Management di ponatinib in Italia: un’analisi dei registri AIFA
In un recente lavoro basato sui registri di monitoraggio dell’Agenzia italiana per i medicinali (AIFA) (Breccia M et al, 2022), sono stati analizzati i dati sulla gestione della pratica quotidiana, le modifiche del trattamento e l’esito di un’ampia coorte di pazienti con leucemia mieloide cronica (LMC) trattati con ponatinib. Sono stati analizzati 666 soggetti con LMC, inclusi nel registro ponatinib da febbraio 2015 a dicembre 2020: 515 erano in fase cronica (CP), 50 in fase accelerata (AP) e 101 in crisi blastica (BC). L’età mediana al basale era di 58,7 anni con predominanza di soggetti di sesso maschile (57,1%). Il tempo mediano dalla diagnosi all’inizio di ponatinib è stato di 2,35 anni: 259 (38,9%) soggetti avevano ricevuto 2 linee di trattamento precedenti, 260 (39%) 3 linee e 147 (22,1%) 4 o più linee, mentre 190 pazienti hanno ricevuto ponatinib in seconda linea.
Per quanto riguarda la malattia residua al momento dell’inizio di ponatinib, il rapporto BCR::ABL1 al basale era ≤0,1% IS per 68 (10,2%) pazienti, 0,1-1% IS per 140 (21%), 1-10% IS per 167 (25,08%) >10% IS per 291 (43,69%). Lo stato mutazionale secondo sequenziamento Sanger era disponibile per il 58,3% dei pazienti (n=388), con una mutazione T315I riportata in 46 (6,9%: 19 pazienti in CP, 8 in AP e 19 in BP) pazienti e altre mutazioni (le più rappresentate: E255K, F317L, Y253H e V299L) rilevate in 99 (14,9%: 82 pazienti in CP, 6 in AP e 11 in BP) soggetti. Centonovanta casi sono stati rivalutati mediante analisi citogenetica prima di ricevere ponatinib e 47 pazienti (7,1%) hanno presentato anomalie multiple, con la trisomia 8 (4,2%) e la duplicazione del cromosoma Ph (4,8%) le più frequentemente osservate. Le informazioni sulle comorbidità concomitanti sono state raccolte in 216 soggetti, con 34 pazienti con più di una comorbidità: in particolare, 181 pazienti (27,2%) presentavano ipertensione arteriosa che richiedeva un trattamento, 33 (5%) una storia di trombosi arteriosa e/o venosa, 32 (4,8%) una cardiopatia ischemica preesistente e 13 (2%) una storia di insufficienza cardiaca congestizia.
Una risposta molecolare (da MMR a ≤0,01% IS) è stata segnalata per il 59% dei pazienti su 593 pazienti valutabili: 266 (39,9%, 222 pazienti in CP, 14 in AP e 30 in BC) hanno ottenuto una risposta molecolare profonda (<0,01% IS). I pazienti con mutazione T315I hanno ottenuto un vantaggio in termini di risposte molecolari rispetto ai pazienti non mutati. Dei 666 pazienti, 59 sono deceduti (8,9%), 28 (5,4%) in CP, 7 (14%) in AP e 24 (23,7%) in BC. Ventuno pazienti sono stati sottoposti a trapianto di cellule staminali ematologiche (HSCT).
Con un follow-up mediano di 14,4 mesi, 136 soggetti (20,4%) hanno richiesto almeno una riduzione della dose a causa di eventi avversi (AE), mentre 309 pazienti (46,4%) hanno richiesto una riduzione della dose in assenza di qualsiasi evidenza di effetti collaterali in un tempo mediano di 279 giorni. L’interruzione del trattamento si è verificata in 261 pazienti (39%). I motivi dell’interruzione del trattamento sono stati l’intolleranza in 49 pazienti (7,4%, 44 pazienti con CP e 5 pazienti con AP/BC), resistenza primaria in 23 (3,5%, 12 pazienti con CP, 5 in AP e 6 pazienti con BC) e resistenza acquisita in 37 (5,6%, 14 pazienti in CP, 7 in AP e 16 in BC). La probabilità di interruzione del trattamento non differiva significativamente quando ponatinib è stato iniziato come seconda, terza o successiva linea di terapia. Il rischio di interruzione del trattamento per i pazienti con LMC-CP è stato significativamente influenzato dalla malattia residua al momento dell’inizio di ponatinib, in particolare per i pazienti con un rapporto BCR::ABL1 basale >10% IS e per età ≥ 70 anni.
In conclusione, questa è la più ampia coorte finora riportata di pazienti con LMC trattati con ponatinib in uno studio non sponsorizzato e mostra come questo farmaco sia utilizzato nella pratica clinica in Italia. Nonostante i limiti di un’analisi retrospettiva estrapolata da un registro, il nostro studio dimostra che pochissimi pazienti hanno richiesto l’interruzione della dose o la completa interruzione a causa di intolleranza e che nella maggior parte dei casi la riduzione della dose non era correlata al verificarsi di eventi avversi, ma probabilmente avveniva una volta raggiunto un traguardo molecolare per prevenire gli effetti collaterali del farmaco, con un conseguente tasso di risposta molecolare complessivamente elevato.
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A cura di:
Azienda Policlinico Umberto I, Università Sapienza, Roma