Obinotuzumab in the treatment of Chronic Lymphocytic Leukemia
La maggior parte dei pazienti con leucemia linfatica cronica (LLC) hanno più di 70 anni e in molti di questi coesistono delle comorbilità, peraltro tipiche delle persone anziane (Thurmes P et al, 2008) quali diabete, ipertensione etc., che in qualche modo riducono la spettanza di vita e soprattutto limitano l’uso di diverse terapie (Goede V et al, 2014a).
Nel passato i pazienti con LLC sono stati trattati con vari schemi chemioterapici, sostanzialmente a base di alchilanti (clorambucile/ciclofosfamide) e antimetaboliti (fludarabina) ma con scarsi risultati (Rai KR et al, 2000; Catovsky D et al, 2007). La vera svolta per un trattamento efficace è stata l’aggiunta alle chemioterapie sopracitate dell’anticorpo monoclonale anti-CD20 Rituximab. Il Rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico di tipo 1 che, una volta legato al CD20, è in grado di eliminare le cellule B attraverso un meccanismo sia complemento mediato che ADCC (Antibody Dependent Cellular Cytotoxicity) (Cartron G et al, 2004).
In particolare la combinazione Fludarabina, Ciclofosfamide e Rituximab (FCR) ha determinato, in pazienti mai trattati e in buone condizioni generali un aumento della sopravvivenza (Wierda W et al, 2005). Questo trattamento non è però applicabile a tutti in quanto non è ben tollerato e, per varie tossicità, non in tutti i casi si arriva al completamento dei cicli previsti (6 FCR) soprattutto in pazienti più anziani e gravati da comorbilità. Pur sempre FCR rappresenta oggi la terapia gold standard di prima linea in pazienti giovani e fit, ovviamente in assenza di del 17 o mutazione di P53; possiamo quantizzare il suo utilizzo in circa 25-30% di tutti i pazienti con LLC (Hallek M et al, 2010). Nei restanti pazienti meno giovani è preferibile attuare dei trattamenti meno aggressivi, per esempio a base di bendamustina (BR) che, soprattutto nei soggetti con età superiore a 65 anni, si è dimostrata più efficace e tollerata rispetto alla combinazione FCR (Eichhorst B et al, 2016). Il problema della tollerabilità, anche in rapporto alle comorbilità, è un punto chiave nella scelta terapeutica della maggior parte dei pazienti con LLC. Ad esempio, nei soggetti con età superiore a 65 anni ma con comorbilità è opportuna una riduzione della dose di bendamustina che però comporta anche un dimezzamento della PFS (Gentile M et al, 2016). In questo setting di pazienti, peraltro numericamente importante, un approccio terapeutico fino ad ora utilizzato è rappresentato dalla combinazione di clorambucil e Rituximab.
Negli ultimi anni è stato commercializzato un ulteriore anticorpo anti-CD20 di tipo 2, umanizzato e glicoengenerizzato (Obinotuzumab o GA101) caratterizzato da una maggior efficacia rispetto a Rituximab esplicata prevalentemente da una maggior attività ADCC e da un effetto apoptotico diretto (Mossner E et al, 2010; Alduaij W et al, 2011).
Sulla base di questa nuova acquisizione, nel 2014 il gruppo tedesco LLC (Goede V et al, 2014b) aveva pubblicato uno studio di confronto in cui si dimostrava, in pazienti LLC naive ma con comorbilità che li rendevano non eleggibili a terapie più aggressive, la superiorità della combinazione obinotuzumab/clorambucile rispetto alla combinazione rituximab/clorambucile. Lo studio di fase III ha arruolato 781 pazienti con LLC mai trattati e con uno score CIRS (Cumulative Illness Rating Scale) maggiore a 6 ovvero con creatinina clearance tra 30 e 69 ml/min per ricevere obinotuzumab/clorambucile (G-Clb, 1.000 mg IV al D1, D8 e D15 di C1 e al D1 di C2-6 + Clb) ovvero rituximab/clorambucile (R-Clb, R IV 375 mg/m2 al D1 del C1 e 500 mg/m2 al D1 dei C2-6 + Clb) ovvero clorambucile (Clb) da solo (0.5 mg/kg al D1 e D15 dei C1-6). E’ stato dimostrato che sia il trattamento con G-Clb che con R-Clb danno tassi di risposta e PFS superiori a Clb da solo. Inoltre, dal confronto G-Clb vs. R-Clb è risultato che G-Clb è superiore a R-Clb sia in termini di PFS (26.7 vs 15.2 (15.4) mesi; p < 0.001), di raggiungimento di MRD (nel midollo e anche nel periferico), che in tasso di CR (20.7% vs. 7.0%) (Figura I).
Figura I: Tasso di risposta (A), raggiungimento della MRD (B) e PFS (C) della combinazione obinotuzumab/clorambucile (G-Clb) ovvero rituximab/clorambucile (R-Clb).
Al recente congresso EHA di Stoccolma Goede e collaboratori hanno presentato nel Simposio Presidenziale i dati finali dello studio LLC11 dopo follow up di 5 anni in termini di sopravvivenza globale (OS), sulla sopravvivenza libera da progressione (PSF) e sul tempo ad un nuovo trattamento (TTNT) valutati sulla coorte di pazienti descritti nel sopracitato studio del 2014 a distanza di due anni dalla precedente analisi. Caratteristiche dei 781 pazienti: età media, 73 anni; CIRS score, 8; CrCl, 62 ml/min. Stadio della malattia, stato mutazionale IGVH e percentuale di del 17 erano del tutto simili nei gruppi considerati. Dopo una osservazione media di 59.4 mesi, i 333 pazienti che sono stati arruolati nel braccio G-Clb hanno dimostrato (Figura II) un significativo aumento rispetto ai 330 pazienti arruolati nel braccio di confronto con R-Clb non solo di PFS (28.9 vs. 15.7 mesi, p< 0.0001) e TTNT (56.4 vs. 34.9, p< 0.0001) ma anche di OS (OS media non raggiunta rispetto ai 73.1 mesi, p< 0.0245). Sarà interessante verificare nel lavoro che sarà pubblicato in extenso i dati relativi alla MRD, non riportati per ora nella presentazione, che generalmente maggiormente correlano con la OS (Böttcher S et al, 2012). La differenza infatti già osservata nel lavoro originale (Goede V et al, 2014a) sia nel midollo che nel sangue periferico (Figura I) a lungo termine si è verosimilmente tradotta in un valore significativo della OS.
Figura II: PFS, TTNT e OS nel raffronto fra la combinazione obinotuzumab/clorambucile (G-Clb) e quella rituximab/clorambucile (R-Clb).
Per quanto riguarda gli eventi avversi, con entrambe le combinazioni G-Clb e R-Clb si è osservata una maggior frequenza di neutropenie rispetto al trattamento con solo Clb, ma questo non si è tradotto in una maggior percentuale di infezioni. Non si sono osservate differenze sostanziali fra il gruppo G-Clb e quello R-Clb (Tabella I); si segnala soltanto una neutropenia ritardata lievemente maggiore nel gruppo G-Clb rispetto al gruppo R-Clb (15% vs. 12%), anche se il dato non è statisticamente significativo.
Tabella I: Eventi avversi (AE) osservati nei bracci di confronto fra la combinazione obinotuzumab/clorambucile (G-Clb) e quella rituximab/clorambucile (R-Clb).
Si può quindi concludere che il dato a 5 anni di follow-up presentato da Goede et al. indica innanzitutto che la combinazione G-Clb registra una tossicità accettabile e facilmente gestibile. Non solo viene raggiunto l’endpoint primario dello studio (PFS) ma i dati sono ora significativi in termini di endpoint secondari (TTNT e OS). Si segnala al riguardo un 51% di riduzione nel rischio di malattia progressiva e 24% di riduzione nel rischio di morte. In merito al TTNT, la combinazione G-Clb mostra, rispetto alla combinazione R-Clb, un aumento di circa 1 anno e mezzo, con un intervallo libero di trattamento di circa 4 anni.
Tra le principali cause di decesso nel lungo periodo di osservazione va segnalata la progressione di malattia, verificatasi in 34 casi nel braccio G-Clb e in 48 casi nel braccio R-Clb (10% e 15%, rispettivamente).
Questi dati suggeriscono che la combinazione G-Clb è da preferire non solo nel trattamento di prima linea nel setting dei pazienti LLC naive con comorbilità che li rendono non eleggibili a terapie più aggressive ma, in modo prospettico, anche nei futuri trials che prevedono l’uso di anticorpi anti-CD20. In effetti il prossimo studio del gruppo tedesco (LLC14, studio prospettico, multicentrico, randomizzato di fase III) prevede il raffronto di efficacia e sicurezza della combinazione di obinotuzumab e venetoclax (G-ABT-199) verso G-Clb in pazienti LLC naive con comorbilità.
Le ultime linee guida (Hallek M et al, 2018), che peraltro sebbene appena pubblicate sono già da rivisitare, dovranno tener conto di questo studio presentato a Stoccolma.
Fonte:
BIBLIOGRAFIA
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A cura di:
Direttore Divisione Ematologia, Azienda Ospedale-Università di Padova