Con il termine di linfocitosi B monoclonale (MBL) si definisce una condizione clinica asintomatica, caratterizzata dalla presenza di popolazioni B linfocitarie clonali di piccola entità, rilevabili a livello del sangue periferico di soggetti altrimenti sani (Marti GE et al, 2005; Shanafelt TD et al, 2010). Questa condizione, di recente definizione, racchiude tutti quei casi che, stante la presenza di popolazioni B cellulari anomale nel sangue periferico, non soddisfano i criteri per la diagnosi di un disordine linfoproliferativo.
La recente definizione di MBL come entità diagnostica a sé assolve lo scopo di fornire criteri classificativi uniformi, necessari per l’attuazione di studi epidemiologici e biologici mirati, e costituisce un punto di partenza inderogabile per indagarne l’evoluzione clinica ed il rischio di progressione, soprattutto in considerazione del fatto che soggetti portatori di questa condizione vengono identificati incidentalmente nel corso di indagini effettuate per problematiche mediche non correlate con sempre maggiore frequenza.
Sebbene la MBL fosse stata inizialmente ritenuta un fenomeno di minima rilevanza (Shim YK et al, 2007), la diffusione sempre più ampia delle metodiche di citofluorimetria multiparametrica ha permesso di rilevare la presenza di questa condizione in una percentuale significativa di individui (Rawstron AC et al, 2002a; Ghia P et al, 2004; Dagklis A et al, 2009; Nieto WG et al, 2009), portando la comunità scientifica ad interrogarsi sul suo significato e sulla sua potenziale evoluzione clinica.
Esistono almeno 3 tipi distinti di MBL, suddivisi in base al profilo immunofenotipico in (Tabella I):
Tabella I: Criteri diagnostici e sottoclassificazione della MBL [adattato da Shanafelt TD et al, 2010]
1) MBL “LLC-simile”: rappresenta il 75% dei casi. In questi soggetti i cloni B cellulari condividono lo stesso fenotipo della cellule della leucemia linfatica cronica (LLC), caratterizzato dalla positività per CD5 e CD23, da una bassa intensità di espressione di CD20 e delle immunoglobuline di superficie –sIg- (Shanafelt TD et al, 2010). Il miglioramento delle metodiche citofluorimetriche disponibili permette di rilevare una cellula LLC tra 10.000 leucociti normali (Rawstron AC e Hillmen P, 2008a) e questo progresso tecnologico, ideato per un’immediata applicabilità nel campo del monitoraggio della malattia minima residua (MRD), ha però comportato una significativa ricaduta pratica nel campo della MBL.
2) MBL “LLC-atipica”: caratterizzata dalla positività per CD5, da un’elevata intensità di espressione di CD20 e sIg e/o dalla mancata espressione di CD23;
3) MBL “Non-LLC”: negativa per l’espressione di CD5, con immunofenotipo simile a quello dei linfomi non Hodgkin (in particolare tipo cellule B della zona marginale).
Dal punto di vista dell’entità del clone e del contesto in cui vengono individuate, le MBL possono essere suddivise in (Shanafelt TD et al, 2010):
1) Population-screening MBL: rilevate in individui altrimenti sani, in assenza di linfocitosi;
2) Clinical MBL: riscontrate nel corso degli approfondimenti eseguiti nell’ambito di una linfocitosi.
Un discorso a parte meritano le forme di MBL osservate nelle cosiddette famiglie ad alto rischio per LLC, in quanto evidenziate in studi, definiti appunto familiari, coinvolgenti individui sani ma con una nota familiarità per leucemia linfatica cronica.
Poiché la condizione clinica di MBL LLC-simile (la più studiata tra le MBL) è almeno 100 volte più frequente rispetto alla LLC vera e propria, è evidente che la sua progressione in una malattia clinicamente significativa si verifica in una percentuale minoritaria di casi e secondo meccanismi tuttora non chiari (Caligaris-Cappio F e Ghia P, 2008).
In particolare le MBL riscontrate in studi di popolazione e quelle diagnosticate in ambito clinico mostrano almeno in parte caratteristiche biologiche e comportamento clinico differenti e sono perciò oggetto di intenso studio nell’ambito della comunità scientifica (Scarfo L et al, 2010).
MBL in studi di popolazione
Come accennato, il rilievo di MBL con sempre maggiore frequenza nell’ambito di studi di popolazione è frutto del diffuso miglioramento delle metodiche citofluorimetriche. I primi studi di popolazione, effettuati attorno alla metà degli anni ’90 nell’ambito di indagini volte a chiarire il ruolo di contaminanti ambientali nel determinare lo stato di salute della popolazione esposta, si avvalevano, infatti, di una caratterizzazione delle popolazioni aberranti tramite citofluorimetria a 2 colori e mostravano una prevalenza estremamente bassa di questa condizione (solo 9 individui su 1499, pari allo 0.6%) (Shim YK et al, 2007). Negli anni successivi, grazie all’impiego di un numero più elevato di fluorescenze in combinazione e ad un maggior numero di eventi acquisiti, si è assistito ad un più corretto inquadramento della frequenza della MBL. Servendosi della combinazione di 4 anticorpi coniugati (CD20/CD79b/CD19/CD5 e k/λ/CD19/CD5) ed acquisendo almeno 200.000 eventi, due studi successivi (Rawstron AC et al, 2002a; Ghia P et al, 2004), effettuati in regioni geograficamente distanti (Inghilterra ed Italia), hanno evidenziato una frequenza globale di MBL pari al 3,5%, caratteristicamente incrementata nelle classi di età più avanzate (5 e 5,5%, rispettivamente, negli individui al di sopra di 65 anni di età) e negli individui di sesso maschile. Un approccio citofluorimetrico con 5 fluorescenze associato all’acquisizione di 500.000 eventi ha mostrato una prevalenza di MBL pari al 7,4% (Dagklis A et al, 2009), mentre, con un ulteriore incremento della sensibilità della metodica utilizzata (8 fluorescenze, 5.000.000 di eventi acquisiti) è stato possibile rilevare la presenza di questa condizione nel 12% degli individui analizzati ed in oltre il 75% degli individui di età superiore a 90 anni (Figura I) (Nieto WG et al, 2009).
Figura I: Prevalenza della MBL-LLC simile in base alla sensibilità della metodica citofluorimetrica utilizzata.
(A) Prevalenza della MBL LLC-simile nell’intera coorte analizzata (2 fluorescenze, n° di eventi acquisiti non noti3; 4 fluorescenze, n° di eventi acquisiti 200.0004; 5 fluorescenze, n° di eventi acquisiti 500.0006; 8 fluorescenze, n° di eventi acquisiti 5.000.0007). (B) Prevalenza della MBL LLC-simile negli individui di età superiore a 60 anni (4 fluorescenze, n° di eventi acquisiti 200.0004; 5 fluorescenze, n° di eventi acquisiti 500.0006; 8 fluorescenze, n° di eventi acquisiti 5.000.0007.
Una metanalisi degli studi di popolazione recentemente pubblicata ha fatto luce sulle caratteristiche biologiche di questo gruppo di MBL chiarendo alcuni aspetti preminenti (Rawstron AC et al, 2010). Nella maggior parte dei casi il fenotipo delle cellule clonali è LLC-simile; questa affermazione è in un certo senso circolare perché le metodiche utilizzate per rilevare la presenza di popolazioni clonali sono state ottimizzate proprio nell’intento di riconoscere le cellule a fenotipo LLC. Generalmente la quota di cellule clonali rappresenta una percentuale ridotta dei linfociti B totali (percentuale mediana compresa tra 1,8 e 11% a seconda dei diversi studi); in valore assoluto questo dato si traduce in una concentrazione mediana di cellule B aberranti pari a 1 per μl e, nel 75% dei casi, i cloni MBL esibiscono una concentrazione inferiore a 3 cellule per μl. Questi dati confermano quindi che ci troviamo davanti a popolazioni clonali di entità estremamente ridotta, ai limiti di rilevazione delle metodiche di laboratorio attualmente in uso per la diagnosi citofluorimetrica in ambito ematologico.
È interessante sottolineare che i dati disponibili relativi al follow-up delle forme di MBL rilevate in studi di popolazione sono estremamente limitati; sulla base dei risultati riportati recentemente in uno studio inglese (Bennett F et al, 2009), è stato evidenziato che, dopo un follow-up mediano di più di 5 anni, nessuno dei casi rilevati è andato incontro ad una franca evoluzione in LLC, e solo 3 individui su 105 hanno mostrato un incremento della linfocitosi e/o la comparsa di una componente monoclonale tali da richiedere il ricorso all’attenzione medica.
MBL in ambito clinico
Con l’introduzione del consensus relativo alla MBL nel 2005 (Marti GE et al, 2005), successivamente recepito dalle linee guida internazionali IWCLL pubblicate nel 2008 (Hallek M et al, 2008), una quota di soggetti pari a circa il 40%, che in precedenza risultava inquadrato nella categoria della LLC stadio 0, è stato invece riclassificato come MBL (Shanafelt TD et al, 2009a; Shanafelt TD et al, 2009b; Shanafelt TD et al, 2008).
La cosiddetta Clinical MBL o High-count MBL si caratterizza infatti per il riscontro di una popolazione B-cellulare clonale in presenza di una linfocitosi clinicamente rilevabile, ma con una quota di linfociti B < 5.000/μl (il nuovo valore soglia al di sopra del quale vengono soddisfatti i criteri per la diagnosi di LLC). I dati derivati dalle metanalisi delle coorti attualmente pubblicate mostrano che in questa categoria le cellule aberranti rappresentano la maggior parte dei linfociti B e raggiungono una concentrazione mediana di cellule clonali pari a 2.939/μl, con il 75% dei casi che mostra un valore superiore a 1.885/μl. Questo gruppo di soggetti esibisce caratteristiche biologiche molto simili alle forme di LLC a prognosi favorevole, pur palesando una maggior rappresentazione di geni immunoglobulinici in forma mutata, con una frequenza di alterazioni citogenetiche favorevoli sostanzialmente sovrapponibile alla LLC ed una minor incidenza di immunoglobuline non mutate e di delezioni del cromosoma 17p e 11q.
Almeno 3 studi effettuati su ampie casistiche (Shanafelt TD et al, 2009b; Rawstron AC et al, 2008b; Rossi D et al, 2009) hanno indagato il decorso clinico di questa forma di MBL, con particolare attenzione al rischio di evoluzione in franca LLC con necessità di trattamento. Con un follow-up mediano compreso tra 4,1 e 6,7 anni, i dati di 2 di questi 3 studi mostrano un rischio di evoluzione in LLC richiedente trattamento compreso tra l’1 ed il 2%, in maniera strettamente analoga alla relazione riconosciuta tra gammopatia monoclonale di significato indeterminato (MGUS) e mieloma multiplo (Kyle RA et al, 2006). Tutti gli studi hanno evidenziato un incremento del rischio di progressione in relazione all’entità del clone isolato e questo rilievo ha fatto sì che fossero proposti cut-off differenti per distinguere MBL e LLC, basati sul rischio effettivo di progressione in una forma di malattia con necessità di trattamento. I cut-off proposti derivano dal fatto che le forme in cui i linfociti B aberranti sono < 1.500/μl circa (1.200/μl in uno studio inglese (Rawstron AC et al, 2008b), 1.900/μl in quello italiano) (Rossi D et al, 2009), raramente evolvono in malattia conclamata, mentre forme in cui le cellule aberranti raggiungono una concentrazione >3.700-4.000/μl hanno un rischio di malattia molto più elevato. In questo ambito è perciò tuttora oggetto di intenso dibattito il valore soglia ottimale per differenziare MBL e LLC; tale discriminazione dovrebbe infatti basarsi sul rischio concreto di evoluzione in malattia clinicamente conclamata e sulla necessità di trattamento e derivare quindi dall’analisi del decorso clinico dei soggetti studiati. La significatività della scelta di un valore soglia appropriato è esemplificata dal confronto tra i risultati attualmente disponibili nei soggetti MBL e nei pazienti con LLC stadio 0 di Rai: il rischio di progressione dei primi, pari a 1-2%/anno, non appare a prima vista molto differente da quello dei secondi, pari a 5-7%, ma si traduce in un a rischio a 10 anni di necessità di trattamento del 7-14% negli individui con MBL, e del 50-70% nei pazienti con LLC Rai 0. Alcuni centri propongono, sulla base dell’analisi dei dati di sopravvivenza libera da progressione, di innalzare il livello soglia necessario per la diagnosi di LLC a 11.000 linfociti B, ritenendo questo valore maggiormente predittivo della necessità di trattamento e del decorso clinico dei pazienti e meritevole quindi di un’etichetta diagnostica quale quella di leucemia (Shanafelt TD et al, 2009a). Analogamente, dati recenti derivati dall’analisi di una coorte italiana multicentrica di ampie dimensioni sembrerebbero suggerire che una quota di linfociti B pari 10.000/μl possa rappresentare un valore soglia maggiormente riproducibile e clinicamente più efficace nel differenziare la prognosi dei diversi individui (Molica S et al, 2011). Altri studi invece suggeriscono che il cut-off attualmente in uso sia già effettivamente in grado di discriminare nel modo migliore MBL e LLC e vada quindi perpetuato (Rossi D et al, 2009). Appare quindi auspicabile l’attuazione di studi clinici prospettici con un numero elevato di soggetti e l’estesa valutazione dei marcatori prognostici nella coorte analizzata allo scopo di riconoscere un valore soglia ottimale ed attribuire un adeguato potere predittivo ai marcatori prognostici noti.
Una volta chiarito che almeno una parte delle MBL cliniche va effettivamente incontro a progressione, infatti, sono stati messi in atto molti sforzi per cercare di individuare fattori prognostici in grado di predire in maniera più appropriata il decorso clinico di questi soggetti. Tra i fattori prognostici utilizzati nella LLC e applicati per analogia nella MBL solo la percentuale di espressione di CD38 si è dimostrata valida in più di uno studio, mentre la percentuale di omologia dei geni IGHV, la presenza di alterazioni citogenetiche sfavorevoli, nonché altri fattori prognostici clinico-laboratoristici hanno mostrato una ridotta capacità di discriminazione prognostica (Shanafelt TD et al, 2009b; Rawstron AC et al, 2008b; Rossi D et al, 2009).
Da ultimo, è interessante analizzare la relazione MBL-LLC anche da un punto di vista opposto, e cioè cercando di chiarire non solo quante MBL evolvono in LLC, ma anche quante LLC sono precedute da una fase di MBL. A tale proposito i risultati di uno studio americano multicentrico coinvolgente circa 150.000 partecipanti e volto a inquadrare l’efficacia di atteggiamenti preventivi in ambito neoplastico, ha dimostrato che virtualmente ogni LLC è preceduta da una fase di MBL (Landgren O et al, 2009). Infatti, in 44 dei 45 casi di LLC diagnosticati nel corso del follow-up e per cui era disponibile materiale biologico pre-diagnosi è stato dimostrata l’esistenza di un clone MBL fino a 7 anni prima della diagnosi. Tale riscontro è stato evidenziato non solo nei casi con un decorso clinico tendenzialmente indolente (come nelle forme con immunoglobuline mutate) ma anche in almeno 3 degli 8 casi con immunoglobuline non mutate, che generalmente si associano ad un decorso clinico più aggressivo.
MBL in studi familiari
Come noto la familiarità per LLC rappresenta uno dei principali fattori di rischio noti per lo sviluppo della malattia; i familiari di primo grado di pazienti affetti da LLC hanno infatti un rischio da 2 a 7 volte superiore rispetto alla popolazione generale di manifestare la stessa malattia (Goldin LR et al, 2009). Le famiglie in cui uno o più membri risultano affetti da LLC vengono definite come famiglie ad alto rischio per la malattia e come tali sono oggetto di intensa indagine per comprenderne i meccanismi patogenetici. La frequenza di MBL nelle famiglie ad alto rischio per LLC risulta incrementata rispetto a quella della popolazione generale, con una prevalenza pari al 13,5-18% (de Tute R et al, 2006; Goldin L et al, 2009; Rawstron AC et al, 2002b; Marti GE et al, 2003). È interessante notare che, pur in presenza di un incremento del rischio complessivo, tale aumento è particolarmente evidente nel gruppo d’età più giovane (tra i 16 e i 40 anni), in cui si riscontra una prevalenza fino a 17 volte superiore rispetto ai coetanei non appartenenti a famiglie ad alto rischio.
Legame biologico tra MBL e LLC
Pur non essendo stato ancora stabilito univocamente il legame e il possibile percorso patogenetico che conduce da MBL a LLC, i dati in letteratura documentano che queste due condizioni hanno in comune numerosi aspetti biologici.
È stato dimostrato che MBL LLC-simile e LLC esprimono lo stesso profilo immunofenotipico, non solo in relazione ai marcatori citofluorimetrici utilizzati di routine, ma anche in base alla valutazione di un pannello esteso (comprendente CD10, CD21, CD22, CD24, CD25, CD27, CD31, CD37, CD39, CD40, CD69, CD81, CD82, CCR6, CCR7, CXCR4, CXCR5 e LAIR-1), e sono ben differenziabili dai linfociti patologici di altri disordini linfoproliferativi (Rawstron AC et al, 2006). Più recentemente è stata però evidenziata una diversa espressione di alcune molecole (in particolare CXCR5, CCR6 e CD62L) tra MBL e forme di LLC a decorso clinico aggressivo (quali quelle con delezione 17p e/o delezione 11q) (Rawstron AC et al, 2010). Le proteine in questione sono coinvolte nel trafficking linfoide, in particolare nel processo di homing a livello dei tessuti linfoidi, e la loro espressione differenziale sembrerebbe implicitamente sostenere il ruolo fondamentale del microambiente e delle interazioni a livello linfonodale nel determinare l’andamento clinico delle espansioni B cellulari pre-neoplastiche e francamente leucemiche. Inoltre, grazie all’impiego della tecnologia dei microarray, è stato possibile confrontare il profilo di espressione genica di alcuni geni specifici (FMOD, CKAP4, PI3Kc2b, LEF-1, PTK1, Bcl-2 e GPM6a) in 3 diversi sottogruppi rappresentati da linfociti B normali, cellule LLC e MBL; MBL e LLC sono risultate virtualmente indistinguibili l’una dall’altra, ma ben differenziabili dai linfociti B normali, e accomunate dall’espressione di un gene, LEF-1, di norma assente nei linfociti B e per cui è stato ipotizzato un ruolo come evento genetico precoce nell’insorgenza della LLC (Gutierrez A, Jr. et al, 2010).
Per chiarire ulteriormente il legame tra popolazioni B monoclonali LLC-simili e LLC sono stati indagati alcuni aspetti biologici peculiari nella LLC. In particolare, come noto, nella LLC si assiste ad un utilizzo preferenziale di specifici geni IGHV (soprattutto IGHV1-69, IGHV4-34, IGHV3-7, IGHV3-23) (Fais F et al, 1998). Le catene immunoglobuliniche possono mostrare una percentuale di omologia rispetto alla forma germ-line superiore al 98% (e vengono perciò definiti non mutate), condizione tendenzialmente associata ad un decorso clinico sfavorevole, mentre le forme con una percentuale di omologia inferiore al 98% (cosiddette mutate) seguono generalmente un andamento clinico più favorevole (Damle RN et al, 1999; Hamblin TJ et al, 1999). Inoltre, in maniera peculiare, una percentuale vicina al 30% dei casi di LLC analizzati in tutto il mondo mostra l’espressione di sequenze immunoglobuliniche strettamente omologhe (cioè con caratteristiche di sequenza e conformazione estremamente simili, cosiddette “stereotipate”) a livello della regione HCDR3, preposta al riconoscimento dell’antigene (Stamatopoulos K et al, 2007; Murray F et al, 2008; Messmer BT et al, 2004). Sulla scorta delle conoscenze ottenute nel campo della LLC, l’analisi dei geni IGHV è stata perciò applicata anche nelle forme di MBL LLC-simili fornendo risultati contrastanti. Infatti, mentre le forme di MBL associate a linfocitosi esibiscono un repertorio IGHV molto simile a quello della LLC (Rawstron AC et al, 2008b; Rossi D et al, 2009), seppur con una maggior rappresentazione delle forme mutate ad andamento clinico più favorevole, i dati al momento disponibili indicano che, nelle forme MBL a bassa conta, l’utilizzo dei geni IGHV è differente rispetto a quello della LLC (Dagklis A et al, 2009; Nieto WG et al, 2009) e, pur rilevandosi una predominanza di immunoglobuline mutate, i geni utilizzati sono diversi (ad es. VH4-59/61), e la presenza di recettori stereotipati è di riscontro estremamente raro (solo 2 casi pubblicati in letteratura).
Pur non esistendo un’alterazione genetica diagnostica di LLC, in circa l’80% dei casi è possibile riscontrare tramite FISH la presenza di almeno una tra 4 anomalie genetiche principali, rappresentate da delezioni del braccio lungo del cromosoma 13 (13q), del braccio lungo del cromosoma 11 (11q), del braccio corto del cromosoma 17 (17p) e dalla presenza di una copia aggiuntiva (trisomia) del cromosoma 12 (Dohner H et al, 2000). A differenza di quanto osservato a proposito dell’analisi delle catene pesanti immunoglobuliniche, nel campo delle alterazioni genetiche sia le forme di MBL con linfocitosi che quelle rilevate in studi di popolazione mostrano un’analoga distribuzione delle lesioni, con una prevalenza di anomalie associate ad una prognosi favorevole (quali la del13q) (Nieto WG et al, 2009, Rawstron AC et al, 2008b). In particolare, anche nei casi in cui le cellule aberranti raggiungono una concentrazione molto bassa (Lanasa MC et al, 2010), i dati al momento disponibili confermano la presenza di del13q e trisomia 12 in percentuali simili a quelle della LLC conclamata, mentre non sono presenti anomalie genetiche correlate ad una prognosi sfavorevole (del17p e del11q), rilevate di rado e in un bassa percentuale di cellule aberranti anche nelle MBL con linfocitosi.
Da ultimo è interessante segnalare che gli studi su modelli murini hanno fornito dati importanti nel cercare di comprendere il legame biologico tra MBL e LLC. Il riscontro di espansioni B-linfocitarie positive per l’espressione di CD5 rappresenta infatti un fenomeno frequente nei topi anziani (LeMaoult J et al, 1999). Alcuni modelli murini, tra i più noti i New Zealand Black e New Zealand White (Phillips JA et al, 1992; Stall AM et al, 1988; Seldin MF et al, 1987), mostrano un’anticipazione di questo fenomeno che tende a comparire in individui più giovani e a mostrare poi l’evoluzione in un franco disordine leucemico. Un nuovo modello murino, introdotto più recentemente, si caratterizza per la delezione del locus MDR (situato a livello del braccio lungo del cromosoma 13), che, come riportato, è una regione frequentemente deleta sia nei pazienti con LLC che negli individui affetti da MBL (Klein U et al, 2010). I topi MDR -/- sviluppano appunto un disordine linfoproliferativo manifesto in circa ¼ dei casi, ma, seppure in una percentuale inferiore (circa il 5%), l’espansione monoclonale si mantiene di entità ridotta, rappresentando un valido analogo murino della condizione di MBL.
Follow-up
In considerazione della limitata disponibilità di dati clinici a lungo termine in pazienti affetti da MBL, le nuove linee guida internazionali propongono un atteggiamento clinico differente a seconda del contesto in cui la MBL viene identificata (studi clinici vs studi di popolazione) e del tipo di MBL (LLC-simile vs LLC-atipica vs Non-LLC) (Tabella II) (Shanafelt TD et al, 2010).
Tabella II: Raccomandazioni cliniche per la valutazione ed il follow-up [adattato da Shanafelt TD et al, 2010]
I dati principali derivano dagli studi effettuati in individui affetti da MBL associata a linfocitosi clinicamente rilevante, per la quale vengono di norma avviati gli accertamenti clinico-laboratoristici. Il primo punto è naturalmente rappresentato da un corretto inquadramento diagnostico; questo aspetto è particolarmente importante nelle forme di MBL a fenotipo diverso da quello LLC-simile, in cui è importante escludere, attraverso la valutazione specialistica con metodiche strumentali e di laboratorio, la presenza di un linfoma non Hodgkin. Per quanto riguarda le forme di MBL LLC-atipica, positive per l’espressione di CD5, ma negative per CD23, questo implica necessariamente una valutazione tramite FISH della presenza della traslocazione (11;14), alterazione genetica peculiare del linfoma mantellare.
Poiché, come accennato, il rischio di progressione della MBL LLC-simile in forme clinicamente conclamate è pari all’1-2%, l’atteggiamento corretto è quello di rassicurare il paziente sulla bassa probabilità di manifestare una LLC sintomatica, istruendolo a riconoscere eventuali manifestazioni sistemiche correlate alla malattia di base (febbre, calo ponderale, abbondanti sudorazioni notturne, astenia estrema). Come nelle curve che disegnano il rischio di progressione da MGUS a mieloma multiplo, anche nel caso dell’evoluzione delle MBL in LLC non si assiste mai al raggiungimento di un plateau, cioè non esiste un periodo al di là del quale il rischio di progressione del singolo è inesistente. Per tale motivo i soggetti con diagnosi di MBL LLC-simile associata a linfocitosi clinicamente significativa vengono sottoposti a monitoraggio clinico regolare (generalmente rappresentato da una visita ematologica con esami ematochimici a cadenza annuale) a tempo indeterminato. Nei soggetti con MBL LLC-atipica o Non-LLC, per cui i dati sul decorso clinico sono estremamente limitati, la frequenza e le modalità dei controlli sono diversificate in base alla somiglianza dei linfociti clonali con forme a decorso più o meno aggressivo: per i sottotipi di MBL paragonabili a linfomi aggressivi, infatti, viene consigliato un monitoraggio più frequente e l’esecuzione di esami TC, mentre per le forme simili a linfomi indolenti il monitoraggio è più dilazionato e può avvalersi di metodiche di imaging alternative.
I dati relativi alle MBL diagnosticate nel corso di studi di popolazione sono invece meno conclusivi; considerando i risultati già pubblicati relativi ad un legame diretto tra numero di linfociti B e rischio di progressione, i casi di MBL riscontrati nella popolazione generale, mostrando un numero di linfociti B tendenzialmente compreso nei limiti di norma ed una quota di cellule clonali estremamente bassa, hanno un rischio di evoluzione in LLC in pratica sovrapponibile a quello della popolazione generale. Al momento non viene perciò consigliato alcun tipo di follow-up in questi casi, se non nell’ambito di studi di ricerca.
Altre ricadute cliniche
La definizione della condizione di MBL ed il suo sempre più frequente riscontro nella pratica clinica comportano alcune significative considerazioni di carattere generale.
Si rende in primo luogo necessaria l’inclusione di questa condizione nel codice internazionale delle malattie (ICD-9 e versioni successive), considerando che attualmente il medico che effettua la diagnosi si trova a dover scegliere se equiparare la condizione di MBL ad una leucemia linfatica cronica (codice 204.1), permettendo così il rimborso degli esami necessari da parte del sistema sanitario nazionale ma attribuendo un’etichetta di disordine neoplastico, o ad una linfocitosi (codice 288.8), che però non garantisce la rimborsabilità degli esami necessari per il monitoraggio periodico.
Data la frequenza del riscontro di MBL con l’utilizzo di metodiche citofluorimetriche più avanzate è inoltre legittimo interrogarsi sulla necessità di ricercare questa condizione in alcune specifiche categorie. Se al momento non c’è indicazione ad effettuare valutazioni di screening per questa condizione nell’ambito dei donatori di sangue (e del resto gli studi pubblicati in questa categoria di soggetti, pur avvalendosi di metodiche citofluorimetriche con bassa sensibilità, mostravano una prevalenza di MBL estremamente bassa) (Plapp FV et al, 1999; Rachel JM et al, 2007), più dibattuta è invece la politica da adottare nei familiari di pazienti affetti da LLC candidati a trapianto allogenico da donatore familiare. Studi recenti mostrano infatti che è possibile riscontrare la presenza di una MBL nel 15,4% dei donatori familiari di pazienti con LLC ( Del Giudice I et al, 2009); non esiste un consenso unanime relativo alla necessità di considerare non idonei alla procedura trapiantologica questi individui, soprattutto in assenza di alternative terapeutiche egualmente valide.
Conclusione
Il medico deve aver ben presente che la condizione qui descritta rappresenta un reperto occasionale, la cui natura deve essere illustrata al paziente con chiarezza, tenendo conto che:
– la MBL è una forma benigna di espansione dei linfociti B;
– si tratta di una condizione completamente asintomatica;
– i controlli periodici sono mirati ad accertare la stabilità della linfocitosi e a cogliere eventuali, rari, incrementi significativi della stessa;
– anche la (rara) evenienza di trasformazione da MBL in LLC, configura una situazione clinica asintomatica per la quale non è richiesto, in genere, alcun trattamento per molti anni.
La MBL rappresenta per l’Ematologo una condizione di grande interesse per la comprensione dei meccanismi alla base della comparsa e della evoluzione della LLC.
BIBLIOGRAFIA
Professore Ordinario di Ematologia, Università degli Studi di Ferrara
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