Novità cliniche dall’ASH 2017 – Neoplasie mieloproliferative croniche
Segnaliamo alcuni abstract dedicati alle neoplasie mieloproliferative croniche (MPN) presentati nel corso del 59° meeting annuale dell’ASH (American Society of Hematology), svoltosi lo scorso dicembre 2017 ad Atlanta (USA):
Studi precedenti hanno messo in evidenza l’over-espressione dell’inibitore di P53 MDM2 in pazienti con policitemia vera (PV); il farmaco RG7388 è in grado in vitro di up-regolare la P53 con conseguente aumento della apoptosi cellulare. Nello studio di Mascarenhas et al, NY, sono stati inclusi 12 pazienti con PV e trombocitemia essenziale (ET) resistenti/refrattari a idrossiurea o interferone e non precedentemente trattati con inibitori di JAK2. Il farmaco è stato somministrato alla dose di 100 mg e 150 mg al giorno per cinque giorni, ripetuti a cicli di 28 giorni. Gli effetti collaterali sono stati modesti e rappresentati da fatigue e cefalea. Secondo i criteri ELN nei 9 pazienti valutabili la risposta clinica-ematologica era del 78%. Non ci sono stati episodi trombotici o emorragici in pazienti che hanno ricevuto una media di sette cicli di terapia. Sono state osservate anche preliminari evidenze di risposta sulla riduzione della carica allelica di JAK2 e sulla morfologia istolopatologica. Questi primi dati suggeriscono una possibile attività di idasanutlin in pazienti con PV refrattaria. Uno studio multicentrico di fase due alla dose di 150 mg è attualmente in corso.
Vismodegib è un inibitore di Hedgehog approvato per il trattamento del carcinoma a cellule basali localmente avanzato e metastatico; studi precedenti in vitro hanno mostrato una attivazione abnorme di questa via nelle cellule dei pazienti con mielofibrosi. In questo studio di fase IB sono stati arruolati 10 pazienti con mielofibrosi a rischio intermedio o alto. Il farmaco è stato somministrato per via orale fino ad un massimo di 48 settimane, raggiunto in 4 pazienti. Gli eventi avversi più comuni sono stati muscolari, disgeusia, alopecia, piastrinopenia e nausea. Tre pazienti hanno ottenuto la riduzione del volume della milza, 5 pazienti hanno mostrato un miglioramento dei sintomi ma nessun vantaggio sulla anemia. Considerando la tossicità e la mancanza di un chiaro beneficio lo studio è stato interrotto.
In questo studio della Cornell University, New York, sono stati inclusi 128 pazienti trattati con ruxolitinib e 122 controlli equivalenti per le maggiori caratteristiche cliniche ed ematologiche. Nel gruppo di controllo l’incidenza di infezioni è risultata pari al 30,3% e quella delle seconde neoplasie del 4,9%. Nei pazienti trattati con ruxolitinib i valori erano del 46,9% e 10,2%, rispettivamente (differenza per entrambe statisticamente significativa). La frequenza di tumori è risultata superiore nel sesso femminile. Le infezioni più comuni erano del tratto respiratorio alto e urinarie. La relativamente elevata incidenza di tumori in coloro che ricevevano ruxolitinib sottolinea l’importanza di un accurato screening della cute in questi pazienti.
La decisione di indirizzare un paziente con mielofibrosi al trapianto si basa sull’uso di score prognostici quali IPSS/DIPSS/DIPSSplus, che includono variabili cliniche ematologiche e citogenetiche, ma non tengono conto delle nuove acquisizioni genetiche. Lo scopo dello studio è stato quello di sviluppare un nuovo modello prognostico che incorporasse anche il profilo mutazionale, specialmente per pazienti candidati al trapianto. Sono state utilizzate due coorti indipendenti di pazienti, una italiana (Gruppo AGIMM)e l’altra della Mayo Clinic, come casistiche learning e validation, per un totale di oltre 1000 pazienti. Il modello MIPPS70, applicato a pazienti di età inferiore a 70 anni, potenziali candidati al trapianto, include come variabili leucocitosi, piastrinopenia, anemia, blasti superiori a 2%, sintomi costituzionali, fibrosi midollare di grado 2 o 3, assenza di mutazione tipo CALR-1 e presenza di mutazioni della categoria ad alto rischio (HMR; ASXL1, EZH2, SRSF2, IDH1/2). Lo score divide tre gruppi di pazienti: ad alto, intermedio e basso rischio, con sopravvivenza a 10 anni del 12%, 39% e 83%, rispettivamente, ed ha consentito un’ appropriata ridistribuzione di casi non correttamente attribuiti alle classi di rischio secondo IPSS/DIPSS-plus. La variante dello score MIPSS70plus, sviluppata in maniera indipendente dalla precedente, include anche un set specifico di alterazioni citogenetiche, identificando una categoria a rischio molto elevato, con sopravvivenza inferiore a 2 anni. Questi nuovi score risultano dunque più sensibili rispetto ai precedenti, e potranno essere utilizzati per una migliore stratificazione dei pazienti per il trapianto e negli studi clinici. E’ stata resa disponibile un’applicazione web per il calcolo dello score di facile fruibilità (disponibile a: http://www.mipss70score.it/ ).
In questo studio monocentrico, 110 pazienti con mielofibrosi sono stati sottoposti a trapianto tra il 2004 e il 2017 al Centro di Ematologia di City of Hope, California. I casi con donatore consanguineo compatibile erano 49, gli unrelated 23, mismatch e aploidentico 1 ciascuno. Tutti i pazienti hanno ricevuto un regime di condizionamento con fludarabina e melfalan. Si sono verificati due graft failure. Con un follow-up di 57 mesi nei pazienti sopravviventi, la sopravvivenza globale a 2 e 5 anni era del 74% e 65%. In un sottogruppo di 32 pazienti trattati con ruxolitinib la incidenza di GVHD di grado 3 e 4 è risultata aumentata con un RR pari a 3,15 rispetto agli altri. In breve, questo studio dimostra un’eccellente overall survival (OS) del 64% a 5 anni, con un rischio di recidiva del 17%, in pazienti che hanno ricevuto Flu-Mel come il regime di condizionamento.
Lo studio ha osservato 123 pazienti con mielofibrosi (MF) in fase cronica ma con una quota di blasti del 5-9%, 1020 in fase cronica e 56 in fase accelerata di malattia. Tra questi, quelli che avevano ricevuto ruxolitinib mostravano un vantaggio in termini di sopravvivenza globale, in particolare 54 vs 27 mesi nel gruppo con blastosi periferica (HR: 0,50). Questi dati suggeriscono un potenziale vantaggio di ruxolitinib anche in presenza di blastosi tra il 5 e il 9%, che nella intera serie di pazienti si accompagnava a riduzione della sopravvivenza con una mediana di 34 mesi verso 56 per la fase cronica. La sopravvivenza nei pazienti con fase accelerata era di 23 mesi.
I risultati a lungo termine dello studio RESPONSE hanno confermato l’efficacia del trattamento, con una KM di mantenimento della risposta a 208 settimane pari a 0,73 (end-point combinato di controllo dell’ematocrito e riduzione del volume splenico) e 0,67 per la risposta clinico-ematologica globale. Gli eventi avversi più comuni non sono risultati diversi dallo studio primario, con l’anemia l’evento avverso più comune. Il numero di tumori cutanei era superiore nel gruppo trattato con ruxolitinib (5,1 vs 4,4 % pazienti/anno), che includeva anche soggetti con maggior durata di trattamento con idrossiurea e più frequente storia anamnestica di carcinomi cutanei.
Sono stati presentati i risultati finali di questo studio di fase Ib/II in pazienti con policitemia vera (PV) e malattia attiva/non controllata dalla terapia convenzionale. Nella parte A dello studio, si è definita la massima dose tollerata del farmaco pari a 200 mg/die. Nella parte B, sono stati arruolati 36 pazienti alla MTD. Una risposta ematologica/parziale (secondo i criteri ELN) è stata osservata nell’86% dei casi, accompagnata da un miglioramento dei sintomi e una tendenza alla riduzione del valore di carica allelica di JAK2V617F. Il trattamento è stato ben tollerato, nessun evento di grado 4; la maggioranza degli effetti collaterali sono stati di grado 1-2, gastrointestinali. Nel complesso, givinostat ha confermato di essere ben tollerato ed efficace alla dose identificata pari a 200 mg/die. E’ in via di finalizzazione uno studio di fase III.
Lo studio ha arruolato 382 soggetti con trombocitemia essenziale (ET) a rischio intermedio, ovvero più giovani di 60 anni, senza storia trombotica e in assenza di fattori di rischio cardiovascolare, che sono stati randomizzati a ricevere aspirina o aspirina più idrossiurea. L’obiettivo primario composito dello studio era il tempo dalla randomizzazione allo sviluppo di un evento trombotico arterioso o venoso, una emorragia maggiore o la morte per causa cardiovascolare. Dopo un periodo mediano di follow-up di 73 mesi, pari a 2373 anni-paziente, non è stata osservata alcuna differenza significativa nell’endpoint primario, con un tasso di eventi vascolari maggiori pari a 0,93 per 100 pazienti/anno. Pur con alcune limitazioni legate al lungo periodo di arruolamento, al passaggio dalla sola aspirina al trattamento combinato nel 47% dei casi, lo studio indica l’assenza di vantaggio nell’aggiunta di idrossiurea alla sola aspirina nei pazienti con ET a rischio intermedio.
Nello studio PROUD-PV, del quale viene presentato l’aggiornamento a due anni, sono stati arruolati 254 pazienti con policitemia vera (PV), sia naïve che pretrattati ma non resistenti, che hanno ricevuto Ropeg vs idrossiurea/altra miglior terapia disponibile(BAT). A 2 anni, la percentuale di pazienti con risposta ematologica completa è risultata del 70,5% versus il 49,3% del gruppo idrossiurea/BAT; seppure non significativa, la percentuale di pazienti in remissione ematologica e con miglioramento dei sintomi era superiore nel gruppo Ropeg (49,5% vs 36,6%). Una risposta molecolare parziale è stata ottenuta nel 70% verso il 29% dei casi a 24 mesi. Il trattamento è stato nel complesso ben tollerato, con un’incidenza di eventi avversi propri dell’interferone inferiore al 5%. Nel complesso, i risultati confermano la risposta ematologica duratura, il profilo di sicurezza e l’efficacia sulla carica allelica della mutazione JAK2V617F.
Questo studio di fase II ha arruolato, in braccio singolo con interferone, 115 pazienti con trombocitemia essenziale (ET) e policitemia vera (PV) intolleranti/refrattari ad idrossiurea secondo i criteri ELN modificati. La risposta completa/parziale si è osservata nel 43%/26% dei pazienti con ET e 22/38% con PV. Sono state osservate risposte sulla splenomegalia in <20% dei casi. Sono stati registrati un caso di evoluzione a leucemia acuta e mielofibrosi, e 3 pazienti hanno sviluppato tumori solidi. Il 72% dei pazienti manteneva la terapia per 12 mesi. I pazienti con ET e mutazione di CALR mostravano una migliore risposta. Nel complesso, lo studio suggerisce l’utilità di peg-interferone in seconda linea, ma il trattamento non pare prevenire la progressione di malattia e può essere limitato dalla frequenza di effetti collaterali.
Lo stroke ischemico e TIA in pazienti con MPN. Abstract #202, comunicazione orale.
Lo studio PRISM è uno studio retrospettivo internazionale che ha arruolato 597 pazienti con storia documentata di attacco ischemico transitorio (TIA) o ictus ischemico. L’analisi dei dati relativi alle recidive ha messo in evidenza come il tasso di ricorrenza del fenomeno vascolare fosse ridotto dal trattamento antitrombotico e citoriduttivo, con efficacia superiore rispetto a quella riportata in studi nella popolazione generale, peraltro senza un significativo aumento dei fenomeni di tipo emorragico. In particolare, il trattamento citoriduttivo si associava ad una significativa riduzione del tasso di ricorrenze nel 76% dei casi. Le manifestazioni microcircolatorie predicevano un maggior ischio di TIA.
A cura di:
Professore ordinario di Ematologia, Direttore della SODc di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Direttore della Scuola di Specializzazione dell'Università degli Studi di Firenze.