Linfoma di Hodgkin dell’anziano
Sebbene il linfoma di Hodgkin (LH) colpisca in prevalenza la fascia giovanile, una quota significativa di pazienti ha una età superiore ai 60 anni, con caratteristiche biologiche e cliniche peculiari che pongono quindi specifiche problematiche terapeutiche e gestionali (Böll B & Görgen H, 2019; Evens AM et al, 2019).
Gli studi di registro condotti negli ultimi anni hanno evidenziato come i nuovi casi di LH in soggetti di età superiore ai 60 anni oscillino tra il 15 e il 30% dei casi totali. Nonostante queste cifre di assoluto rilievo, tali pazienti sono certamente sottorappresentati negli studi clinici randomizzati (ad esempio, sono solo il 5-10% negli studi clinici del gruppo tedesco GHSG) per molteplici motivazioni (stringenza dei criteri di elezione, comorbidità, aderenza ai protocolli). Per tale motivo è quindi difficile riuscire a identificare degli standard terapeutici basati su robuste evidenze come invece accade per la controparte dei pazienti giovani. Queste difficoltà si riflettono inoltre nei dati di sopravvivenza libera da progressione (PFS) e sopravvivenza globale (OS), che per la fascia anziana scendono in maniera consistente rispetto ai valori eccellenti attualmente raggiunti nei giovani (Figura I), senza nessun apparente effetto plateau.
Queste considerazioni preliminari evidenziano quindi come il trattamento del LH dell’anziano rappresenti un unmet clinical need che però potrebbe giovarsi delle prospettive terapeutiche emerse negli ultimi anni con farmaci più efficaci e meglio gestibili sotto il profilo della tossicità e della tollerabilità.
Figura I. Curve di FFS (a sinistra) e OS (a destra) nella popolazione giovane (<60 anni) e anziana (≥60 anni) trattata per linfoma di Hodgkin (Jagadeesh D et al, 2013).
Peculiarità biologiche e cliniche
Il LH dell’anziano dal punto di vista biologico si caratterizza per una maggior frequenza dell’istotipo a cellularità mista e della positività per EBV (caratteristiche condivise anche con altre forme di LNH dell’anziano) (Böll B & Görgen H, 2019; Evens AM et al, 2019).
Studi recenti hanno inoltre mostrato come nei linfonodi di LH dell’anziano vi sia una riduzione di cellule T regolatorie FOXP3-positive e un aumento di cellule positive per granzyme, elementi che correlano con prognosi negativa (Kelley TW et al, 2007).
Dal punto di vista clinico, inoltre, si presentano più frequentemente come stadi avanzati e con caratteristiche prognostiche sfavorevoli come la presenza di sintomi B, basso performance status, masse bulky mediastiniche o in altre sedi e VES elevata.
Analogamente alla controparte giovanile, l’utilizzo di metodiche di imaging di stadiazione avanzate come la PET, ha consentito di identificare percentuali più elevate di casi con stadio avanzato.
Questo sottolinea ulteriormente le peculiarità e le difficoltà di gestione e trattamento che pone il LH dell’anziano.
Inquadramento iniziale
Come nei pazienti giovani anche in quelli anziani è fondamentale che la diagnosi sia ottenuta attraverso un adeguato campionamento bioptico al fine di ridurre il rischio di diagnosi ritardate o errate, viste le peculiarità istologiche precedentemente descritte. Per la stadiazione, la PET rappresenta il gold standard anche nell’anziano potendo inoltre esser eseguita, a differenza della TC con mezzo di contrasto, anche nei casi con funzione renale ridotta.
Un aspetto rilevante, peculiare dell’anziano, è la necessità di una attenta valutazione delle comorbidità al fine di meglio calibrare l’approccio terapeutico. Un’ampia letteratura in ambito oncologico, ma anche numerosi studi condotti nei LNH, hanno chiaramente dimostrato come tale valutazione necessiti di strumenti di misurazione specifici e oggettivi, in quanto la valutazione soggettiva delle comorbidità e del performance status può sottostimare o amplificare taluni aspetti con ricadute negative sull’efficacia terapeutica (Tucci A et al, 2009; Mohile SG et al, 2018).
Studi condotti in questo specifico ambito hanno evidenziato come circa il 60% di pazienti anziani presenti una o più comorbidità di rilievo e come questo elemento unito alla riduzione delle ADLs (activity daily livings) correlino strettamente con la sopravvivenza globale molto più della semplice valutazione dell’età anagrafica (Evens AM et al, 2012).
Gli strumenti a disposizione per tale valutazione sono molteplici (vedi Tabella I) e hanno ricevuto in ambito italiano da parte della Fondazione Italiana Linfomi (FIL) una particolare attenzione con pubblicazione dedicate (vedasi opuscolo FIL https://ricercatori.filinf.it/opuscolo-per-la-valutazione-del-paziente-anziano/ ) al fine di proporre al personale medico e infermieristico strumenti agili e di facile applicazione anche nell’ambito ambulatoriale quotidiano al di fuori degli studi clinici.
Tabella I. Strumenti di valutazione geriatrica multidimensionale (Evens AM et al, 2019).
TERAPIA
A differenza dell’approccio terapeutico nel paziente giovane, non vi è uno standard terapeutico per il paziente anziano con LH, a causa della scarsa rappresentazione negli studi clinici, della non applicabilità tout-court degli schemi intensivi tipici del paziente giovane, dell’ampio ventaglio di comorbidità che caratterizzano il paziente anziano/grande anziano e che influiscono molto nella scelta terapeutica.
Il trattamento deve quindi esser modulato e personalizzato sulla base delle caratteristiche precedentemente illustrate.
Stadi precoci
Gli stadi precoci favorevoli senza fattori di rischio aggiuntivi (tabella dei fattori di rischio?) possono esser trattati con un breve corso di chemioterapia seguiti da radioterapia (Böll B & Görgen H, 2019; Evens AM et al, 2019).
Nello specifico, un trattamento con 2 cicli ABVD seguito da radioterapia IF (come evidenziato nello studio del gruppo tedesco HD10) ha dimostrato di poter esser applicabile anche nei pazienti anziani sebbene con percentuali di PFS nettamente inferiori rispetto ai pazienti giovani (79% vs 95%), un maggior grado di tossicità severa, la necessità frequente di riduzione dell’intensità di dose e una maggior mortalità (Böll B et al, 2013).
Negli stadi precoci sfavorevoli un approccio basato su 4 cicli di chemioterapia seguiti da radioterapia rappresentano una buona strategia anche per il paziente anziano fit.
Lo schema ABVD è stato studiato anche in paziente anziani, negli studi HD10 e HD13 del gruppo tedesco, dai quali emergono elevati tassi di tossicità polmonare correlata alla bleomicina (fino al 30%) (Böll B et al, 2016). Tale tossicità può esser limitata omettendo dopo due cicli di terapia la bleomicina (2 ABVD + 2 AVD).
Protocolli di terapia più intensi (come il BEACOPP) non possono venir applicati nei pazienti anziani data l’elevata tossicità del trattamento.
Protocolli alternativi all’ABVD messi a punto per il paziente anziano sono rappresentati dal VEPEMB e da schemi CHOP-like mutuati dal trattamento dei LNH, che mirano a ridurre gli effetti tossici del trattamento sebbene siano stati testati su piccole casistiche di pazienti.
Nel paziente fragile e particolarmente fragile la solo radioterapia può rappresentare una proposta terapeutica ragionevole.
Stadi avanzati
Come indicato in precedenza, il LH nell’anziano si presenta più frequentemente in stadio avanzato, con sintomi sistemici e masse bulky (Böll B & Görgen H, 2019; Evens AM et al, 2019).
Di fronte a questo scenario clinico però solo una parte di pazienti, meno anziani e con minor carico di comorbidità, è in grado di sostenere i regimi intensivi applicati nella popolazione giovane.
Lo schema BEACOPP, anche nella versione standard o con omissione dell’etoposide (BACOPP), ha dimostrato di esser troppo tossico per la popolazione anziana con tassi di mortalità tra il 12 e 20% (Ballova V et al, 2005; Halbsguth TV et al, 2010) non essendo quindi una proposta terapeutica percorribile.
Per quanto riguarda lo schema ABVD, sebbene possa rappresentare un trattamento attuabile, i risultati in termini di PFS e OS sono lontani dai dati del paziente giovane, attestandosi rispettivamente a 28-55% e 31-67% (Evens AM et al, 2019).
Va ricordata la necessità di omettere la bleomicina dopo due cicli di terapia nei pazienti in risposta di malattia (valutata in PET). Sebbene questo approccio non sia stato testato in studi randomizzati prospettici negli anziani, può rappresentare una strategia per ridurre i rischi di tossicità senza perdita di efficacia.
I limiti posti dai regimi chemioterapici convenzionali applicati alla popolazione anziana hanno spinto a valutare regimi alternativi in cui l’attenzione fosse posta alla riduzione della tossicità.
Tali studi sono caratterizzati da un limitato numero di pazienti trattati, dall’essere spesso trial non randomizzati e dal non esser stati riprodotti in tempi recenti (Tabella II).
Tabella II. Protocolli per LH dell’anziano di nuova diagnosi in stadio avanzato (Evens AM et al, 2019).
Gli schemi proposti sono:
– VEPEMB (vinblastina, ciclofosfamide, procarbazina, prednisone, etoposide, mitoxantrone, bleomicina)
– PVAG (prednisone, vinblastina, doxorubicina, gemcitabina)
– ChlVPP/AVD
-CVP/CEB (chlorambucil-vinblastina-procarbazina-prednisone/ciclofosfamide-etoposide-
bleomicina)
– CHOP-21.
Da segnalare come i cicli contenti antracicline abbiano dimostrato una maggior efficacia, rimarcando la loro importanza anche nel paziente anziano.
Nel loro complesso tali schemi di terapia, pur con un miglior profilo di tollerabilità, hanno comunque dei risultati di efficacia ancora non pienamente soddisfacenti, soprattutto se confrontati con la popolazione giovane con LH.
L’avvento negli ultimi anni di nuovi farmaci biologici e in particolare di brentuximab-vedotin (BV) e degli anticorpi anti-PD1 (nivolumab e pembrolizumab), con profili di efficacia e tossicità diversi dai consueti regimi chemioterapici, ha dato nuovo impulso anche per il trattamento del LH dell’anziano.
Il brentuximab-vedotin (BV) è stato oggetto di studio, in monoterapia o in combinazione, nel paziente anziano (Tabella III).
Tabella III. Studi con BV nel paziente anziano con LH in stadio avanzato (Evens AM et al, 2019).
La monoterapia come strategia di prima linea in pazienti non candidabili a regimi chemioterapici ha mostrato buoni tassi di risposta ma numerose recidive con PFS a due anni inferiore al 40% (Forero-Torres A et al, 2015). L’aggiunta della bendamustina a BV è stata giudicata troppo tossica, mentre l’associazione alla dacarbazina ha migliorato i risultati di PFS (50%) (Friedberg JW et al, 2017).
BV è stato anche testato in uno studio di fase II in uno schema sequenziale con AVD che prevedeva due infusioni di BV, seguite da 6 cicli AVD e successivamente 4 cicli BV di consolidamento (Evens AM et al, 2018). Tale schema ha lo scopo di ridurre inizialmente il burden di malattia e migliorare il PS del paziente al fine di poter meglio sopportare i cicli di chemioterapia convenzionale. I risultati di PFS e OS a due anni sono risultati rispettivamente del 84% e 93%, dati di assoluto rilievo considerata la popolazione in oggetto. Gli eventi avversi più frequenti sono stati la neutropenia (44%), le polmoniti e la diarrea.
Il gruppo tedesco e nordico ha inoltre valutato la combinazione in prima linea di BV con ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone in 49 pazienti anziani (Böll B et al, 2018). Il tasso globale di risposta (ORR) è stato del 98%, con 65% di risposte complete (CR).
Infine, BV è stato testato in associazione a nivolumab in uno studio di fase II in pazienti anziani non candidabili a chemioterapia convenzionale (Cheason BD et al, 2020). Sebbene non sia stato raggiunto all’interim analysis l’obiettivo del 65% di risposte metaboliche alla PET (fermandosi al 64%) con successiva chiusura dell’arruolamento, tale studio ha mostrato la fattibilità dell’approccio e la buona tollerabilità in termini di tossicità complessiva (da segnalare però la tossicità neurologica in termini di neuropatia periferica).
All’ASH 2021 il gruppo francese del Lysa ha presentato i dati di uno studio (NIVINIHO study) in cui sono stati trattati 64 pazienti di età superiore ai 60 anni, con LH alla diagnosi e non eleggibili a schemi intensivi, con nivolumab in monoterapia o in associazione a vinblastina (Lazarovici J et al, 2021). I pazienti ricevevano 6 dosi di nivolumab (240 mg ogni 14 giorni), con successiva valutazione della risposta in PET. I pazienti con risposta completa proseguivano con 18 dosi di nivolumab, mentre i pazienti in risposta parziale o non risposta ricevevano 18 cicli di nivolumab in associazione a vinblastina.
Su 53 pazienti valutati, al termine del trattamento il 28,6% aveva ottenuto una CR, il 18% una risposta parziale (PR), il 18% era in non risposta metabolica mentre il 30,4% era in progressione di malattia. La PFS mediana è stata di circa 10 mesi, mentre la OS a 2 anni era del 76,7%.
I principali eventi avversi seri registrati sono stati neutropenia, sepsi e infezioni del tratto respiratorio.
Terapia per la recidiva
Anche in questo caso non esiste uno standard terapeutico essendo i dati disponibili ottenuti da studi retrospettivi o su piccole casistiche. Anche in questo contesto, la disponibilità di nuovi agenti non-chemioterapici con elevata attività in monoterapia e/o in combinazione con altri agenti biologici ha aperto nuove prospettive terapeutiche anche per il paziente anziano.
La scelta del trattamento deve prendere in considerazione vari aspetti come il tempo alla recidiva, la tipologia di precedente trattamento e, in particolare, le comorbidità, attraverso score dedicati.
Come emerso da uno studio retrospettivo tedesco (Puig N, 2011), in una piccola porzione di pazienti anziani altamente selezionati senza particolari comorbidità è possibile proporre uno schema ad alte dosi seguite da autotrapianto con un vantaggio rispetto a trattamenti meno intensivi, sebbene tali pazienti rappresentino una netta minoranza nell’ambito dei pazienti anziani R/R. Nei pazienti fragili o particolarmente fragili, invece, un approccio basato sulla sola radioterapia o su chemioterapici in monoterapia rappresenta spesso l’unica strategia attuabile.
Alcuni dati di interesse giungono dall’impiego dei nuovi agenti non chemioterapici. Uno studio italiano di fase II (Stefoni V et al, 2020) ha trattato 18 pazienti di età superiore a 60 anni con LH R/R, ineleggibili a trattamento intensivo, con BV in monoterapia per un massimo di 16 cicli. L’ORR è stato del 53% (23% CR) con PFS e OS a un anno rispettivamente del 40% e 68,8%. Le principali tossicità sono state di tipo ematologico e legate a neuropatia.
Pochi dati sono attualmente disponibili per il nivolumab nell’ambito del LH R/R dell’anziano, dato che pochi pazienti con età superiore a 65 anni sono stati inseriti negli studi CheckMate.
Per quanto riguarda il pembrolizumab, di particolare interesse sono i dati ricavati dallo studio di fase III randomizzato Keynote-204, volto a confrontare pembrolizumab con BV nei pazienti con HL R/R (Kuruvilla J et al, 2021). In questo studio sono stati arruolati anche 49 pazienti di età superiore ai 65 anni (27 trattati con pembrolizumab e 22 trattati con BV). Lo studio ha dimostrato una superiorità in termini di PFS del braccio con pembrolizumab, dati che si sono confermati anche nell’analisi dei sottogruppi di età (65-75 anni e >75 anni).
CONCLUSIONI
Il trattamento del LH nell’anziano rimane a tutt’oggi un ambito clinico con risultati non ancora soddisfacenti soprattutto se comparati a quelli del paziente giovane con LH. Questo si spiega con le particolari caratteristiche biologiche-cliniche della malattia e soprattutto con la difficoltà di trattare pazienti con multiple comorbidità e non in grado di sopportare i classici regimi chemioterapici. In questa prospettiva, una migliore definizione globale del paziente attraverso strumenti analitici dedicati uniti all’impiego di nuove terapie biologiche rappresentano la via per migliorare i risultati terapeutici in questo difficile setting di malattia.
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