La leucemia mieloide acuta (LAM) recidivata o refrattaria rappresenta ancora oggi un’entità a prognosi sfavorevole, orfana di un trattamento standard: ad oggi solo il 10-15% dei pazienti sottoposti ad una seconda linea di chemioterapia riesce ad ottenere una guarigione e tale possibilità è strettamente associata al poter ricevere un trapianto di midollo allogenico (Amadori S et al, 1991). Pertanto, è in espansione la ricerca di nuovi target per terapie biologiche sempre più mirate, che possano rappresentare una reale opportunità terapeutica per questo subset di pazienti (Amadori S et al, 1991).
FLT3, una tirosina chinasi 3 simile a FMS espressa nei progenitori ematopoietici, è responsabile della proliferazione e differenziazione cellulare, ed è risultata mutata in circa il 30% dei pazienti con LAM, più frequentemente in presenza di duplicazioni all’interno della regione juxtamembrane (ITD), talvolta con mutazioni nel dominio della tirosina chinasi (TKD). Nei pazienti con LAM, la presenza della mutazione FLT3, sia alla diagnosi che alla recidiva, influisce negativamente sulla sopravvivenza (Chevallier P et al, 2011; Papaemmanuil E et al, 2016; Wattad M et al, 2017).
Nell’ambito della LAM diversi inibitori di FLT3 sono stati approvati o sono in fase di sperimentazione clinica:
– midostaurina: è attualmente approvata in combinazione con la chemioterapia convenzionale con citarabina e daunorubicina (3+7) per pazienti con nuova diagnosi di LAM, mutati per FLT3 (Slomiany M et al, 2011; Stone RM et al, 2017);
– sorafenib: attivo nei pazienti con LAM e mutazione FLT3 ITD, ma i dati da studi randomizzati che ne supportino il suo utilizzo non sono ancora definitivi;
– quizartinib: valutato nello studio QUANTUM-R in monoterapia nei pazienti recidivati o refrattari con mutazione di FLT3 ITD; lo studio ha raggiunto l’endpoint primario di sopravvivenza globale (OS), ma FDA ed EMA non hanno registrato il farmaco (Cortes JE et al, 2019);
– gilteritinib è un nuovo inibitore di FLT3 orale altamente selettivo, con attività contro entrambe le mutazioni di FLT3 (ITD e TKD) e debole attività contro c-Kit e AXL, in indicazione nei pazienti recidivati o refrattari ad una precedente linea di chemioterapia (Park IK et al, 2013; Mori M et al, 2017). Nel novembre 2018, il farmaco ha ricevuto l’approvazione dalla FDA sulla base dei dati iniziali dello studio ADMIRAL, che aveva dimostrato come il farmaco determinasse una remissione completa con recupero ematologico completo o parziale – noto come tasso di CR/CRh – nel 21% di 138 pazienti con LAM recidivata o refrattaria (Perl A et al, 2019a; Perl A et al, 2019b).
Studio clinico ADMIRAL
In questo studio di fase 3 condotto in 107 centri in 14 Paesi, sponsorizzato da Astellas Pharma, erano arruolati pazienti di età pari o superiore ai 18 anni, refrattari ad uno o al massimo due cicli di induzione convenzionale contenente antraciclina, o recidivati dopo una remissione completa (CR).
Al momento dell’arruolamento, il midollo osseo dei pazienti è stato sottoposto a screening per FLT3 in un laboratorio centralizzato. I pazienti dovevano avere mutazione di FLT3 ITD o TKD D835 o I836; il laboratorio centrale (Invivoscribe) ha utilizzato una reazione polimerasica a catena (PCR) in grado di riconoscere 29 mutazioni.
I pazienti arruolati sono stati assegnati in un rapporto 2:1 a gilteritinib una volta al giorno (120 mg) o a chemioterapia di salvataggio (“best investigator choice”). La randomizzazione era stratificata in base alla risposta alla precedente chemioterapia scelta; gli schemi di chemioterapia usati nel confronto con gilteritinib variavano tra MEC (mitoxantrone, etoposide e citarabina); FLAG-IDA (fludarabina, citarabina e idarubicina; Ara-C a basse dosi; e azacitidina.
Gli endpoint primari erano la OS e la percentuale di CR/CRh. Gli endpoint secondari erano la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la percentuale di pazienti con remissione completa (Perl A et al, 2019a).
Sono stati analizzati 625 pazienti, ma solo 371 erano eleggibili al momento dello studio: 247 hanno ricevuto gilteritinib e 124 chemioterapia (Fig. I).
Figura I: Schema della randomizzazione nello studio ADMIRAL
La mediana di follow-up è stata di 17,8 mesi. L’OS è risultata maggiore nei pazienti del gruppo gilteritinib rispetto a quelli sottoposti a chemioterapia (9,3 mesi contro 5,6 mesi; p <0,001) (Fig. II). Il rapporto del rischio di morte per i pazienti in terapia con gilteritinib rispetto a quelli sottoposti a chemioterapia era 0,64 (intervallo di confidenza al 95%[CI]: da 0,49 a 0,83). Le percentuali di pazienti che erano vivi a 1 anno erano rispettivamente il 37,1% ed il 16,7%, in quelli sottoposti a gilteritinib e chemioterapia. Nei pazienti con malattia refrattaria, la sopravvivenza era di 10,4 mesi in quelli trattati con gilteritinib rispetto a 6,9 mesi dei pazienti sottoposti a chemioterapia.
Sebbene una percentuale più alta di pazienti fosse stata sottoposta a trapianto nel gruppo gilteritinib rispetto al gruppo chemioterapia (25,5% [63 di 247 pazienti] vs. 15,3% [19 di 124 pazienti]), il vantaggio di sopravvivenza globale per gilteritinib era mantenuto anche quando i dati di sopravvivenza venivano censurati al momento del trapianto (HR per morte: 0,58; IC95%: da 0,43 a 0,76).
Figura II: OS dei pazienti trattati con gilteritinib verso quelli sottoposti a chemioterapia
Quando sono state escluse le remissioni dopo il trapianto durante la sperimentazione, la percentuale di pazienti che avevano una RC/RCh era del 26,3% nel gruppo gilteritinib e del 15,3% in quelli sottoposti a trattamento chemioterapico (differenza di rischio: 10,9% con CI95%: da 2,4 a 19,5). Tra i pazienti con LAM refrattaria, la percentuale di pazienti con RC/RCh è stata del 32% (31 di 98 pazienti) nel gruppo gilteritinib verso il 21% (10 su 48 pazienti) nei pazienti sottoposti a chemioterapia.
La durata mediana delle RC/RCh era di 11,0 mesi nel gruppo gilteritinib, ma non era valutabile nei pazienti sottoposti a chemioterapia (Figura III).
Figura III: Risultati dello studio ADMIRAL
Non vi erano inoltre differenze tra i pazienti con mutazione di FLT3 TKD e ITD. Le commutazioni più frequenti nei pazienti con FLT3 erano NPM 1 e DNMT3A. È stata osservata una sopravvivenza più lunga con gilteritinib rispetto alla chemioterapia nei pazienti con co-mutazioni, in particolare nella coorte di pazienti con doppia mutazione (DNMT3A e NPM1). Bassi livelli di espressione di AXL non hanno influenzato la sopravvivenza con gilteritinib.
Gli eventi avversi più comuni di grado 3 o superiore nel gruppo gilteritinib erano neutropenia febbrile (45,9%), anemia (40,7%) e trombocitopenia (22,8%). C’è stato anche un incremento delle transaminasi ed un allungamento del QT più frequentemente descritto nei pazienti trattati con gilteritinib.
L’attivazione mutazionale di RAS-RAF e delle proteine chinasi è il meccanismo più frequentemente descritto nella resistenza a gilteritinib, ma tale dato andrebbe confermato da ulteriori studi di biologia molecolare.
In conclusione, la terapia con gilteritinib ha indotto un incremento percentuale della risposta, con un miglioramento della sopravvivenza rispetto alla chemioterapia di salvataggio tra i pazienti con mutazione FLT3 recidivata o refrattaria, con una tossicità più o meno sovrapponibile a quella degli approcci terapeutici a bassa intensità, in grado di superare le problematiche legate all’uso della chemioterapia citotossica standard che spesso richiedono l’ospedalizzazione del paziente. Questi risultati di sopravvivenza e la tossicità relativamente bassa mostrano che la monoterapia con gilteritinib è il nuovo standard of care per i pazienti con LAM recidivata o refrattaria FLT3-mutata; la tossicità favorevole di gilteritinib e il fatto che sia un farmaco somministrabile per via orale consentirà di gestire il paziente a livello ambulatoriale e domiciliare, e questo rappresenta sicuramente un cambiamento importante nel trattamento di questa malattia.
BIBLIOGRAFIA
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli di Napoli
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