Le evidenze cliniche sul ruolo del mantenimento con lenalidomide nel trattamento del mieloma multiplo (MM) si arricchiscono con i risultati di tre trial clinici randomizzati pubblicati sullo stesso numero di NEJM.
Nel primo (Palumbo A et al. NEJM, 2012, 366:1759-69), è stato testato il valore del mantenimento con lenalidomide nei pazienti con MM all’esordio di età > 65 anni non eleggibili per il trapianto. Il trattamento con lenalidomide fino alla comparsa di recidiva o di progressione di malattia ha permesso di ottenere un incremento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS: 31 mesi per i pazienti trattati con MPR-R verso 14 mesi per quelli riceventi MPR e 13 mesi per quelli riceventi solo MP). Il beneficio in termini di PFS era osservabile in particolare nei pazienti di età compresa fra i 65 e i 75 anni. Dal punto di vista della sicurezza, il mantenimento con lenalidomide è stato associato con una bassa frequenza di eventi avversi di grado 3-4 (da 0 a 6%), mentre il tasso di secondi tumori a 3 anni era del 7% nei gruppi MPR-R e MPR e del 3% nel gruppo MP, suggerendo un potenziamento da parte della lenalidomide del rischio di leucemogenesi associato al melphalan. Questi dati sembrano quindi confermare la possibilità di rallentare la progressione di malattia nei pazienti non candidabili a trapianto con un mantenimento con lenalidomide, anche se l’influenza sulla sopravvivenza globale rimane da stabilire.
Il secondo (McCarthy PL et al. NEJM, 2012, 366:1770-81) e il terzo studio (Attal M et al. NEJM, 2012:1782-91) hanno invece indagato l’efficacia della lenalidomide come mantenimento dopo trapianto autologo. Nello studio condotto da McCarthy e colleghi, 460 pazienti con MM di età < 71 anni sono stati randomizzati a ricevere 100 giorni dopo il trapianto un mantenimento con lenalidomide o un placebo, fino a progressione di malattia. Il tempo alla progressione mediano è stato di 46 mesi nel gruppo lenalidomide verso 27 mesi nel gruppo plascebo (p < 0,001), con un miglioramento anche in termini di sopravvivenza globale (15% verso 23% di mortalità, rispettivamente, con un follow-up mediano di 34 mesi). Una seconda neoplasia è stata osservata nell’8% dei pazienti riceventi lenalidomide e nel 3% di quelli riceventi placebo. Gli autori concludono che la terapia di mantenimento con lenalidomide offre benefici significativi in termini di progressione di malattia e di sopravvivenza globale, specie nei pazienti che avevano ricevuto un trattamento di induzione contenente lenalidomide, pur essendo associata con una maggiore tossicità e incidenza di secondi tumori.
La PFS mediana dei 614 pazienti con MM di età < 65 anni rispondenti al trapianto autologo e randomizzati a ricevere un mantenimento con lenalidomide nello studio a firma Attal e colleghi è stata pari a 41 mesi, verso i 23 mesi registrata nel gruppo ricevente placebo (p < 0,001). Con un follow-up mediano di 45 mesi, la sopravvivenza globale era simile nei due bracci di trattamento. L’incidenza di tumori secondari è stata pari a 3,1 per 100 pazienti/anno nel gruppo lenalidomide e a 1,2 per 100 pazienti/anno nel gruppo placebo (p = 0,002).
Questi tre studi mostrano l’utilità della terapia di mantenimento con lenalidomide nel prolungare il tempo alla progressione di malattia sia nei pazienti all’esordio non candidabili a trapianto e sia dopo trapianto, con una tossicità limitata ma con un aumento significativo delle seconde neoplasie, il cui impatto andrà valutato a confronto con i benefici ottenuti.
Fonte: New England Journal of Medicine
PubMed link:
Palumbo et al. – http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22571200
McCarthy et al. – http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22571201
Attal et al. – http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22571202
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