Mieloma multiplo: highlights dall’ASH

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Dal 59° meeting annuale dell’ASH (American Society of Hematology), tenutosi ad Atlanta, USA, dal 9 al 12 dicembre 2017, vi segnaliamo una selezione di abstract dedicati al Mieloma Multiplo (MM) che sono stati presentati nel corso del congresso.

 

Lenalidomide Maintenance Significantly Improves Outcomes Compared to Observation Irrespective of Cytogenetic Risk: Results of the Myeloma XI Trial. Jackson G. et al. Abstract #436

Nello studio di fase III MRC XI, condotto in oltre 100 centri in UK, sono stati arruolati 1970 pazienti, sia candidabili a trapianto autologo sia non candidabili, e randomizzati, al termine della terapia di induzione, al trattamento di mantenimento con lenalidomide (10 mg dal giorno 1 al giorno 21, cicli di 28 giorni) o sola osservazione. Lo studio ha confermato il beneficio in termini di sopravvivenza libera da malattia (PFS) per i pazienti trattati con lenalidomide di mantenimento, sia nel gruppo di pazienti sottoposti a trapianto autologo, sia in quello dei pazienti non eleggibili a tale procedura. La presentazione si è quindi focalizzata sui 774 pazienti per cui erano disponibili i dati di citogenetica, dimostrando che il beneficio della somministrazione di lenalidomide era apprezzato anche nei pazienti considerati ad alto rischio, ossia coloro i quali affetti da mieloma multiplo con analisi FISH positiva per la presenza della traslocazione t4;14 e la delezione del braccio corto del cromosoma 17 (del17p).

 

Long Term Outcome of Lenalidomide-Dexamethasone (Rd) Vs Melphalan-Lenalidomide-Prednisone (MPR) Vs Cyclophosphamide-Prednisone-Lenalidomide (CPR) As Induction Followed By Lenalidomide-Prednisone (RP) Vs Lenalidomide (R) As Maintenance in a Community-Based Newly Diagnosed Myeloma Population: Updated Analysis of EMN01 Phase III Study. Bringhen et al. Abstract #901

Viene riportato un aggiornamento dello studio EMN01 condotto su 662 pazienti affetti da mieloma multiplo di nuova diagnosi, non eleggibili a trapianto autologo, e randomizzati inizialmente a ricevere come terapia di prima linea lenalidomide-desametasone (Rd), melphalan-prednisone e lenalidomide (MPR) o ciclofosfamide, predisone e lenalidomide (CPR), e successivamente a terapia di mantenimento con lenalidomide o lenalidomide e prednisone. La combinazione MPR dimostra di prolungare significativamente la PFS mediana (23.2 mesi) rispetto a CPR (18.9 mesi) e Rd (18.6 mesi), ma non si osservano differenze statisticamente significative in termini di OS tra i tre 3 bracci dello studio. Per ciò che concerne la terapia di mantenimento, si è osservata una riduzione dell’19% del rischio di progressione o morte nei pazienti che hanno ricevuto lenalidomide-prednisone rispetto a coloro che hanno ricevuto sola lenalidomide. Al momento dell’analisi non sono state osservate differenze in termini di OS tra i due gruppi. Gli autori concludono dicendo che l’utilizzo del regime MPR è associato ad una PFS più lunga, nonostante l’aumento della tossicità ematologica, e che l’associazione di lenalidomide e prednisone, rispetto alla sola lenalidomide, riduce il rischio di progressione o morte.

 

Ixazomib-Thalidomide-Low Dose Dexamethasone (ITd) Induction Followed By Maintenance Therapy with Ixazomib or Placebo in Newly Diagnosed Multiple Myeloma Patients Not Eligible for Autologous Stem Cell Transplantation; Initial Results from the Randomized Phase II  HOVON-126/Nmsg 21.13 Trial. Zweegman S et al. Abstract #433

In questo studio vengono riportati i risultati preliminari di uno studio randomizzato di fase II in cui pazienti non eleggibili a terapia ad alte dosi e autotrapianto, hanno ricevuto una combinazione di ixazomib, thalidomide e basse dose di desametasone (ITd) quale terapia di induzione, e sono stati quindi randomizzati a mantenimento con izaxomib o placebo. Al termine della terapia di induzione l’81% dei pazienti aveva ottenuto almeno una risposta parziale e il 10% di essi risultava in remissione completa, senza differenze statisticamente significative nei pazienti sopra e sotto i 75 anni di età. Un dato interessante è che il tasso di risposte almeno parziali è risultato sovrapponibile nei pazienti definiti a rischio standard (85%) o alto (78%) in base alla citogenetica (FISH). Inoltre, anche nei pazienti definiti “frail” il trattamento è risultato efficace, con un tasso di risposte almeno parziali sovrapponibile a quello dei pazienti fit e unfit. Il tasso di interruzione del trattamento però è risultato tuttavia più alto nei pazienti al di sopra degli 80 anni rispetto ai pazienti di età inferiore. Gli autori concludono che la terapia di induzione ITd risulta essere efficace non solo nella popolazione generale dei pazienti con mieloma alla diagnosi non candidabili a trapianto, ma anche nei pazienti ad alto rischio citogenetico e nei pazienti frail. Sono attesi dunque i dati sulla terapia di mantenimento.

 

Efficacy and Safety of Long-Term Ixazomib Maintenance Therapy in Patients (Pts) with Newly Diagnosed Multiple Myeloma (NDMM) Not Undergoing Transplant: An Integrated Analysis of Four Phase 1/2 Studies. Dimopoulos et al. Abstract #902

In questo studio vengono riportati i dati di 4 studi di fase I/II in cui izaxomib è stato somministrato come terapia di mantenimento. I pazienti analizzati sono stati 121. La PFS mediana è risultata pari a 33.8 mesi dall’inizio della terapia di induzione e a 21.4 mesi dall’inizio della terapia di mantenimento, con una OS a 3 anni dall’inizio della terapia di mantenimento con ixazomib pari al 82%. Durante la terapia di mantenimento, nel 20% dei pazienti trattati si è osservato un incremento della risposta ottenuta al durante la terapia di induzione. Per ciò che concerne la tossicità, la terapia di mantenimento è risultata meglio tollerata alla terapia di induzione (eventi avversi seri pari al 5% e 19%, rispettivamente). Gli eventi avversi più frequentemente registrati durante il mantenimento sono stati i disturbi del ritmo cardiaco (13%), le polmoniti (12%) e l’insufficienza renale (7%).
Tali dati supportano gli studi di fase III che stanno attualmente confrontando ixazomib come terapia di mantenimento con il placebo sia nei pazienti candidabili a trapianto sia nei pazienti non candidabili.

 

Update on a Phase II Study of Ixazomib with Lenalidomide As Maintenance Therapy Following Autologous Stem Cell Transplant in Patients with Multiple Myeloma. Patel et al. Abstract #437

Gli autori presentano un aggiornamento dello studio di fase II in cui lenalidomide e ixazomib vengono combinati come terapia di mantenimento dopo trapianto autologo. Nei 64 pazienti arruolati, il 45% è andato incontro ad un miglioramento della risposta ottenuta nella la fase di induzione e di trapianto durante la terapia di mantenimento, e a 2 anni l’81% dei pazienti è libero da progressione.
La conclusione degli autori è che la somministrazione a lungo termine di ixazomib e lenalidomide come agenti di mantenimento risulta efficace nell’incrementare la profondità delle risposte e sicura per ciò che concerne il profilo di tossicità, in particolare è risultato modesto il tasso di neuropatia periferico, limitata ad un ridotto numero di casi di grado lieve-moderato.

 

Preliminary Results of a Phase II Study of Lenalidomide-Elotuzumab As Maintenance Therapy Post-Autologous Stem Cell Transplant in Patients with Multiple Myeloma. Sheeba et al. Abstract #840

Elotuzumab, anticorpo monoloclonal diretto contro l’antigene di superficie SLAMF7, è stato approvato in combinazione con lenalidomide e desametasone per il trattamento di pazienti affetti da MM recidivato e refrattario. Sono stati presentati i dati preliminari di uno studio di fase II in cui elotuzumab e lenalidomide sono stati combinati quali terapia di mantenimento dopo trapianto nei pazienti “giovani” post trapianto. I pazienti trattati nello studio sono 55. Il 44% dei pazienti analizzati ha mostrato un incremento nella profondità della risposta; 14 pazienti hanno ottenuto una remissione completa e di questi 13 sono risultati negativi alla valutazione della malattia minima residua. Gli eventi avversi principali di grado 3-4 sono: neutropenia (35%), diarrea (17%) ed astenia (17%).
Gli autori concludono dicendo che la terapia di mantenimento con elotuzumab e mantenimento è risultata efficace nell’incrementare la profondità della risposta ottenuta post trapianto con un profilo di tossicità accettabile.

 

Il trattamento del paziente affetto da mieloma smouldering

Il mieloma smouldering, o indolente, è un quadro caratterizzato dalla diagnosi istologica di mieloma, in assenza dei segni o sintomi di danno d’organo, caratteristici del mieloma sintomatico. In considerazione del potenziale evolutivo del mieloma smouldering a mieloma sintomatico, sono stati condotti studi clinici, e molti altri sono in corso, atti a valutare l’efficacia e la sicurezza di un trattamento precoce atto a prevenire la progressione a mieloma sintomatico.
Durante l’ASH 2017, sono stati presentati i dati preliminari due studi atti a valutare il beneficio del trattamento precoce nel paziente affetto da mieloma smouldering, attraverso due strategie differenti.

 

Curative Strategy  for High-Risk Smoldering Myeloma (GEM-CESAR): Carfilzomib, Lenalidomide and Dexamethasone (KRd) As Induction Followed By HDT-ASCT, Consolidation with Krd and Maintenance with Rd. Mateos MV et al. Abstract #402

E’ stato condotto uno studio di fase II nel quale sono stati arruolati pazienti affetti da mieloma smouldering ad alto rischio di evoluzione a mieloma sintomatico secondo le due classificazioni, quella della Mayo clinic e quella del gruppo spagnolo. Il trattamento prevedeva una terapia di induzione secondo schema carfilzomib, lenalidomide e desametasone (KRd) per 6 cicli, la successiva raccolta delle cellule staminali ed il trapianto autologo condizionato con melphalan 200 mg/m2, ed infine il consolidamento con 2 cicli di terapia secondo schema KRd e il mantenimento con lenalidomide per 2 anni. In questa presentazione vengono riportati i dati preliminari relativi alle risposte ottenute con il trattamento. I dati interessanti sono l’elevato numero di risposte ottenute, sia in termini di risposte globali sia in termini di remissione complete, oltre al fatto che la percentuale di risposte aumenta e le risposte stesse diventano più profonde man manco che il paziente attraversa le diverse fasi del trattamento. Nel 98% dei pazienti trattati si è osservata una risposta almeno parziale al termine della terapia di induzione, e il 46% è risultato in remissione completa, con un 38% di pazienti negativi alla valutazione della malattia minima residua. Nei pazienti sottoposti a trapianto autologo, il 69% è risultato in remissione completa al termine della procedura, con un tasso di negatività per la malattia minima residua del 58%. Al termine della fase di consolidamento infine, nei pazienti valutabili, l’85% di essi risultava in remissione completa. Le principali tossicità di grado 3-4 sono risultate la neutropenia (4%) e la trombocitopenia (2%), le infezioni (10%), le reazioni cutanee (8%).

 

Daratumumab Monotherapy for Patients with Intermediate or High-Risk Smoldering Multiple Myeloma (SMM): Centaurus, a Randomized, Open-Label, Multicenter Phase 2 Study. Hoffmeister et al. Abstract #510

In questo studio randomizzato di fase II sono stati arruolati 123 pazienti affetti da mieloma smouldering a rischio intermedio-alto e randomizzati a 3 diverse schedule di somministrazione di daratumumab: long-intense, intermediate and short-intense. Le reazioni infusionali a daratumumab si sono registrate nel 56%, 37 e 57% dei pazienti nei tre gruppi; tuttavia, le reazioni avverse di grado 3-4 non hanno superato il 5% nei tre bracci. Le risposte globali ottenute sono risultate superiori nel braccio di somministrazione long-intense. A 12 mesi, la PFS stimata è pari a 98%, 93% e 89% nei 3 gruppi, rispettivamente. I dati ottenuti supportano lo studio di fase III (SMM3001) in cui la schedula long-intense di daratumumab, somministrato per via sottocutanea, viene testata nei pazienti affetti da mieloma smouldering ad alto rischio evolutivo.

 

I CAR-T nel trattamento del mieloma multiplo

L’adozione dell’immunoterapia per il trattamento dei tumori rappresenta una rivoluzione per il mondo sia dell’oncologia che dell’ematologia. I primi passi mossi dall’immunoterapia nel mondo del mieloma sono stati rappresentati dall’introduzione degli anticorpi monoclonali, elotuzumab e darataumumab, entrambi approvati dagli enti regolatori americano (FDA) e europeo (EMA) in “single agent” o in combinazione per il trattamento dei pazienti affetti da MM recidivato e/o refrattario. Tra in nuovi approcci in via di sperimentazione nell’ambito dell’immunoterapia spicca la tecnologia nota come CAR-T cell (chimeric antigen receptor), ossia l’ingegnerizzazione del “T cell receptor” dei linfociti T al fine di dirigerne l’azione contro specifici antigeni espressi sulla superficie della cellule tumorale. Tale strategia terapeutica ha già ricevuto l’approvazione da parte del FDA per il trattamento dei pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta (ALL) recidivati e/o refrattari.
Per ciò che concerne il mieloma invece, diversi sono stati gli studi sui CAR T presentati all’ASH 2017.

 

Safety and Efficacy of B-Cell Maturation Antigen (BCMA)-Specific Chimeric Antigen Receptor T Cells (CART-BCMA) with Cyclophosphamide Conditioning for Refractory Multiple Myeloma (MM). Cohen et al. Abstract #505

Cohen et al hanno presentato un secondo aggiornamento, dopo quello di ASH 2016, dello studio che vede impiegato l’utilizzo di CART diretti verso l’antigene BCMA (B-cell maturation antigen) espresso dalle cellule mielomatose in pazienti affetti da mieloma multiplo (MM) ampiamente pre-trattati (mediana di 7 precedenti linee terapeutiche). Nelle 3 coorti in cui i pazienti sono stati arruolati, due diverse dosi di CAR-T (1-5 x 107 e 1-5 x 108) e due differenti strategie (con o senza linfodeplezione mediante ciclofosfamide) sono state testate. Nei 21 pazienti valutabili, le tossicità principali, come atteso sulla base degli studi precedenti, sono state la “cytokine release syndrome” e la neurotossicità, entrambe di grado severo (grado 3-4); tuttavia non si sono verificate tossicità inattese o “dose limiting toxicities”. Per ciò che concerne l’efficacia, le risposte sono risultate più frequenti nei pazienti che hanno ricevuto una dose di CART pari a 1-5 x 108, indipendentemente dall’utilizzo della ciclofosfamide. Sebbene non statisticamente significativa, l’espansione T linfocitaria è risultata maggiore nei pazienti che hanno ricevuto una dose di 1-5 x 108 di CAR-T preceduta da linfodeplezione con ciclofosfamide. Ulteriori risultati sono attesi mentre lo studio è ancora in corso.

 

Effective Treatment of Relapsed/Refractory Multiple Myeloma Including Extramedullary Involvement By BCMA-Specific Chimeric Antigen Receptor-Modified T Cells. Jiang-Qing Mi et al. Abstract #3115

Sono stati presentati i dati preliminari di 5 pazienti affetti da MM arruolati in uno studio a singolo braccio, attualmente in corso in Cina, i cui obiettivi sono la sicurezza e l’efficacia di CART diretti contro BCMA. Tutti i pazienti erano recidivati dopo aver ricevuto immunomodulanti, inibitori del proteasoma e chemioterapia convenzionale. I pazienti sono stati sottoposti a linfodeplezione mediante ciclofosfamide e fludarabina prima dell’infusione dei CAR-T. È stata somministrata una dose mediana di 0.62 x10^5/kg di CAR-T in 3 differenti giornate (giorno 0, 2 e 6). Ad un mese dalla somministrazione, tutti i pazienti hanno raggiunto una risposta almeno parziale: 1 paziente ha raggiunto una remissione completa con malattia minima residua non rilevabile, un paziente una VGPR e 3 pazienti una PR. Anche in questo studio l’evento avverso più frequente è risultata la “cytokine release syndrome”.

A cura di:

Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

Roberto Mina
Roberto Mina
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
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