Piastrinopenia immune nella donna: un approccio dedicato

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Il presente articolo è basato sulla recente pubblicazione degli autori  F. Rodeghiero e E. Marranconi “Management of immune thrombocytopenia in women: current standards and special considerations” Expert Rev Hematol 2020; Feb;13(2):175-185.

 

1. Introduzione e scopo

Sorprendentemente, le implicazioni cliniche e l’appropriato approccio alla piastropenia immune (ITP) nelle donne sono stati oggetto di studi limitati e mancano tuttora revisioni aggiornate, nonostante la più elevata incidenza di ITP nelle donne in età fertile (Moulis, et al 2014). Una diagnosi corretta e un’adeguata gestione durante la gravidanza e al momento del parto sono di fondamentale importanza per le donne fertili e sono l’argomento principale di questa revisione ma, come vedremo, ci sono altri aspetti clinici che hanno specifica relazione con il genere femminile. Inoltre va considerata anche la gestione del neonato di una madre con ITP attiva o pregressa, in particolare per quanto riguarda la possibile insorgenza di piastrinopenia neonatale o fetale dovuta al passaggio transplacentare di autoanticorpi materni contro le piastrine. Questi anticorpi possono rimanere nel circolo materno per molti anni anche in donne “guarite” dall’ITP. Negli ultimi anni, è stato inoltre riscontrato negli adulti, in particolare in concomitanza con altri fattori di rischio, un tasso leggermente aumentato di trombosi, sia venosa che arteriosa (Rodeghiero 2016); anche questa circostanza dovrebbe  essere valutata, considerando che la gravidanza e il post-parto sono di per sè condizioni pro-trombotiche.

Allo scopo di colmare questa lacuna abbiamo eseguito una ricerca sistematica della letteratura disponibile su PubMed per il periodo 1 Gennaio 1990 – 31 dicembre 2019, utilizzando appropriate combinazioni di “AND/OR” dei seguenti termini: delivery, immune thrombocytopenia, ITP, menorrhagia, neonatal thrombocytopenia, newborn, parturition, pregnancy, thrombocytopenia, women.

 

2. Gravidanza

 

2.1. Epidemiologia e diagnosi differenziale delle trombocitopenie in corso di gravidanza

In uno studio nazionale condotto da Care et al. nel Regno Unito (Care, et al 2018) è stata riportata un’incidenza di ITP cronica grave durante la gravidanza pari a 0,83/10.000 gravidanze. L’ITP può presentarsi per la prima volta durante la gravidanza o manifestarsi come un peggioramento di un episodio precedente (Loustau, et al 2014). Peraltro, si possono osservare remissioni della malattia dopo il parto. La rarità della concomitanza di ITP e gravidanza va comunque rapportata, in una visione globale non esclusivamente ristretta ai paesi industrializzati, al numero di neonati per anno, stimato a livello di popolazione mondiale in 130 milioni. Se ne deduce che nel mondo oltre 10.000 donne ogni anno affrontano una gravidanza associata a ITP.

Considerando la prevalenza dell’ITP attiva cronica pari a circa 245 casi per milione di adulti di entrambi i sessi (Feudjo-Tepie, et al 2008), la percentuale di donne in età fertile pari al 10-15% ed un tasso di natalità medio di 2 bambini per donna (tasso riferibile alla maggior parte dei paesi occidentali), potremmo aspettarci il verificarsi di circa 2/10.000 gravidanze nelle donne con ITP cronica attiva. Dato in sostanziale accordo con i risultati riportati da Care et al. nella loro indagine nazionale, che si riferiva esclusivamente all’ITP grave (Care, et al 2018). Questo dato può essere anche più elevato ove si considerino anche le donne gravide con storia di ITP pregressa e al momento clinicamente in remissione.

La diagnosi di ITP primaria può essere più complessa durante la gravidanza rispetto alla popolazione femminile generale per la necessità di una diagnosi differenziale con altre piastrinopenie isolate, come la piastrinopenia gestazionale (GT), e con altri disturbi più rari sia specifici che non specifici per la gravidanza (Tabella I).

 

Tabella I. Principali cause di piastrinopenia (<150 × 109/L oppure <100 × 109/L per ITP) che necessitano di diagnosi differenziale durante la gravidanza.

 

L’ITP e la GT sono entrambe basate su criteri di esclusione e può risultare talora difficile effettuare una distinzione netta tra le due patologie. Tuttavia, l’esclusione di ITP è di fondamentale importanza per evitare alle donne in gravidanza un’immotivata preoccupazione e il ricorso a test e terapie non necessarie, non solo alle gravide stesse, ma anche ai loro feti e neonati. In effetti, la GT è un disordine innocuo definito come la presenza di una piastrinopenia isolata generalmente lieve (conta piastrinica <150 × 109/L) riscontrata accidentalmente in donne altrimenti sane durante il monitoraggio di routine della gravidanza, particolarmente nel terzo trimestre oppure nell’imminenza del parto. Le pazienti con GT mostrano invariabilmente una completa normalizzazione entro 1-2 mesi dal parto, permettendo così di confermare la diagnosi con certezza (diagnosi post hoc). Inoltre, il verificarsi di GT può render complessa la diagnosi differenziale delle altre piastrinopenie associate a disturbi sistemici elencati in Tabella I. Di fatto, una lieve piastrinopenia – inizialmente attribuita in modo errato a GT – può anticipare successive manifestazioni di un disturbo sistemico. Le principali indagini cliniche e di laboratorio elencate in Tabella II sono richieste, in caso di dubbio, per una diagnosi differenziale.

La GT viene diagnosticata in circa il 5-10% delle gravidanze, come dimostrato da alcuni studi epidemiologici di riferimento nei quali la piastrinopenia, rilevata nell’ambito di esami di routine pre-parto era seguita da completa normalizzazione (Boehlen, et al 2000, Burrows and Kelton 1993, Sainio, et al 2000). L’ipotesi che la GT rappresenti semplicemente la porzione inferiore della distribuzione dei valori della conta piastrinica, notoriamente ridotta durante la gravidanza,  non è del tutto supportata dall’analisi combinata di diversi studi longitudinali, e la patogenesi della GT rimane non completamente chiarita (Reese, et al 2017).

Degno di nota è un ampio studio retrospettivo condotto in singolo centro su 4.568 gravidanze apparentemente normali nelle quali era disponibile una conta piastrinica longitudinale (a vari tempi di gestazione). Questo studio ha potuto documentare una diminuzione della conta piastrinica con un tasso costante dal primo trimestre fino al momento del parto, suggerendo in questo modo che le donne che già si trovavano all’estremità inferiore della curva normale di distribuzione all’inizio della gravidanza (circa il 10%) potevano raggiungere valori decisamente inferiori alla normalità verso la fine della gestazione (George, et al 2018). Tuttavia, molto raramente (in non più dell’1% dei casi) nella GT la conta piastrinica  scende al di sotto di 100 × 109/L. I dati di questo e degli  altri studi menzionati precedentemente concorrono a confermare che soltanto eccezionalmente la conta piastrinica scende a livelli ≤70 × 109/L e che un conteggio ≤50 × 109/L viene osservato solo in casi estremamente rari (Boehlen, et al 2000, Burrows and Kelton 1993, Sainio, et al 2000).

In sintesi, sulla base di questi studi, in assenza di dati di laboratorio o clinici che suggeriscano una causa alternativa, sembra appropriato ricorrere a una diagnosi differenziale tra ITP e GT soltanto  quando la conta piastrinica scende al di sotto di 100 × 109/L. Usando questa soglia per dare avvio alla diagnosi differenziale tra GT e le altre trombocitopenie che possono essere riscontrate nelle donne in gravidanza, il rischio di trascurare la diagnosi di ITP o di qualcuna delle altre trombocitopenie rilevanti si aggira attorno allo 0,6-1,6% dei casi, una conclusione, questa, alquanto rassicurante. In effetti, con una soglia decisionale più elevata della conta piastrinica (<150 × 109/L) la distribuzione relativa delle cause di piastrinopenia nelle donne in gravidanza produrrebbe una sospetta diagnosi di GT variabile dal 4,9% al 10,9%, creando inutile ansietà nelle pazienti ed un ricorso eccessivo ad indagini futili. Inoltre, questa soglia decisionale catturerebbe non più dello 0,6-1,6% di tutte le altre cause di piastrinopenia, pre-eclampsia compresa e soltanto una ulteriore percentuale del tutto marginale di ITP attiva (0,02-0,4%) o pregressa (1%), fino a un massimo dell’1% se vengono considerati anche i casi di ITP pregressa (per la quale si dovrebbe comunque applicare l’attuale soglia diagnostica <100 × 109/L) (Boehlen, et al 2000, Burrows and Kelton 1993, Sainio, et al 2000).

Le ulteriori misurazioni cliniche e di laboratorio indicate nella nota in calce alla Tabella II devono sempre essere considerate per escludere un disturbo ipertensivo della gravidanza (es. pre-eclampsia), la causa più frequente di piastrinopenia alla fine del secondo e del terzo trimestre. In ogni caso è richiesto l’esame microscopico dello striscio di sangue periferico da parte di un ematologo esperto e a conoscenza del contesto clinico. Oltre a fornire informazioni sulla dimensione delle piastrine, che può risultare utile nel far sospettare alcune forme di  piastrinopenia congenita (nel caso di piastrine uniformemente piccole o grandi), la mancanza di aggregati piastrinici ci permette anche di escludere la pseudo-piastrinopenia. In particolare, la presenza di eritrociti frammentati, anomalie della coagulazione, esami del fegato anormali o aumento di LDH possono indirizzare la diagnosi verso alcuni dei disturbi sistemici della gravidanza che comportano piastrinopenia. Alcuni autori hanno proposto ulteriori test che si presume siano sufficientemente specifici per la diagnosi di ITP, come il test per gli anticorpi della glicoproteina o la misurazione del livello di trombopoietina sierica o delle piastrine reticolate, ma nessuno di essi è stato successivamente convalidato per l’ITP (e ancor meno nell’ITP in gravidanza) non avendo raggiunto un livello sufficiente di affidabilità per l’adozione nella pratica clinica (Gernsheimer 2012).

 

Tabella II. Valutazioni cliniche e di laboratorio di base in donne con piastrinopenia isolata.

 

La Tabella III riassume le principali caratteristiche clinico-patologiche dei vari disordini piastrinopenici osservati in gravidanza (Cines and Levine 2017). In rari casi, può essere presente una piastrinopenia isolata, premonitrice di disordini sistemici, suggerendo così l’opportunità di ripetere le indagini di laboratorio e il monitoraggio clinico se ritenuto necessario.

 

Tabella III. Principali caratteristiche distintive della piastrinopenia (<100 × 109/L) diagnosticata durante la gravidanza.

 

2.2. Morbilità dell’ITP in gravidanza per la madre e per il feto o il neonato

Per una gestione appropriata è importante conoscere quali sono i possibili eventi avversi legati all’ITP o ai trattamenti per l’ITP nella madre e nel feto/neonato e nel contempo demistificare alcune convinzioni non supportate da alcuna evidenza (Tabella IV).

Il sanguinamento post-partum è stato riportato raramente anche in pazienti con conta piastrinica <30-50 × 109/L  e senza che il rischio di sanguinamento  fosse aumentato rispetto alle donne sane. Ad esempio, in una grande serie retrospettiva su 119 gravidanze, il 15% delle donne aveva una conta piastrinica inferiore a  50 × 109/L, ma la complicanza emorragica si era dimostrata rara e non correlata alla conta piastrinica effettiva (Webert, et al 2003). Eventi avversi maggiori potrebbero essere causati dall’assunzione di corticosteroidi. Motivo di forte preoccupazione rimane la piastrinopenia neonatale nel feto o nel neonato, come sarà discusso ulteriormente in seguito. Si stima una percentuale di nati morti dopo 28 settimane di gestazione attorno allo 0,45% delle gravidanze (Gray, et al 2007), un tasso non molto superiore a quello segnalato in Europa occidentale per le donne non ITP (ad es. 0,3% in Italia, dati dell’Istituto Nazionale di Statistica per l’anno 2004). Rari casi di morte intrauterina sono stati segnalati nell’1,5% dei casi, probabilmente riconducibili a emorragia fetale (Fujimura, et al 2002). È stato anche documentato un possibile rischio legato all’allattamento al seno, in casi eccezionali (Hauschner, et al 2015).

 

Tabella IV. Eventi avversi sperimentati durante la gravidanza, correlati o meno a ITP attiva o pregressa o ai suoi trattamenti.

 

La conta piastrinica e il sanguinamento del neonato non sono dipendenti dalla conta piastrinica materna e neppure dalla presenza di autoanticorpi antipiastrinici. Al contrario, una precedente splenectomia della genitrice è stata correlata a piastrinopenia neonatale (Sun, et al 2016) e a un rischio leggermente aumentato di sanguinamento nei neonati. Inoltre, l’insorgenza di piastrinopenia neonatale è maggiore quando si sia già verificata in precedenza in un fratello. In generale, dati raccolti negli ultimi anni hanno consentito di indicare che l’ITP in gravidanza non aumenta in modo significativo la morbilità della madre, l’abortività o la frequenza di prematurità o di basso peso del feto. D’altra parte, l’ITP può esacerbarsi durante la gravidanza, in particolare nell’ultimo trimestre (Loustau, et al 2014).

Il decorso generalmente benigno delle donne con ITP e dei loro neonati è stato recentemente confermato da due grandi serie, una condotta nel Regno Unito (Care, et al 2018) e l’altra in due grandi centri in Canada (Sun, et al 2016) (Tabella V). Inoltre, l’alto tasso di sanguinamento post-partum riportato dallo studio del Regno Unito è paragonabile a quello trovato nella popolazione normale e non sembra dipendere dalla reale conta piastrinica, come già suggerito da Webert et al (Webert, et al 2003). I risultati di questi due ampi studi basati sul trattamento con steroidi e/o IVIG non sembrano evidenziare alcuna differenza per quanto riguarda gli esiti materni o fetali (James 2018). Queste  conclusioni ci interrogano se nella pratica clinica attuale non stiamo ancora trattando eccessivamente pazienti asintomatiche, come suggerito da Care et al. (Care, et al 2018), esponendole così ad effetti collaterali non necessari derivanti da trattamenti profilattici somministrati al fine di aumentare la conta piastrinica pur in assenza di un chiaro beneficio clinico. Tuttavia, a causa della difficoltà di eseguire studi randomizzati in questo contesto, rimangono margini di incertezza, per cui sarebbe opportuno valutare sistematicamente nuovi approcci profilattici con studi prospettici ad hoc. Altri studi hanno confermato i dati di Webert et al (Webert, et al 2003) riportando basse percentuali di mortalità nelle madri con ITP (<1%) e di emorragia intracranica (ICH) nei neonati (<1,5%), con solo il 10% circa dei neonati con una conta piastrinica inferiore a 50 × 109/L (Burrows and Kelton 1993, Samuels, et al 1990). Questi buoni risultati contrastano chiaramente con alcuni dati storici. Ad esempio, nel 1976 è stato raccomandato il taglio cesareo a tutte le pazienti con ITP sulla base di una mortalità perinatale riportata del 12-21%, derivante principalmente da traumi alla nascita e ICH (Provan, et al 2019, Provan, et al 2010). Tuttavia, in mancanza di solidi studi sperimentali prospettici con endpoint ben definiti, consigliamo di attenersi ai suggerimenti generali menzionati in questa recensione che sono conservativi e riflettono le raccomandazioni delle attuali linee guida (Neunert, et al 2011, Neunert, et al 2019, Provan, et al 2019, Provan, et al 2010).

 

Tabella V. Principali risultati di due ampie serie recenti.

 

2.3. Management delle donne con ITP in gravidanza

Lo scopo del trattamento è evitare il sanguinamento nella madre, nel feto e nel neonato, riducendo al minimo la tossicità o la teratogenicità del trattamento.

La prevenzione dell’emorragia legata al parto è di primaria rilevanza, così come il raggiungimento di una conta piastrinica che consenta un’analgesia sicura. Alla madre dovrebbe essere fornita consulenza per l’allattamento unitamente ad adeguati sistemi per monitorare la qualità della vita complessiva, magari utilizzando strumenti specifici  per l’ITP come il Questionario di Valutazione del Paziente per la Piastrinopenia Immune (ITP-PAQ) per adulti (Mathias, et al 2007) e dovrebbe essere compiuto ogni sforzo per alleviare inutili ansie e paure. La maggior parte delle donne può essere gestita con la sola osservazione senza bisogno di ricorrere a trattamenti specifici per ITP, se viene mantenuta una conta piastrinica stabilmente superiore a 20-30 × 109/L e purché non si verifichino sanguinamenti o siano previsti interventi chirurgici (Loustau, et al 2014, Sun, et al 2016, Wang, et al 2017). In quest’ultimo caso una conta piastrinica ritenuta sicura durante l’intervento chirurgico è quella solitamente indicata per gli adulti (ad es. ≥ 50 × 109/L per interventi chirurgici minori, ≥ 80-100 × 109/L per chirurgia maggiore e ≥ 70–80 × 109/L per l’anestesia spinale).

Escludendo il caso di interventi a rischio di sanguinamento in aree critiche (es. anestesia spinale), le eparine a basso peso molecolare (EBPM) sono fortemente raccomandate nelle donne con fattori di rischio noti per trombosi che altrimenti richiederebbero profilassi antitrombotica, come in caso di interventi di chirurgia maggiore quali il taglio cesareo. In caso di eventi trombotici, i relativi trattamenti devono essere tempestivamente somministrati seguendo le stesse modalità osservate per la popolazione generale, a condizione che la conta piastrinica sia mantenuta superiore a 30 × 109/L per la profilassi e a 50 × 109/L per il trattamento.

Storicamente, i trattamenti più consolidati per l’ITP sono i corticosteroidi; in caso di emergenza o rischio imminente di sanguinamento può essere necessaria la trasfusione di IVIG e piastrine. Cicli ripetuti di IVIG o immunoglobuline anti-D (non disponibili in Europa) possono essere indicati anche in pazienti con controindicazione ai corticosteroidi. Dati più limitati sono invece disponibili sul desametasone ad alte dosi, per il quale è stata segnalata una maggiore tossicità e manifestazioni psichiatriche. I dati di efficacia e sicurezza della splenectomia in gravidanza si basano unicamente su case report, e l’intervento dovrebbe essere eseguito solo quando assolutamente necessario (e comunque durante il secondo trimestre) (George, et al 1996, Provan, et al 2019). L’azatioprina e la ciclosporina (2,5-3 mg/kg/die) sembrano avere una scarsa efficacia oltre a un inizio d’azione ritardato. L’azatioprina attraversa la placenta, ma la sua somministrazione nel primo trimestre non è stata associata ad un aumentato tasso di malformazioni alla nascita (Alami, et al 2018). Tuttavia, un aumentato rischio di parti pretermine non può essere del tutto escluso. La ciclosporina può avere effetti teratogeni. Entrambi gli agenti dovrebbero essere usati quando le alternative non sono attuabili e il rapporto rischio-beneficio ne giustifica il ricorso.

Micofenolato mofetile, danazolo e alcaloidi della vinca, usati per il trattamento della ITP negli adulti, dovrebbero essere evitati in gravidanza a causa dei loro effetti nocivi sul feto.

Dovrebbe essere assicurata la supervisione di un ematologo esperto in ITP e un ostetrico dovrebbe essere coinvolto fin dal principio per garantire una collaborazione continua e un

intervento adeguato in caso di emergenza. Il parto vaginale è consigliato, a meno che specifiche indicazioni ostetriche non dettino la necessità di un taglio cesareo (Neunert, et al 2011, Webert, et al 2003). È richiesto un più frequente monitoraggio della conta piastrinica alla fine del terzo trimestre, con valutazione a frequenza settimanale a partire dalle settimane 32-34, perché il numero delle piastrine diminuisce man mano che la gravidanza progredisce e può rendersi necessario il trattamento in preparazione al parto (Fujimura, et al 2002, van Veen, et al 2010, Webert, et al 2003). In un ampio studio su donne in gravidanza con ITP preesistente, la precedente splenectomia si è dimostrata come unico fattore significativamente associato al peggioramento dell’ITP durante la gravidanza (53,9% vs 10,3%, P <0,001) (Loustau, et al 2014). Di conseguenza, sembra essere una buona pratica monitorare attentamente queste donne (Loustau, et al 2014). Sorprendentemente, la conta piastrinica della madre non sembra modificare la conta piastrinica fetale (Kong, et al 2017, Sun, et al 2016, Wang, et al 2017).

 

2.4. Trattamenti consolidati

 

2.4.1. Corticosteroidi

Questi farmaci sono di provata efficacia e sostanzialmente sicuri se somministrati da mani esperte. Va sottolineato, tuttavia, che è buona pratica evitare un trattamento eccessivo delle pazienti asintomatiche e che una conta piastrinica stabile ≥30 x 109/L in assenza di manifestazioni emorragiche è generalmente considerata sicura. Per una paziente che non manifesti episodi di sanguinamento, l’International Consensus Report aggiornato e recentemente pubblicato indica come sicura per la maggior parte della gravidanza una conta piastrinica compresa tra 20 e 30 x 109/L e suggerisce come preferibile, per il momento del parto,  una conta piastrinica ≥50 x 109/L (Provan, et al 2019). Tuttavia, valori più alti sono richiesti per l’anestesia spinale, come sarà discusso in seguito. Altri esperti suggeriscono che, in considerazione della possibilità di un taglio cesareo d’urgenza, un valore di almeno 50 x 109/L sia più appropriato soprattutto durante il terzo trimestre. Non sono disponibili studi controllati per suggerire dosaggio e schemi specifici per corticosteroidi e IVIG (Provan, et al 2019). Il trattamento di prima linea, quando necessario, deve essere basato su corticosteroidi per il più breve tempo possibile e ad un dosaggio inferiore a quello normalmente impiegato (prednisone o prednisolone, a partire da 10-20 mg/die, aggiustato alla dose minima richiesta per raggiungere una conta piastrinica emostaticamente efficace, quindi generalmente inferiore a 20-40 mg/die).

Se dovesse risultare necessario un rapido aumento della conta piastrinica o la risposta ai corticosteroidi dovesse essere insufficiente o ancora questa categoria di farmaci non fosse indicata, dovrebbe essere somministrato un trattamento aggiuntivo con IVIG ad alte dosi, alla dose standard di 400 mg/kg/die per 4 giorni o 1 g/kg/die per 2 giorni consecutivi, come è pratica comune per l’ITP.

Il prednisone orale o il prednisolone sono preferiti al desametasone ad alte dosi pulsate che non ha mostrato una netta superiorità nel trattamento dell’ITP, almeno in termini di prolungamento sostanziale del periodo senza necessità di trattamento. Soprattutto, non è stato sufficientemente testato su donne in gravidanza, in particolare per quanto riguarda possibili effetti collaterali acuti, comprese le manifestazioni psichiatriche, di difficile gestione. Le poche segnalazioni che associano prednisone o prednisolone a un rischio leggermente aumentato di rottura precoce delle membrane fetali e distacco di placenta o, in caso di esposizione ad alti dosaggi durante il primo trimestre, a un certo rischio teratogeno (principalmente palatoschisi) sono state rivalutate come minimamente rilevanti (Pradat, et al 2003). Inoltre, il loro presunto effetto di accrescere il rischio di aborto spontaneo sembra non dimostrato o, comunque, solo leggermente più elevato (Bjorn, et al 2013). Il prednisone viene trasformato dal fegato nel suo metabolita attivo prednisolone, che viene inattivato dalla 11-β-idrossilasi placentare (Yang 1997), quindi sia il prednisone che il prednisolone rientrano tra i corticosteroidi ritenuti sicuri durante la gravidanza. Le donne in gravidanza possono comunque risentire degli effetti avversi più comuni dei corticosteroidi quali osteoporosi, ipertensione, diabete, cataratta e sintomi psichiatrici,  anche con un’intensità e una frequenza maggiori. Sebbene nei neonati possano comparire infezioni perinatali e insufficienza surrenalica, in un’analisi di oltre 1000 gravidanze questi eventi sono stati segnalati come molto rari (Ostesen 1994). In ogni caso i corticosteroidi devono essere usati per il minor tempo e alla dose efficace più bassa possibile.

 

2.4.2. IVIG

Quando i corticosteroidi sono inefficaci o richiedono dosi elevate o causano effetti collaterali rilevanti, le IVIG rappresentano il trattamento di seconda scelta. Le immunoglobuline sono anche la terapia di elezione in situazioni di emergenza o rischio imminente di sanguinamento, quando è richiesto un aumento rapido della conta piastrinica. Si suggerisce un tempo di infusione lento, ma comunque tutte le preparazioni recenti appaiono più sicure di quelle utilizzate fino a 10-15 anni fa, con meno reazioni avverse all’infusione quali mal di testa, meningite asettica, trombosi ed emolisi. La maggior parte dei casi risponde raggiungendo il massimo aumento in 1–3 giorni e una conta piastrinica sicura superiore a 30–50 × 109/L conservata per 2-4 settimane. Dopo somministrazioni ripetute, in alcuni casi può verificarsi tachifilassi e le IVIG possono progressivamente perdere efficacia in termini di entità dell’aumento della conta piastrinica e/o durata della risposta. Le infusioni di IVIG possono essere ripetute a intervalli regolari per mantenere una conta piastrinica sicura durante tutta la gravidanza (in particolare quando i corticosteroidi sono controindicati o tossici) o anche solo in preparazione al parto. Evidenze limitate indicano una qualità generalmente inferiore della risposta a IVIG e corticosteroidi durante la gravidanza (Sun, et al 2016).

In caso di emergenza, in pazienti con emorragie potenzialmente fatali, devono essere sempre prese in considerazione le trasfusioni di piastrine. Sebbene l’incremento della conta piastrinica possa durare solo poche ore, questo trattamento può essere considerato potenzialmente salvavita.

 

 

2.5. Altri trattamenti con dati limitati o aumentata tossicità

 

2.5.1. Splenectomia

In casi eccezionali di donne in gravidanza che non hanno risposto alla terapia con corticosteroidi e IVIG e rimangono ad alto rischio di sanguinamento o hanno emorragie rilevanti che coinvolgono organi o mucose, può essere presa in considerazione la splenectomia. È preferibile eseguire la procedura nel secondo trimestre, e possibilmente per via laparoscopica. Secondo le linee guida nazionali, le donne dovrebbero essere vaccinate, preferibilmente almeno 15 giorni prima dell’intervento (George, et al 1996, Rodeghiero 2018, Rodeghiero and Ruggeri 2012).

 

2.5.2. Altri trattamenti

Sono disponibili dati limitati sull’efficacia e la sicurezza di altri trattamenti. L’azatioprina e la ciclosporina hanno un’efficacia limitata e un inizio d’azione ritardato (da poche settimane a mesi). I potenziali effetti avversi dell’azatioprina includono leucopenia reversibile e un piccolo, ma forse significativo, aumento del rischio di sviluppare una neoplasia (Kyle and Gertz 1992); il rischio di sviluppare malformazioni fetali non può essere escluso (Doll, et al 1989, George, et al 1996). Tuttavia, i dati riguardanti l’entità di questi rischi sono limitati e si basano principalmente su donne in gravidanza che assumono azatioprina dopo trapianto di rene per controllare il rigetto d’organo.

 

2.6. Trattamenti sconsigliati o da evitare

 

2.6.1. TPO RA

L’uso di TPO-RA in gravidanza non è raccomandato dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) né dalla Food and Drug Administration negli USA (FDA) poiché attraversano la placenta e alcuni studi hanno mostrato il pericolo di effetti nocivi sullo sviluppo embrio-fetale nei topi e nei ratti. Sono stati segnalati solo pochi casi di utilizzo in gravidanza (non più di 10-15), apparentemente senza effetti tossici importanti. Amgen e Novartis, le società produttrici di questi agenti, hanno sviluppato dei registri con i dati delle donne che hanno assunto questi farmaci durante la gravidanza, purtroppo, però, i dati non sono ancora stati resi pubblici. Un recente lavoro osservazionale retrospettivo multicentrico di Michel et al ha raccolto 15 donne con ITP severa e refrattaria, 17 gravidanze e 18 neonati trattati con eltrombopag (n. 8) o romiplostim (n. 7) per un tempo di esposizione medio di 4,4 settimane durante la gravidanza (prevalentemente in preparazione del parto) senza riscontrare effetti avversi significativi nelle madri o nei neonati (Michel, et al 2020). Pertanto, la somministrazione di TPO-RA dovrebbe essere presa in considerazione solo in circostanze eccezionali e possibilmente limitatamente all’ultimo trimestre, come raccomandato dalle relazioni ufficiali dell’EMA consultate il 5 dicembre 2019 (2019a, 2019b).

 

2.6.2. Rituximab

Rituximab provoca deplezione delle cellule B nel neonato; ne risulta che l’immunosoppressione perinatale e neonatale e la successiva infezione sono potenziali complicanze, che richiedono monitoraggio. La risposta alla vaccinazione è ridotta e i vaccini con virus vivi sono da evitare durante la gravidanza e nei neonati. L’International Consensus Report aggiornato raccomanda di considerare il rituximab in gravidanza solo per i casi molto gravi (Provan, et al 2019). A causa della sua lunga emivita in circolazione, le donne che stanno pianificando una gravidanza dovrebbero evitare l’esposizione a rituximab già 12 mesi prima (Chakravarty, et al 2011). Rapporti sporadici sull’uso sicuro di rituximab in gravidanza non sembrano sufficienti per poter trascurare questo avvertimento, tranne nei casi in cui il suo utilizzo sia l’unica alternativa efficace a trattamenti più tossici e pericolosi.

 

2.6.3. Danazolo e dapsone

Non ci sono dati a supporto della sicurezza e dell’efficacia in gravidanza di danazolo (che può avere effetti virilizzanti sulla madre e sul feto femmina) e dapsone, quindi questi agenti devono essere rigorosamente evitati.

 

2.6.4. Antifibrinolitici

Sebbene non vi siano prove certe della loro efficacia, questi farmaci vengono suggeriti da alcune autorità, in particolare per interventi odontoiatrici o chirurgie minori o in caso di sanguinamento attivo delle mucose (Wardrop, et al 2013). Dati clinici limitati sull’uso dell’acido tranexamico in diversi contesti clinici emorragici non hanno identificato effetti nocivi per il feto quando somministrato durante il secondo e il terzo trimestre e gli studi sugli animali non rilevano effetti teratogeni. Pertanto, l’acido tranexamico deve essere somministrato, preferibilmente dopo il primo trimestre, solo se il beneficio atteso giustifica il potenziale aumento del rischio di trombosi, in particolare in presenza di fattori di rischio. Il dosaggio standard è di 15-20 mg/kg ogni 8 ore per via orale o endovenosa. Il farmaco viene secreto nel latte materno. L’acido aminocaproico, tuttavia, non è raccomandato durante la gravidanza a causa del suo effetto teratogeno nei ratti come riportato nelle relazioni ufficiali dell’EMA per entrambi gli agenti, consultate in data 5 dicembre 2019 (2013).

 

2.7. Trattamenti promettenti ma non ancora disponibili

 

2.7.1. rhTPO

In Cina è stata approvata una formulazione di TPO umana ricombinante completamente glicosilata (rhTPO) per il trattamento della ITP cronica refrattaria ai corticosteroidi, che sembra avere un alto tasso di risposta, pari a circa il 60% (Wang, et al 2012). Uno studio prospettico multicentrico in aperto è stato condotto in Cina su 31 donne in gravidanza con ITP primaria, con una conta piastrinica inferiore a 30 × 109/L e manifestazioni emorragiche, non rispondenti ai corticosteroidi ± IVIG e refrattarie alle trasfusioni di piastrine (Kong, et al 2017). rhTPO è stata somministrata inizialmente a 300 U/kg per 14 giorni e successivamente con meno frequenza o interrotta in base alla conta piastrinica, con l’obiettivo di mantenere le piastrine a valori di almeno 30 × 109/L. Il trattamento è continuato per 12 settimane dopo il parto, per mantenere la conta piastrinica al di sopra di 30 × 109/L. Il tasso di risposta, secondo i criteri IWG (Rodeghiero, et al 2009), è stato del 74% (23/31): 10 donne hanno raggiunto una risposta completa di almeno 100 × 109/L e 13 una risposta parziale di almeno 30 × 109/L e aumento di almeno 2 volte della conta piastrinica al basale. C’è stato un miglioramento generale dei sintomi emorragici anche quando la risposta non è stata raggiunta. Non si sono verificati eventi avversi in madri, neonati e lattanti dopo un follow-up mediano di 53 settimane. Grazie al suo alto peso molecolare (90 kDa), si presume che rhTPO non sia in grado di attraversare la placenta. Prima di adottare questo trattamento nella pratica clinica saranno comunque necessari ulteriori studi indipendenti che confermino questi risultati promettenti.

 

2.7.2. Fostamatinib

Fostamatinib, un inibitore splenico della chinasi della tirosina (Syk), necessaria per l’attivazione dei macrofagi e la distruzione delle piastrine, si è recentemente dimostrato efficace negli studi di fase 2 e 3, consentendo il raggiungimento in almeno un’occasione di una conta piastrinica ≥50 × 109/L. Una conta piastrinica stabile e sicura >30 × 109/L è stata mantenuta nel 18% delle pazienti per una mediana di 28 mesi. Un risultato non trascurabile, considerando che le pazienti incluse in questi studi clinici erano multirefrattarie (Bussel, et al 2018, Bussel, et al 2019). Fostamatinib è registrato come trattamento di seconda linea nell’ITP da FDA ed EMA, ma non ci sono dati disponibili sul suo uso in gravidanza e non è quindi consigliata la sua somministrazione. Studi su ratti e conigli in gravidanza hanno dimostrato embriotossicità (ad es. morte fetale, perdita post-impianto, basso peso fetale, anomalie strutturali) e tossicità materna a dosi da 0,3 a 10 volte la dose massima raccomandata nell’uomo (MRHD). Il suo uso non può essere raccomandato durante la gravidanza e dovrebbero essere incoraggiati metodi contraccettivi adeguati. L’allattamento è controindicato fino a 1 mese dopo l’interruzione di fostamatinib (2018).

 

 

3. Gestione del parto e dell’analgesia ostetrica

Per il parto vaginale (senza episiotomia) una conta piastrinica di almeno 30 × 109/L è considerata sicura da alcuni esperti, tuttavia quando possibile viene raccomandata una conta piastrinica ≥50 × 109/L sia per il parto vaginale che per il taglio cesareo. Questa conta dovrebbe essere anche mantenuta per almeno alcuni giorni dopo il parto. Tali soglie si basano più sull’esperienza accumulata e sul consenso che su studi specifici. Per l’anestesia neurassiale la maggior parte delle linee guida indica una conta piastrinica minima di almeno 75-80 × 109/L considerando i rischi di posizionamento e rimozione di aghi spinali o cateteri epidurali, nonostante gli ematomi spinali siano molto rari anche con una conta piastrinica appena superiore a 50 × 109/L (van Veen, et al 2010). Durante l’analgesia ostetrica e l’anestesia si raccomanda di evitare qualsiasi somministrazione periprocedurale di farmaci che interferiscano con l’emostasi come i farmaci antinfiammatori non steroidei o la profilassi antitrombotica (ad es. con EBPM). Una donna con una conta in rapida diminuzione deve essere monitorata più attentamente di una con una conta bassa ma stabile. Prima di un intervento chirurgico elettivo come il taglio cesareo, ove si rendesse necessario  un rapido aumento della conta piastrinica, è indicata la somministrazione di IVIG. Una revisione sistematica di 1.524 partorienti piastrinopeniche ha valutato il rischio di ematoma epidurale. Sono state incluse più di 500 pazienti con una conta piastrinica di 70-100 × 109/L, delle quali quasi 300 sono state sottoposte ad anestesia epidurale. Il rischio stimato di ematoma epidurale era dello 0,2% (Lee, et al 2017). In caso di storia di emorragie, presenza di ecchimosi o test di coagulazione anormali, inclusi il tempo di protrombina (PT), il tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT) e i livelli di fibrinogeno, che possono aumentare il rischio di sanguinamento, si consiglia l’esame da parte di un anestesista esperto.

 

4. Consulenza per donne con ITP pregressa, attiva o in via di sviluppo durante la gravidanza

Già al momento della diagnosi, è buona norma rassicurare le donne in età fertile che l’ITP non è quasi mai una controindicazione alla gravidanza e che le complicanze emorragiche gravi sono estremamente rare. Tuttavia, in alcuni casi, potrebbero essere necessario somministrare alle donne che stanno valutando una gravidanza trattamenti farmacologici in genere non raccomandati o controindicati (TPO-RA, rituximab, immunosoppressori). In questi casi è opportuno suggerire di posticipare la gravidanza fino a quando la conta piastrinica non viene mantenuta entro limiti accettabili con trattamenti più sicuri come i corticosteroidi e/o le IVIG. Considerando la rarità dell’ITP durante la gravidanza, sembra opportuno raccomandare che la gestione delle donne in gravidanza sia supervisionata da un ematologo esperto di ITP presso un centro specializzato, in coordinamento sin dall’inizio con personale ostetrico disposto a garantire una collaborazione continua e un intervento appropriato in caso di emergenza. Le donne dovrebbero essere informate che il parto vaginale è appropriato e auspicabile a meno che specifiche indicazioni ostetriche non richiedano un taglio cesareo. In ogni caso, se è possibile garantire una conta piastrinica sufficiente, dovrebbe essere proposta l’analgesia durante il parto.

Infine si dovrebbero rassicurare le pazienti in gravidanza o che programmano una gravidanza che non vi sono rischi a sottoporsi alla vaccinazione antiSARS-CoV-2, che al contrario essa è raccomandabile.

 

5. Gestione della piastrinopenia neonatale e dell’allattamento al seno

Circa il 10% e il 5% dei neonati di madri con ITP attiva o pregressa presenta una conta piastrinica, rispettivamente <50 × 109/L o <20 × 109/L. In ogni caso, nel complesso, si osservano emorragie intracraniche neonatali comunque non superiori allo 1,5% (Payne, et al 1997, Samuels, et al 1990, Webert, et al 2003). Nelle donne con ITP, gli autoanticorpi piastrinici rimangono in circolazione anche dopo che la malattia è apparentemente guarita e la conta piastrinica risulta nella norma. Questi anticorpi patogeni attraversano la barriera placentare e possono causare la distruzione delle piastrine circolanti del feto/neonato. Poichè l’ITP pregressa può facilmente non dare segni né sintomi al momento della gravidanza  e quindi passare inosservata, essa dovrebbe essere indagata attraverso una  anamnesi mirata e l’analisi della cartella clinica. Sfortunatamente, il test per la presenza o l’assenza di anticorpi piastrinici sierici non è raccomandato, in quanto inaffidabile a causa dell’alto tasso di falsi risultati. Sebbene la cordocentesi o il prelievo di sangue fetale siano pratiche obsolete e pericolose, una conta piastrinica dal cordone ombelicale o preferibilmente dal sangue periferico deve essere effettuata in tutti i neonati immediatamente dopo il parto per determinare l’eventuale necessità di un trattamento immediato.

Il neonatologo deve essere consapevole che il rischio di piastrinopenia neonatale è maggiore nei bambini nati da madri splenectomizzate o con un fratello maggiore con piastrinopenia neonatale documentata. Per un neonato con conta piastrinica normale potrebbe essere sufficiente il monitoraggio dei sintomi emorragici per circa una settimana. Se la conta piastrinica ottenuta dal cordone ombelicale è <100 × 109/L, dovrebbe essere ripetuta quotidianamente almeno inizialmente e comunque fino a quando non si sarà stabilizzata. Successivamente la conta potrà essere effettuata meno frequentemente  (Provan, et al 2019) considerando che il nadir si raggiunge dopo 2-5 giorni dalla nascita. Se una qualsiasi conta risultasse essere inferiore a 50 × 109/L, si consiglia l’ecografia cranica anche in assenza di manifestazioni emorragiche. Al di sotto di 30 × 109/L, è richiesto un trattamento per aumentare la conta piastrinica, solitamente IVIG e corticosteroidi; nei casi più estremi, si consiglia una trasfusione di piastrine.

Per quanto riguarda l’allattamento, l’assunzione materna di corticosteroidi è considerata sicura poiché sono secreti nel latte materno in concentrazioni molto basse e senza alcun effetto biologico (Berlin and Briggs 2005). Allo stesso modo, la somministrazione di IVIG è considerata senza rischi per il bambino. Per altri farmaci si deve fare riferimento all’indicazione specifica per l’allattamento riportata nei relativi riassunti delle caratteristiche del prodotto. In passato è stata segnalata piastrinopenia persistente nei neonati allattati al seno di donne con ITP (Bussel 1997, Kelemen, et al 1978, Leissring, et al 1962, Martin, et al 1984). Più recentemente, dopo l’osservazione che un caso di piastrinopenia neonatale persistente si è risolto dopo l’interruzione dell’allattamento, è stata indagata prospetticamente la presenza di autoanticorpi in campioni del latte materno in  22 donne in allattamento: 7 donne con ITP attiva e piastrinopenia neonatale prolungata durante l’allattamento (gruppo A), 6 donne con ITP pregressa ma senza piastrinopenia neonatale (gruppo B) e 9 donne sane (gruppo C). Anticorpi anti-GP IIb/IIIa di tipo IgA sono stati trovati in 4 su 7 campioni nel gruppo A, in 1 su 6 nel gruppo B, e 1 su 9 nel gruppo C. Sulla base di questo studio e di evidenze precedenti, l’allattamento al seno non dovrebbe essere scoraggiato, ma la sua interruzione potrebbe essere una scelta consigliabile nel caso la piastrinopenia persistesse (Hauschner, et al 2015).

 

6. Altri aspetti di genere nel management dell’ITP

Oltre alle questioni relative alla gravidanza, ci sono altri aspetti specifici del genere femminile che dovrebbero essere affrontati, tanto nelle donne in età fertile quanto nelle ragazze più giovani e nelle pazienti anziane. Il menarca è l’evento più temuto dai genitori di bambine con ITP grave e dovrebbero essere rassicurati dato che finora non sono stati segnalati sanguinamenti maggiori, se non in casi eccezionali. In caso di perdite ematiche importanti e persistenti, è indicata un’indagine ginecologica per la menorragia funzionale o un’indagine sull’emostasi, se i sintomi di sanguinamento erano già presenti prima dell’inizio dell’ITP. Con una conta piastrinica inferiore a 20-30 × 109/L potrebbe manifestarsi una menorragia moderata o in alcuni casi potrebbe esserci un aggravamento della menorragia già presente prima della diagnosi di ITP. La paura legata a mestruazioni abbondanti è riportata essere una delle principali cause di ansia nella maggior parte delle donne al momento della diagnosi, ma la preoccupazione diminuisce quando le donne comprendono che la menorragia, quando presente, è comunque facilmente gestibile e non rappresenta un rischio significativo (Kruse, et al 2018).

E’ invece più serio il rischio correlato all’osteoporosi indotta da corticosteroidi, che è prevalente nelle donne e aumenta con l’età. Pertanto si consiglia a tutte le donne in età postmenopausale che abbiano assunto corticosteroidi per un periodo prolungato (ad esempio >4-5 mesi a un dosaggio superiore a 5 mg/die) un monitoraggio appropriato e, se necessario, una profilassi farmacologica. Brevi cicli intermittenti di corticosteroidi sembrano invece essere meno inclini a indurre osteoporosi irreversibile (Qaseem, et al 2017).

La contraccezione ormonale e i trattamenti ormonali sostitutivi non sono generalmente controindicati, ma nelle pazienti con una storia personale o familiare di trombosi potrebbero aumentare il rischio di trombosi. Tale rischio è solo leggermente aumentato nell’ITP, ma è ulteriormente aggravato nelle pazienti splenectomizzate e in quelle trattate con TPO-RA (Rodeghiero 2016). In questi casi, è necessario identificare i fattori di rischio modificabili e istruire le pazienti su come eliminarli o almeno mitigarli il più possibile, prima di iniziare trattamenti che aumentino il rischio trombotico. Per le donne, a seconda dell’ambiente culturale e sociale, un effetto collaterale particolarmente sgradevole legato all’assunzione di corticosteroidi e danazolo è rappresentato dalle ricadute su aspetti estetici dovute a sanguinamento mucocutaneo, ridistribuzione del grasso (faccia lunare e altri cambiamenti morfologici del corpo) e irsutismo.  Queste modifiche sono più rilevanti quando questi farmaci vengono somministrati per un tempo prolungato e dovrebbe essere compito del medico curante affrontare con tatto anche questi aspetti. Fortunatamente, si è osservato che le donne di età inferiore a 40 anni e con una storia relativamente breve di ITP hanno un tasso di risposta a rituximab (375 mg/m2 a settimana per 4 somministrazioni) più elevato e un beneficio prolungato, simile a quello ottenuto con la splenectomia (Bussel, et al 2014, Marangon, et al 2017). Questi risultati attendono la conferma in studi prospettici, ma incoraggiano ad anteporre questo trattamento ad altri approcci di seconda linea (come i TPO-RA) nelle donne giovani che desiderano una gravidanza, che comunque per sicurezza non dovrebbe avvenire nei primi 12 mesi dalla fine della terapia con rituximab, come precedentemente illustrato.

 

7.Conclusioni

Negli anni ’80 il rischio di sanguinamento nelle donne gravide con ITP e nei neonati (sanguinamento intracranico) ha portato a suggerire il taglio cesareo. Tuttavia, a partire dagli anni ’90, si sono andate via via accumulando  prove sempre più convincenti di un decorso maggiormente favorevole della gravidanza e di un ridotto tasso di emorragie neonatali. Gli aggiornamenti recentemente pubblicati delle linee guida ASH (Neunert, et al 2019) e dell’International Consensus Report (Provan, et al 2019) non hanno sostanzialmente apportato modifiche per quanto riguarda il management della  gravidanza rispetto alle versioni precedenti, nonostante negli ultimi 10-15 anni si sia riusciti a ottenere una stima più precisa dei rischi per la madre e il neonato (George, et al 1996, Neunert, et al 2011, Provan, et al 2010). Soltanto ampi studi prospettici innovativi potrebbero consentire una rigorosa valutazione dei rischi dell’ITP in gravidanza e proporre un approccio farmacologico diverso dal cortisone, purtroppo non privo di significativi effetti collaterali.

In ogni caso, la gravidanza non dovrebbe più essere scoraggiata, tranne che per le donne la cui conta piastrinica non si mantenga stabilmente al di sopra di 30 × 109/L con l’attuale trattamento standard. Altre problematiche, come accennato brevemente sopra, caratterizzano distintamente il decorso dell’ITP nelle donne di tutte le età. Tali problemi dovrebbero essere presi in considerazione nella consulenza e nella pianificazione del trattamento al fine di migliorare globalmente la qualità di vita e l’accettazione della gestione proposta.

 

8. Sintesi pratica e guida agli aspetti principali

Negli ultimi due decenni, diversi studi – oltre a consentire una diagnosi di ITP in gravidanza più agevole e affidabile soprattutto nelle differenziazione dalla piastrinopenia gestazionale – hanno mostrato un miglioramento generale degli esiti della gravidanza per le madri con ITP e per i loro neonati rispetto a quanto si credesse in precedenza. Le ragioni di questa più favorevole prospettiva non sono completamente chiare. Tuttavia finalmente è stata abbandonata la precedente ingiustificata pratica del taglio cesareo di routine per il parto di donne con ITP, nel timore di un alto rischio di sanguinamento intracranico nel neonato. Ora, sulla base dell’accumulo crescente di prove, il taglio cesareo è suggerito solo in base a specifiche indicazioni ostetriche, in assenza delle quali è raccomandato il parto vaginale, in accordo con le attuali linee guida. Questo quadro rassicurante non è stato formalmente confermato da studi clinici prospettici e controllati, adeguatamente progettati. Tuttavia, la disponibilità di ampie serie di casi prospettici e retrospettivi, meno esposti al rischio di bias di pubblicazione rispetto a molti rapporti aneddotici, come riassunto nella Tabella V, conferma l’attuale convinzione che l’ITP in gravidanza sia generalmente molto più sicura per la madre e il bambino di quanto ritenuto in precedenza.

Da notare che, oltre ai corticosteroidi e alle IVIG, introdotti rispettivamente negli anni ’50 e alla fine degli anni ’80, non si sono resi disponibili nuovi trattamenti somministrabili in sicurezza durante la gravidanza per giustificare questo quadro favorevole, così che per consolidare questi risultati sembrano ancora necessari registri prospettici a livello nazionale. La sicurezza dei TPO-RA durante la gravidanza rimane incerta e questi farmaci non sono raccomandati, ma alcuni sporadici case report sembrano indicare che non abbiano effetti collaterali importanti sulla gravidanza o sul feto/neonato nonostante attraversino la barriera placentare. Le aziende produttrici tengono registri sull’uso di TPO-RA nelle donne in gravidanza ma, purtroppo, non rendono pubblici i loro dati. La TPO umana interamente glicosilata ricombinante è stata utilizzata con successo in gravidanza in un singolo studio cinese (Kong, et al 2017), ma negli ultimi 2 anni dopo la sua pubblicazione non sono stati pubblicati studi di conferma. La tollerabilità del micofenolato di mofetile (ampiamente utilizzato nel Regno Unito in pazienti non sufficientemente reattive ai corticosteroidi) è associata ad un aumentato rischio di interruzione della gravidanza nel primo trimestre e a un aumentato rischio di malformazioni congenite. Riteniamo che per i casi refrattari o che presentano tossicità da corticosteroidi (ad esempio il diabete) siano disponibili pochissime opzioni alternative sicure per la ITP in gravidanza oltre alle IVIG, non sempre efficaci in particolare per il possibile sviluppo di tachifilassi. Il trattamento di questi casi difficili rimane un’area orfana che richiede nuovi studi prospettici internazionali. Sono necessari migliori predittori clinici e di laboratorio della piastrinopenia neonatale, ma questa, purtroppo, sembra un’area di ricerca trascurata. Infine, altre questioni specifiche delle donne menzionate in questa recensione hanno ricevuto poca attenzione e non ci sono studi al riguardo. Più in generale, alcune questioni riguardanti la qualità della vita delle donne con ITP come la fatigue (Hill and Newland 2015), più frequente nelle donne, e il suo effetto sugli aspetti relazionali e sociali sono molto scarsamente indagate e richiedono maggiore attenzione

 

Guida agli aspetti principali

  • Già al momento della diagnosi le donne in età fertile dovrebbero essere rassicurate circa il fatto che l’ITP rappresenta molto raramente una controindicazione alla gravidanza.
  • La diagnosi di ITP in gravidanza può essere confusa con la piastrinopenia gestazionale, una condizione innocua e parafisiologica o con altre condizioni caratterizzate da piastrinopenia apparentemente isolata ma secondarie a gravi patologie sistemiche
  • Le donne in gravidanza con ITP attiva o pregressa devono essere seguite da un centro specializzato che garantisca una collaborazione continua tra specialisti ematologi e ostetrici presenti nella stessa struttura.
  • In una donna asintomatica una conta piastrinica compresa tra 20 e 30 × 109/L è considerata sicura per la maggior parte della gravidanza, mentre in vista del parto è raccomandata una conta piastrinica ≥50 × 109/L. La tipologia del parto viene dettata da indicazioni ostetriche.
  • Il trattamento principale è rappresentato dai corticosteroidi a dosaggio ridotto e per il tempo più breve possibile. In caso di sanguinamento o problemi di emostasi, si preferisce la somministrazione di IVIG. Trattamenti immunosoppressivi (incluso rituximab) e TPO-RA sarebbero da evitare se non ritenuti necessari per prevenire sanguinamenti maggiori nella madre.
  • La conta piastrinica di neonati di donne con ITP attiva o pregressa deve essere rigorosamente monitorata. In caso di conteggio <50 × 109/L deve essere eseguita un’ecografia transcranica per rilevare eventuali emorragie cerebrali.
  • Nel caso in cui neonati allattati al seno presentassero una piastrinopenia persistente oltre alcune settimane, è suggerita l’interruzione dell’allattamento in quanto non può essere esclusa la trasmissione di autoanticorpi attraverso il latte materno.
  • Nel prestare consulenza alla paziente sarebbe opportuno tenere in considerazione la presenza di fatigue, i problemi legati alla menorragia, all’osteoporosi indotta da corticosteroidi, all’irsutismo e ad altri fattori che influenzano l’aspetto estetico.

 

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A cura di:

Fondazione Progetto Ematologia, affiliata alla Divisione di Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza

Francesco Rodeghiero
Francesco Rodeghiero
Fondazione Progetto Ematologia, affiliata alla Divisione di Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza
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