È noto che la leucemia acuta mieloide (LAM) è sia dal punto di vista clinico che bio-molecolare una malattia molto eterogenea, con outcome differente nei vari sottotipi morfologici e citogenetici (Cancer Genome Atlas Research Network, 2013; Papaemmanuil E et al, 2016).
I pazienti spesso raggiungono la remissione completa (RC), ma la frequenza di recidiva resta piuttosto alta.
La valutazione della malattia molecolare minima residua, come fattore predittivo di recidiva tramite tecniche di next generation sequencing (NGS), è un argomento ampiamente affrontato in diversi studi, ma il suo impiego non è tuttora validato nella pratica clinica (Grimwade D e Freeman SD, 2014; Bhatnagar B et al, 2016).
Le tecniche di NGS consentono una rilevazione completa e simultanea di mutazioni somatiche spesso specifiche del paziente, sia alla diagnosi che durante il trattamento (Grimwade D e Freeman SD, 2014; Pastore F e Levine RL, 2015). Differenti studi hanno mostrato la dinamica complessa delle mutazioni residue dopo la terapia di induzione e la possibile associazione tra la persistenza di alcune mutazioni somatiche e il rischio di recidiva (Pastore F e Levine RL, 2015; Klco JM et al, 2015).
Ad aggiungere un ulteriore livello di complessità al monitoraggio molecolare nei pazienti con LAM, c’è il fenomeno della age-related clonal hemopoiesis (ARCH) (Genovese G et al, 2014; Shlush LI, 2018), una condizione caratterizzata dalla ricorrenza di mutazioni geniche (frequenza allelica> 2%) in soggetti sani senza evidenza di malattia ematologica. In presenza di ARCH, vi è un rischio leggermente maggiore di sviluppare tumori ematologici nel tempo (Genovese G et al, 2014; Jaiswal S et al, 2014; Jan M et al, 2017).
Inoltre, sono piuttosto frequenti mutazioni nei seguenti geni regolatori: DNMT3A, TET2 e ASXL1 (cioè le mutazioni DTA) (Genovese G et al, 2014; Shlush LI, 2018; Jaiswal S et al, 2014; Jan M et al, 2017; Buscarlet M et al, 2017).
Nello studio di Jongen‑Lavrencic et al, sono state applicate tecniche di NGS per rilevare mutazioni genetiche alla diagnosi in campioni ottenuti da 482 pazienti con LAM ed è stata rilevata una media di 2,9 mutazioni per paziente; 430 pazienti (89,2%) presentavano almeno una singola mutazione, potenzialmente utile come marcatore di malattia residua. Le mutazioni più comuni alla diagnosi erano: NPM1, DNMT3A, FLT3 e NRAS (Jongen-Lavrencic M et al, 2018).
In pazienti che avevano ottenuto una remissione completa (RC), le mutazioni che persistevano dopo la terapia di induzione a frequenze alleliche superiori al 2,5% erano spesso mutazioni DTA, differentemente da mutazioni di IDH1, IDH2, STAG2, TP53. Poiché le mutazioni DTA sono state stabilite come le mutazioni geniche più comuni negli individui con ARCH (Genovese G et al, 2014; Shlush LI, 2018; Jaiswal S et al, 2014; Jan M et al, 2017; Buscarlet M et al, 2017), le mutazioni persistenti della DTA potrebbero essere l’espressione di cloni non leucemici che hanno ripopolato il midollo osseo dopo la terapia di induzione.
Tra i pazienti che presentavano entrambe le mutazioni DTA e non DTA alla diagnosi, le mutazioni non-DTA sono state generalmente eliminate dopo la chemioterapia di induzione, mentre le mutazioni DTA spesso rimanevano rilevabili durante la remissione completa ed erano le uniche mutazioni persistenti in 90 su 133 (67,7%) di quei pazienti (Figura I) (Jongen-Lavrencic M et al, 2018).
Figura I: A) Numero di mutazioni alla diagnosi e durante la remissione completa; B) frequenza allelica delle mutazioni residue durante la RC.
Queste osservazioni sono coerenti con l’idea che le cellule residue che presentano mutazioni DTA dopo terapia di induzione rappresentino cloni non-leucemici piuttosto che malattia maligna persistente.
Al contrario, la persistenza di mutazioni non-DTA aveva elevato valore prognostico rispetto alla comparsa di recidiva (a 4 anni, 66,7% vs 39,4%; P = 0,002) (Figura IIA) (Jongen-Lavrencic M et al, 2018).
Figura II: Tasso di recidiva e overall survivall (OS)
Oltre all’identificazione alla diagnosi di anomalie genetiche, la presenza continua di particolari mutazioni geniche durante o dopo il trattamento fornisce informazioni prognostiche per alcuni sottotipi di LAM geneticamente definiti (Grimwade D e Freeman SD, 2014; Bhatnagar B et al, 2016). Questo si applica, per esempio, alla LAM associata a una mutazione di NPM1, per la quale il rilevamento di una mutazione residua nei trascritti NPM1 durante la remissione completa è indicativo di una maggiore probabilità di recidiva (Ivey A et al, 2016; Krönke J et al, 2011).
Questo studio ha mostrato che la persistenza di mutazioni più comunemente associate a emopoiesi clonale (DNMT3A, TET2 e ASXL1) durante la remissione completa non comporta un aumento del rischio di recidiva entro un periodo di follow up di 4 anni negli adulti con LAM di età inferiore ai 65 anni. Questo sembra essere vero per varie frequenze alleliche, il che suggerisce che la dimensione del clone nell’ematopoiesi clonale legata all’età non abbia valore prognostico (Jongen-Lavrencic M et al, 2018).
Questo risultato è coerente con il vantaggio clonale competitivo delle cellule staminali ematopoietiche con deficienze e mutazioni in DNMT3A e TET2, già precedentemente descritto in letteratura (Challen GA et al, 2011; Shlish LI et al, 2014).
Il vantaggio proliferativo delle cellule staminali ematopoietiche con le mutazioni DTA e la loro capacità di resistere alla chemioterapia a causa della resistenza intrinseca può spiegare perché persistenti mutazioni DTA pre-maligne non sono da correlare con un’aumentata probabilità di recidiva e quindi non costituiscono un biomarker molecolare affidabile per la valutazione del rischio di recidiva.
Questo studio ha avuto un follow-up mediano di quasi 40 mesi. Tra i pazienti con LAM che hanno ottenuto una RC, la maggior parte delle recidive si verifica generalmente entro i primi 4 anni.
Sebbene il rilevamento basato su tecniche di NGS consenta la valutazione della malattia residua in quasi tutti i pazienti con LAM, questa metodica risulta essere imperfetta per due motivi: innanzitutto, non tutti i pazienti con cellule portatrici di mutazioni hanno una ricaduta, in secondo luogo, alcuni pazienti senza malattia residua misurabile hanno una ricaduta. È ipotizzabile che la stima delle ricadute possa essere migliorata con lo sviluppo di tecnologie di sequenziamento genico che abbiano una maggiore sensibilità o un campo di applicazione più ampio (ad es. quelli con codici a barre molecolari, sequenziamento dell’esoma o sequenziamento dell’intero genoma) o con l’identificazione di ulteriori molecole e marcatori fenotipici che facciano in modo che i cloni o sottoclassi minori associati alla leucemia siano evidenziabili al test.
A tale riguardo, è di particolare interesse l’uso della citofluorimetria a flusso multiparametrico (Genovese G et al, 2014; Shlush LI, 2018; Jaiswal S et al, 2014; Jan M et al, 2017; Buscarlet M et al, 2017) che può aumentare la resa di identificazione della leucemia residua durante la remissione completa ed identificare i pazienti con LAM che hanno un aumentato rischio di recidiva (Terwijn M et al, 2013; Ravandi F et al, 2017).
In questo studio sono state utilizzate sia tecniche di NGS che citometria a flusso multiparametrico ed entrambe le metodiche hanno dimostrato un valore prognostico indipendente e additivo rispetto alle percentuali di recidiva e sopravvivenza nei pazienti con LAM. Il riconoscimento consensuale della leucemia residua con entrambi i metodi è stata associato a una probabilità molto alta di recidiva (circa il 75%) e l’assenza della malattia residua valutata con entrambi i metodi è stata correlata con una probabilità relativamente bassa di recidiva (circa il 25%). Quindi, l’impiego combinato del sequenziamento e della citometria a flusso durante la remissione completa garantisce un ulteriore vantaggio per l’uso nella pratica clinica.
In conclusione, la rilevazione tramite tecniche NGS di mutazioni non-DTA durante la remissione completa è associata a un aumento del rischio di recidiva o morte nei pazienti con LAM, al contrario di quanto osservato per la persistenza di lesioni genetiche DTA che sono, invece, associate all’emopoiesi clonale legata all’età.
Fonte
BIBLIOGRAFIA
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli di Napoli
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