Sono riassunti alcuni risultati importanti nel settore del metabolismo del ferro/anemie presentati al 60° ASH Annual Meeting (San Diego, 1-4 Dicembre 2018). In particolare, tre studi sul nuovo composto luspatercept (due clinici e uno di base) per il trattamento della eritropoiesi inefficace ed uno studio sul ruolo della carenza di ferro nella trombocitosi.
Luspatercept è un composto in sviluppo per il trattamento dell’eritropoiesi inefficace. Si tratta di un “activin ligand trap” corrispondente al dominio extracellulare del recettore IIB dell’attivina (ACVR2B), che lega ligandi della superfamiglia del transforming growth factor (TGF) β. Il legame riduce la trasduzione di un segnale inibitorio Smad2/3 e migliora la maturazione dei precursori eritroidi (Suragani RN, et al. Nat Med. 2014;20:408-14). L’effetto di luspatercept è indipendente da quello di eritropoietina e la riduzione dell’eritropoiesi inefficace comporta secondariamente una riduzione del sovraccarico di ferro. I risultati relativi all’impiego di luspatercept nel trattamento dell’anemia e conseguente sovraccarico di ferro della β-talassemia e nelle sindromi mielodisplastiche a basso rischio hanno destato grande interesse.
Il primo studio “The Believe trial: Results of a phase 3 randomized, double blind, placebo controlled study of luspatercept in adult beta-thalassemia patients, who require regular red blood cell (RBC) transfusions” è stato presentato in un’affollatissima sessione orale da Maria Domenica Cappellini (Milano) a nome di un ampio gruppo di collaboratori internazionali che hanno partecipato al trial di fase 3.
Lo studio era rivolto a determinare la sicurezza ed efficacia di luspatercept in pazienti talassemici trasfusione-dipendenti, con >18 anni di età. I pazienti erano affetti da beta-talassemia omozigote o eterozigote composta o da HbE/b-talassemia e richiedevano periodiche trasfusioni, in particolare da 6 a 20 Unità nelle 24 settimane precedenti la randomizzazione.
I pazienti sono stati randomizzati in proporzione 2:1 a ricevere luspatercept 1,0 mg/Kg con aumento fino a 1,25 mg/kg o placebo, sottocute ogni 3 settimane per 48 settimane, mantenendo sia la terapia trasfusionale (per il livello stabilito di emoglobina) che la terapia chelante in atto. L’endpoint primario del trial era raggiungere una riduzione del 33% del fabbisogno trasfusionale nelle settimane 13-24 rispetto alle 12 precedenti il trattamento. Endpoint secondari erano: a) la riduzione del 33% del fabbisogno nelle settimane 37-48; b) la riduzione del 50% nelle settimane 13-24 o c) nelle settimane 37-48 o d) la riduzione del 33% in qualsiasi periodo di 12 settimane consecutive durante il trial.
I 332 pazienti trattati avevano un’età media di 30 anni con un range da 18 a 66; il 58% era di sesso femminile, 58% splenectomizzati; il genotipo grave beta°/beta° era presente nel 30% dei casi sia nel braccio luspatercept che nel braccio placebo. Dopo un follow up al massimo di 3 anni l’endpoint primario è stato raggiunto nel 21,4% dei pazienti nel braccio luspatercept e nel 4,5% nel braccio placebo. Quanto agli endpoint secondari, la riduzione del fabbisogno trasfusionale si raggiungeva nel 33% del braccio luspatercept rispetto al 3,6 % nel braccio placebo nelle settimane 37-48 e la riduzione del 50% era osservata nel 7,6 e 10% dopo luspatercept alle settimane 13-24 e 37-48 rispettivamente, in paragone a meno del 2% dopo placebo nel corrispondente intervallo di tempo. Considerando qualsiasi periodo di 12 settimane consecutive, una riduzione del fabbisogno trasfusionale si osservava nel 70% dei pazienti trattati con luspatercept, in paragone al 30% dei pazienti in placebo.
Gli eventi avversi, come già nel trial di fase 2, erano rappresentati soprattutto da astenia, dolori ossei, cefalea, e non si documentavano decessi nel periodo.
In conclusione il trattamento con luspatercept è risultato ben tollerato, e induceva un significativo risparmio trasfusionale in una popolazione di talassemici trasfusione-dipendenti.
Un follow up più prolungato potrà permettere di verificare quanto la riduzione trasfusionale permetta anche di ridurre il sovraccarico di ferro e l’intensità della terapia chelante.
Il secondo studio “The Medalist trial: Results of a Phase 3, randomized, double-blind, placebo controlled study of luspatercept to treat anemia in patients with very low, low or intermediate risk myelodysplasia” (Clinical Trial NCT02631070) è stato considerato uno dei 6 migliori abstracts sottomessi ad ASH 2018 ed è stato presentato da Alan List (Tampa, Fl) in sessione plenaria. Medalist era stato intrapreso a seguito dei risultati favorevoli riportati da Platzbecker U, et al (Lancet Oncol 2017;10:1338-47) nel trial di fase 2. Si tratta di uno studio di fase 3, randomizzato, in doppio cieco, con controllo placebo per valutare l’efficacia e la sicurezza di luspatercept in pazienti con anemia dovuta a mielodisplasie, catalogate secondo il Revised International Prognostic Scoring System, come very low-, low-, or intermediate-risk e che, comunque, richiedevano un regime trasfusionale.
I pazienti arruolati con età >18 anni, rientravano nelle categorie di cui sopra secondo la classificazione WHO 2016, e non assumevano eritropoietina o similari. Sono stati randomizzati in proporzione 2:1 a ricevere luspatercept 1,0 mg/Kg con aumento graduale fino a 1,75 mg/kg o placebo, sottocute ogni 3 settimane per ≥24 settimane, mantenendo sia la terapia trasfusionale (per il livello stabilito di Hb) che le altre terapie in atto. L’endpoint primario era il raggiungimento della trasfusione-indipendenza per ≥8 settimane tra la settimana 1 e 24. Endpoint secondario era la trasfusione-indipendenza per ≥12 settimane nello stesso periodo.
229 pazienti sono stati arruolati con età media di 71 anni (range: 26–95), 63% maschi, con una durata media della malattia di 41,8 mesi. Le caratteristiche dei pazienti erano ben bilanciate tra i due gruppi di trattamento. Per quanto riguarda il regime trasfusionale, i pazienti avevano ricevuto una media di 5 unità di emazie (range: 1–20) nelle 8 settimane precedenti il trattamento: il 60%, 25% e 14% dei pazienti avevano una eritropoietina sierica <200IU/L, 200–500IU/L e >500IU/L rispettivamente e il 95% era stato trattato con eritropoietina in passato. Mutazioni in SF3B1, così come sideroblasti ad anello a livello midollare, si riscontravano nel 90% dei pazienti.
Di 153 pazienti in luspatercept, 37,9% raggiungevano la trafusione-indipendenza per ≥8 settimane (endpoint primario), in paragone al 13,2% dei pazienti trattati con placebo (OR: 5,1, p<0,0001). Dei pazienti in luspatercept, il 28% raggiungeva l’endpoint secondario di trasfusione-indipendenza per ≥12 settimane, paragonato al 7,9% nel braccio placebo (OR: 5,1, p = 0,0002).
I pazienti in luspatercept avevano una riduzione di ≥4 unità di emazie/8 settimane o un aumento medio di emoglobina di ≥1,5g/dL/8 settimane, in paragone al trattamento con placebo (52,9% vs 11,8% nelle settimane 1–24; p<0,0001). Il profilo di sicurezza del luspatercept era simile a quello riportato nel trial di fase 2: astenia, dolori ossei, diarrea, mialgie e cefalea erano gli effetti collaterali più comuni.
In conclusione, il trattamento con luspatercept produceva una significativa riduzione del fabbisogno trasfusionale in paragone al placebo in pazienti con anemia dovuta a mielodisplasie a rischio basso-intermedio, con sideroblasti ad anello e mutazioni di SF3B1, e era in genere ben tollerato.
Il growth differentiation factor 11 (GDF11) è stato indicato come il membro della famiglia TGF-b che rappresenta il target primario di luspatercept nel migliorare la differenziazione eritroide. Studi in modelli murini di b-talassemia condotti usando l’analogo murino di luspatercept, RAP-536, suggerivano che Gdf11 fosse molto espresso negli eritroblasti e che la sua iperespressione inibisse la differenziazione eritroide. Tuttavia luspatercept, così come l’omologo sotatercept, stimolano la produzione di globuli rossi anche nel soggetto normale, che non presenta iperespressione di GDF11. Inoltre, dal punto di vista tecnico gli anticorpi anti-GDF11 disponibili possono crossreagire con altri ligandi della famiglia TGF-β.
Il terzo studio “Lack of Gdf11 does not ameliorate erythropoiesis in β-thalassemia and does not prevent the activity of the trap-ligand RAP-536”, presentato oralmente dal gruppo di Stefano Rivella (CHOP, Philadelphia), ha riportato dati definitivi sul ruolo di Gdf11 nell’ eritropoiesi murina, escludendolo come target molecolare di luspatercept.
Gli autori hanno generato un topo talassemico (Hbbth3/+) con delezione di Gdf11 nelle cellule emopoietiche ed eritroidi. In base ai dati pubblicati ci si sarebbe aspettato un miglioramento dell’eritropoiesi inefficace e dell’anemia. Tuttavia sia il numero dei globuli rossi che i livelli di emoglobina ed ematocrito non erano diversi tra il topo talassemico con delezione di Gdf11 nel compartimento emopoietico e il topo di controllo. Restava la possibilità che Gdf11 fosse prodotto da cellule non-ematopoietiche e avesse un effetto indiretto sull’eritropoiesi. Poiché il topo Gdf11-/- non è vitale, gli autori hanno creato un modello in cui la delezione di Gdf11, tamoxifene-inducibile, si otteneva in età adulta. Anche in questo caso, non sono state osservate differenze nel numero dei globuli rossi, emoglobina ed ematocrito degli animali, seguiti fino a 5-6 mesi dopo delezione di Gdf11. Infine, la somministrazione di RAP-536 migliorava in modo significativo i parametri ematologici in tutti i modelli knock out per Gdf11 sviluppati. In conclusione, in assenza di Gdf11 sia a livello eritroide, che emopoietico e pancellulare, la risposta al farmaco era conservata. Anche il trattamento di cellule CD34+ con RAP-536 a varie concentrazioni non determinava aumento del numero di cellule o di vitalità cellulare, di contenuto emoglobinico o differenziazione accelerata.
Nell’insieme i dati di questo lavoro indicano che Gdf11 non è il target di luspatercept e che l’inattivazione di Gdf11 non è essenziale per il miglioramento dell’eritropoiesi conseguente al trattamento con luspatercept. Poiché in assenza di Gdf11, RAP-536 migliora i parametri ematologici sia nel topo normale che in quello talassemico il(i) target(s) di RAP-536 restano da dimostrare.
Un altro abstract che ha destato grande interesse affrontava il problema di come la carenza di ferro può avere effetti sull’emopoiesi al di là dello sviluppo di anemia, in particolare sulla maturazione dei megacariociti.
Nella presentazione orale dell’abstract “Low Iron Promotes Megakaryocytic Commitment of Megakaryocytic-Erythroid Progenitors in Human and Mice”, selezionato tra i 6 migliori abstract presentati in seduta plenaria, Juliana Xavier-Ferrucio (Yale) ha affrontato la problematica dell’incremento di piastrine talora osservato nella sideropenia. Ha utilizzato un modello genetico di carenza di ferro, il topo Tmprss6-/-, che presenta una trombocitosi importante, per studiare gli effetti della sideropenia sul commissionamento eritroide/megacariocitario. L’anemia sideropenica del topo Tmprss6-/- dipende da un’eccessiva e sregolata produzione di epcidina che impedisce l’assorbimento intestinale di ferro bloccando l’esportatore di ferro ferroportina (Du X, et al, Science 2008,320:1088-1092). Gli Autori hanno valutato in particolare la funzione, il signaling e il trascrittoma del progenitore comune bipotente eritroide/megacariocitario (MEP) in carenza di ferro. Va premesso che topi Tmprss6-/- sono un modello di sideropenia genetica, dovuta a un eccesso di produzione di epcidina che impedisce l’assorbimento intestinale di ferro, mentre i livelli di epcidina sono soppressi nella sideropenia acquisita.
Il contenuto di ferro celle MEP Tmprss6-/- era ridotto e i progenitori erano indirizzati preferenzialmente verso la linea megacariocitaria, suggerendo che la sideropenia riprogrammi il commitment cellulare. Trapianti di midollo wild type in topi Tmprss6-/- irradiati e viceversa dimostravano che, nel caso in cui il ricevente fosse Tmprss6-/- si sviluppava sempre anemia microcitica sideropenica, rispetto alla condizione di un ricevente wild type. RNAseq di MEPs wild type e Tmprss6-/- dimostravano significative differenze nei profili di espressione di MEPs murine in sideropenia rispetto alle MEP wild type, in particolare bassi livelli di fosfo-ERK. Sulla base dei risultati, gli autori suggerivano un modello in cui la sideropenia influenza il metabolismo delle MEP con ridotto signaling ERK, ridotta proliferazione e aumentato commitment megacariocitario. Il dato è suggestivo e consistente con il concetto che la riduzione dell’eritropoiesi previene un eccessivo consumo di ferro nella sideropenia e può causare trombocitosi, ma resta da provare in modelli di topo con sideropenia tipica a bassa epcidina.
Già Professore ordinario di Medicina interna presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e Responsabile della Unità Regolazione del metabolismo del ferro, IRCCS San Raffaele, Milano
Sei già iscritto a Ematologia in Progress? |
Attenzione: Ematologia in Progress è strettamente riservato a un pubblico di addetti ai lavori: Medici, Specialisti, Specializzandi, Biologi, Studenti di Medicina. Proseguendo nella navigazione auto-certifichi di appartenere a una delle suddette categorie. |