Ruolo della bendamustina nel trattamento dei linfomi non Hodgkin
La bendamustina è un agente chemioterapico che presenta caratteristiche biochimiche e meccanismo d’azione distinti rispetto agli altri farmaci citotossici. La molecola di bendamustina è formata da un gruppo mecloretaminico, correlato chimicamente a quello di altri agenti alchilanti (clorambucil, ciclofosfamide), e da un anello benzimidazolico, che potrebbe agire come analogo purinico (Cheson BD, 2009). Modelli preclinici hanno dimostrato che la bendamustina determina danno diretto al DNA e induce apoptosi anche in cellule resistenti ad altri agenti chemioterapici (Leoni LM, 2008). La bendamustina è stata impiegata fin dagli anni ’70 del secolo scorso nella Germania dell’Est e negli anni più recenti è stata oggetto di numerosi studi in tutto il mondo, dimostrandosi agente chemioterapico attivo in varie emopatie neoplastiche (linfomi non Hodgkin, leucemia linfatica cronica, linfoma di Hodgkin, mieloma multiplo) e in neoplasie non ematologiche (cancro della mammella, cancro del polmone).
Bendamustina nei linfomi non Hodgkin indolenti
Impiegata come agente singolo, la bendamustina è risultata di transitoria efficacia nei pazienti con linfomi indolenti ricaduti/refrattari, determinando una risposta nel 60-75% dei pazienti trattati ma con una PFS mediana di soli 7,7-9 mesi (Friedberg JW, 2008; Kahl BS, 2010). L’associazione con rituximab (BR), suggerita da solide evidenze precliniche di sinergismo (Chow KU, 2002), ha mostrato tassi di risposta significativi (90-96%) con una durata mediana della risposta da 23 a 32 mesi (Rummel MJ, 2005; Robinson KS, 2008). Uno studio randomizzato del gruppo tedesco StiL, includente 219 pazienti con linfomi indolenti ricaduti, ha mostrato la superiorità del regime BR rispetto all’associazione tra rituximab e fludarabina, in termini di risposta globale (83,5% vs 52,5%), risposta completa (38,5% vs 16,2%) e PFS mediana (30 vs 11 mesi) (Rummel MJ, 2010).
Sulla base di questi risultati, lo stesso gruppo ha postulato che anche in pazienti non pretrattati lo schema BR potesse essere non inferiore rispetto alla tradizionale chemioterapia R-CHOP, con un più favorevole profilo di tollerabilità. Nell’ambito dello studio denominato NHL-1-2003, 261 pazienti sono stati trattati con bendamustina (90 mg/m2 giorni 1-2 ogni 4 settimane per 6 cicli) + rituximab dose standard e 253 pazienti sono stati trattati con il classico schema R-CHOP (ogni 3 settimane per 6 cicli). In questo studio il 55% circa dei pazienti era affetto da linfoma follicolare, il 20% da linfoma mantellare, il 12% da linfoma marginale, l’8% da linfoma linfoplasmocitico e il restante 5% da altri tipi di linfoma a basso grado di malignità: la randomizzazione è stata stratificata per garantire simili percentuali dei diversi tipi istologici nei due bracci di trattamento. Ad un follow-up mediano di 45 mesi, la PFS mediana dei pazienti trattati con il regime BR è risultata significativamente superiore rispetto a quella dei pazienti trattati con R-CHOP (69,5 vs 31,2 mesi); i pazienti trattati con bendamustina hanno inoltre presentato incidenza significativamente inferiore di tossicità ematologica severa (30% vs 68%), infezioni (37% vs 50%), neuropatia (7% vs 29%), mucosite (6% vs 19%) e alopecia (0% vs 100%) rispetto ai pazienti trattati con R-CHOP, mentre la comparsa di rash cutaneo è risultata più frequente nei pazienti trattati con bendamustina (16% vs 9%). La sopravvivenza a 5 anni non è risultata differente nei due bracci di trattamento (BR: 80,1% vs R-CHOP: 77,8%). Pur essendo stato disegnato come uno studio di non-inferiorità, gli autori hanno concluso che lo schema BR può essere considerato il trattamento preferenziale di prima linea nei pazienti con NHL indolente non pretrattato (Rummel MJ, 2013).
Simili risultati sono stati ottenuti dallo studio internazionale BRIGHT, nel quale 447 pazienti con linfoma indolente (follicolare 70%, marginale 10%, linfoplasmocitico 3%) o mantellare (17%) sono stati randomizzati a ricevere BR o R-CHOP/R-CVP. Anche in questo studio è stato confermato l’endpoint primario di non inferiorità (valutata in questo caso come tasso di remissione completa) del regime contenente bendamustina rispetto alla chemioterapia tradizionale (BR: 31% vs R-CHOP/R-CVP: 25%). Con un follow-up di 2 anni, la PFS mediana e la sopravvivenza globale non sono risultate significativamente diverse tra i due bracci di trattamento (Flinn IW, 2014).
Uno studio prospettico multicentrico condotto dalla Fondazione Italiana Linfomi (FIL) ha indagato fattibilità ed efficacia del trattamento di prima linea con bendamustina in pazienti anziani (>65 anni) con linfoma follicolare in stadio avanzato. Il trattamento consisteva in 4 cicli mensili comprendenti bendamustina (90 mg/m2 giorni 1-2), rituximab (375 mg/m2 giorno 1) e mitoxantrone (8 mg/m2 giorno 1), seguito da un consolidamento con 4 dosi settimanali di rituximab. La remissione completa è stata ottenuta in 52 su 69 pazienti valutabili (75%) e in 18 su 19 pazienti (95%) valutabili per la risposta molecolare è stata ottenuta la negatività del riarrangiamento Bcl-2 (Boccomini C, 2012). Anche in questo setting di pazienti, con un’età mediana di 71 anni, non si sono registrate tossicità inattese e, in particolare, una neutropenia severa (grado 3-4) è stata riscontrata solo nel 18% dei pazienti.
Bendamustina nei linfomi mantellari
La maggior parte degli studi per valutare l’efficacia di bendamustina +/- rituximab sia in pazienti ricaduti/refrattari che non pretrattati ha compreso insieme pazienti con linfomi non Hodgkin indolenti e linfomi mantellari, trattati con lo stesso dosaggio di bendamustina (in genere 90 mg/m2 giorni 1-2). In molti lavori è stata sottolineata la particolare efficacia del trattamento proprio nel setting del linfoma mantellare, caratterizzato di solito da ridotta risposta alle terapie e prognosi sfavorevole. Ad esempio, nel già citato studio BRIGHT (Flinn IW, 2014) il tasso di remissione completa ottenuto con BR è risultato statisticamente superiore a quello ottenuto con R-CHOP/R-CVP solo nel subset di pazienti con linfoma mantellare (51% vs 24%) e non in quello dei pazienti con NHL indolente.
Tra i lavori specificamente dedicati al linfoma mantellare va ricordato uno studio italiano multicentrico che ha recentemente dimostrato, su una coorte di 20 pazienti con linfoma mantellare non eleggibili a chemioterapia intensiva e programmi trapiantologici, che la combinazione di rituximab, bendamustina e citarabina (R-BAC) determina un alto tasso di risposte complete (70%) e una PFS del 70% a 2 anni (Visco C, 2013) (Tabella I).
Tabella I: Risultati del trattamento con bendamustina nei linfomi mantellari
Bendamustina nei linfomi non Hodgkin B aggressivi
La combinazione bendamustina +/- rituximab e/o altri farmaci è stata impiegata in un numero limitato di studi clinici in pazienti con linfomi B aggressivi. In uno studio prospettico di fase II che ha arruolato 63 pazienti con DLBCL ricaduto/refrattario al trattamento R-CHOP (età mediana 67 anni), uno schema intensificato comprendente bendamustina alla dose di 120 mg/m2 per 2 giorni + rituximab ogni 3 settimane per 6 cicli ha determinato un tasso di risposta globale del 63%, il 37% dei pazienti ha ottenuto la remissione completa, la PFS mediana è stata di circa 7 mesi (Ohmachi, 2014). E’ in corso uno studio del gruppo SAKK che prevede l’impiego della combinazione bendamustina-rituximab-lenalidomide in pazienti con linfomi B aggressivi non eleggibili per il trattamento con antracicline o terapia ad alte dosi.
Bendamustina nei linfomi T
I dati sull’impiego di bendamustina nei linfomi T sono ancora più limitati. Va tuttavia segnalato uno studio prospettico di fase II nel quale sono stati arruolati 60 pazienti con linfomi T (la maggior parte linfomi angioimmunoblastici e T periferici NAS) refrattari ad almeno una precedente linea di chemioterapia. L’età mediana era di 66 anni e il 23% dei pazienti aveva >75 anni. Il trattamento è consistito nella somministrazione di bendamustina come agente singolo alla dose di 120 mg/m2 giorni 1-2 ogni 21 giorni. Il 50% dei pazienti ha mostrato una risposta, con un tasso di remissioni complete del 28% e una PFS mediana di 3,6 mesi. Non si sono registrate tossicità inattese. Considerato il setting terapeutico particolarmente difficile e l’età dei pazienti arruolati, la bendamustina è stata considerata dagli autori una valida opzione terapeutica (Damaj G, 2013).
Dosaggio e regimi di combinazione
Bendamustina è registrata per l’impiego in pazienti con linfoma non Hodgkin B indolente ricaduto o refrattario al rituximab alla dose di 120 mg/m2 giorni 1-2 ogni 21 giorni. Visto l’ampio utilizzo del rituximab anche in pazienti ricaduti dopo una precedente terapia contenente rituximab, e considerato il sinergismo tra i due farmaci, in genere si preferisce il regime composto da bendamustina 90 mg/m2 giorni 1-2 in associazione con rituximab 375 mg/m2 giorno 1, ogni 28 giorni per un massimo di 6 cicli. La dose di bendamustina può essere ridotta a 70 mg/m2 in pazienti pesantemente pretrattati, con una ridotta riserva midollare o in caso di estesa localizzazione midollare.
Una recente review tratta estensivamente l’impiego della bendamustina in categorie particolari di pazienti (anziani, affetti da insufficienza renale, insufficienza epatica, etc…) e le misure di profilassi consigliate in associazione al trattamento (Brugger W, 2013).
Sono in corso numerosi studi di fase II e III che valutano l’impiego di bendamustina in associazione con diversi anticorpi monoclonali (ofatumumab, obinutuzumab) o nuovi agenti terapeutici (ildelasilib, ibrutinib, lenalidomide).
BIBLIOGRAFIA
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A cura di:
Università degli Studi di Verona, Professore Onorario di Ematologia, già Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, della UOC di Ematologia e del Dipartimento di Medicina