Nel contesto delle diverse strategie di immunoterapia cellulare, il trasferimento adottivo di linfociti T ingegnerizzati con recettori diretti contro antigeni tumorali rappresenta un approccio nuovo e particolarmente promettente per la rapida generazione di un elevato numero di linfociti tumore-specifici (Lipowska-Bhalla G et al, 2012; Curran K Jet al, 2012).
In alternativa al recettore delle cellule T (TCR) fisiologico, il linfocita T può essere ingegnerizzato, tramite l’utilizzo di vettori oncoretrovirali o lentivirali, con recettori chimerici per l’antigene (CAR), costituiti da un dominio di riconoscimento antigenico fuso a domini di trasduzione del segnale derivati dal complesso TCR. Il dominio di riconoscimento antigenico generalmente deriva dalle porzioni variabili delle catene anticorpali o del TCR, mentre il dominio di trasduzione generalmente utilizzato deriva dalla porzione intracellulare della catena z del CD3 (Kalos M et al, 2011). Questo tipo di struttura combina la specificità del riconoscimento anticorpale MHC-indipendente con le potenzialità anti-tumorali dei linfociti T, permettendo così il possibile trasferimento al linfocita T sostanzialmente di qualsiasi specificità antigenica.
Questi linfociti CAR, definiti di prima generazione, presentavano un’importante capacità di riconoscimento della neoplasia in vitro associata però ad una limitata attività antitumorale in vivo. La generazione di linfociti CAR di seconda generazione, che ha previsto l’aggiunta alla porzione intracellulare di domini costimolatori derivati dalle molecole CD28, 41BB o OX40, si è tradotta nella generazione di cellule che presentano una maggiore capacità di produzione di citochine e di espansione (Carpenito C et al, 2009; Ritchie DS et al, 2013). Recentemente, la combinazione di multipli domini di segnale (CD3z-CD28-41BB oppure CD3z-CD28-OX40) ha permesso lo sviluppo di CAR di terza generazione ad attività ulteriormente incrementata (Till BG et al, 2012).
L’utilizzo dei linfociti CAR in protocolli di immunoterapia presenta numerosi vantaggi: la possibilità di utilizzare linfociti autologhi derivati dal paziente, che grazie a questa tecnologia acquisiscono la capacità di riconoscere antigeni di superficie espressi dalle cellule neoplastiche del paziente stesso; la capacità di riconoscimento dell’antigene secondo una modalità HLA-indipendente; un’applicabilità estesa a larghe coorti di pazienti.
E’ evidente che il successo della procedura dipende in larga misura dall’identificazione di antigeni target che siano espressi esclusivamente o prevalentemente dalle cellule neoplastiche. Attualmente sono state riportate in letteratura esperienze cliniche sull’utilizzo di CAR in pazienti affetti da diverse patologie oncoematologiche, incluse le leucemie acute linfoidi (LAL) e mieloidi, le leucemie linfatiche croniche ed i linfomi (Gill S et al, 2015; Kenderian SS et al, 2014; Klebanoff CA et al, 2014). L’obiettivo di tali trattamenti consiste generalmente nel riottenere una fase di remissione di malattia in pazienti recidivati dopo terapie convenzionali, utilizzando quindi la terapia con i CAR per esempio come ponte a procedure trapiantologiche.
Nel contesto dei pazienti affetti da LAL, sono riportati in letteratura alcuni studi clinici che utilizzano linfociti modificati geneticamente con un recettore chimerico specifico per l’antigene CD19, antigene largamente espresso dalle cellule leucemiche di LAL (Brentjens R Jet al, 2011). Tali esperienze sono state generate sia nel contesto autologo (Grupp SA et al, 2013; Lee DW et al, 2014; Maude SL et al, 2014) che dopo trapianto allogenico di midollo osseo con l’infusione di linfociti ingegnerizzati di derivazione del donatore (Cruz CR et al, 2013). I protocolli riportati prevedono generalmente ripetute infusioni di dosi crescenti di linfociti CAR. I risultati finora ottenuti sono estremamente promettenti e documentano la generazione di un’attività tumorale anche in gruppi di pazienti altamente resistenti ai trattamenti convenzionali o recidivati dopo trapianto allogenico, fino all’ottenimento di remissioni complete in alcuni casi anche durature in elevate percentuali di pazienti.
Contestualmente a questi importanti risultati, è doveroso sottolineare che tutti gli studi, indipendentemente dal contesto in cui sono stati condotti e dai dosaggi di linfociti CAR utilizzati, riportano un’elevata incidenza di effetti collaterali all’utilizzo del farmaco, caratterizzati dalla possibile comparsa della sindrome da rilascio citochinico, da linfocitopenie B prolungate e da sindromi da anafilassi (Maus MV et al, 2013).
Ulteriori studi clinici confermeranno o meno le potenzialità terapeutiche dei linfociti CAR nel contesto dei pazienti affetti da LAL e permetteranno l’ulteriore sviluppo di queste tecnologie tramite la generazione di recettori chimerici contro altri antigeni del linfocita B, quale ad esempio il CD22.
BIBLIOGRAFIA
Professore Emerito di Ematologia, Università Sapienza, Roma
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