figura XXIV: Risposta antileucemica a ≥80 mg/die di gilteritinib nei pazienti FLT3mut+ per tipo di mutazione e stato TKI (naive verso pretrattati).

Lo studio CHRYSALIS ha dimostrato, quindi, che gilteritinib ha un’importante attività antileucemica, migliorando la sopravvivenza dei pazienti con AML FLT3+ recidivati o refrattari rispetto alla terapia standard ed è, perciò, in corso lo studio di fase 3 Admiral (NCT02421939) che valuta il farmaco al dosaggio di 120 mg per os in pazienti con AML FLT3+ recidivati-refrattari dopo la prima linea di terapia.


A cura di:

Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli

Felicetto Ferrara
Felicetto Ferrara
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli
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