Uno degli argomenti caldi nell’ambito del metabolismo del ferro è capire quanto la condizione di carenza o sovraccarico influenzi la risposta dell’organismo ai processi infiammatori/infettivi e viceversa. E’ noto che il sovraccarico di ferro favorisce lo sviluppo di infezioni, un problema non solo per chi è affetto da emocromatosi primaria o secondaria ma anche per i pazienti immunodepressi o dopo trattamenti chemioterapici o trapianto di cellule staminali emopoietiche. D’altra parte anche la carenza di ferro si può associare a deficit nella risposta immunitaria. L’argomento è complesso: in questa review gli Autori fanno il punto sulla situazione.
Dal punto di vista dei microrganismi si tratta di una lotta per la vita, perchè il ferro non è essenziale solo per l’uomo ma anche per molti patogeni che lo utilizzano per la sintesi di enzimi implicati nella produzione di energia o per il metabolismo intermedio.
Qualsiasi infezione sistemica rompe l’equilibrio dell’omeostasi del ferro che in condizioni normali è mantenuto dal sistema ormonale epatico centrato su epcidina. La risposta epcidinica al ferro è un sistema di feed back omeostatico, simile al controllo endocrino del glucosio o del calcio: quando la concentrazione di ferro si riduce l’espressione di epcidina viene soppressa e l’opposto avviene in presenza di alte concentrazioni di ferro. Poiché epcidina controlla negativamente l’esportatore di ferro ferroportina, le variazioni di epcidina si traducono in variazioni opposte di ferro circolante. Durante qualsiasi processo infiammatorio/infettivo di rilievo si attivano citochine (tra cui IL-6) che inducono la produzione di epcidina in modo ferro-indipendente, il livello di ferro circolante si riduce, in quanto il metallo resta sequestrato nei macrofagi e negli epatociti.
La sideropenia, intesa come riduzione del ferro circolante è quindi considerata un meccanismo protettivo di fronte al pericolo rappresentato dall’invasione di microrganismi e il fatto che la carenza di ferro causi anemia, rientra nella strategia del “male minore”. Non solo il ferro è sequestrato dall’incremento di epcidina ma nell’infiammazione aumentano anche la concentrazione di aptoglobina ed emopessina che rimuovono dalla circolazione, rispettivamente, emoglobina o eme in eccesso attraverso specifici recettori scavenger come il CD163 dei macrofagi, pure attivato nella infiammazione. Tutto ciò al fine di non peggiorare il danno tissutale già causato dall’infiammazione/infezione e di recuperare il ferro legato all’eme.
La carenza di ferro è considerata protettiva nei confronti di infezioni tropicali nei paesi in via di sviluppo dove un’alta proporzione di soggetti, soprattutto bambini sono ferrocarenti. E’ noto che il Plasmodium falciparum infetta meno e ha maggiori difficoltà a svilupparsi nei globuli rossi ferro carenti rispetto ai globuli rossi normali, e che la correzione della carenza può favorirne la crescita. Infatti il tentativo di correggere la carenza di ferro in modo indiscriminato ha talora procurato più danni che vantaggi, peggiorando l’infezione malarica. Anche forme di diarrea nei bambini possono peggiorare a seguito di somministrazioni di ferro orale.
Una delle cause del peggioramento delle infezioni in generale sarebbe da ricercare nello stimolo alla replicazione batterica causato dall’aumentata concentrazione plasmatica di ferro. Per spiegare il peggioramento delle diarree una verosimile causa è il cambiamento della flora batterica intestinale da una prevalenza di lattobacilli ad una flora patologica, che, secondo alcuni autori si può instaurare quando ferro somministrato in eccesso non viene assorbito e la sua concentrazione aumenta a livello intestinale. I dati sulla valutazione del microbioma intestinale sono ancora limitati e meritano studi ulteriori. Una concausa del peggioramento delle infezioni dopo correzione della sideropenia potrebbe essere rappresentata dalla perdita dello stato proinfiammatorio che si associa alla carenza di ferro. In modelli murini la sideropenia è “proinfiammatoria”, incrementa la produzione di citochine, soprattutto di IL-1 beta, che attiva meccanismi di difesa, fenomeno che viene abolito a seguito della correzione della sideropenia.
Sul versante opposto pazienti con emocromatosi che hanno bassi livelli di epcidina e molto ferro in circolo, soprattutto non legato alla transferrina, sono più suscettibili al Vibrio vulnificus che si trasmette mangiando molluschi crudi. Le sepsi da questo microrganismo possono essere rapidamente letali. C’è una particolare attenzione al problema negli Stati Uniti, dove si raccomanda ai pazienti con sovraccarico di ferro di evitare molluschi provenienti dal golfo del Messico e in ogni caso di non mangiare molluschi crudi. Un’altra specie patogena per i soggetti con sovraccarico di ferro è rappresentata dalla Yersinia entorocolitica, responsabile di gastroenteriti, ma anche di batteriemie, ascessi epatici e altre complicanze settiche. In laboratorio ceppi di topi deficitari di epcidina sono particolarmente suscettibili alle infezioni da Yersinia proprio in relazione alle loro elevate concentrazioni plasmatiche di ferro.
Va ricordato che epcidina è comunque un componente della immunità innata, simile alle defensine e, in vitro, ha un’ attività antimicrobica. Lattoferrina, siderocalina, aptoglobina, emopessina, tutte correlate alla rimozione del ferro nei processi infiammatori, sono altre proteine protettive, ma con effetto minore. Nelle infezioni da microrganismi intracellulari l’effetto di epcidina sembra paradossalmente favorente. Infatti l’accumulo di ferro nei macrofagi può essere un’arma a doppio taglio, per microrganismi intracellulari come il Micobatterio Tubercolare e la Salmonella typhimurium. Tuttavia altri meccanismi controbilanciano la ritenzione di ferro macrofagica. Ad esempio batteri intracellulari stimolano la produzione di interferone gamma e ossido nitrico che a loro volta stimolano la trascrizione di ferroportina. Ciò controbilancia la degradazione di ferroportina epcidina-indotta in modo da permettere che il ferro intracellulare sia in parte rilasciato. Un’altra proteina importante nelle infezioni intracellulari è NRAMP1, un trasportatore di ferro sulla membrana dei fagociti che avrebbe la funzione di sottrarre ferro ai patogeni spostandolo dal vacuolo fagocitico al citoplasma. In effetti la carenza di Nramp1 nel topo è associata a suscettibilità a infezioni da patogeni intracellulari quali Micobatteri e Leismanie e varianti genetiche di NRAMP1 sono state ritrovate associate a suscettibilità all’ infezione tubercolare in studi “Genome Wide”.
Ovviamente nella lotta per accaparrarsi il ferro i microrganismi mettono in atto contromisure mirate. Nell’infezione cronica da Salmonella typhimurium viene indotta eritrofagocitosi da parte di macrofagi infettati, in modo da recuperare una maggior quota di ferro sfruttando il sistema umano di riciclo del ferro dai globuli rossi. Batteri Gram negativi extracellulari quali Neisserie e Haemophilus influenzae possono impadronirsi del ferro circolante legando la transferrina diferrica. A questa tecnica l’evoluzione umana ha risposto mettendo in atto la contromisura classica di mutagenizzare i siti della transferrina a cui si lega il batterio.
Dato il ruolo del ferro nelle infezioni sarebbe importante riuscire a disegnare un chelante del ferro dannoso per il microorganismo ma non per l’uomo. La strategia è complessa e sinora si è dimostrata poco efficace. Gli avanzamenti delle conoscenze sull’omeostasi del ferro hanno suggerito alternative. Nel modello di topo infettato con Vibrio vulnificus il trattamento con miniepcidine, riducendo il ferro circolante protegge preventivamente dall’infezione e migliora la prognosi di una infezione già instaurata. Ovviamente l’utilizzo di miniepcidine dovrebbe avvenire nelle primissime fasi dell’infezione il che, in un’infezione rapidamente letale costituisce un problema logistico. Al momento l’utilizzo di miniepcidine resta sulla carta: una miglior comprensione dei meccanismi ferro-dipendenti di difesa dalle infezioni potrà in futuro aiutare a creare nuove armi terapeutiche.
Fonte:
Già Professore ordinario di Medicina interna presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e Responsabile della Unità Regolazione del metabolismo del ferro, IRCCS San Raffaele, Milano
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