L’insorgenza del linfoma di Hodgkin (LH) in corso di gravidanza è un evento infrequente ma non raro e che necessita di un approccio specialistico multidisciplinare integrato al fine di bilanciare in maniera oculata le necessità terapeutiche con la possibilità di portare a termine con successo la gravidanza, salvaguardando allo stesso tempo la salute della madre e del nascituro.
Epidemiologia
Dal punto di vista epidemiologico i linfomi sono il quarto tumore più frequente riscontrato in gravidanza con un’incidenza stimata di 1 caso/1000-6000 gravidanze (Pereg, 2007; Brenner, 2012) ed una netta prevalenza del LH rispetto ai linfomi non-Hodgkin (LNH). Ciò è legato al classico picco di incidenza del LH durante l’età riproduttiva della donna.
Circa l’1-3% di tutti i casi di LH insorge in corso di gravidanza (Connors, 2008; Gobbi PG, 2013) ed esso rappresenta il 50% di tutte le neoplasie ematologiche riscontrate in gravidanza (Hurley, 2005). Attualmente non esiste la dimostrazione di un nesso causale tra gravidanza ed insorgenza del linfoma anche se è possibile ipotizzare che il particolare riassetto immunologico che si verifica durante la gravidanza (Racicot, 2012) possa favorire il processo di linfomagenesi (Brenner, 2012).
Presentazione e diagnosi
Il LH in corso di gravidanza si presenta con i caratteri tipici di questo linfoma che possono comprendere sia l’ingrossamento linfonodale che la comparsa di sintomi sistemici come sudorazioni notturne, febbre serotina e prurito. Nelle donne gravide tali sintomi possono però esser sottovalutati o venir in parte confusi con la sintomatologia che può intercorrere nelle varie fasi della gravidanza. È quindi necessaria una particolare attenzione a tali aspetti accompagnata da un accurato esame obiettivo al fine di valorizzare l’eventuale presenza di adenopatie superficiali.
Dai dati della letteratura non emergono differenze in termini di stadio iniziale e presentazione clinica all’esordio rispetto ai casi non insorti in gravidanza, con una prevalenza per l’istologia di tipo scleronodulare (Pereg, 2007; Brenner, 2012; Evens, 2013b). Nel lavoro di Evens e colleghi, su 40 donne con LH diagnosticato in corso di gravidanza, il 75% si presentava in stadio localizzato (I-II) mentre il 25% in stadio avanzato (III-IV) (Evens, 2013b).
La diagnosi dovrebbe esser sempre raggiunta attraverso un campionamento bioptico. Tale riscontro risulta agevole nei casi di adenopatie superficiali dove il prelievo può esser eseguito in anestesia locale senza complicanze di rilievo. In presenza di adenopatie profonde, in particolare retroperitoneali, può esser necessario ricorrere a procedure laparoscopiche in anestesia generale che non comportano, con le attuali tecniche, particolari rischi aggiuntivi per la madre o il feto (Cohen-Kerem, 2005).
L’interpretazione dei dati laboratoristici deve infine tenere in considerazione le fisiologiche variazioni che si verificano durante il periodo di gravidanza.
Stadiazione
Il processo stadiativo nelle pazienti gravide è limitato dal fatto di non poter utilizzare metodiche a base di radiazioni come la TC e la 18FDG-PET, cardini dell’imaging nel LH. Tali tecniche possono venir invece impiegate dopo il parto per ristadiare la malattia o verificare la risposta qualora il trattamento sia iniziato durante la gravidanza.
L’utilizzo dell’ecografia può facilmente identificare la presenza di linfoadenomegalie a livello addominale anche profondo, rappresentando inoltre una metodica sicura di monitoraggio delle stesse durante tutta la gravidanza.
Con opportune tecniche di schermatura per il feto è possibile inoltre eseguire una radiografia del torace, utile per valutare in maniera grossolana l’eventuale coinvolgimento mediastinico e/o polmonare.
La risonanza magnetica può esser usata in sicurezza in corso di gravidanza, anche se a scopo prudenziale dovrebbe esser eseguita dopo il primo trimestre se viene utilizzato un mezzo di contrasto a base di gadolinio. Le recenti tecniche di risonanza magnetica total-body permettono inoltre di ottenere in sicurezza una buona risoluzione d’immagine sia a livello sovra- che sotto-diaframmatico (Kwee, 2009; Vermoolen, 2010).
Il completamento del percorso stadiativo con l’esecuzione della biopsia osteomidollare può esser omesso negli stadi localizzati (I-II) asintomatici mentre può risultare utile, non potendo utilizzare metodiche come la 18FDG-PET, nei casi con malattia avanzata sintomatica o in presenza di segni di interessamento midollare (Connors, 2008).
Indicazioni al trattamento
Le decisioni terapeutiche nel caso di riscontro di LH in corso di gravidanza devono tenere in considerazione vari aspetti:
Data la peculiarità di queste problematiche e la varietà delle possibili presentazioni è necessario un approccio multidisciplinare che coniughi l’aspetto ematologico con quello ginecologico-ostetrico e neonatologico al fine di individuare il miglior percorso terapeutico specifico per il singolo caso. É inoltre importante ribadire che queste pazienti devono esser inserite in un percorso di monitoraggio particolarmente attento al fine di evidenziare precocemente l’insorgenza di condizioni di pericolo per la madre o per il nascituro.
Attualmente non esistono studi randomizzati sul trattamento del LH in gravidanza sebbene recenti lavori retrospettivi multicentrici (Evens, 2013b) ed estese revisioni della letteratura (Bachanova, 2008, 2013) diano delle indicazioni utili sui possibili approcci da seguire.
In linea di principio il trattamento dovrebbe esser ritardato a dopo il parto o il più tardi possibile durante la fase gestazionale qualora fosse necessario iniziare la terapia prima del parto.
Fortunatamente circa il 50% dei casi di LH che insorgono in gravidanza non necessita di terapia, che può quindi venir posticipata a dopo il parto (Connors JM, 2008; Gobbi PG, 2013).
Indicazioni a non ritardare la chemioterapia sono rappresentate da:
Da uno studio retrospettivo multicentrico condotto su 40 casi di LH in corso di gravidanza il 12% dei casi era stato diagnosticato durante il primo trimestre, il 50% nel secondo e il 38% nel terzo (Evens, 2013b). L’insorgenza del LH in corso di gravidanza non rappresenta di per se stessa un’indicazione all’anticipazione del parto o al taglio cesareo, sebbene la presenza di una malattia a rapida evoluzione e/o la necessità di iniziare un trattamento aggressivo possano portare ad un parto indotto prematuramente. Tale decisione deve comunque tenere attentamente in considerazione le valutazioni di tipo ginecologico-ostetrico e neonatologico.
LH a insorgenza nel primo trimestre di gravidanza
Il primo trimestre di gravidanza rappresenta il periodo più critico per il processo di organogenesi fetale con la possibilità d’importanti anomalie e difetti dello sviluppo in caso di trattamento farmacologico o chemioterapico.
In caso di malattia localizzata e/o asintomatica il trattamento dovrebbe esser ritardato almeno fino al secondo trimestre di gravidanza. É possibile comunque ricorrere a basse dosi di steroide per controllare gli eventuali sintomi sistemici senza influire sullo sviluppo fetale.
Dati di letteratura hanno mostrato come la monoterapia con vinblastina al dosaggio di 6 mg/m2 possa rappresentare anche durante il primo trimestre un approccio efficace nel controllo della malattia (ORR del 75%) coniugando un buon profilo di sicurezza per il feto (Connors, 2008).
L’insorgenza di malattia avanzata sintomatica o rapidamente progressiva durante il primo trimestre può rappresentare un’indicazione all’interruzione di gravidanza al fine di poter iniziare precocemente un regime di chemioterapia intensivo. Tale opzione, viste le profonde implicazioni sulla paziente, deve esser adeguatamente ponderata e circonstanziata, pur rappresentando un’eventualità non frequente nei casi di LH in corso di gravidanza (3 casi su 40 pazienti nella recente casistica retrospettiva di Evens e colleghi [Evens, 2013b]). La terapia con vinblastina durante il primo trimestre può rappresentare un’opzione per rallentare il decorso della malattia nelle paziente che rifiutino l’aborto terapeutico (Connors, 2008).
LH a insorgenza nel secondo-terzo trimestre di gravidanza
Superato il primo trimestre di gravidanza si riducono notevolmente gli effetti indesiderati sullo sviluppo fetale conseguenti a trattamenti farmacologici o chemioterapici, che possono esser quindi effettuati con un adeguato margine di sicurezza.
Nei casi di malattia asintomatica o localizzata il trattamento può esser ritardato fino al momento del parto mantenendo uno stretto monitoraggio clinico ed ecografico.
Qualora si debba iniziare un trattamento polichemioterapico, sebbene non vi siano studi randomizzati al riguardo, i dati della letteratura hanno mostrato come il regime ABVD risulti allo stesso tempo efficace e sicuro se somministrato dopo il primo trimestre (Bachanova, 2008, 2013). Non sono disponibili dati su regimi terapeutici più intensivi con il BEACOPP standard/escalated o lo Stanford V, sebbene i loro profili di tossicità e tollerabilità ne sconsiglino l’uso in corso di gravidanza.
Non sono emersi finora dati di tossicità o teratogenicità per il feto nell’utilizzo di farmaci di supporto quali antiemetici, antistaminici e fattori di crescita granulocitari (Brenner, 2012).
Attualmente non esistono dati sull’utilizzo del brentuximab-vedotin in corso di gravidanza anche se ne è stata dimostrata la tossicità a livello embrionale in studi su animali.
Ruolo della radioterapia nel LH in gravidanza
La radioterapia rappresenta un potenziale pericolo per lo sviluppo fetale e pertanto viene usualmente posticipata a dopo il parto. Grazie però al miglioramento delle tecniche radioterapiche che hanno permesso una riduzione delle dosi ed una più precisa e mirata identificazione dei campi di irradiazione è possibile considerare questa opzione terapeutica anche in corso di gravidanza (Fenig, 2001; Kahl, 2005). Questo può esser in particolare applicato agli stadi precoci localizzati lontani dall’addome (ad esempio localizzazioni laterocervicali o ascellari) dove è possibile erogare il trattamento radiante previa adeguata schermatura del feto (Woo, 1992).
Nonostante i dati della letteratura siano limitati sono stati riportati casi dell’utilizzo della radioterapia in corso di gravidanza con l’ottenimento della remissione completa e senza complicanze per il feto (Bachanova, 2008, 2013; Evens, 2013b).
Possibili complicanze e prognosi
Il recente studio multicentrico retrospettivo di Evens e colleghi ha messo in luce le possibili complicanze legate alla presenza del LH in corso di gravidanza, sia nelle pazienti trattate che in quelle seguite con stretto monitoraggio (Tabella I) (Evens, 2013b).
Le complicanze principali sono rappresentate dal parto prematuro e dalla necessità di indurre il parto. Importante da segnalare che non si sono registrati casi di malformazioni o aborti spontanei sia nelle paziente trattate che in quelle solo monitorate. Sebbene i dati siano limitati, non sono stati registrati difetti di rilievo nello sviluppo post-natale.
Tabella I – Complicanze materne e fetali in pazienti con linfoma diagnosticato in corso di gravidanza (Evens, 2013b).
I risultati in termini di efficacia a 3 anni hanno mostrato una PFS e una OS rispettivamente del 85% e 97% (Figura I) (Evens, 2013b), dati comparabili con quelli ottenuti nei pazienti normalmente trattati per HL (Gobbi PG, 2013).
Figura I – PFS (a sinistra) e OS (destra) a 3 anni in 40 pazienti con diagnosi di LH in corso di gravidanza. (Evens, 2013b).
Conclusioni
La diagnosi di LH in corso di gravidanza pone delle importanti problematiche sia di tipo medico che etico. L’attenta valutazione e il bilanciamento degli aspetti sia ematologici che ginecologici-ostetrici deve esser condotta in centri specializzati al fine di evitare trattamenti inadeguati o che potrebbero esser ritardati a dopo il parto.
Alla luce della mancanza di dati esaustivi dalla letteratura e della variabilità delle possibili presentazioni è necessario un approccio individualizzato al singolo paziente, salvaguardando la salute e le aspettative materne in armonia con lo sviluppo del feto.
Se adeguatamente seguite queste donne possono nella maggior parte dei casi portare a compimento la gravidanza senza complicanze a lungo termine per il nascituro.
Il trattamento chemioterapico con Vinblastina o regimi polichemioterapici come l’ABVD hanno dimostrato una notevole efficacia e sicurezza in questa categoria di pazienti, riuscendo ad ottenere risultati comparabili ai soggetti normalmente trattati per LH.
BIBLIOGRAFIA
Dirigente medico, U.O.S. CMET, U.O.C. Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza
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