La leucemia mieloide acuta (LAM) ĆØ una proliferazione clonale di cellule staminali ematopoietiche, caratterizzata da differenziazione bloccata o severamente compromessa e progressivo accumulo di cellule patologiche (blasti) in vario stadio di maturazione prevalentemente incompleta. Come conseguenza si determinano nel sangue periferico vari livelli di citopenia e le manifestazioni cliniche più comuni includono sintomi di anemia (astenia e dispnea da sforzo), neutropenia (infezioni) e trombocitopenia (emorragie), che sono generalmente presenti al momento della diagnosi e dominano il quadro clinico durante il trattamento. Il meccanismo mediante il quale lāespansione del clone leucemico sopprime la crescita e la differenziazione della normale ematopoiesi policlonale residua non ĆØ ancora completamente chiarito, ma sembra che questa soppressione sia, almeno parzialmente, protettiva nei confronti degli effetti citotossici della chemioterapia in quanto la rigenerazione della normale crasi ematica periferica si verifica in seguito alla riduzione del clone leucemico dopo chemioterapia di induzione. In assenza di terapia la LAM conduce a morte in un lasso di tempo variabile da pochi giorni ad alcuni mesi. La LAM può insorgere come forma āde novoā o dopo un disordine ematopoietico precedente, nella maggior parte dei casi una sindrome mielodisplastica (SMD) o, meno frequentemente, una malattia mieloproliferativa (MPD), come mielofibrosi idiopatica, policitemia vera e trombocitemia essenziale (Ferrara F, Schiffer CA, 2013). Infine, la LAM può svilupparsi in pazienti con esposizione nota ad agenti mutageni (generalmente chemio e/o radioterapia per antecedenti neoplasie, ematologiche e non). In questi casi viene definita treatment-related LAM (Godley LA, Larson RA, 2008; Feldman EJ, 2011). Recentemente, per le LAM secondarie ĆØ stato registrato un nuovo agenteĀ denominato CPX-351,Ā che ĆØ una formulazione liposomiale di daunorubicina e citarabina in rapporto molare 1 a 5, dimostratosi più efficace rispetto alla terapia convenzionale (Chen E et al, 2018).
La LAM ĆØ la leucemia più comune nellāadulto rappresentando circa il 3% di tutti i casi di cancro e il 25% di tutte le leucemie. Nel mondo lāincidenza di LAM ĆØ maggiore negli Stati Uniti, in Australia ed Europa occidentale (Siegel R et al, 2012). Il tasso di incidenza di LAM ĆØ Ā approssimativamente 3,4 per 100,000 persone negli Stati UnitiĀ (2.5 per 100,000 quando valutato per etĆ della popolazione mondiale standard) con maggiore frequenza nel sesso maschile. La LAM può insorgere in ogni etĆ , con maggior incidenza in individui con etĆ maggiore di 65 anni (Figura I). I pazienti con nuova diagnosi di LAM hanno una etĆ mediana di 65 anni e la malattia ĆØ solo raramente diagnosticata prima dei 40 anni; quindi lāincidenza aumenta progressivamente con lāetĆ (Thein MS et al, 2013).
Figura I: Aumento dāincidenza della LAM con lāetĆ : lāincidenza più elevata ĆØ intorno a 70 anni.
Lāinsorgenza di LAM ĆØ stata associata a numerosi fattori di rischio (Tabella I), in particolare allāesposizione a radiazioni ionizzanti e ad agenti chimici che danneggiano il DNA; in realtĆ , una storia chiara di contatto con una riconosciuta sostanza cancerogena ĆØ inusuale nei pazienti con LAM (Deschler B, Lubbert M, 2006). Al contrario, due forme distinte di LAM sono state descritte dopo esposizione a chemioterapici. I pazienti esposti ad agenti che bloccano le topoisomerasi II, come le antracicline e le epipodofillotossine, sviluppano in genere una malattia rapidamente proliferativa Ā spesso a carico della serie monocitaria e con alterazioni citogenetiche che coinvolgono il gene MLL al cromosoma 11q23, con intervallo di tempo che varia da alcuni mesi ad 1-2 anni dal trattamento con questi agenti (Deschler B, Lubbert M, 2006).
Tabella I: Principali fattori di rischio associati ad insorgenza di LAM.
Più comune ĆØ il sottotipo che insorge dopo trattamento con agenti alchilanti e/o radioterapia, la cui incidenza ha un picco 5-6-anni dopo lāesposizione ed ĆØ caratterizzato da precessione mielodisplastica con cariotipo complesso e delezione di tutto o parte dei cromosomi 5 e 7 (Godley LA, Larson RA, 2008). Ć da rilevare che queste stesse alterazioni e un simile andamento clinico si osservano più spesso nei pazienti anziani, probabilmente in seguito ad ancora non quantificabili ripetute esposizioni a cancerogeni inquinanti che contribuiscono allo sviluppo di LAM in etĆ avanzata. Ć stato recentemente dimostrato che alcune mutazioni somatiche (IDH1, IDH2, TP53, DNMT3A, TET2 e āspliceosome genesā) sono correlate a un rischio significativamente maggiore di indurre LAM (Desai P et al, 2018). Ā Nellāanziano, inoltre, c ben noto il fenomeno della āage related clonal hemopoiesis (ARCH)ā, una condizione associata alla presenza di varie mutazioni leucemogeniche, ma non necessariamente legata allo sviluppo di LAM (Abelson S et al, 2018). In etĆ pediatrica, disordini genetici costituzionali sono importanti fattori di rischio associati allo sviluppo di LAM (Tabella I).Ā I bambini affetti da sindrome di Down hanno un rischio 10-20 volte superiore di sviluppare una leucemia acuta. Altre malattie ereditarie associate alla LAM includono la sindrome di Klinefelter, la sindrome di Li-Fraumeni, lāanemia di Fanconi e la neurofibromatosi multipla (Deschler B, Lubbert M, 2006). Il meccanismo con cui in questi pazienti i distinti sottotipi di insufficienza emopoietica e diĀ neoplasie siĀ sviluppano sono ancora oggetto di investigazione, in particolare per quanto concerne il contributo di polimorfismi ereditari nella capacitĆ di metabolizzare differenti tossine e a riparare i danni del DNA (D’andrea AD, 2010).
Usando vari modelli in vitro e preclinici ĆØ stato dimostrato che una serie di mutazioni multistep sono necessarie per generare una LAM (Figura II), con evidenze che suggeriscono che per la leucemogenesi sono necessarie mutazioni attivanti Ā geni di classe I che attivano il meccanismo di trasduzione del segnale e inducono la proliferazione cellulare in cooperazione con mutazione di geni di classe II, che alterano fattori di trascrizioneĀ e compromettono la normaleĀ Ā differenziazione (Link DC, 2012; Marcucci G et al, 2011). Mutazioni che portano allāattivazione di recettori di tirosina chinasi quali FLT3, c-kit e al meccanismo di signaling di RAS fanno parte di mutazioni di classe I, mentre RUNX1/ETO, CBFbeta/MYH11 e PML/RAR alpha, che sono trascritti ibridi di fusione generati da ben note anomalie cromosomiche ricorrenti quali t(8;21), inv(16) e t(15;17) rispettivamente, rappresentano esempi di mutazione di classe II (Gilliland DG et al, 2004). Anche mutazioni dei fattori di trascrizione RUNX1, C/EBP alpha e MLL ricadono in questo gruppo. Una terza classe di geni che codificano modificatori epigenetici, che include DNMT3A, IDH1, IDH2, TET2, ASXL1 e EZH2, sembra a sua volta giocare un ruolo preminente nella patogenesi della LAM, sebbene il meccanismo con cui queste aberrazioni contribuiscono al fenotipo leucemico ĆØ scarsamente conosciuto. Allo stato attuale sono riconosciute almeno 9 classi di mutazioni (Tabella II), alcune strettamente cooperanti, altre mutualmente esclusive e la conoscenza ĆØ in continua evoluzione (vedi approfondimento di genetica molecolare). Ć da notare che diverse di queste anomalie sono associate a prognosi peggiore e sono maggiormente frequenti nei pazienti più anziani (Shen Y et al, 2011). Mentre molte mutazioni che contribuiscono alla patogenesi della LAM sono ancora non definite e la relazione tra meccanismo di mutazione e fenotipo epigenetico ĆØ tuttāaltro che chiara, ĆØ stato di recente dimostrato che in quasi tutti i tipi di LAM esiste almeno una mutazione potenzialmente driver e che un complesso network di eventi genetici contribuisce alla patogenesi della malattia nel singolo paziente. Il genoma della LAM ha meno mutazioni di quello di molti altri tumori dellāadulto, con una media di solo 13 mutazioni e 5 mutazioni per gene. Modelli di cooperazione e mutua esclusivitĆ suggeriscono una forte relazione biologica tra disregolazione di specifici geni e distinte categorie di LAM (Cancer Genome Atlas Research Network, 2013).
Figura II: Modello di leucemogenesi ātwo hitsā, basato sulla cooperazione di due differenti classi di mutazioni.
Tabella II: Classi di mutazioni coinvolte nella patogenesi della LAM.
Ć noto che la LAM ĆØ sia dal punto di vista clinico che bio-molecolare una malattia molto eterogenea con esordio e outcome clinico differente nei vari sottotipi morfologici e citogenetici. Recenti analisi molecolari hanno ampliato le nostre capacitĆ di comprendere questa eterogeneitĆ con potenziale applicazione verso nuove possibilitĆ terapeutiche. Eā interessante che sebbene molti blasti leucemici nel singolo paziente mostrino simili aspetti morfologici, solo lo 0,5 % circa di queste cellule con un fenotipo immaturo CD34+/CD38- hanno la capacitĆ di formare colonie in vitro e generare leucemia in topi con immunodeficienza. Queste cellule, definite clonogeniche, mostrano molti aspetti comuni alle normali cellule staminali ematopoietiche, inclusa la presenza di meccanismi di resistenza a una varietĆ di farmaci citotossici (Hoang VT et al, 2012; Pandolfi A et al, 2013). Sulla base di sofisticate analisi molecolari, ĆØ stato dimostrato che alla diagnosi sono presenti multipli sottocloni con differenti pattern di anomalie molecolari, con la successiva eventuale espansione, sotto la spinta selettiva di cicli di trattamento chemioterapico, di differenti subcloni (Walter MJ et al, 2012; Ding L et al, 2012). La eterogeneitĆ delle cellule leucemiche di un singolo paziente ha ovvie implicazioni sullāuso e lo sviluppo di terapie ātargetedā verso i prodotti di queste mutazioni genetiche; inoltre lāeterogeneitĆ delle cellule staminali leucemiche può anche vanificare lāefficacia di specifici anticorpi e agenti farmacologici (Perl AE, 2017).
Lāosservazione al microscopio ottico ancora oggi rimane il metodo fondamentale per la diagnosi ed una prima sottoclassificazione della LAM. Lāesame di campioni di sangue periferico e di midollo osseo colorati con il metodo Wright-Giemsa o May-Grunwald-Giemsa consente una diagnosi iniziale rapida e frequentemente conclusiva. Infatti, con la semplice indagine morfologica, la maggior parte dei casi di LAM e di leucemia acuta linfoblastica (LAL) può essere accuratamente diagnosticata. In alcuni casi di leucemie acute scarsamente differenziate il quadro morfologico può essere equivoco richiedendo studi ulteriori. La colorazione citochimica può essere utile nel distinguere le LAM scarsamente differenziate dalla LAL e in determinati sottotipi di LAM. La mieloperossidasi (MPO) e il Sudan nero B sono le metodiche citochimiche più comunemente utilizzate. Nella maggior parte dei casi di LAM una proporzione variabile di cellule leucemiche (blasti) presenta positivitĆ alla MPO e al Sudan nero B mentre entrambe le colorazioni sono costantemente negative nella LAL. Con lāaggiunta della citochimica allāindagine morfologica la maggior parte dei casi di leucemia acuta può essere appropriatamente diagnosticata come LAM o LAL. Secondo i criteri del gruppo cooperativo FAB (French-American-British), la classificazione delle LAM era esclusivamente basata sulla morfologia, i livelli di differenziazione tra differenti linee cellulari e sul grado di maturazione (Bennett JM et al, 1985b). I criteri WHO del 2016 (Tabella III) incorporano ed integrano la morfologia, la citogenetica e la biologia molecolare nel tentativo di elaborare una classificazione che sia universalmente applicabile e prognosticamente valida (Vardiman JW et al, 2009; Arber DA et al, 2016). Recentemente Ć© stata pubblicata, unanuova International Consensus Classification (ICC) delle malattie mieloproliferative e leucemie acute (Arber DA et al, 2022).
Tabella III: Classificazione WHO della LAM.
Le differenze più significative tra la classificazione WHO e la FAB ĆØ che la WHO richiede come requisito alla diagnosi che laĀ percentuale di blasti sia almeno il 20%Ā nel sangue periferico e nel midollo osseo, rispetto al 30% della FAB. Questo valore di fatto elimina la categoria āanemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazioneā (RAEB-t) che era proposta dalla classificazione FAB delle SMD, nella quale RAEB-t era definita da una percentuale di blasti midollari tra 20% e 29%. Nella classificazione WHO, RAEB-t non ĆØ più considerata come una entitĆ clinica distintaĀ e viene ad essere inclusa nella categoria LAM con displasia multilineare come āLAM con displasia multilineare.Ā Sebbene la riduzione della quota blastica al 20% non sia stata unanimemente condivisa, diversi studi indicano che la sopravvivenza nei casi con percentuale di blasti tra il 20 e il 29% ĆØ sostanzialmente sovrapponibile a quelli con oltre il 30%. Inoltre va ricordato che la diagnosi di LAM di per sĆ© non implica lāavvio di una chemioterapia aggressiva in quanto, oltre alla percentuale dei blasti, la decisione sullāopportunitĆ e il tipo di trattamento deve essere basata su una serie di fattori che includono lāetĆ , una precedente storia di MDS, il quadro clinico, la progressione della malattia e, soprattutto nei pazienti anziani e/o con comorbiditĆ , la volontĆ del paziente.
Il lineage della maggior parte dei casi di leucemia acuta morfologicamente e citochimicamente poco o non caratterizzati possono essere accuratamente definiti dallāanalisi immunofenotipica. La citometria a flusso multiparametrica ĆØ la metodica preferita per lāesame immunofenotipico delle leucemie acute (Kern W et al, 2010). Sono disponibili un gran numero di anticorpi monoclonali per lāanalisi citofluorimetrica di antigeni mieloidi e linfoidi specifici di linea e va sottolineato che i campioni di sangue e di midollo osseo sono particolarmente idonei poichĆ© le cellule si trovano naturalmente in sospensione liquida. La citometria a flusso multicolore consente la caratterizzazione di differenti antigeni su una singola cellula, con una precisa caratterizzazione delle cellule leucemiche anche in caso di bassa densitĆ di espressione. La colorazione immunoistochimica può essere usata per studiare lāimmunofenotipo delle leucemie acute quando sono disponibili solo campioni di biopsia ossea. Il pannello antigenico diagnostico può essere variabilmente ampio, ma deve almeno includere la valutazione dellāespressione di CD19, CD7, CD13, CD33, CD14, CD117, CD15 e CD34. Eā importante notare che lo studio immunofenotipico non deve mai essere usato in sostituzione dellāesame morfologico; inoltre la conta delle cellule CD34+ non deve sostituire la valutazione morfologica della conta dei blasti, in quanto circa il 20% delle LAM sono CD34 negative e non sempre vi ĆØ corrispondenza tra cellule CD34+ e cellule blastiche.
Al contrario lāesame immunofenotipico può essere estremamente utile per valutare la malattia minima residua, in quanto un pattern immunofenotipico anomalo ĆØ presente in circa il 90% dei casi di LAM (Paietta E, 2012).
Lāanalisi citogenetica delle cellule in metafase ĆØ una componente fondamentale della valutazione di tutti i pazienti con nuovaĀ o sospetta diagnosi di LAM, poichĆ© il 55-60% delle cellule tumorali mostra anomalie cromosomiche acquisite non random (Morrissette JJ, Bagg A, 2011). In alcuni casi (Tabella IV) specifiche anomalie cromosomiche sono associate in maniera specifica a distinti sottotipi morfologici e immunofenotipici. Come anche suggerito dalla classificazione WHO, specifiche anomalie citogenetiche hanno importanza diagnostica, prognostica e terapeutica (Fang M et al, 2011; Byrd JC et al, 2002; Grimwade D et al, 2010b; Slovak ML et al, 2000). Approssimativamente il 40% dei pazienti con LAM mostra cariotipo normale (LAM NK) senza anomalie citogenetiche identificabili con le moderne tecniche di citogenetica e con il metodo di ibridazione in situ (FISH). Questi pazienti sono stati inizialmente classificati in una categoria di rischio intermedio con un tasso di sopravvivenza globale tra il 24% e il 42% (Mawad R, Estey EH, 2012). Recentemente, numerosi studi retrospettivi hanno suggerito che alcuni marcatori molecolari possono identificare pazienti LAM NK a buona o cattiva prognosi e che il trattamento (almeno post-remissionale) deve essere definito in base ai suddetti marcatori (Martelli MP et al, 2013). Alcune anomalie molecolari si sono dimostrate utili per il monitoraggio della malattia minima residua e potenziali bersagli di terapie mirate (GarcĆ©s-Eisele J, 2012). Allo stato attuale, nella pratica clinica devono essere studiate le mutazioni NPM1, FLT3 e CEPBAalpha. Infine si raccomanda di conservare i campioni di midollo e di sangue periferico di ogni paziente con LAM per raccogliere materiale biologico potenzialmente utile per studi futuri. Un approccio integrato alla diagnosi di LAM ĆØ mostrato in Figura III.
Tabella IV: Reperti citogenetici più frequenti nelle LAM.
Figura III: Diagnosi integrata di LAM con differenti metodiche diagnostiche.
I sintomi più precoci della LAM mimano generalmente quelli dellāinfluenza o di altre malattie molto più frequenti. In seguito, prevalgono quelli dovuti allāinsufficienza midollare provocata dalla progressiva espansione del clone leucemico. La maggior parte dei pazienti lamenta astenia, dispnea da sforzo, comparsa di ecchimosi e/o altre manifestazioni emorragiche e febbre, quasi sempre in assenza di infezioni documentate. Meno frequentemente si riscontrano epato-splenomegalia, linfomegalie, ipertrofia gengivale. Alcuni pazienti lamentano dolore osseo migrante. Solo in casi eccezionali, la diagnosi viene effettuata in corso di esami di routine. Lāiperleucocitosi (leucociti > 100x10E9/l) ĆØ piuttosto rara (non oltre il 10% dei casi) e può associarsi a sindrome da lisi tumorale (TLS) e a segni e sintomi clinici di leucostasi; questi ultimi includono sintomi neurologici (cefalea, convulsioni, visione offuscata, coma, emorragia cerebrale), papilledema, trombosi mono o pluri-distrettuale, leucostasi polmonare (dispnea, cianosi, acidosi ipossica, emorragie polmonari) e, non raramente, emorragie dal tratto gastro-enterico. La TLS ĆØ una grave complicanza, indotta o esacerbata dalla chemioterapia di induzione, caratterizzata da iperuricemia, iperpotassiemia, ipocalcemia ed insufficienza renale acuta (Montesinos P et al, 2008). Raramente, la LAM può esordire con la presenza di una massa extramidollare , denominata sarcoma granulocitico (GS). Le sedi più frequenti sono la cute, il tratto gastrointestinale, lāosso, diversi tessuti molli e i testicoli (Klco JM et al, 2011). In casi eccezionali (< 10%), si possono osservare localizzazioni multiple. La massa tumorale (Figura IV) ĆØ composta da cellule mieloidi in varia fase di differenziazione, con variabile predominanza di mieloblasti. Il sarcoma granulocitico può insorgere de novo, può precedere o manifestarsi contemporaneamente alla comparsa di LAM o può rappresentare lāevoluzione blastica di una MDS o di una malattia mieloproliferativa (Ohanian M, et al, 2013).
Figura IV. Sarcoma mieloide: localizzazione cutanea, mammaria e cerebellare.
LāetĆ ancora oggi rappresenta il fattore prognostico più importante della LAM, in quanto la prognosi della malattia peggiora progressivamente con lāavanzare degli anni alla diagnosi. Fattori clinici e biologici contribuiscono a peggiorare lāoutcome clinico della malattia nel paziente anziano. Infatti, oltre i 60 anni ĆØ più frequente la presenza di citogenetica sfavorevole e di malattia secondaria a precedente emopatia; inoltre nellāanziano ĆØ dimostrata una maggiore espressione dei geni della multiple drug resistance (MDR), che rendono le cellule leucemiche meno responsive alla chemioterapia. Dal punto di vista clinico, va sottolineata lāinferiore capacitĆ dei pazienti anziani a sopportare gli effetti collaterali della chemioterapia, con più elevata morbiditĆ e mortalitĆ da terapia di induzione e consolidamento e trapianto di cellule staminali emopoietiche (Ferrara F et al, 2008; Klepin HD et al, 2013; Ferrara F et al, 2013). Inoltre, un numero non trascurabile di pazienti oltre i 70 anni (50% circa nella nostra esperienza) riceve solo terapia di supporto o idrossiurea per il controllo della leucocitosi ed in questi casi la sopravvivenza non ĆØ generalmente superiore a pochi mesi. Non vi ĆØ unanime condivisione del limite di etĆ che definisce anziano un paziente con LAM, ma negli studi clinici di diversi gruppi cooperatori, la terapia viene stratificata a 60-65 anni. Negli ultimi anni sono stati proposti diversi indici di comorbiditĆ , allo scopo di prevedere gli effetti tossici della chemioterapia e/o del trapianto e quindi di identificare i pazienti in grado di trarre maggiori vantaggi da diverse strategie terapeutiche (Walter RB et al, 2011; Krug U et al, 2010).
Con il progressivo decremento della mortalitĆ in induzione, dovuto al perfezionamento della terapia di supporto, la resistenza alla terapia rappresenta la causa principale di fallimento terapeutico nella LAM. Sono state condotte numerose investigazioni allo scopo di chiarire la natura dei meccanismi alla base della resistenza dei blasti leucemici a diversi farmaci, in particolare a citarabina e antracicline. Eā noto che lāoverespressione della glicoproteina p (PgP) produce resistenza alle antracicline, con un meccanismo di āpumpingā del farmaco fuori dalla cellula leucemica, ancor prima della possibilitĆ di effetto citotossico. Tale meccanismo di resistenza ĆØ particolarmente evidente nei pazienti anziani (Leith CP et al, 1997). Sono stati condotti numerosi trial allo scopo di verificare lāefficacia di farmaci inibitori della MDR con risultati scoraggianti per maggiore tossicitĆ nel braccio sperimentale e, in alcuni casi, per lāimpossibilitĆ di somministrare terapia convenzionale a dosi adeguate, in particolare antracicline ed epipodofillotossine (van der Holt B et al, 2005; Baer MR et al, 2002; Cripe LD et al, 2010; Kolitz JE et al, 2010; Lum BL et al, 1992). I meccanismi di MDR risultano amplificati a livello di cellule staminali leucemiche, mimando lāeffetto di protezione dalla chemioterapia presente nelle normali cellule staminali.
Diverse caratteristiche biologiche intrinseche delle cellule leucemiche possono predire di per sĆ© la sensibilitĆ alla chemioterapia. La grande importanza della citogenetica sulla risposta iniziale e sulla sopravvivenza a lungo termine furono evidenziate giĆ agli inizi degli anni 80 e sono state recentemente confermate da numerosi trial di gruppi cooperativi (Grimwade D, Mrózek K, 2011; Fang M et al, 2011; Byrd JC et al, 2002; Grimwade D et al, 2010b; Slovak ML et al, 2000). Ad esempio, pazienti con LAM definita ācore binding factorā [t(8;21), inv(16) e t (16;16)], LAM-CBF, sono particolarmente responsivi alla combinazione antracicline-ARA-C e ad alte dosi di ARA-C ed hanno una probabilitĆ di guarigione di circa il 60% senza necessitĆ di trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (Byrd JC et al, 2004; Bloomfield CD et al, 2004). Al contrario, altre traslocazioni bilanciate, quali la t(6;9), le anomalieĀ del cromosoma 3 ed il cariotipo complesso sono associati a prognosi generalmente negativa per inferiori possibilitĆ di ottenimento di remissione completa (RC) ed elevata probabilitĆ di recidiva (Slovak ML et al, 2006; Lugthart S et al, 2008). Il cariotipo monosomico si associa a sua volta ad outcome sfavorevole, con alto rate di recidiva anche dopo trapianto allogenico (Fang M et al, 2011). I meccanismi biologici alla base della resistenza o sensibilitĆ alla terapia delle differenti anomalie cromosomiche restano in gran parte sconosciuti e sono oggetto di attiva investigazione. Esistono varie classificazioni prognostiche della LAM, proposte da diversi gruppi cooperativi; la più recente e adottata in gran parte dāEuropa (Dohner H et al, 2017) ĆØ quella dellāEuropean Leukemia Net (ELN) (Tabella V). Rimane comunque una considerevole varietĆ di outcome sia nellāambito di categorie citogenetiche definite sia nei pazienti a cariotipo normale che costituiscono circa il 50% dellāintera casistica di LAM (Moarii M, Papaemmanuil E, 2017).
Negli ultimi anni, investigazioni a livello molecolare hanno dimostrato una più marcata eterogeneità proprio nei pazienti con LAM NK, nelle cui cellule leucemiche sono state dimostrate numerose mutazioni talora coesistenti, talora mutuamente esclusive (Medinger M, Passweg JR, 2017). Nella pratica clinica, almeno le mutazioni di nucleofosmina 1 (NPM1) e fms-tirosina-chinasi (FLT3) devono essere investigate dato il notevole impatto prognostico (favorevole per NPM1 e sfavorevole per FLT3) (Falini B et al, 2005; Gale RE et al, 2008; Schnittger S et al, 2002; Thiede C et al, 2002; Whitman SP et al, 2001).
I pazienti con mutazioni di NPM1 hanno un outcome favorevole anche con la sola chemioterapia, mentre le mutazioni di FLT3, che causano attivazione costituzionale del recettore e conseguente stimolazione della proliferazione cellulare, conferiscono una prognosi sfavorevole con un effetto negativo più marcato se tale mutazione occorre in omozigosi. Quando tali mutazioni si presentano in associazione, la presenza della mutazione di FLT3 annulla lāeffetto āpositivoā della mutazione di NPM1, e la prognosi del paziente risulta inferiore a quella attesa in presenza di una mutazione di NPM1 con FLT3 wild type (WT) (Dohner K et al, 2005; Burnett AK et al, 2010b). Sulla base di queste evidenze, la maggior parte degli ematologi non raccomanda il trapianto allogenico in prima RC per pazienti con NPM1 mutato/FLT3 WT, mentre considera lāopzione del trapianto per quelli con mutazioni FLT3 ITD (Schlenk RF et al, 2008).
Più recentemente ĆØ stato chiaramente dimostrato che alti livelli di burden allelico delle mutazioni NPM1 e FLT3 rappresenta un ulteriore fattore di prognosi sfavorevole da considerare nella decisione trapiantologica (Pratcorona M et al, 2013; Patel SS et al, 2018; Sallman DA e Padron E, 2016; Versluis J et al, 2017). Molte altre mutazioni sono state identificate e sono elencate in Tabella VI. Lāimpatto prognostico di molte di queste anomalie molecolari rimane tuttora incerto, con risultati talora discrepanti riportati da gruppi diversi. Ulteriori studi ed una revisione sistematica dei dati finora accumulati sono necessari per chiarire questi aspetti. Eā interessante notare come, mentre alcune mutazioni possono essere riscontrate in associazione tra di loro, aumentando cosƬ lāeterogeneitĆ molecolare, altre sembrano escludersi a vicenda, suggerendo che in alcuni pazienti queste possano essere ādriver ā critici per lo sviluppo della malattia e pertanto potenziali target della terapia (Patel JP et al, 2012; Ley TJ et al, 2008). Ć probabile che, grazie alle moderne tecniche di sequenziamento genico e allo studio delle cellule staminali leucemiche più indifferenziate, vengano presto identificate nuove mutazione o profili ricorrenti di anomala espressione genica (Roboz GJ, Guzman M, 2009). CosƬ come per le anomalie cromosomiche ricorrenti, sarĆ cruciale chiarire i meccanismi con cui queste alterazioni possono influenzare la risposta alla terapia, riuscendo cosƬ a sviluppare trattamenti più mirati, finanche individualizzati. Bisogna però tenere in considerazione che lāestrema eterogeneitĆ fenotipica della LAM ĆØ anche da ascriversi ad alterazione dei profili di espressione dei microRNA (Marcucci G et al, 2011b), cosƬ come alla deregolazione di altri meccanismi epigenetici di regolazione dell’espressione genica (Oki Y, Issa JP, 2010; Melnick AM, 2010; Hackanson B et al, 2008).
Tabella V: Classificazione prognostica delle LAM secondo i criteri ELN (European Leukemia Net).
Tabella VI: Marcatori molecolari della LAM.
FLT3 ĆØ una delle mutazioni che può essere mirata farmacologicamente e un numero di inibitori sono stati oggetto di trial clinici sia di fase 2 che randomizzati (Garcia JS e Stone RM, 2017). Inibitori come midostaurina (PKC412) e lestaurtinib (CEP701) possono essere somministrati in combinazione con la chemioterapia, e varie sperimentazioni stanno valutando lāefficacia della chemioterapia standard da sola o in associazione con questi agenti in pazienti con nuova diagnosi di LAM (Knapper S, 2011). Recentemente, midostaurina ha ottenuto la registrazione FDA ed EMA in combinazione a regime 3 + 7 in pazienti con LAM con mutazione di FLT3 di etĆ compresa tra 18 e 60 anni. Infatti, nello studio randomizzato denominato āRatifyā il braccio 3 + 7 + miodstaurina ha avuto un vantaggio in termini di sopravvivenza globale rispetto a 3+7 + placebo (Stone RM et al, 2017).Ā Al contrario, la somministrazione di lestaurtinib in pazienti in prima recidiva non ha dimostrato alcun beneficio, forse a causa di incompleta inibizione del target per inefficienza farmacocinetica (Levis M et al, 2011). Altri inibitori FLT3 sono attualmente oggetto di investigazione, con i risultati più incoraggianti finora riportati per quizartinib (Kindler T et al, 2010; Garcia JS e Stone RM, 2017), che come agente singolo si ĆØ rilevato più efficace della terapia convenzionale di salvataggio nello studio Quantum R (Cortes JE et al, 2018).
Un fattore potenzialmente molto utile nella pratica clinica ĆØ la valutazione precoce della percentuale di blasti midollari dopo la somministrazione della chemioterapia di induzione. Eā stato dimostrato che un valore soglia del 10% al giorno 14-15 dall’inizio della chemioterapia ha un importante valore prognostico (Kern W et al, 2003). La rapiditĆ con cui i blasti vengono eliminati dal midollo osseo in risposta al primo ciclo di chemioterapia rappresenta una chiara indicazione della chemiosensibilitĆ o chemioresistenza e pazienti in cui non si riesca ad ottenere rapidamente lāazzeramento della conta blastica midollare avranno una prognosi peggiore anche qualora la remissione venga successivamente ottenuta (Arellano M et al, 2012). I dati derivanti dallāanalisi morfologica della percentuale di blasti midollari ottenuta da diversi investigatori sono stati confermati dalla quantificazione citometrica della conta precoce dei blasti (Gianfaldoni G et al, 2006). Inoltre, vi ĆØ una chiara correlazione tra la conta morfologica dei blasti dopo il primo ciclo di chemioterapia e la categoria di rischio citogenetica e/o molecolare (Schneider F et al, 2009). La combinazione di citogenetica e valutazione midollare morfologica o citometrica al giorno 15-16 potrebbe essere particolarmente utile nei pazienti con cariotipo intermedio nei quali la valutazione della prognosi risulta attualmente difficile, soprattutto nelle situazioni in cui la valutazione dello stato mutazionale di FLT3 e NPM1 non siano disponibili di routine.
Ci sono stati importanti miglioramenti nella terapia di supporto per la LAM. Questi comprendono la maggiore disponibilitĆ di concentrati piastrinici di alta qualitĆ , lāutilizzo di antibiotici ad ampio spettro e di antivirali più efficaci e meno tossici, la virtuale eliminazione del rischio di epatite post-trasfusionale, ed infine lāintroduzione di nuovi farmaci antifungini a sostituire nella maggior parte dei casi lāamfotericina B in modo da evitare ai pazientiĀ disturbi quali le febbri e la disfunzione renale che spesso si accompagnavano al trattamento con questo farmaco. Forse meno apprezzati sono i benefici effetti dovuti al miglioramento della terapia antiemetica, con conseguente riduzione dello sviluppo di esofagite erosiva ed inanizione secondari alla scarsa nutrizione. La mortalitĆ al giorno +30 dei pazienti anziani arruolati in studi clinici che prevedono chemioterapia intensiva ĆØ oggi inferiore al 10%, cosa dovuta soprattutto al miglioramento della terapia di supporto, anche se va sottolineato che i pazienti arruolati negli studi clinici rappresentano una popolazione altamente selezionata. Un approccio pratico alla gestione della LAM ĆØ riassunto nella Figura V.
Figura V: Approccio pratico alla terapia della LAM
Il trattamento convenzionale della LAM prevede due fasi: lāinduzione e il consolidamento (questāultimo include il trapianto di cellule staminali). La terapia di induzione mira allāottenimento della remissione completa (RC), quella di consolidamento allāeliminazione delle cellule leucemiche residue che persistono nel paziente dopo lāinduzione. La RC ĆØ definita da percentuale di blasti nel midollo osseo inferiore al 5% con midollo osseo normocellulare, assenza di leucemia extramidollare, neutrofili superiori a 1,000/uL e piastrine superiori a 100,000/uL (Cheson BD et al, 2003). In più, il paziente dovrebbe aver ottenuto la trasfusione indipendenza. Tali criteri di RC morfologica rappresentano a tuttāoggi la attuale definizione standard di risposta allāinduzione nella pratica clinica. Tuttavia, tecniche più sensibili quali la citometria a flusso e la PCR sono in grado di rilevare quantitĆ molto più basse di residuo leucemico rispetto al microscopio ottico per cui le definizioni di RC continueranno a essere aggiornate e vengono giĆ ampiamente considerate nel contesto di studi clinici (Buccisano F et al, 2012; Rubnitz JE et al, 2010b). Altra metodica emergente nella determinazione della malattia residua minima (MDR) ĆØ quella del Next Generation Sequencing, che può senzāaltro fornire informazioni addizionali rispetto alla citometria, ma necessita di definitiva standardizzazione prima dellāimpiego clinico routinario (Tomlinson B e Lazarus HM, 2017). Infine, studi recenti suggeriscono che la clearance mutazionale può rappresentare un ulteriore importante parametro prognostico per la terapia post-remissione/consolidamento (Jongen-Lavrencic M et al, 2018; Morita K et al, 2018; Klco JM et al, 2015). Dopo lāinduzione, alcuni pazienti possono ottenere la riduzione dei blasti midollari al di sotto del 5% senza tuttavia raggiungere valori di neutrofili > 1,000/uL e/o di piastrine > 100,000/uL. In questi casi la risposta viene definita come RCi (RC con incompleto recupero ematologico) e lāesito finale ĆØ generalmente peggiore rispetto ai pazienti che ottengono la RC (Walter RB et al, 2010).
A più di 30 anni dalla sua introduzione (Yates JW et al, 1973), la combinazione di unāantraciclina, di solito la daunorubicina, somministrata per 3 giorni, con lāARA-C in infusione continua per 7 giorni (3+7) ancora rappresenta lo standard nella terapia di induzione della LAM con percentuali di RC ~70% nei pazienti con etĆ inferiore ai 60 anni. Sono stati eseguiti numerosi studi che miravano al miglioramento della percentuale e della qualitĆ delle RC, incluso lāutilizzo di unāantraciclina diversa dalla daunorubicina (idarubicina e mitoxantrone), lāaggiunta di un terzo farmaco (più spesso lāetoposide), lāutilizzo di ARA-C ad alte dosi invece che a dosi convenzionali, lāuso dei fattori di crescita granulocitari come G-CSF e GM-CSF, e la combinazione dellāantraciclina con fludarabina o cladribina e dosi intermedie di ARA-C (Yates JW et al, 1973; Arlin Z et al, 1990; Berman E et al, 1991; Wiernik PH et al, 1992; Bishop JF et al, 1996; Estey EH et al, 2001; Appelbaum FR, 2012). Nel complesso, i risultati sono stati insoddisfacenti poichĆ© non sono riusciti a dimostrare rilevanti miglioramenti dellāoutcome, sebbene un trial del Polish Adult Leukemia Group abbia mostrato un certo aumento della percentuale di RC ed un possibile miglioramento della sopravvivenza totale dopo lāaggiunta di cladribina a daunorubicina (60 mg/m2) e ARA-C in adulti con etĆ < 60 anni; non vi era invece beneficio nellāaggiungere fludarabina al 3+7 (Holowiecki J et al, 2012). La maggiore differenza ĆØ stata osservata in pazienti con etĆ superiore ai 50 anni ed in quelli con cariotipo sfavorevole e sarĆ molto importante verificare se tali risultati potranno essere riprodotti, anche in pazienti più anziani. Ć ipotizzabile, sebbene tutto da dimostrare, che il beneficio di tali manipolazioni potranno essere limitati a sottogruppi di LAM geneticamente distinti, che negli studi clinici del passato non potevano essere valutati. Come esempio, uno studio del gruppo britannico del MRC AML ha dimostrato che lāaggiunta alla chemioterapia del gemtuzumab-ozogamycin (GO), un anticorpo monoclonale anti-CD33 coniugato con la calicheamicina (un antibiotico antineoplastico citotossico), determina importanti benefici clinici nei pazienti con CBF-LAM, e possibili vantaggi in quelli con cariotipo intermedio (Burnett AK et al, 2011b). Due ulteriori studi in pazienti anziani con LAM hanno dimostrato un vantaggio di sopravvivenza per il braccio trattato con GO nei soggetti con cariotipo intermedio ma non sfavorevole (Castaigne S et al, 2012; Burnett AK et al, 2012b). Un importante fattore di ostacolo alla possibilitĆ di stratificazione dei pazienti per differenti caratteristiche biologiche quando si utilizzino nuovi farmaci nella fase di induzione ĆØ che la diagnosi di LAM ĆØ generalmente considerata una emergenza medica che richiede un intervento terapeutico immediato. Tuttavia, escludendo i pazienti che presentino iperleucocitosi, nei quali la leucoaferesi e/o la somministrazione di idrossiurea vanno tenuti in considerazione, molti gruppi di studio hanno dimostrato che ĆØ fattibile la selezione di specifiche terapie di induzione a seconda del sottotipo molecolare, la qual cosa potrebbe diventare nellāimmediato futuro uno standard nei trial clinici e nella daily practice.
Studi clinici anche piuttosto recenti sono stati rivolti alla ricerca della dose ottimale di daunorubicina in induzione. Uno studio USA in pazienti giovani ha prospettato un vantaggio della dose di 90 mg/m2 rispetto 45 mg/m2, in particolare nellāeterogeneo gruppo del cariotipo a rischio intermedio (Fernandez HF et al, 2009). Questo studio ĆØ stato criticato perchĆ© il braccio di controllo aveva ottenuto un insolitamente basso (54%) tasso di RC, tuttavia, poichĆ© la tossicitĆ era sovrapponibile nei due bracci, molte istituzioni hanno adottato la dose di 90 mg/m2, sebbene altri ritengano che al di fuori di studi clinici, la dose di 60 mg/m2 per tre giorni potrebbe essere ragionevole (Murphy T e Yee KWL, 2017). Uno studio disegnato in maniera simile ha mostrato che la dose di 90 mg/m2 ĆØ ben tollerata e forse leggermente più efficace anche nei pazienti anziani (Lowenberg B et al, 2009). Tutti questi studi in qualche modo complicano la valutazione dei vecchi trial che utilizzavano il vecchio āstandardā di 45 mg/m2 nel braccio di controllo.
Infine, alcuni gruppi utilizzano la cosiddetta ādoppia induzioneā, in cui ĆØ previsto un secondo ciclo di induzione al giorno +14 di terapia, indipendentemente dallo stato del midollo osseo (Buchner T et al, 2006; Ferrara F et al 2010). Questo tipo di approccio si basa sulla valutazione clinica circa lāeleggibilitĆ del paziente alla seconda induzione, poichĆ© virtualmente tutti i pazienti in quella fase sono gravemente pancitopenici e potrebbero essere presenti febbre e/o infezioni. Tuttavia, ĆØ stato dimostrato che ~ 80% dei pazienti giovani può tollerare questo approccio e potrebbe essere ragionevole progettare uno studio che valuti la doppia induzione in particolare in quei pazienti che mostrino persistenza di leucemia (blasti midollari superiori al 10%) dopo rivalutazione morfologica e/o mediante citometria a flusso.
Dopo lāottenimento della RC, tutti i pazienti sono destinati a recidivare se non trattati con ulteriore terapia (Rowe JM, 2010). Per tale motivo, la somministrazione della terapia di consolidamento ĆØ mandatoria, in tutti i pazienti che hanno una adeguata funzione dāorgano, con lo scopo finale della guarigione dalla LAM. Nel 1994, il gruppo cooperativo CALGB ha randomizzato 596 pazienti a ricevere 4 cicli di alte dosi di ARA-C (HDARAāC 3 g/m2 ogni dodici ore per tre giorni) contro 4 cicli di dosi di ARA-C intermedie (400 mg/m2) o standard (100 mg/m2) (Mayer RJ et al, 1994). Un vantaggio di sopravvivenza ĆØ stato dimostrato per i pazienti con etĆ fino a 60 anni che avevano ricevuto HDARA-C, con sopravvivenza libera da malattia a lungo termine di ~45%. Le analisi successive hanno poi dimostrato che i maggiori benefici clinici venivano ottenuti nei pazienti con citogenetica favorevole, al contrario di quelli con carotino avverso (Bloomfield CD et al, 1998). Simili percentuali di sopravvivenza globale sono riportati da diversi gruppi cooperativi dopo lāutilizzo di regimi con HDARA-C con dosi variabili, a volte con lāaggiunta di un altro farmaco (Moore JO et al, 2005). La dose e il numero di cicli ottimali di HDARA-C non ĆØ stato ancora stabilito in maniera definitiva, sebbene dati recenti dimostrino che tre cicli con dosi inferiori di ARA-C (1,5 g/m2) riducano la tossicitĆ senza peggiorare lāoutcome terapeutico, suggerendo che questa schedula sia quella più ragionevole nella pratica clinica.
Studi clinici e dati di registro hanno fornito prove convincenti che il trapianto allogenico di cellule staminali (allo-SCT) determini percentuali di recidiva molto inferiori rispetto al trapianto autologo (auto-SCT) ed alla chemioterapia, grazie al cosiddetto effetto graft-versus-leukemia (GVL). Tuttavia, lāallo-SCT ha una mortalitĆ collegata al trattamento del 10-25% a causa della graft-versus-host disease ed ĆØ inoltre gravato ancora oggi da notevoli effetti avversi sulla qualitĆ di vita del paziente, tanto che studi randomizzati non sono riusciti a dimostrare un vantaggio di sopravvivenza dopo allo-SCT nella popolazione globale di pazienti con LAM (Cassileth PA et al, 1998; Zittoun RA et al, 1995; Burnett AK et al, 2002). Dāaltro canto, la maggior parte di questi studi era basata sul confronto tra pazienti con disponibilitĆ di donatore familiare compatibile vs. assenza di donatore, una metodologia che non ĆØ priva di problemi, considerando anche lāaumentato uso di altri tipi di donatore (donatori compatibili non familiari, donatori mismatched, e cordone ombelicale). Inoltre, va considerato che morbiditĆ e mortalitĆ post allo-SCT sono in riduzione in tutti questi setting (Gooley TA et al, 2010).
Attualmente, la ricerca clinica si sta concentrando sullāidentificazione di quei sottogruppi di pazienti a prognosi particolarmente sfavorevole con la sola chemioterapia, i quali potrebbero trarre i maggiori vantaggi dallāallo-SCT, utilizzando familiari compatibili o donatori alternativi. Allo stato, ĆØ appropriato considerare lāallo-SCT nei pazienti con cariotipo intermedio, con lāeccezione di quelli con mutazione NPM1 in assenza della mutazione FLT3, in quelli con mutazioni FLT3 ITD, e in quelli con cariotipo sfavorevole (Burnett AK, Hills RK, 2011). Al contrario, i pazienti con LAM CBF dovrebbero essere sottoposti a consolidamento con HDARA-C, eccetto quelli con mutazioni KIT addizionali, che potrebbero essere tenuti in considerazione per allo-SCT, sebbene ci siano ancora controversie sullāimpatto negativo delle mutazioni KIT, almeno nei bambini e nei giovani adulti (Paschka P et al, 2006; Pollard JA et al, 2010). Non vi sono, in ogni caso, dati da studi randomizzati o prospettici che supportino queste raccomandazioni, e va inoltre sottolineato come le percentuali di recidiva post allo-SCT siano approssimativamente il doppio nei pazienti con FLT3+ rispetto a quelli con FLT- (Brunet S et al, 2012), e siano più alte anche nei pazienti con cariotipo sfavorevole o in quelli trapiantati con malattia minima residua significativa (Middeke JM et al, 2012; Walter RB et al, 2011b).
Negli ultimi 20 anni, sono stati sviluppati numerosi cicli di condizionamento ad intensitĆ ridotta (RIC), miranti alla induzione della GVL con limitazione della tossicitĆ non ematologica. Nel complesso, il RIC ha allargato il numero di pazienti eleggibili allāallo-SCT a quelli precedentemente esclusi a causa dellāetĆ o delle comorbiditĆ . Risultati incoraggianti sono stati ottenuti per quel che riguarda la riduzione della mortalitĆ , sebbene alcuni dati suggeriscano un maggiore tasso di recidive rispetto ai protocolli di condizionamento standard (Shimoni A, Nagler A, 2011; Hamadani M et al, 2011). Non sono disponibili criteri certi per la selezione dei pazienti da sottoporre a RIC, ma i fattori da considerare sono in genere lāetĆ anziana e la presenza di rilevanti tossicitĆ accumulate durante lāinduzione e/o il consolidamento.
Il ruolo della terapia ad alte dosi seguita da supporto autologo ĆØ meno chiaro, e tale procedura ĆØ sicuramente più popolare in Europa rispetto agli USA. Studi randomizzati che confrontavano auto-SCT vs HD-ARAC hanno mostrato risultati comparabili, forse anche a causa di reinfusione di cellule leucemiche nel trapianto. I dati nei pazienti con malattia minima residua negativa sono molto incoraggianti, ed in ogni caso lāauto-SCT rappresenta unāimportante campo di investigazione sia per quel che riguarda nuovi regimi di condizionamento, sia eventuali terapie di mantenimento post-trapianto. Infine, sono in corso tentativi di capire quali siano i sottogruppi di pazienti che possano maggiormente beneficiare dellāapproccio autotrapiantologico, in modo da introdurre una strategia di consolidamento ancora più individualizzata (Ferrara F, 2012b).
Attualmente, la percentuale di RC nei giovani adulti è del 75-80%, con percentuali di guarigione pari al 40-45% (Ferrara F, Schiffer CA, 2013). Le questioni più rilevanti sulla terapia della LAM sono riassunte nella Tabella VII.
Tabella VII: Argomenti di rilievo nella terapia della leucemia mieloide acuta nei pazienti adulti.
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Più della metĆ dei pazienti affetti da LAM hanno più di 65 anni, e circa un terzo più di 75 anni. Nella grande maggioranza dei casi la LAM dellāanziano ha una prognosi insoddisfacente; la terapia di induzione convenzionale determina percentuali di RC pari al 45-55%, e meno del 10% dei pazienti trattati con terapia aggressiva sono vivi a 5 anni; ĆØ da sottolineare che per decenni non cāĆØ stato nessun miglioramento di questi risultati (Burnett AK, 2013). Inoltre va considerato che questi risultati derivano da studi multicentrici basati su terapia intensiva utilizzata con lo scopo di ottenere la RC e non tengono in considerazione la considerevole percentuale di pazienti anziani con LAM trattati solo con supporto (BSC, best supportive care) e idrossiurea al bisogno per il controllo della leucocitosi nel sangue periferico (Ferrara F, 2011). Questi risultati negativi sono dovuti a diversi fattori tra cui le concomitanti comorbiditĆ , che peggiorano la tossicitĆ della chemioterapia e del trapianto o ne controindicano il loro utilizzo, e la maggiore incidenza di caratteristiche biologiche negative come la citogenetica sfavorevole o la secondarietĆ della LAM a precedenti malattie emopoietiche (a volte non precedentemente diagnosticate), in particolare le mielodisplasie. Una conseguenza di ciò ĆØ che un problema frequente nella pratica quotidiana ĆØ il riconoscimento di quali pazienti anziani possano tollerare la terapia aggressiva e quindi derivarne un beneficio qualora la RC venga ottenuta. Score prognostici, basati su fattori clinici e biologici, sono in corso di definizione con lo scopo di aiutare lo specialista ad informare il paziente su rischi e benefici delle diverse opzioni terapeutiche (Ferrara F et al, 2013; Walter RB et al, 2011; Krug U et al, 2010). Nonostante ciò, questo argomento conserva notevoli difficoltĆ , a volte a causa delle aspettative troppo ottimistiche del paziente e dei suoi familiari, a volte per il motivo opposto (reazioni troppo pessimistiche una volta venuti a conoscenza dei possibili effetti collaterali e/o della necessitĆ di ricovero ospedaliero). Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili nei pazienti anziani con LAM sono riassunte nella Tabella VIII.
Tabella VIII: Opzioni terapeutiche nei pazienti anziani con LAM.
In generale, lāapproccio più frequente ĆØ quello di eseguire una induzione con il ā3+7ā o una delle sue varianti nella maggior parte dei pazienti ritenuti clinicamente idonei, ricordando che alcune anomalie cromosomiche (cariotipo complesso o monosomie) sono associate a percentuali di RC inferiori al 30%. Come detto, le percentuali di RC sono inferiori a quelle del giovane adulto (in genere 50-55%), ma quei pazienti che riescono ad ottenere la RC ne derivano un reale beneficio clinico con un potenziale di molti mesi di una normale emopoiesi e un ritorno al performance status pre-malattia. Un ampio studio in pazienti con LAM > 60 anni ha evidenziato migliori risultati quando si utilizzava una dose di 90 mg/m2, in particolare nei pazienti di etĆ 60-65 anni e in quella piccola percentuale (5%) con LAM CBF (Lowenberg B et al, 2009). Più recentemente, due studi randomizzati hanno valutato i risultati di GO in aggiunta alla chemioterapia nei pazienti anziani. Lo studio francese aggiungeva una dose frazionata di GO (3 mg/m2/d nei giorni 1, 4 e 7) alla chemioterapia standard ed otteneva in pazienti di etĆ 50-70 anni una sopravvivenza libera da eventi significativamente migliore e una sopravvivenza totale anchāessa migliore, anche se meno evidente (Castaigne S et al, 2012). Lo studio britannico AML16 somministrava il GO a 3mg/m2 il giorno 1 della terapia di induzione, dimostrando che lāaggiunta di GO determinava un piccolo ma statisticamente significativo vantaggio in termini di sopravvivenza totale senza importanti incrementi della tossicitĆ (Burnett AK et al, 2012b). Da notare come in nessuno dei due studi ĆØ stato dimostrato vantaggio con lāutilizzo di GO nei pazienti con citogenetica sfavorevole. Il GO al momento non ĆØ più disponibile, ma se fosse āresuscitatoā potrebbe essere rilevante eseguire ulteriori studi su dose, schedula, ed effetti nei diversi sottogruppi di pazienti.
Il ruolo del consolidamento nei pazienti anziani ĆØ meno chiaro rispetto ai giovani, e il CALGB ha dimostrato che, con la possibile eccezione della piccola porzione di pazienti anziani con LAM-CBF, le alte dosi di ARA-C non aumentano la sopravvivenza e sono improponibili in oltre il 60-65% dei pazienti (Mayer RJ et al, 1994; Stone RM et al, 2001). PoichĆ© non cāĆØ ancora accordo su quale possa essere il consolidamento standard per i pazienti anziani, le scelte potrebbero ricadere su uno o due cicli di ARA-C a dosi intermedie oppure qualche altra chemioterapia di combinazione. Uno studio randomizzato di fase 3 condotto dal gruppo francese ALFA, inteso a valutare i benefici della chemioterapia di consolidamento ad alte dosi vs cicli ambulatoriali di chemioterapia a basse dosi, suggerisce che multipli cicli a bassa intensitĆ possano essere equivalenti, se non addirittura superiori, a pochi cicli a dosi più alte (Gardin C et al, 2007).
I regimi di condizionamento a intensitĆ ridotta (RIC) permettono ad una parte dei pazienti anziani di essere sottoposti al trapianto allogenico, ed alcuni studi hanno ottenuto risultati sovrapponibili a quelli nei pazienti giovani in termini di sopravvivenza e tossicitĆ . Tuttavia, poichĆ© ĆØ probabile che solo i āmiglioriā pazienti anziani siano stati considerati per il RIC, questi risultati possono non essere applicabili alla grande maggioranza di pazienti anziani in RC1. Per studiare il problema in maniera prospettica, due studi hanno esplorato la fattibilitĆ del trapianto allogenico in grosse coorti consecutive di pazienti anziani con LAM. In entrambi gli studi il trapianto poteva essere eseguito solo nel 5% dei pazienti (Lowenberg B et al, 2009). Tra le difficoltĆ incontrate vi erano: mancato ottenimento della RC, tossicitĆ post induzione/consolidamento, difficoltĆ nellāidentificazione del donatore (germani di etĆ avanzata), e recidiva precoce. Il trapianto autologo, utilizzando cellule staminali periferiche, ĆØ fattibile nel paziente anziano, ma ĆØ utilizzato raramente, ed alcuni ritengono spesso difficile mobilizzare un adeguato numero di cellule staminali per il trapianto (Ferrara F et al, 2006).
Da un punto di vista generale, in oncologia il termine āunfitā si riferisce ai pazienti anziani affetti da neoplasie maligne che non sono trattabili con terapia standard e che di conseguenza necessitano di un trattamento attenuato o modificato o anche che non possono essere trattati con alcun approccio terapeutico mirante allāalterazione della storia naturale della malattia (Ferrara F, 2011). Parlando in particolare della LAM, questa definizione include lāesistenza di due categorie mal definite, e cioĆØ quella in cui un trattamento attenuato mirante alla RC e/o al controllo della malattia può essere proposto ed eseguito e quella in cui non ĆØ può essere utilizzato niente più che BSC e/o idrossiurea. Questāultima comprende la grande maggioranza dei pazienti con etĆ superiore agli 80 anni, indipendentemente dal performance status (PS) e dalle comorbiditĆ ; la prima ĆØ quasi esclusivamente limitata al range di etĆ tra 70 e 80 anni, in cui però ci sono grossi elementi di incertezza e lāatteggiamento del singolo ematologo svolge un ruolo molto importante.
Le basse dosi di ARA-C (LDARA-C) sono state per molti anni il prototipo di terapia attenuata che comunque mira allāottenimento della RC. Dati precedenti dimostravano che LDARA-C sono in grado di indurre la RC in circa il 20% dei pazienti anziani (Ferrara F, 2011); malgrado ciò, la tossicitĆ ematologica di questo approccio ĆØ significativa ed in molti pazienti si osserva una prolungata pancitopenia. Lāunico studio randomizzato con LDARA-C presente in letteratura specificamente disegnato per pazienti con LAM considerati non eleggibili a chemioterapia intensiva ĆØ stato condotto da Burnett e coll. (Burnett AK et al, 2007). Nel complesso, il trattamento con LDARA-C ĆØ stato superiore al BSC con 13 su 71 pazienti (18%) capaci di ottenere la RC, contro uno solo del braccio idrossiurea; in più, la sopravvivenza ĆØ stata significativamente più lunga nel braccio LDARA-C. Da notare che nessun vantaggio di sopravvivenza ĆØ stato registrato nel braccio dei pazienti con cariotipo sfavorevole e in più i risultati fanno credere che i pazienti con cattivo PS non abbiano beneficiato dal trattamento. A seguito di questo studio, il gruppo cooperativo UK MRC ha ideato uno studio āscegli il vincitoreā (pick the winner) in cui comparare in maniera randomizzata diversi trattamenti combinati con LDARA-C. Basandosi su analisi ad interim eseguita da un comitato indipendente di monitoraggio dei dati, solo quelle terapie che avevano unāalta probabilitĆ di raddoppiare le percentuali di risposta e perciò di determinare un miglioramento della sopravvivenza sarebbero state ancora perseguite (Hills RK, Burnett AK, 2011). 166 pazienti anziani con LAM, considerati unfit per la chemioterapia convenzionale, sono stati randomizzati a ricevere LDARAC vs LDARAC combinato con triossido di arsenico (ATO) 0,25āmg/kg nei giorni 1-5, 9-11, per almeno quattro cicli ogni 4-6 settimane (Burnett AK et al, 2011c). Il trial ĆØ stato interrotto visto che non ĆØ stato osservato il beneficio atteso (non si erano registrate differenze di percentuali di risposta o di durata della sopravvivenza, mentre si erano osservate un maggior numero di tossicitĆ cardiache ed epatiche grado 3 o 4 e più intensiva terapia di supporto nel braccio ATO). In un successivo studio, lo stesso gruppo ha studiato la combinazione di LDARA-C con il tipifarnib, un inibitore delle farnesiltransferasi, comparandola con LDARA-C, ed eseguendo una valutazione iniziale dopo 100 pazienti (Burnett AK et al, 2012c). Il tipifarnib ĆØ un inibitore dellāenzima farnesiltransferasi selettivo, non peptidomimetico, assunto per via orale, che ĆØ stato precedentemente sperimentato in una ampia gamma di tumori solidi ed emopatie maligne, con attivitĆ tumorale osservata in numerosi tipi di neoplasie, incluse SMD e LAM (Tsimberidou AM et al, 2010). Dopo aver rivalutato i primi 45 pazienti, si ĆØ concluso che il tipifarnib non aveva effetto su risposta, tossicitĆ e sopravvivenza, e lo studio ĆØ stato interrotto. LDARA-C ĆØ stato comparato anche alla combinazione di LDARA-C con GO, alla dose di 5 mg al giorno 1 di ogni ciclo di LDARA-C, sempre allo scopo di migliorare la percentuale di remissione e quindi la sopravvivenza (Burnett AK et al, 2013b). Lāaggiunta di GO ha significativamente aumentato le remissioni (30% vs 17%), ma non la sopravvivenza a 12 mesi (25% vs 27%). Le ragioni per cui il beneficio dopo lāinduzione non era riuscito a migliorare la sopravvivenza sono due: nel braccio LDARA-C, sia la sopravvivenza dei pazienti che non ottenevano la RC sia la sopravvivenza dopo la recidiva erano superiori. Infine, la clofarabina (CLO), un nuovo analogo delle purine, alla dose di 20 mg/mq, ĆØ stato confrontato a LDARA-C, entrambi per 4 cicli, ed ai pazienti che ne derivavano un beneficio veniva consentito di proseguire. CLO ha dimostrato di raddoppiare la percentuale di RC rispetto a LDARA-C (38% vs 20%), ma non di migliorare la sopravvivenza, in nessuno dei sottogruppi demografici o di rischio analizzati (Burnett AK et al, 2013c).
In uno studio di fase 3, multicentrico ed in aperto, lāefficacia e la sicurezza di tipifarnib ĆØ stata valutata confrontandola con BSC e/o idrossiurea, utilizzandola come prima linea in pazienti di etĆ uguale o superiore ai 70 anni con LAM di nuova diagnosi, de novo o secondaria (Harousseau JL et al, 2009). La sopravvivenza ĆØ stata paragonabile, benchĆ© le percentuali di RC fossero suoeriori nel braccio tipifarnib. La mediana della durata di CR ĆØ stata di 8 mesi. I più frequenti eventi avversi di grado 3 e 4 sono state le citopenie in tutti e due i bracci, mentre un maggior numero di infezioni (39% vs 33%) e di neutropenie febbrili (16% vs 10%) sono state osservate nel braccio tipifarnib.
Nelle leucemie, le principali alterazioni della metilazione del DNA sono rappresentate dalla ipermetilazione di differenti geni. La ipermetilazione reprime la trascrizione di regioni promoter di geni ātumor suppressorā e conduce quindi al silenziamento del gene. Questa variazione ĆØ reversibile, facendone quindi un potenziale bersaglio terapeutico (Kwa FA et al, 2011; Boultwood J, Wainscoat JS, 2007). Farmaci inibitori della metiltranferasi come la azacitidina (AZA) e la decitabina (DAC) si sono dimostrati clinicamente attivi in pazienti con SMD e LAM e sono attualmente di largo utilizzo nella pratica quotidiana (Thomas X, 2012). Sia AZA che DAC inducono la ipometilazione genica, ma questo fatto non ĆØ stato consistentemente correlato con la riespressione del gene suppressor precedentemente metilato e silenziato, in quanto il trattamento ĆØ associato con un danneggiamento del DNA e potrebbe anche funzionare come agente a basso livello di citotossicitĆ . Eā da notare poi che, sebbene i due farmaci condividano diversi meccanismi di azione sui marker di attivitĆ DNA-mediati, sono stati evidenziati differenti effetti su sopravvivenza cellulare, sintesi proteica, ciclo cellulare ed espressione genica (Hollenbach PW et al, 2010). Al contrario della chemioterapia citotossica convenzionale, lāutilizzo degli agenti ipometilanti consente la possibilitĆ di un controllo della malattia senza necessariamente ottenere la RC in una popolazione di pazienti altrimenti candidata alla sola BSC (Ferrara F, 2013). In uno studio multicentrico di fase 2, 55 pazienti (etĆ mediana 74 anni) sono stati trattati con una mediana di 3 cicli (range: 1-25) di DAC (Cashen AF et al, 2010). La risposta globale ĆØ stata del 25% (RC: 24%) ed era sovrapponibile nei diversi sottogruppi, compresi i pazienti con cariotipo sfavorevole e quelli con precedente SMD. La sopravvivenza globale (OS) mediana era di 7,7 mesi, e la mortalitĆ a 30 giorni del 7%. Altri risultati promettenti sono stati riportati adottando una schedula alternativa di DAC (20 mg/m2 iv in infusione di 1 ora giorni 1 a 10) in una serie di 53 pazienti con LAM con etĆ mediana di 74 anni (Blum W et al, 2010). Uno straordinario risultato in termini di RC (47%) ĆØ stato ottenuto dopo tre cicli di terapia. In questo studio più alti livelli di miR-29b erano associati con la risposta clinica (p = 0,02). Più recentemente, Kantarjan e coll. (Kantarjian HM et al, 2012) hanno valutato i potenziali vantaggi terapeutici di DAC rispetto alla cosiddetta āmigliore scelta terapeuticaā (TC, treatment choice) nei pazienti anziani con LAM. In questo studio, il braccio TC includeva LDARA-C e BSC. Nel complesso, i risultati di questo trial hanno evidenziato una maggiore attivitĆ di DAC vs TC (RC 17,8% per DAC contro 7,8% per TC), con possibile vantaggio di sopravvivenza in assenza di importanti differenze in termini di tossicitĆ . Infine, in un ulteriore studio di fase 2 (Lübbert M et al, 2012), DAC ĆØ stata somministrata in 227 pazienti con LAM anziani (etĆ mediana 72 anni) ad una dose totale iniziale di di 135 mg/m2, con infusione endovenosa di 72 ore ogni 6 settimane. Solo 52 pazienti, che avevano completato quattro cicli di terapia, sono stati successivamente sottoposti ad una mediana di cinque cicli di mantenimento con una dose di 20 mg/m2. La risposta globale (RC + risposta parziale) ĆØ stata del 26%, con risposte ottenute anche in pazienti con citogenetica sfavorevole, incluse le monosomie. Tuttavia, la OS mediana dallāinizio della terapia ĆØ stata di 5,5 mesi (range 0-57.5) e la sopravvivenza ad 1 anno del 28%. La tossicitĆ ĆØ stata prevalentemente ematologica. Lo studio registrativo su AZA di Fenaux e coll. era stato inizialmente concepito per pazienti classificati come SMD ad alto rischio e non come LAM (Fenaux P et al, 2010). In unāanalisi successiva, un terzo dei pazienti (n: 113) ĆØ stato riclassificato come LAM seguendo la corrente classificazione WHO (percentuale di blasti midollari 20-30%), e in questi pazienti i risultati di AZA sono stati comparati con i regimi convenzionali (CCR), avendo come obiettivo principale la sopravvivenza globale. Da notare che la CCR comprendeva tre strategie terapeutiche per LAM completamente diverse tra loro, e cioĆØ BSC, LDARA-C e chemioterapia intensiva. A una mediana di follow up di 20,1 mesi, la OS mediana per i pazienti trattati con AZA era di 24,5 mesi comparata ai 16 mesi dei pazienti CCR, e la sopravvivenza a 2 anni del 50% e 16%, rispettivamente. Le percentuali di OS erano più alte nel braccio AZA vs CCR nei pazienti considerati non eleggibili per chemioterapia intensiva. In più, AZA era associata a minore tempo di ospedalizzazione rispetto a CCR. Le tossicitĆ più comuni sono state la mielosoppressione, la neutropenia febbrile, e la fatigue. Nel complesso, le percentuali di risposta globale (e in particolare di RC) sembrano essere superiori con DAC rispetto ad AZA in pazienti anziani con LAM (QuintĆ”s-Cardama A et al, 2012); nonostante ciò, i dati di sopravvivenza con DAC sono peggiori in tutti gli studi se paragonati con lo studio di Fenaux con AZA, nel quale una selezione favorevole di pazienti (malattia ipoproliferativa, etĆ inferiore a 70 anni, raritĆ di citogenetica ad alto rischio) ha determinato risultati insolitamente favorevoli. A questo riguardo, andrebbe sottolineato che i dati con AZA ricavati dai programmi di uso compassionevole o dalle survey nazionali evidenziano dati significativamente peggiori (Ramos F et al, 2012; Maurillo L et al, 2012; Ozbalak M et al, 2012). Uno studio recente (Dombret et al. PUbMed 2015), nel quale ancora una volta AZA ĆØ stata paragonata a BSC, LDARA-C e chemioterapia intensiva in pazienti con percentuale di blasti midollari > 30 % ha comunque dimostrato vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto a BSC e LDARA-C, ma non verso chemioterapia e ciò ha condotto alla registrazione del farmaco anche in pazienti con blastosi midollare > 30%. Eā da rilevare che in questo studio venivano esclusi pazienti con iperleucocitosi, per cui nella pratica clinica DAC viene generalmente preferita nelle forme più aggressive e/o iperleucocitarie.Ā Un confronto tra AZA e DAC sarebbe comunque auspicabile e necessario. In generale, i dati che suggeriscono vantaggi di sopravvivenza in assenza di RC sono sicuramente stimolanti e suggeriscono la presenza di meccanismi alternativi di controllo della malattia rispetto allāapproccio convenzionale, ma richiedono comunque una attenta e definitiva conferma con nuovi studi più ampi (Ferrara F, 2016). Inoltre, una reale superioritĆ rispetto alla chemioterapia intensiva deve ancora essere dimostrata in maniera definitiva. Ci si attende comunque che la terapia epigenetica diventi ancora più sofisticata nel prossimo futuro riuscendo ad agire con meccanismi più mirati (Pollyea DA et al, 2012). Un modello prognostico di metilazione, basato sulla combinazione di 10 geni e validato in campioni indipendenti di pazienti da due studi consecutivi, ĆØ stato descritto come potenzialmente in grado di predire sia la sopravvivenza totale che quella libera da progressione in pazienti con SMD. Eā interessante notare come la metilazione basale non predica la risposta a DAC, mentre la ipometilazione post terapia sia associata alla risposta clinica (Shen L et al, 2010). Inoltre, la formulazione orale di AZA, che ha dimostrato attivitĆ biologica e clinica in pazienti con SMD e LAM, potrebbe determinare un suo più facile e, quindi, più frequente utilizzo nei pazienti anziani con LAM (Garcia-Manero G et al, 2011). Gli ipometilanti, infine, possono costituire la base per studi di combinazione con farmaci sperimentali e a tale riguardo va ricordato come lāassociazione con venetoclax in pazienti anziani di prima diagnosi ha giĆ dato risultati estremamente promettenti. Pur mostrando minore tossicitĆ rispetto alla chemioterapia convenzionale, DAC e AZA come del resto LDARA-C, sono da evitare in pazienti estremamente fragili per severe comorbiditĆ , che restano candidati ad esclusiva terapia di supporto (Ferrara F, 2013).
La recidiva della LAM dopo lāottenimento della RC rappresenta ancora il maggior ostacolo da superare quando lāobiettivo da ottenere ĆØ la guarigione della malattia (vedi Approfondimento ). Eā possibile distinguere differenti pattern di recidiva, tra cui quella ematologica (la più frequente), quella extramidollare e quella molecolare (Ferrara F et al, 2004c; Rashidi A et al, 2018; Schlenk RA et al, 2017). Questāultima necessita di terapia nella leucemia acuta promielocitica poichĆ©, se non trattata, ĆØ invariabilmente seguita dalla recidiva ematologica (Sanz MA, Lo-Coco F, 2011). CosƬ come alla diagnosi, un certo numero di fattori prognostici vengono utilizzati per predire lāoutcome finale dei pazienti recidivati. In particolare, i fattori più importanti per prevedere una bassa percentuale di seconda RC e di sopravvivenza sono: etĆ , citogenetica allāesordio, durata della prima RC inferiore ai 12-18 mesi, e precedente trapianto di cellule staminali (Breems DA et al, 2005). In ogni caso, la prognosi ĆØ in genere negativa e, qualsiasi sia la fonte di cellule staminali, un trapianto allogenico dovrebbe essere eseguito nel caso venga ottenuta la seconda RC. Pazienti selezionati con percentuale di blasti nel midollo limitata (<10-15%) potrebbero essere considerati per essere sottoposti ad allo-SCT senza prima ricevere chemioterapia di salvataggio (Feldman EJ, Gergis U, 2012). La maggior parte dei risultati noti derivano da studi retrospettivi per cui non ĆØ possibile parlare di uno standard di terapia di salvataggio. ARA-C a dosi alte o intermedie anche in combinazione con antracicline e/o fludarabina rappresenta ancora oggi la terapia più frequentemente adottata. Tuttavia, i pazienti anziani con citogenetica sfavorevole e con RC1 della durata inferiore a 12 mesi ed i pazienti giovani in recidiva precoce post allo-SCT o in recidiva avanzata andrebbero selezionati per studi investigazionali, in modo da evitare tossicitĆ non bilanciate da reali vantaggi di sopravvivenza.
Mentre gli attuali risultati terapeutici nella LAM rimangono insoddisfacenti, il trattamento di questi pazienti può rappresentare un ideale campo di investigazione clinica nel prossimo futuro ed infatti diversi nuovi farmaci sono in fase di studio (Ferrara F, 2012; Percival ME e Estey E, 2017; Lam SS et al, 2017). Le strategie future dovrebbero comprendere la progettazione di studi di fase II randomizzati basati su obiettivi multipli e comprendenti nuovi farmaci con azione il più possibile targeted verso specifici bersagli molecolari o su approcci immunoterapici (Fan M et al, 2017; Tasian SK, 2018). Questi studi dovrebbero essere inoltre disegnati tenendo in considerazione le nuove informazioni prognostiche che derivano dallāanalisi globale dellāespressione genica e di altre proprietĆ genomiche intrinseche dei progenitori leucemici, specialmente nel paziente anziano. Diverse nuove terapie potrebbero quindi essere esplorate, potenzialmente in grado di fornire importanti ed interessanti novitĆ . Nella progettazione di questi studi, tuttavia, dovrebbero anche essere tenute in seria considerazione la grande eterogeneitĆ clinica, la presenza di multiple comorbiditĆ tipica dellāanziano, lāattitudine dei pazienti e dei loro familiari e la fattibilitĆ di un determinato trattamento nella pratica quotidiana in modo da poter valutare in maniera migliore lāimpatto clinico globale delle nuove strategie terapeutiche. Nel corso del 2017 (vedi Approfondimento), sono stati registrati 3 nuovi agenti per la LAM (vyxeos, enasidenib e midostaurina) ed un quarto, in precedenza ritirato dal commercio, ĆØ stato riconsiderato per i pazienti di nuova diagnosi con LAM CD33+ e citogenetica favorevole o intermedia (mylotarg). Ivosidenib, un inbitore di IDH1, si ĆØ dimostrato attivo nei pazienti con tale mutazione (Ragon BK e DiNardo CD, 2017; DiNardo CD et al, 2018) e a breve dovrebbe a sua volta ricevere lāapprovazione. Eā evidente che se da un lato la ricerca farmacologica ĆØ particolarmente attiva verso i diversi potenziali bersagli molecolari, lāimpiego nella pratica clinica non potrĆ prescindere da una precisa caratterizzazione molecolare della malattia alla diagnosi (Stone RM, 2018).
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli
Clinica Ematologica, Azienda Sanitaria-Universitaria Friuli Centrale (ASUFC), Udine
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