News dal 17° EHA
Amsterdam, 14-17 giugno 2012
Il 17° congresso annuale dell’EHA (European Hematology Association) si è chiuso domenica 17 giugno ad Amsterdam, dopo 4 giorni di simposi, letture e sessioni scientifiche ed educazionali.
La ricchezza del programma e il numero di abstract presentati (oltre 2.000) non permette una relazione completa dell’intenso lavoro scientifico svolto durante il meeting, quest’anno particolarmente ricco e stimolante. Ecco alcuni spunti emersi durante le giornate di Amsterdam.
Oltre la chemioterapia per la LLC
Con il titolo “Moving beyond chemotherapy in PTCL and CLL”, uno dei simposi satelliti che hanno avuto luogo nella giornata del 14 giugno ha affrontato il tema della ricerca di nuove strategie terapeutiche in queste due patologie, in grado di offrire maggiori possibilità ai pazienti con malattie refrattarie o non in grado di ricevere trattamenti intensivi. Nella leucemia linfatica cronica (LLC), il problema clinico dei pazienti anziani o con comorbilità non eleggibili per il trattamento chemio-immunoterapico standard (fludarabina, ciclofosfamide e rituximab, FCR) rimane rilevante e secondo M. Hallek (Cologne, Germany) in questi casi il chlorambucil può rappresentare una buona alternativa, possibilmente in terapia di combinazione, ad esempio con il rituximab o con l’AcMo anti-CD20 di 3° generazione GA101 (obinutuzumab). Nuove combinazioni terapeutiche che non prevedono chemioterapici tradizionali possono essere sviluppate per questi pazienti e fra quelle illustrate da K. Rai (New York, USA), uno dei “padri” della LLC, vi sono la lenalidomide in associazione con il rituximab o con un altro AcMo anti-CD20 in sperimentazione, ofatumumab. Studi di fase 2 dimostrano l’efficacia di questi approcci nei pazienti con malattia recidivata/refrattaria o in prima linea. Nuove possibilità vengono poi dalle terapie mirate con inibitori del pathway di segnalazione del B-cell receptor (BCR). In quest’ambito, S. O’Brien (Houston, USA) ha presentato i dati clinici ottenuti in pazienti con LLC recidivata/resistente utilizzando il PCI-32765, un inibitore orale della Bruton’s tirosin-chinasi (Btk), come monoterapia. Il farmaco appare in grado di indurre una forte riduzione delle linfoadenopatie periferiche, ma risulta meno attivo sulla linfocitosi circolante. Inoltre, non dà mielosoppressione e induce scarsi effetti collaterali. Le nuove strade per il trattamento della LLC, specie per i pazienti non candidabili alla chemioterapia tradizionale, incominciano a essere tracciate.
Best Abstracts: Mai più senza molecolare!
Selezionati nell’ambito delle più di 2.000 comunicazioni sottomesse per il meeting, i 6 Best Abstracts presentati sabato 16 giugno nel corso del Presidential Symposium rappresentano la migliore dimostrazione di come l’ematologia, e in generale la medicina moderna, non possano più prescindere dalla biologia molecolare. Le tecniche molecolari permettono di identificare i meccanismi patogenetici di base, indicano potenziali bersagli terapeutici e consentono una classificazione dei pazienti con risvolti prognostici e terapeutici. K. De Keersmaecker (ABS 567 – https://www.eventure-online.com/eventure/publicAbstractView.do?id=191021&congressId=5650) e colleghi hanno utilizzato la tecnica di whole exome sequencing per identificare nuove mutazioni somatiche nelle LAL a cellule T e hanno descritto una nuova mutazione del gene RPL10 (R98S) presente nell’8,4% dei pazienti pediatrici, in grado di alterare la funzionalità ribosomiale nelle cellule mutate. Mentre rimangono da determinare le esatte conseguenze delle mutazioni del ribosoma nella patogenesi della T-ALL, queste si propongono come nuovi potenziali target terapeutici in questa patologia.
Un inedito meccanismo di immuno-evasione è stato invece descritto da G Ramsay e colleghi (ABS 568 – https://www.eventure-online.com/eventure/publicAbstractView.do?id=193552&congressId=5650) nelle cellule di LLC, basato su una difettosa polimerizzazione dell’actina a livello delle sinapsi immunologiche dei linfociti T indotta dal contatto diretto con 4 recettori inibitori presenti sulle cellule neoplastiche (non solo di LLC ma anche di linfomi e tumori solidi), identificati grazie a un test funzionale basato su small interfering RNA (siRNA). L’espressione di questi recettori viene diminuita dal trattamento con lenalidomide, fornendo un modello di strategia terapeutica in grado di superare la tolleranza delle cellule T nelle neoplasie ematologiche.
Un altro potenziale target terapeutico è stato descritto da A. van der Reijden e colleghi (ABS 569 – https://www.eventure-online.com/eventure/publicAbstractView.do?id=192866&congressId=5650) nelle cellule di LAM con t(8;21), nelle quali l’oncoproteina mutata AML1-ETO contribuirebbe alla trasformazione leucemica attraverso il legame con il gene GFI1, aumentandone l’espressione. L’interazione con la proteina GFI1 sarebbe necessaria perché AML1-ETO possa svolgere la sua azione leucemizzante, come dimostrato dal mancato sviluppo di leucemia nei topi AML1-ETO knockin mancanti del gene GFI1.
I meccanismi molecolari alla base dell’aplasia midollare nell’anemia di Fanconi sono stati al centro dello studio presentato da R. Ceccaldi e colleghi (ABS 570 – https://www.eventure-online.com/eventure/publicAbstractView.do?id=191912&congressId=5650 ). I loro risultati suggeriscono l’esistenza di una iperattivazione di p53/p21 e conseguente arresto del ciclo cellulare come risposta allo stress cellulare in cellule in cui è presente un difetto di riparazione del DNA. Tale meccanismo protettivo potrebbe essere comune ad altre sindromi plastiche congenite (anemia di Diamond-Blackfan, discheratosi congenita).
N. Bolli e colleghi (ABS 571 – https://www.eventure-online.com/eventure/publicAbstractView.do?id=193790&congressId=5650) hanno analizzato attraverso whole exome sequencing la struttura clonale e l’evoluzione genomica delle cellule di mieloma multiplo (MM), dimostrando l’esistenza di eterogeneità molecolare già alla diagnosi, quando nel 97% dei pazienti erano presenti almeno due subcloni. Modificazioni genetiche aggiuntive erano evidenziabili al momento della progressione.
ALX-0681 è un innovativo nanobody diretto verso il fattore von Willebrand (vWF) in sperimentazione clinica come agente terapeutico in grado di inibire l’aggregazione piastrinica vWF-mediata nella porpora trombotica trombocitopenica (TTP). I risultati preclinici in un modello di TTP nei babbuini sono stati presentati da F. Callewaert e colleghi (ABS 572 – https://www.eventure-online.com/eventure/publicAbstractView.do?id=193230&congressId=5650), dimostrando l’efficacia di questo farmaco nella prevenzione e il trattamento delle crisi acute di TTP.
ESH-EHA Symposium: Quel che il medico dice e quel che il paziente intende.
La tradizionale Sessione Interattiva per Ematologi organizzata dall’EHA-ESH (European School of Hematology) quest’anno ha affrontato il tema cruciale della comunicazione medico-paziente, in particolare per quanto riguarda l’esposizione al paziente dei pro e dei contro dei diversi trattamenti e dei possibili effetti collaterali della terapia scelta. L’introduzione di Steve Johnson (UK) ha sottolineato la frequente mancanza di chiarezza dei consensi informati e come il mantra attuale della necessità di informare il paziente circa i trattamenti che vengono eseguiti su di lui si scontri nei fatti con un linguaggio spesso troppo tecnico tanto nei discorsi del medico quanto nei documenti scritti. «Vi sono tipi di trattamento, quali ad esempio il trapianto allogenico, in cui occorre essere “brutali” sui rischi a cui va incontro il paziente», ha affermato, anche per superare il bias di fondo per il quale qualunque ambiguità esistente nella comunicazione del medico viene interpretata dal paziente in termini ottimistici.
Come d’abitudine, questi temi hanno preso vita nella presentazione “in diretta” di un caso clinico, che ha visto Graham Jackson (UK), nei panni del clinico ematologo, confrontarsi con un paziente affetto da mielodisplasia sottoposto, due anni prima, a un trapianto allogenico a ridotta intensità all’interno di un trial clinico randomizzato di fase III. Da allora, seppure il remissione, il paziente ha presentato una serie di gravi complicazioni, inclusa un GVHD acuta e cronica, culminate con un ascesso rettale e la necessità di una colostomia. Il paziente chiede di sospendere le cure e poter andare a casa, dopo aver passato gli ultimi due anni in buona parte in ospedale, ma soprattutto chiede ragione al medico di non avergli prospettato con sufficiente chiarezza quello a cui andava incontro acconsentendo a eseguire il trapianto. I “momenti difficili” prospettati dal medico non sembrano una definizione adeguata per le sofferenze patite e alla osservazione del medico di dover essere concento di avere ottenuto una remissione completa il paziente ribatte di aver solo “scambiato una malattia con un’altra”. Le riflessioni indotte dalla scena sono molteplici. Il medico è stato senza dubbio corretto e in buona fede, ma c’è stato da parte sua troppo ottimismo nel descrivere i possibili rischi e troppo ottimismo da parte del paziente nell’ascoltare? Il medico si è forse accorto che le sue osservazioni sui possibili effetti collaterali venivano sottovalutate dal paziente ma ha preferito non infierire sugli aspetti negativi perché convinto che quella fosse la migliore terapia per il suo paziente?
Lucio Luzzatto (Italia) è stato altrettanto “brutale” nelle sue conclusioni, in particolare nell’affrontare l’ambiguità di fondo della comunicazione medico-paziente. Laddove il medico vede nei trial randomizzati (che dovremmo avere il coraggio di definire “sperimentazione umana”, ha affermato) un mezzo per l’avanzamento della medicina, il principale obiettivo del paziente è quello di ottenere un trattamento efficace. Un superamento di tale ambiguità è forse possibile solo ricordando, da entrambe le parti, che le curve descrivono l’andamento complessivo per una data patologia, ma il destino individuale di ogni paziente, e la sua collocazione nella “curva”, dipenderà in ultima analisi solo dal caso. L’accettazione con umiltà di questo dato di fatto può essere una chiave per una comunicazione onesta nella forma e nei contenuti.
Dalla genomica a nuove strategie terapeutiche per il linfoma
Le maggiori conoscenze molecolari permesse negli ultimi anni dall’applicazione delle tecniche di gene expression profile nei linfomi non-Hodgkin offrono adesso le loro potenzialità cliniche, permettendo lo sviluppo di inibitori mirati da utilizzare nel trattamento di questi pazienti. È stato questo il tema della lettura tenuta da L. Staudt (Bethesda, USA) nel corso dell’ultima Plenary Session di domenica 17 giugno, presieduta da R. Foà (Roma, Italia, Past President dell’EHA) e da C. Chomienne (Paris, France, President Elect dell’EHA). Sono stati riassunti gli studi di genomica funzionale e strutturale che hanno permesso di individuare il pathway del B cell receptor (BCR) come essenziale per la sopravvivenza delle cellule neoplastiche della forma ABC di linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) e lo sviluppo dell’inibitore selettivo della Bruton’s tirosin-chinasi (BTK) ibrutinib, in grado di bloccare l’attivazione cronica del signaling del BCR. Ibrutinib è stato sperimentato nei pazienti con ABC DLBCL, permettendo di ottenere risposte parziali e complete nei casi con malattia recidivata/resistente. Il farmaco, attualmente in sperimentazione in studi di fase II, è ben tollerato con scarsi effetti collaterali e appare attivo anche nei pazienti che non presentano mutazioni note del BCR. Inoltre, l’osservazione di riposte cliniche anche in tumori non-ABC suggerisce un più vasto ruolo del signaling del BCR nei DLBCL. La potenzialità attuale è quella del disegno di combinazioni razionali di ibrutinib con chemioterapia e con altri modulatori del segnale nel trattamento di queste patologie.
A cura di:
www.ematologiainprogress.net