JAK inibitori
Pacritinib. J. Mascarenhas ha presentato due abstract su pacritinib (PAC) (Abstract 3640 e 3639). Nel primo di questi sono stati inclusi 71 pazienti con piastrinopenia marcata inferiore a 50.000/mm3, arruolati negli studi Persist-2 e PAC203. Rispetto ad un gruppo di controllo di 42 pazienti in terapia standard, il profilo di sicurezza di PAC alla dose di 200 mg due volte al giorno è risultato sovrapponibile in termini di effetti collaterali ematologici ed extra-ematologici. In particolare non si è osservato un aumento degli episodi emorragici né manifestazioni di tipo cardiaco. Questi dati ribadiscono quindi la sicurezza di pacritinib anche in questa categoria di pazienti con mielofibrosi (MF) caratterizzati da piastrinopenia severa, molti dei quali sono anche anemici e trasfusione dipendenti.
Il secondo studio ha riguardato un confronto diretto tra pazienti trattati con PAC e ruxolitinib (RUXO) arruolati nello studio PERSIST-2. I pazienti avevano piastrinopenia moderata tra 50 e 100.000 piastrine/mm3, e sono stati trattati quindi con la dose corretta di RUXO. Pur con il basso numero di pazienti inclusi nell’analisi, 57 con PAC e 12 con RUXO, i risultati preliminari suggeriscono che PAC al dosaggio di 200 mg due volte al giorno è almeno altrettanto efficace in termini di riduzione del volume splenico e miglioramento sintomatologico rispetto alle dosi più basse di RUXO in prima linea in pazienti con piastrinopenia moderata e severa.
Ruxolitinib e trapianto. G. Hobbs (Abstract 169) ha presentato i risultati di un’analisi ad interim di uno studio multicentrico, investigator-initiated, volto ad esplorare la sicurezza e l’efficacia di ruxolitinib pre-, nel corso e dopo il trapianto di cellule staminali in pazienti con mielofibrosi. Obiettivo primario era la percentuale di pazienti senza GVHD a un anno e la sopravvivenza libera da recidiva (RFS); gli obiettivi secondari: la sopravvivenza globale (OS), la sopravvivenza libera da progressione (PFS), l’incidenza e gravità della GVHD acuta e cronica. I pazienti hanno ricevuto un trapianto con regime di intensità ridotta con fludarabina e melphalan. È stata presentata l’analisi di 26 dei 48 pazienti previsti nell’analisi ad interim. La OS ad un anno era del 77%, la PFS il 71% e la non-replase mortality (NRM) a un anno del 13%. La GVHD di grado 4 a sei mesi era del 35%, la GVHD cronica moderata-severa a un anno del 5%. Tutti pazienti eccetto uno hanno mostrato la scomparsa delle mutazioni presenti prima del trapianto. Questi risultati preliminari suggeriscono la sicurezza di ruxolitinib nelle diverse fasi del trapianto con percentuali di engraftment favorevoli e nessuna tossicità inattesa dall’uso di ruxolitinib, associate a preliminare evidenza di elevate percentuali di sopravvivenza globale, PFS e RFS.
Fedratinib. V. Gupta ha presentato i risultati preliminari dallo studio di fase III con fedratinib, FREEDOM (Abstract 389). Fedratinib è stato recentemente approvato per il trattamento dei pazienti con mielofibrosi sulla base dei risultati degli studi JAKARTA-1 e JAKARTA-2. Il farmaco aveva dimostrato efficacia sulla splenomegalia e sui sintomi in prima linea e in pazienti pretrattati con ruxolitinib. Tra gli effetti collaterali più comuni si era osservata intolleranza gastrointestinale con diarrea, nausea e vomito anche se comunemente di basso grado, ma che poteva condizionare la compliance dei pazienti. In questa comunicazione viene riportato che la strategia preventiva per la diarrea e il vomito è risultata molto efficace nel ridurre la percentuale di pazienti che presentava questi effetti collaterali al primo ciclo -circa il 20%- e che a partire dal ciclo successivo meno del 5% dei pazienti aveva manifestazioni di basso grado (Figura I).
Figura I. Tassi di nausea, vomito e diarrea durante i primi 6 cicli di trattamento con fedratinib.
Pertanto, nei pazienti che assumono il dosaggio di 400 mg giornalieri di fedratinib, il trattamento preventivo della tossicità gastrointestinale permette di prevenire e ridurre questi effetti collaterali e di mantenere la posologia adeguata del farmaco nella stragrande parte dei pazienti. Si ribadiva inoltre l’importanza di misurare i livelli basali e nel corso del trattamento di tiamina.
Jaktinib. Una comunicazione orale di J. Jin (Abstract 387) ha riportato i primi dati di uno studio di fase 2 con un nuovo JAKi in una coorte di pazienti cinesi con mielofibrosi. Lo studio prevedeva la randomizzazione a 100 mg BID e 200 mg die come dose iniziale del farmaco. È stato osservata la riduzione del volume splenico >35% alla 24° settimana nel 51% dei pazienti con il dosaggio di 100 mg BID, con un tempo mediano per raggiungere la risposta splenica di cinque mesi. Il 64% dei pazienti ha mostrato anche un miglioramento del 50% del TSS. Il farmaco ha comportato un aumento del livello di emoglobina in un terzo dei pazienti e 5/7 pazienti trasfusione-dipendenti mostrava una significativa riduzione della necessità trasfusionale. Tra gli effetti collaterali, oltre a anemia e piastrinopenia di basso grado, si è osservata un’aumentata incidenza di infezioni del tratto respiratorio alto e urinario. Questi dati suggeriscono efficacia e buona tollerabilità di questo nuovo JAK inibitore.
Farmaci non JAK-inibitori
Numerosi studi sono stati riportati, con dati anche molto preliminari, con molecole non inibitori della via di segnalazione di JAK, sia in monoterapia che combinati a JAKi, più spesso in pazienti refrattari/recidivanti o intolleranti a JAKi oppure anche in prima linea.
Pelabresib è un inibitore delle proteine BET in fase avanzata di sperimentazione clinica, e l’efficacia del farmaco è stata già ampiamente riportata in categorie diverse di pazienti con MF, trasfusioni dipendenti e non, in monoterapia o combinato. Nella comunicazione di M. Kremyanskaya (Abstract 141) sono stati presentati i risultati dello studio in corso MANIFEST nel braccio in monoterapia in pazienti R/R o non eligibili al JAKi, quindi una categoria avanzata di pazienti con MF e limitate opzioni terapeutiche. Pelabresib induceva una risposta splenica a 24 settimane nelle 30% dei casi e un miglioramento del TSS nel 48% dei casi. Studi correlativi hanno mostrato una significativa riduzione dei livelli plasmatici di un ampio pannello di citochine infiammatorie, includente in particolare IL6, IL18, IL8 e TNFalfa. Il trattamento era ben tollerato con i principali eventi avversi rappresentati da anemia e piastrinopenia moderate e diarrea.
Bomedemstat è un inibitore di LSD1, chi è una istone-deacetilasi critica per il self-renewal dei progenitori mieloidi neoplastici ed è particolarmente attivo nei confronti della linea megacariocitaria. Bomedemstat è studiato in una fase 1/2 in pazienti con mielofibrosi avanzata; i risultati di questo studio in corso sono stati presentati da H. Gill (Abstract 139). Di tutti i pazienti arruolati con dati disponibili alla 24ª settimana, l’89% ha mostrato una riduzione del TSS con una mediana di -36%, con il 39% che ha avuto una riduzione del 50%. Il 78% dei pazienti sperimentava una riduzione nel volume splenico, con il 37% che mostrava una riduzione superiore al 20%. In analisi seriali in 43 pazienti, la carica allelica di 1 o più mutazioni si riduceva nel 42% dei casi e rimaneva stabile nel 44%. Un’osservazione importante era che i cloni con la mutazione di JAK2 e ASXL1 risultavano più frequentemente ridotti. La riduzione della carica allelica correlava anche con l’efficacia in termini di riduzione della splenomegalia e dei sintomi. Gli eventi avversi non ematologici più comuni erano diarrea e disgeusia nel 28% dei casi. Nel complesso, bomedemstat appare efficace e ben tollerato in pazienti con mielofibrosi avanzata, inclusi pazienti precedentemente trattati con ruxolitinib.
Tagraxofusp. CD123 è il recettore per IL3Ra, espresso sulle cellule mieloidi in maturazione e sulle cellule dendritiche plasmacitoidi. Tagraxofusp è una proteina ricombinante composta da IL3 geneticamente fusa alla tossina difterica, e quindi si lega al proprio recettore CD123. A. Yacoub (Abstract 140) ha presentato i risultati preliminari di uno studio di fase 1/2 in pazienti con MF R/R dopo JAK inibitori o altre terapie e malattia avanzata, con associata monocitosi, piastrinopenia e caratteristiche molecolari di categoria ad alto rischio. Il farmaco ha dimostrato una efficacia sul volume splenico nel 29% e su TSS nel 36% dei casi. Gli eventi collaterali più comuni includevano ipoalbuminemia, piastrinopenia e capillary leak syndrome nell’8% dei casi. In considerazione della sua moderata efficacia sul volume splenico e la soddisfacente tollerabilità, il farmaco potrebbe essere combinato favorevolmente con altre molecole, in particolare JAK inibitori.
Selinexor. Si tratta di un inibitore orale selettivo dell’export nucleare, in particolare blocca la esportina-1. Dati preclinici in vitro supportano l’attività di essi contro linee cellulari JAK2 mutate e cellule CD34+ di pazienti con MF. I risultati di uno studio di fase 2 in corso sono stati presentati da S.K. Tantravahi (Abstract 143). Lo studio include pazienti (n=24) con MF resistente o intollerante a un JAK inibitore. Il farmaco viene somministrato ad una dose orale settimanale. Il 30% dei pazienti ha ottenuto la risposta splenica a 24 settimane e la maggioranza dei pazienti ha mostrato anche un miglioramento del TSS. In alcuni casi si è osservato un effetto favorevole sull’emoglobina. La probabilità di sopravvivenza a due anni era del 92%, che è un valore ragguardevole considerando la popolazione ad alto rischio di pazienti refrattari a ruxolitinib, che di per sé si associa a ridotta sopravvivenza. Eventi avversi più comuni di basso grado in circa 1/3 dei casi erano anemia e fatigue, e piastrinopenia nel 17%. Alcuni pazienti hanno mostrato un miglioramento della fibrosi ma non si sono registrate modificazioni significative della carica allelica di JAK. Questi risultati preliminari sono la base per due studi registrativi in cui il farmaco viene utilizzato da solo in pazienti precedentemente trattati con JAK inibitori o associato a ruxolitinib i pazienti JAK-inibitori naive.
Navtemadlin. E’ un inibitore orale di MDM2, che è un regolatore negativo chiave della TP53 ed è stato dimostrato essere iperespresso in cellule CD34 positive di pazienti con MF. La iperespressione di MDM2 facilita la proliferazione delle cellule ematopoietiche maligne. Il farmaco è in corso di studio in una fase 2 in pazienti con MF R/R a ruxolitinib. Viene somministrato per sette giorni in cicli di 28 giorni, ed ha dimostrato efficacia sul volume splenico e sui sintomi. In particolare, 200 mg al giorno hanno determinato una risposta splenica nel 16% e un miglioramento dei sintomi nel 30% dei casi. Nello studio presentato da P. Vachani (Abstract 3581), in 113 pazienti, sono state analizzate una sede di variabili biologiche per evidenziarne eventuali correlazioni con la risposta clinica. Una riduzione della carica allelica superiore al 20% si è osservata nel 34% dei casi e nel 29% la mutazione non era più dimostrabile. La riduzione della carica correlava con la risposta splenica così come la riduzione del numero di cellule CD34 circolanti e dei livelli plasmatici di TNFa. Il 27% dei pazienti ha mostrato il miglioramento della fibrosi di grado almeno >1, che era associato con la riduzione della carica allelica. Questi dati suggeriscono quindi che navtemadlin possegga attività disease-modifying in pazienti con MF.
Sotatercept. P. Bose (Abstract 144) ha presentato i risultati finali di uno studio di fase 2 con sotatercept in pazienti con mielofibrosi anemici, sia trasfusione-dipendenti che non, sia come singolo farmaco che associato a RUXO. Sotatercept è una proteina di fusione composta dal dominio extra-cellulare del recettore della activina, tipo IIa, e dal dominio Fc delle IgG1, il quale agisce come ligando “trappola” per membri della superfamiglia del TGFb. Lo studio ha coinvolto 55 pazienti, 34 con il farmaco singolo e 21 in associazione a RUXO. La risposta è stata del 30% come farmaco singolo e 32% con una dose stabile di RUXO, ma in quest’ultimo le risposte si sono osservate solo in pazienti non trasfusione-dipendenti. Il farmaco è stato generalmente ben tollerato con rari effetti collaterali e di basso grado.
Professore Associato, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli studi di Firenze
Professore ordinario di Ematologia, Direttore della SODc di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Direttore della Scuola di Specializzazione dell'Università degli Studi di Firenze.
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