Novità in tema di emocromatosi – Classificazione aggiornata e raccomandazioni dalla BioIron Society
La classificazione attuale dell’emocromatosi su base genetica considera che la maggior parte delle forme sono dovute a mutazioni di HFE, generalmente in condizione di omozigosi per C282Y e più raramente ad altre mutazioni dello stesso gene. Le altre forme, tutte più rare, sono legate a mutazioni sempre recessive di hemojuvelin o epcidina (forme giovanili) o di TFR2. Mutazioni gain of function dominanti di ferroportina sono pure responsabili di sovraccarico di ferro indistinguibile dall’emocromatosi classica (Figura I).
Figura I: Precedente classificazione delle emocromatosi.
Una classificazione di tipo genetico è però difficile da adottare nella diagnostica della pratica clinica, soprattutto per la scarsa disponibilità dei test genetici di secondo livello nei casi non associati a mutazioni di HFE, e ci si è chiesti più volte se una revisione della classificazione fosse necessaria.
Un working group dell’International Society for the Study of Iron in Biology and Medicine (BioIron Society), che includeva sia clinici che scienziati di base, ha discusso il problema durante il meeting BioIron che si è tenuto ad Heidelberg, Germania nel Maggio 2019. Dopo ampie discussioni si è concordato un manoscritto base su cui i diversi membri del working group hanno apportato eventuali modifiche e suggerimenti. Il risultato è stato l’articolo recentemente pubblicato su Blood (Girelli D et al, 2022).
Innanzitutto, il panel di Autori ha suggerito di riservare il termine “emocromatosi” a un’unica condizione patologica caratterizzata da aumentata saturazione della transferrina, sovraccarico di ferro epatico ma non splenico, prevalente accumulo marziale periportale/epatocitario, in presenza di segni e sintomi associati al sovraccarico di ferro. Il termine invece non deve essere usato nelle forme di sovraccarico secondario, ad esempio trasfusionale. Gli Autori sottolineano anche che il termine “emocromatosi” implichi di per sé un sovraccarico di origine genetica e quindi non necessiti di precisazioni ulteriori quali ereditaria, genetica o primaria. Inoltre, nella definizione di emocromatosi si include l’assenza di segni o sintomi riferiti a disordini dell’eritropoiesi quali anemia, emolisi o reticolocitosi (Figura II).
Figura II: Principali elementi clinici, biochimici e di imaging per il sospetto di emocromatosi.
Nel complesso si suggerisce di valersi prevalentemente di criteri clinici e del test genetico per mutazione di HFE, rispetto a test molecolari di secondo livello che vanno comunque effettuati, quando possibile, anche a terapia iniziata.
La nuova classificazione (Figura III) ha lo scopo di essere di aiuto pratico per permettere un’impostazione rapida della terapia quando necessario, anche quando la caratterizzazione molecolare non è subito disponibile. Nella nuova classificazione proposta si raggruppano tutte le forme che non hanno la mutazione classica, ma un fenotipo coerente, sotto il nome di emocromatosi “non-HFE”, e si considerano le forme digeniche, da mutazioni in geni diversi, non eccezionali da quando si utilizza più largamente l’exome sequencing per un completamento diagnostico nei casi senza mutazioni di HFE.
Figura III: Nuova classificazione delle emocromatosi proposta dal working group.
La malattia da ferroportina di tipo 4a della classificazione genetica, dovuta a mutazioni loss of function, non è contemplata nella nuova classificazione, in quanto caratterizzata da tratti biochimici e patologici ben distinti rispetto all’emocromatosi vera e propria. Infatti, in questi casi il sovraccarico di ferro non è epatocitario, bensì prevalente nelle cellule di Kupffer e, soprattutto, manca il tratto cardine dell’emocromatosi essendo la saturazione della transferrina tipicamente normale (Pietrangelo A, 2017). Inoltre, trattandosi di un accumulo marziale nelle cellule di derivazione macrofagica, alla risonanza magnetica il quadro diverge dall’emocromatosi per la presenza di un coinvolgimento della milza (Brissot P et al, 2018). Le rarissime mutazioni gain of function della ferroportina (forma di tipo 4b nella classificazione genetica) implicano invece una resistenza all’epcidina e un conseguente un effettivo sovraccarico epatocitario di ferro, per cui sono incluse nelle forme non-HFE.
L’articolo è uscito con un editoriale di commento di Chaim Hershko (Hershko C, 2022), ove sono stati sottolineati i vantaggi della nuova classificazione semplificata, anche come linguaggio comune nelle interazioni tra gli ematologi pratici e i centri di riferimento per le malattie del metabolismo del ferro.
Fonte:
Bibliografia
- Brissot P, Pietrangelo A, Adams PC, et al. Nature Reviews Disease Primers 2018:4.
- Hershko C. Hemochromatosis redefined. 2022;139:3001-3002.
- Pietrangelo A. Ferroportin disease: pathogenesis, diagnosis and treatment. Haematologica. 2017;102:1972-1984.