Leucemia linfatica cronica

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Introduzione

Rispetto alla visione storica che definiva la leucemia linfatica cronica (LLC) una malattia indolente da accumulo di piccoli linfociti, le conoscenze patogenetiche hanno consentito di riconoscere questa condizione come una malattia dinamica, che trae la sua origine da una ricca serie di eventi biologici e genetici primari e secondari. L’interazione con gli antigeni, lo stato di ā€œattivazioneā€ cellulare che ne segue e le complesse interazioni con il microambiente plasmano una malattia dal decorso eterogeneo, talora preceduta da una condizione predisponente, la linfocitosi B-monoclonale (monoclonal B-cell lymphocytosis, MBL) recentemente definita nei suoi contorni nosografici. Grazie ai progressi sulla comprensione dei meccanismi che governano la storia naturale della LLC l’approccio moderno alla gestione del paziente si avvale di una caratterizzazione clinica che prevede lo studio di una serie di marcatori prognostici, molto utili per l’adeguata programmazione di terapie sempre più efficaci, che includono oggi alcune molecole in grado di interferire con processi essenziali per la sopravvivenza e la crescita del linfocito neoplastico.

 

Definizione e cenni epidemiologici

La LLC ĆØ un disordine linfoproliferativo cronico che coinvolge i linfociti B CD5-positivi e che rientra tra le neoplasie a cellule B-mature della classificazione WHO (Muller-Hermelink HK et al, 2008). E’ più frequente nei maschi che nelle femmine (1,5-2,0/1), ed ha un’incidenza nei paesi occidentali, riferita a 100.000 abitanti, compresa tra 2-6 casi/anno, mentre ĆØ rara in Giappone e nei paesi orientali, ove l’incidenza ĆØ <1 caso/100.000 abitanti (Redaelli A et al, 2004) (Figura Ia).

L’etĆ  media alla diagnosi ĆØ attorno ai 70 anni, e l’incidenza aumenta da 1 caso/anno/100.000 abitanti nella fascia 40-50 anni a 20 casi nella fascia 70-80 anni. Oltre il 40% delle LLC ĆØ diagnosticata ad un’etĆ  >75 anni, mentre meno del 10% ĆØ diagnosticata prima dei 50 anni (Brenner H et al, 2008) (Figura Ib).

 


Figura I. a) incidenza nei diversi paesi; b) incidenza per etĆ .

 

Eziologia

L’eziologia della LLC non ĆØ nota. Non può essere escluso un ruolo per le radiazioni ionizzanti (Richardson DB et al, 2005), anche se lo studio della popolazione sopravvissuta all’incidente nucleare di Chernobyl ha mostrato un aumento di incidenza di molte forme di leucemia, ma non di LLC (Lin SL et al, 2009). Alcune attivitĆ  agricole, con particolare riguardo all’impiego di pesticidi si possono associare ad un aumento dei casi di LLC (Caporaso N et al, 2004).

Vi ĆØ evidenza di una possibile associazione tra LLC e fattori genetici. La LLC ha un’incidenza bassa nelle popolazioni orientali rispetto agli occidentali e i gruppi etnici che migrano in altri paesi mantengono l’incidenza di questa malattia al livello di quella del paese di provenienza.Ā Nei parenti di primo grado di soggetti affetti da LLC il rischio di sviluppo della malattia e di altre sindromi linfoproliferative (linfoma di Hodgkin e non Hodgkin) ĆØ superiore rispetto a quello della popolazione generale di pari etĆ  e sesso (Capalbo S et al, 2000; Goldin LR et al, 2004) e si possono rinvenire espansioni di piccoli cloni B linfocitari con fenotipo classico della LLC e negativitĆ  per CD38, con una frequenza francamente maggiore rispetto alla popolazione generale (Rawstron AC et al, 2002). In un’analisi di 24 famiglie con più di due membri affetti si ĆØ potuto documentare, accanto alle classiche anomalie citogenetiche, una elevata frequenza di delezioni o guadagno di materiale genetico a livello delle bande Xp11.1-p21, Xq21-qter, 2p12-14 e 4q11-21 (Martin AJ et al, 2002).Ā E’ possibile che, diversamente dal cancro mammario, ove un gene (BRCA1) ha un importantissimo effetto, il substrato genetico della LLC consista nell’intervento di più geni con basso potenziale predisponente (Goldin LR et al, 2007).

 

Patogenesi

A cura di: Sara Martinelli (Struttura semplice di Ematologia- UnitĆ  operativa di Medicina Interna – Ospedale S. Chiara di Trento).

La patogenesi della LLC riconosce numerosi momenti (Tabella I), incentrati sulle particolaritĆ  della cellula d’origine, sulle sue interazioni con ipotetici antigeni e con il microambiente e sullo sviluppo di una vasta gamma di lesioni genetiche.

 

Tabella I: Momenti patogenetici nella LLC.

 

a) Cellula d’origine

Per molto tempo l’espressione del CD5 da parte delle cellule della LLC ha fatto ritenere che la controparte cellulare normale fosse rappresentata dal subset di linfociti B-1 (definito nel topo, senza un chiaro corrispettivo nell’uomo), coinvolto nell’immunitĆ  innata e in grado di produrre anticorpi naturali mediante una reazione T-indipendente (Darzentas N et al, 2010). Nell’uomo, l’espressione di CD5 caratterizza le cellule B vergini, mentre viene persa dopo l’incontro con l’antigene. In una parte dei casi di LLC (50-80% nelle varie casistiche) la cellula leucemica presenta >2% di mutazioni somatiche nella sequenza del gene codificante per la porzione variabile delle catene pesanti delle Ig (IGHV), un processo (ipermutazione somatica) che fisiologicamente avviene all’interno del centro germinativo, grazie all’intervento di enzimi quali l’activation-induced cytidine deaminase (AID), in risposta ad antigeni T-dipendenti. La restante parte delle LLC presenta una configurazione ā€œgermlineā€ della porzione variabile del gene Ig (i.e. <2% di mutazioni). Il passaggio attraverso il centro germinativo, che quindi caratterizza le LLC ā€œmutateā€, ĆØ tuttavia incompatibile con la derivazione dai linfociti B-1. Inoltre, lo studio del profilo di espressione genica ha mostrato ampia omogeneitĆ  tra i diversi casi di LLC, indipendentemente dallo stato mutazionale dei geni IGHV, ed ĆØ risultato somigliante a quello delle cellule B memoria CD27+. I casi di LLC ā€œmutateā€ potrebbero quindi rappresentare l’espansione di cellule B memoria CD27+ che, in seguito all’incontro con un antigene T-dipendente, hanno attraversato le fasi del centro germinativo; i casi di LLC ā€œnon mutateā€ potrebbero invece derivare da una frazione minoritaria di cellule B CD27+ che hanno incontrato l’antigene in maniera T-indipendente ed hanno sviluppato un fenotipo ā€œmemoriaā€ senza passaggio attraverso il centro germinativo (Klein U et al, 2001; Rosenwald A et al, 2001). L’espressione del CD5 potrebbe essere coerente con l’origine delle LLC ā€œmutateā€ da un subset recentemente riconosciuto di cellule B memoria CD27+ CD5+, mentre per le LLC ā€œnon mutateā€ l’espressione del CD5 sarebbe suggestiva di una origine da cellule B vergini pre-centro germinativo, ipotesi sostenuta anche da alcuni studi di espressione genica (Seifert M et al, 2012), non potendo tuttavia escludere che il fenotipo di superficie possa essere stato alterato dal processo stesso di trasformazione o da uno stato di anomala attivazione e che quindi il CD5 sia comunque espresso da cellule che hanno effettivamente incontrato l’antigene (Fabbri G, Dalla-Favera R, 2016).
Accanto alle controversie relative all’origine della cellula B matura la cui espansione determina la malattia, recenti evidenze suggeriscono che le più precoci alterazioni genetiche ed epigenetiche che predispongono allo sviluppo della LLC si verifichino a monte, a livello della cellula staminale emopoietica pluripotente (HSCs). Per effetto di queste lesioni precoci, la cui natura non ĆØ al momento chiara, il destino di questi progenitori viene orientato verso il lineage B linfocitario, con successiva selezione, per effetto della stimolazione antigenica, di elementi maturi della loro progenie che vanno incontro ad un’espansione prima oligoclonale, quindi monoclonale per accumulo di ulteriori lesioni genetiche (Fabbri G, Dalla-Favera R, 2016).

 

b) Ruolo della stimolazione antigenica

E’ noto che il clone trasformato nella LLC presenta un utilizzo preferenziale di alcune famiglie V, D e J (ad esempio VH1-69; VH4-34), che non riflette la frequenza di questi riarrangiamenti nella popolazione B-linfocitaria CD5 normale. PoichĆ© queste sequenze, assemblate durante la maturazione B-linfocitaria intramidollare, formano la porzione variabile del gene Ig espressa in superficie come BCR, si può dedurre che alcuni antigeni sono in grado di ingaggiare i cloni esprimenti questi BCR favorendone l’espansione e la successiva trasformazione. Questo concetto ĆØ stato rafforzato dalla dimostrazione di ā€œBCR stereotipatiā€, che presentano una identica sequenza che codifica per la porzione del BCR che lega l’antigene nota come ā€œcomplementarity determining regionā€ (CDR) (Caligaris-Cappio F, Ghia P, 2008; Ghiotto F et al, 2004; Tobin G et al, 2004) .Ā Vista la complessitĆ  degli eventi di ricombinazione che portano all’assemblaggio del BCR, la probabilitĆ  che due linfociti B normali possano avere casualmente un BCR stereotipato ĆØ dell’ordine di 10-12, mentre ĆØ stato osservato che fino al 30 % dei casi di LLC può mostrare questo fenomeno (Stamatopoulos K et al, 2007). Tra gli antigeni in grado di ingaggiare il BCR nella LLC si annoverano gli elementi polisaccaridici batterici, il fattore reumatoide, il DNA, la cardiolipina, antigeni espressi sulle cellule apoptotiche (Caligaris-Cappio F, Ghia P, 2008). Si ĆØ cosƬ affermato in questi ultimi anni il concetto di una relazione patogenetica tra stimolazione antigenica, spesso sostenuta da autoantigeni, e LLC17. In effetti ĆØ stata fornita una recente elegante dimostrazione di come una proteina, nota come ā€œcatena pesante della miosina non-muscolareā€ (non muscle myosin heavy chain), avente un ruolo nel movimento cellulare, possa essere esposta sulla superficie delle cellule apoptotiche e di come la maggior parte della LLC ā€œnon-mutateā€ possa riconoscere tramite i suoi anticorpi questo antigene (Chu CC et al, 2010).

Esiste inoltre dimostrazione che il linfocito della LLC può mantenere la capacitĆ  di rispondere all’antigene a) andando incontro in vivo a switch di classe Ig (Malisan F et al, 1996) b) sviluppando nuove mutazioni del gene IGHV (Gurrieri C et al, 2002), c) esprimendo l’enzima AID (Oppezzo P et al, 2003), importante nel processo di ipermutazione somatica; d) modificando il profilo di espressione genica e attivando il ciclo cellulare (Guarini A et al, 2008). E’ interessante notare che queste caratteristiche sono più spiccate nei casi di LLC ā€œnon-mutateā€ CD38+ e ZAP-70+, rispetto alle altre LLC (Lanham S et al, 2003; Chen L et al, 2002).Ā In effetti, nelle LLC ā€œnon-mutateā€, il BCR-signaling ĆØ attivo, mentre nelle forme ā€œmutateā€ ĆØ inattivo in seguito ad uno stato di anergia funzionale legato ad una protratta stimolazione antigenica, con conseguente desensibilizzazione del BCR stesso (Stevenson FK et al, 2004).Ā Questa condizione di ā€œanergiaā€ si associa ad uno specifico profilo di espressione di geni coinvolti nel signaling BCR-mediato (Muzio M et al, 2008).

Il BCR signaling derivante dalla stimolazione antigenica comporta il coinvolgimento di una serie di molecole che regolano la vita del linfocito neoplastico (Burger JA, 2011). Alcune di queste molecole quali la Bruton tirosin chinasi (BTK) e la subunitĆ  delta della fosfatidil-inositol-3 chinasi (PI3K delta), rappresentano bersagli per terapie mirate di dimostrata efficacia (FoĆ  R et al, 2013).

Recentemente ĆØ stata inoltre dimostrata la capacitĆ , esclusiva dei BCRs dei linfociti neoplastici in corso di LLC, di attivare la cascata di segnalazione intracellulare indipendentemente da una stimolazione antigenica (Dühren-von Minden M et al, 2012). Questa proprietĆ  sembra essere strettamente dipendente dall’interazione delle regioni HCDR3 dei BCRs dei linfociti leucemici con specifici epitopi intrinseci degli stessi BCRs. Presumibilmente solo alcune sequenze HCDR3 e alcuni specifici epitopi intrinseci hanno questa peculiaritĆ , il che potrebbe giustificare la selezione di un ristretto repertorio di BCRs ed il fenomeno dei recettori stereotipati. Pur non escludendo il probabile contributo di una selezione antigenica specifica, questa ipotesi fornisce una spiegazione alternativa, antigene-indipendente, del fenomeno, ed individua un potenziale nuovo target terapeutico nell’inibizione del signalling autonomo del BCR in pazienti con LLC (Dühren-von Minden M et al, 2012).

 

c) Turn-over cellulare

Ā Contrariamente a quanto ritenuto nel recente passato, la LLC non può essere oggi considerata una patologia da accumulo di linfociti che non vanno incontro ad apoptosi. I linfociti patologici mantengono la sensibilitĆ  ad alcuni stimoli pro-apoptotici mediati da Fas e dal legame di anticorpi anti IgM che ingaggiano il BCR (Chu P et al, 2002; Zupo S et al, 2002) e proliferano in vivo ad un ritmo pari allo 0,1-1% dell’intero clone ogni giorno (Messmer BT et al, 2005). Il ritmo di divisione cellulare e di rinnovo ĆØ più elevato nella frazione cellulare CD38+ (Calissano C et al, 2009).

 

d) Interazioni con il microambiente

Nei linfonodi dei soggetti con LLC esiste un comparto di ā€œaccumuloā€ costituito da piccoli linfociti ed un comparto, quello dei ā€œcentri di proliferazioneā€, ricco in paraimmunoblasti e prolinfociti, ove le cellule mostrano i caratteri dell’attivazione e vanno incontro a divisione cellulare. Queste strutture istologiche, che conferiscono un quadro pseudofollicolare al linfonodo della LLC, si rinvengono anche nei tessuti infiammati dei soggetti affetti da patologia autoimmune (Humby F et al, 2009) e richiamano il concetto del ruolo della stimolazione da parte di autoantigeni nella genesi della LLC. Nei centri di proliferazione i prolinfociti e i paraimmunoblasti sono a stretto contatto con linfociti T CD4 e cellule follicolari dendritiche. Nel comparto di ā€œaccumuloā€ i piccoli linfociti interagiscono con cellule stromali mesenchimali e con cellule ā€œnutriciā€ (ā€œnurselike cellsā€) differenziatesi da monociti circolanti, in un contesto di interazioni cellula-cellula che ne favorisce la sopravvivenza. In effetti, la stimolazione da parte del CD40 ha un ruolo nel mantenimento in vita del clone B-linfocitario, al pari dell’interazione con i linfociti T CD4, in grado di determinare la produzione di citochine anti-apoptotiche (IL4, IFN) (Ghia P, Caligaris-Cappio F, 2000). L’importanza in vivo della presenza dei linfociti T CD4 ĆØ stata recentemente dimostrata in un modello murino immunodeficiente, in cui il trasferimento di cellule LLC dava origine alla malattia solo in presenza di linfociti T CD4 autologhi (Bagnara D et al, 2011). Le cellule T sono reclutate nel microambiente tumorale da chemochine prodotte dalle cellule leucemiche e ne favoriscono la sopravvivenza tramite interazioni cellulari, in particolare il legame CD40-CD40L. Le cellule leucemiche esprimono inoltre recettori inibitori e producono molecole solubili in grado di rendere inefficace l’attivitĆ  delle cellule T CD4, CD8 ed NK e sfuggire cosƬ alla sorveglianza immunitaria (Ten Hacken E, Burger JA, 2014)
Nella distribuzione e sopravvivenza delle cellule patologiche (Stevenson FK, Caligaris-Cappio F, 2004) giocano un ruolo importante a) alcune chemochine e loro recettori, espressi dal linfocito leucemico (CXCR3 e CXCR5), b) cellule del sangue periferico in grado di differenziarsi in cellule ā€œnutriciā€ (ā€œnurselikeā€), che favoriscono la sopravvivenza e la migrazione del linfocito all’interno degli spazi midollari attraverso lo stromal-derived growth factor (Burger JA et al,1999), c) le cellule dendritiche, attraverso il CD44 e grazie all’induzione dell’espressione di una proteina BCL2 correlata (Mcl-1) (Pedersen IM et al, 2002).Ā L’angiogenesi può giocare un ruolo nelle fasi di accelerazione della malattia o nei sottogruppi più aggressivi, ove si riscontrano livelli serici più elevati di VEGF (Molica S et al, 2002; Maffei R et al, 2010).

 

e) Lesioni citogenetico-molecolari

– geni microRNA e TCL1
Nella LLC non ĆØ ad oggi nota la lesione genetica primaria in grado di innescare il processo di trasformazione, ma sono disponibili numerose informazioni su una serie di lesioni che governano il processo di trasformazione (Figura II).

 

Cuneo_leucemia_linfatica_cronica_Figura_2

Figura II. Stimolazione antigenica e lesioni citogenetico-molecolari nella patogenesi della LLC.

 

Sono stati localizzati due geni codificanti per microRNA (i.e miR-15 e miR-16) nella regione 13q14, deleta in un 40-50% delle LLC. Questi geni mostrano ridotta espressione in seguito a delezione nella LLC (Calin GA et al, 2002) e, in queste condizioni, può risultare alterata l’espressione di geni che controllano la progressione del ciclo cellulare nei linfociti B, in particolare il gene antiapoptotico BCL-2. In effetti, la delezione di miR-15 e miR-16 nel topo determina l’insorgenza di un’espansione clonale di linfociti B che presenta le caratteristiche biologiche della LLC. La proliferazione linfoide ĆØ più marcata e aggressiva se la delezione coinvolge, oltre ai suddetti geni a microRNA, il gene DLEU2 che mappa nella stessa regione (Klein U et al, 2010).Ā La concomitante delezione di DLEU7, posizionato all’interno della regione di minima delezione, può contribuire alla patogenesi per la perdita/riduzione della sua fisiologica funzione di inibizione di NF-kB (Palamarchuk A et al, 2010).
Nella LLC, inoltre, vi ĆØ una consistente overespressione del geneĀ TCL1 che mappa a livello della banda 14q32.1, determinata da un meccanismo di demetilazione del promotore (Yuille MR et al, 2001) e/o da due geni a microRNA, miR-29 and miR-181 (Efanov A et al, 2010).Ā Esiste la documentazione che il topo transgenico per un costrutto che contiene l’enhancer del gene Ig ed il geneĀ TCL1 sviluppa un’espansione clonale B-CD5+, che con il passare del tempo assume le caratteristiche della LLC (Bichi R et al, 2002).Ā Analogamente, il topo transgenico che iperesprime miR-29 nei linfociti B, può sviluppare la LLC (Santanam U et al, 2010).Ā Il ruolo diĀ TCL1Ā nella patogenesi della LLC ĆØ mediato dalla riduzione dell’attivitĆ  della DNA metiltansferasi 3A con conseguente diminuzione della metilazione del DNA (Palamarchuk A et al, 2012).
La famiglia dei miR-34 (miR-34a, miR-34b, miR-34c) risulta frequentemente ipoespressa nella LLC. Questi geni a miRNA sono target trascrizionali diretti di p53 e sono coinvolti nel pathways dell’apoptosi p53-mediata. Ridotti livelli di miR-34, associati o meno a del17p/ mutazione TP53 o a delezione 11q (ove sono situati i geni che codificano per miR-34b e miR34c) si associano a forme di malattia più aggressiva (Bottoni A, Calin GA, 2014).
Il profilo di espressione di numerosi altri miRNA (tra i quali miR21, miR181, miR155) riveste un ruolo prognostico nella LLC (Bottoni A, Calin GA, 2014).
Studi recenti hanno dimostrato come diversi microRNA siano implicati a vario livello anche nella via di segnalazione del BCR e nelle interazioni con il microambiente (Balatti V et al, 2015), con un ruolo di regolazione della proliferazione e apoptosi delle cellule leucemiche che viene attualmente studiato come possibile target terapeutico (Bottoni A et al, 2016).

Mutazioni geniche ricorrenti
Il sequenziamento del genoma di pazienti affetti da LLC (Puente XS et al, 2011; Fabbri G et al, 2011)

ha dimostrato che la LLC si associa a mutazioni di tipo non-silente di numerosi geni, in grado di alterare la funzione delle corrispondenti proteine. Queste mutazioni appaiono più frequenti delle lesioni che comportano perdita o guadagno di materiale genico e sono in genere variabili da paziente a paziente pur potendosi individuare alcuni pathways comunemente coinvolti: regolazione del ciclo cellulare e apoptosi, risposta al danno del DNA, processazione del RNA, vie di segnalazione intracellulare (Fabbri G, Dalla-Favera R, 2016). Alcune di queste lesioni sono ricorrenti:

  • Regolazione del ciclo cellulare e risposta al danno del DNA: oltre alle lesioni diĀ TP53,Ā trattate nel paragrafo 17p-, e di ATM, trattate nel paragrafo 11q-, tra i geni coinvolti nella riparazione/protezione del DNA ĆØ risultato mutato in maniera ricorrente POT1, codificante una componente del sistema di mantenimento dei telomeri e mutato in circa il 3% dei pazienti con LLC, tutti appartenenti al sottogruppo con IGHV non mutato (Fabbri G, Dalla-Favera R, 2016).
  • Vie di segnalazione intracellulare: le lesioni diĀ NOTCH1,Ā presenti nel 10-15% dei casi, comportano l’accumulo di un’isoforma attiva della proteina che ĆØ in grado attivare il signalling intracellulareĀ NOTCH1-correlato.Ā I pazienti con questa mutazione presentano in genere una malattia relativamente aggressiva, associata al frequente sviluppo di farmacoresistenza e alla possibile tendenza all’evoluzione in sindrome di Richter . Le mutazioni diĀ NOTCH1Ā sono più frequenti nei pazienti conĀ IGHV non mutato e con la trisomia 12 (Del Giudice I et al, 2012; Balatti V et al, 2012).
  • Oltre alla mutazione del gene stesso, multiple lesioni genetiche ricorrenti in pazienti con LLC sembrano convergere sull’attivazione della via di NOTCH1, in particolare la mutazione inattivante di FBXW7, il cui prodotto interviene nella degradazione della proteina NOTCH1, e una mutazione nella regione non codificante 3’ UTR di NOTCH1 che ne altera lo splicing (Puente XS et al, 2015; Fabbri G et al, 2016). L’effettiva incidenza della deregolazione della via di NOTCH1 nella LLC potrebbe quindi essere sottostimata.
  • Diverse mutazioni ricorrenti nella LLC si traducono invece nell’attivazione del complesso trascrizionale NF-kB. BIRC3 codifica per una proteina che down-regola il signalling di NF-ĪŗB e presenta mutazioni inattivanti nel 20% circa delle LLC chemio-refrattarie. La frequenza di queste mutazioni ĆØ bassa (<5%) nelle fasi iniziali della malattia (Rossi D et al, 2012). Le lesioni di MYD88,Ā rinvenute nel 5% dei casi e con maggior frequenza nelle LLC con geniĀ IGHVmutati,Ā  comportano la deregolazione di multipli pathways di segnalazione intracellulare con attivazione di target diversi tra cui NF-kB e STAT3 (Fabbri G, Dalla-Favera R, 2016). In una piccola frazione di pazienti (1-3%), accomunati da un decorso aggressivo, risulta invece inattivato il gene NFKBIE che codifica un regolatore negativo diretto (IkBe) di NF-kB (Mansouri L et al, 2015).
  • Processazione RNA: Nel 5% delle LLC alla diagnosi si ritrovano mutazioni del geneĀ SF3B1, che codifica per una proteina coinvolta nello splicing del RNA. Le conseguenze della mutazione di SF3B1 nella patogenesi della LLC sono state recentemente studiate con un’analisi trascrittomica che ha dimostrato l’alterazione di meccanismi di riparazione del DNA, di mantenimento delle sequenze telomeriche e, nuovamente, del signalling di NOTCH1 (Wang L et al, 2016). Queste mutazioni sono più frequenti nelle LLC con 11q- (Wang L et al, 2011),Ā si associano ad uno stadio più avanzato, allo stato non mutato dei geniĀ IGHVĀ e alla positivitĆ  per ZAP70 (Quesada V et al, 2011).Ā Anche questa lesione, al pari delle mutazioni diĀ NOTCH1Ā si rinviene più frequentemente nelle LLC chemiorefrattarie (Rossi D et al, 2011).

E’ interessante notare come le mutazioni diĀ TP53,Ā NOTCH1,Ā SF3B1Ā eĀ BIRC3Ā siano nella maggior parte dei casi mutualmente esclusive nei casi di LLC refrattari alla fludarabina, per cui ĆØ ragionevole ipotizzare che oltre aĀ TP53, le vie del signaling di NOTCH1 ed NF-ĪŗB e il sistema dello splicing possano giocare un ruolo indipendente nella genesi della chemiorefrattarietĆ .

Il progresso delle tecniche di sequenziamento del DNA (next generation sequencing) ne ha consentito l’applicazione su grandi coorti di pazienti (Puente XS et al, 2015; Landau DA et al, 2015). Il sequenziamento dell’intero genoma codificante in 538 casi di LLC (Landau DA et al, 2015) ha individuato mutazioni ricorrenti a carico di due ulteriori pathways con ruolo patogenetico importante: i geni PTPN11 e FUBP1 sono modulatori dell’attivitĆ  di MYC, mentre le mutazioni di NRAS, KRAS e BRAF implicano il coinvolgimento della via di segnalazione MAPK-ERK. Le lesioni ricorrenti di RPS15, coinvolto nel processo di splicing, e di IKZF3, fattore di trascrizione essenziale per lo sviluppo dei linfociti B, si sono rivelate mutazioni ā€œdriverā€ precedentemente non note nella patogenesi della malattia (Landau DA et al, 2015). Un dato estremamente interessante ĆØ emerso dal sequenziamento su larga scala (506 pazienti) anche delle regioni non codificanti del genoma dei casi di LLC, con l’identificazione di mutazioni ricorrenti in queste sequenze in grado di modificare l’espressione di geni codificanti. Le più rilevanti sono la mutazione ricorrente della regione 3’ UTR di NOTCH1, che ne altera il processo di splicing con delezione del dominio PEST e incremento della stabilitĆ  della proteina, e la mutazione a carico di una regione enhancer del cromosoma 9p13, che si associa ad una ridotta espressione del fattore di trascrizione PAX5, essenziale nel differenziamento B-linfocitario (Puente XS et al, 2015).

–Ā Telomeri
I telomeri sono costituiti da sequenze ripetute di DNA che conferiscono stabilitĆ  alla struttura dei cromosomi. Con l’invecchiamento della cellula ed in seguito ai cicli replicativi a cui questa va incontro si assiste ad un accorciamento dei telomeri, che viene normalmente limitato dall’attivitĆ  delle telomerasi.Ā Nella LLC i telomeri dei linfociti patologici sono più corti rispetto ai linfociti B normali di soggetti di pari etĆ  e sesso.Ā Inoltre l’accorciamento dei telomeri ĆØ più spiccato nelle LLC ā€œnon-mutateā€, nelle quali si rinviene anche una maggiore attivitĆ  telomerasica (Damle RN et al, 2004; Grabowski P et al, 2005) e si associa ad una prognosi sfavorevole e ad un’aumentata probabilitĆ  di sviluppare la sindrome di Richter (Rossi D e Gaidano G, 2009). Queste osservazioni indicano come la storia replicativa della LLC sia differente a seconda dello stato mutazionale dei geni Ig e come nei casi più aggressivi vi sia stato uno stimolo proliferativo nelle fasi di emergenza del clone neoplastico in grado di indurre numerosi cicli di attivazione e replicazione con accorciamento, disfunzione e fusione dei telomeri e conseguente insorgenza di esteso danno del genoma (Lin TT et al, 2010).
Un recente lavoro di sequenziamento del genoma in pazienti con LLC familiare ha dimostrato la presenza di mutazioni germline proprio a carico di geni coinvolti nel mantenimento dei telomeri (in particolare POT1), sottolineando come la disregolazione di questi fini meccanismi di protezione del DNA svolga un ruolo chiave nella patogenesi della LLC (Speedy HE et al, 2016).

 

Anomalie citogenetiche

L’introduzione della FISH ha permesso l’individuazione di aberrazioni cromosomiche in circa l’80% dei casi di LLC e ogni paziente viene oggi incluso in uno specifico gruppo in base a una classificazione citogenetica gerarchica che attribuisce importanza decrescente alle seguenti lesioni: 17p- > 11q- > +12 > 13q-. I risultanti gruppi citogenetici hanno una frequenza diversa a seconda dello stadio di malattia, come riportato in Tabella II.

 

Tabella II. Frequenza (% di casi) di aberrazioni cromosomiche alla FISH, di lesioni genetiche e stato mutazionale IGHV in >4000 casi di LLC arruolati nei protocolli del GCLLSG (*).

 

Recentemente, l’introduzione di una stimolazione efficace delle mitosi mediante oligonucleotidi e IL2 ha mostrato che approssimativamente il 30% delle LLC senza difetti cromosomici mediante analisi FISH in interfase può presentare una lesione cromosomica nel cariotipo all’analisi citogenetica e come questi pazienti ā€œFISH normaliā€ con anomalie citogenetiche nel cariotipo abbiano una prognosi sfavorevole (Rigolin GM et al, 2012).Ā Inoltre, ĆØ stato dimostrato con questa tecnica che cariotipi complessi potevano essere documentati in una significativa frazione dei casi in associazione con fattori prognostici e quadro clinico sfavorevole (Haferlach C et al, 2007; Rigolin GM et al, 2015). Un quadro riassuntivo del significato delle principali lesioni citogenetiche ĆØ presentato in Tabella III.

 

Tabella III: Significato clinicobiologico dei difetti cromosomici ricorrenti nella LLC.

 

Nuove sottili aberrazioni sono state identificate mediante sensibilissime tecniche di scansione dell’intero genoma, grazie alla quale sono state documentate lesioni genetiche in virtualmente tutti i casi di LLC (Grubor V et al, 2009).

 

13q-

A cura di: Danilo G. Faraci, Antonio Cuneo, Ematologia, UniversitĆ  di Ferrara

La delezione 13q14 è la più frequente anomalia citogenetica nella LLC e viene identificata alla FISH in più del 50% dei casi. Questa delezione è stata descritta come eterozigote in approssimativamente il 75-80% dei casi e omozigote nel restante 20-25%. Studi molecolari hanno dimostrato che la regione comunemente deleta comprende 790 kb tra i marcatori D13S1150 e D13S25.
Pekarsky et al (Pekarsky Y e Croce CM, 2015) hanno individuato tra i geni target della delezione 13q14, un cluster di 30 kb tra gli esoni 2 e 5 del gene DLEU2 codificante per due microRNA (miR-15a/miR-16-1) in grado di regolare la funzione di molteplici oncogeni, principale dei quali risulta essere BCL-2. Tale proteina, nella maggioranza dei casi di LLC, risulta overespressa, facendo intendere pertanto la funzione oncosoppressoria di miR-15a e miR-16-1. La delezione di questi geni per microRNA ĆØ stata recentemente confermata da altri ricercatori che hanno utilizzato CGH array ad alta risoluzione in 58 casi di LLC (Buhl AM et al, 2006).
Nel 2010, Klein et al (Klein U et al, 2010) hanno evidenziato che, se nel topo transgenico la delezione è ampia, coinvolgendo sia il cluster miR-15/16-1 che altri loci mappati su DLEU2, anche la malattia assume un decorso più grave, con una proliferazione linfoide più marcata ed aggressiva.
La categoria di pazienti che non presentano altre anomalie cromosomiche associate alla delezione 13q14 è quella a prognosi più favorevole con intervallo tra diagnosi e inizio del trattamento e sopravvivenza superiori rispetto alla LLC con cariotipo normale.
Tuttavia alcune differenze in termini di predittivitĆ  del decorso clinico sono state osservate in rapporto a, i) delezione eterozigorte o omozigote, ii) grandezza del clone con delezione, iii) ampiezza delle delezione.
Nel 2012 Garg et al (Garg R et al, 2012) hanno dimostrato che i pazienti con delezione eterozigote e quelli con delezione omozigote presentano un andamento clinico sovrapponibile. Tale evidenza smentirebbe precedenti ipotesi secondo le quale i pazienti omozigoti potrebbero presentare una maggiore cinetica di crescita linfocitaria rispetto agli eterozigoti.
Individui con un’alta percentuale di cellule con nuclei deleti sembrano avere un decorso più aggressivo della malattia, rientrando a tutti gli effetti nella categoria di rischio citogenetico intermedio (Van Dyke DL et al, 2010).
Dal Bo et al (Dal Bo M et al, 2011) hanno stabilito come cut-off il 70% di nuclei del clone con delezione 13q14, e hanno diviso i casi di LLC del loro studio in quattro sottogruppi: pazienti con <70% nuclei 13q- con delezione non comprendente RB1, pazienti con <70% nuclei 13q- con delezione comprendente RB1, pazienti con >70% nuclei 13q- con delezione non comprendente RB1, e pazienti con >70% nuclei 13q- con delezione comprendente RB1. Di questi, solo il primo gruppo manteneva una prognosi favorevole, mentre gli altri tre presentavano un decorso clinico simile alla LLC con cariotipo normale, con diminuzione di TFT e OS. La delezione di oltre il 70% di nuclei delle cellule del clone appare quindi come un marker indipendente di progressione, con impatto maggiore rispetto all’ampiezza della delezione stessa. Tale dato veniva confermato da Van Dyke et al (Van Dyke DL et al, 2016), (dimostrando che i pazienti aventi >85% nuclei 13q- presentano un’evoluzione clinica peggiore, con TFT sovrapponibile a quelli aventi cariotipo normale o trisomia 12.
La minima regione deleta (MDR) del 13q include i loci DLEU2/MIR15A/MIR161, mentre nei casi con ampia delezione il segmento perso può comprendere anche il gene RB1 (banda 13q14.1-q14.2). Xiong et al (Xiong W et al, 2015) hanno dimostrato, mediante l’utilizzo di sonde specifiche per MDR e RB1 alla FISH, che i pazienti aventi un’ampia delezione presentano TFT e OS nettamente più brevi rispetto ai pazienti aventi minima delezione. Tale dato veniva invece contraddetto dai ricercatori canadesi della British Columbia, i quali hanno evidenziato almeno 9 possibili combinazioni di delezione 13q14 a seconda dei geni deleti e della presenza dell’alterazione in entrambi gli alleli o meno. Più comunemente l’ampia delezione risulta monoallelica (55%), fattore che potrebbe spiegare l’impatto non significativo del coinvolgimento del gene RB1 nell’outcome dei pazienti (Huang SJ et al, 2016). Pure Haferlach et al (Haferlach C et al, 2012) hanno dimostrato che l’ampia delezione non influisce negativamente sul TFT. Data la discrepanza dei risultati ottenuti finora dai diversi studi, pertanto il significato prognostico dell’ampiezza della delezione 13q14 risulta poco chiaro e rimane ad oggi un’interessante questione scientifica.
In conclusione, il gruppo di pazienti con 13q- isolata parrebbe essere non omogeneo, in quanto recenti studi hanno messo in evidenza che la percentuale di cellule del clone che presentano nuclei deleti sia in grado di influenzare il decorso e la prognosi della malattia, con la conseguente necessitĆ  di ridefinirne il rischio in base a tale parametro. Per quanto riguarda l’ampiezza della delezione stessa, ulteriori studi sono necessari. Risulta evidente che l’implicazione clinica della delezione 13q14 assume quindi un significato più complesso di quanto originariamente attribuitogli.

 

Trisomia 12

A cura di: Carmine Liberatore, Antonio Cuneo – Ematologia UniversitĆ  di Ferrara

La trisomia del cromosoma 12  si riscontra nel 15% circa dei pazienti con LLC e rappresenta la più frequente acquisizione di materiale cromosomico (Strefford JC, 2015). Insieme alla del 13q14, è una delle anomalie cromosomiche più precoci nella patogenesi della LLC e permane stabilmente nel decorso della malattia (Foà R, Guarini A, 2013).
La trisomia 12 è spesso associata a varianti morfologiche di LLC (LLC atipica e LLC/PLL) (Strefford JC, 2015; Scarfò L et al, 2016).
Oltre la trisomia del cromosoma 12, sono riportati casi di LLC con trisomia parziale, secondaria a duplicazione di segmenti cromosomici compresi tra le bande 12q13 e 12q22.
Nella regione 12q13-15 ĆØ localizzato il gene MDM2, il cui prodotto aumenta il legame di TP53 all’ubiquitina, provocandone la degradazione. In tal modo, l’iperespressione di MDM2 determina una riduzione nella capacitĆ  di TP53 di arrestare il ciclo cellulare e di indurre l’apoptosi a seguito di un danno al DNA, esitando in una minore sensibilitĆ  delle cellule leucemiche alla chemioterapia e in una maggiore farmacoresistenza. Nella regione 12q22 mappa il gene CLLU1, che risulta upregolato nella LLC con decorso clinico aggressivo (Strefford JC, 2015; Shahjahani M et al, 2015).
Secondo l’originale classificazione citogenetica gerarchica della LLC, la trisomia 12 viene classificata come lesione a prognosi intermedia (Scarfò L et al, 2016).
Ad oggi, con l’impiego della chemio-immunoterapia, la presenza isolata di trisomia 12 risulta associata ad una buona risposta alla chemio-immunoterapia e ad una più lunga sopravvivenza rispetto all’impiego della sola chemioterapia (OS a 10 anni del 70% circa) (Strefford JC, 2015; FoĆ  R, Guarini A, 2013). I migliori risultati ottenuti con l’impiego della chemio-immunoterapia sono probabilmente legati all’elevata espressione di CD20 sulle cellule leucemiche, nei casi che non presentano mutazioni di NOTCH1 associate (Strefford JC, 2015; Shahjahani M et al, 2015).

La trisomia del cromosoma 12 presenta una peculiare associazione (24-28%) con le mutazioni del gene NOTCH1 (approfondimenti nella sezione ā€œpatogenesiā€), associazione che risulta particolarmente elevata nelle LLC con trisomia 12 e IGHV non mutato (41,9%) (Strefford JC, 2015; Del Giudice I et al, 2012; Balatti V et al, 2012; Scarfò L et al, 2016). La trisomia 12 associata a mutazione di NOTCH1 identifica un sottogruppo di pazienti con malattia biologicamente più aggressiva, maggiore tendenza allo sviluppo di farmacoresistenza e all’evoluzione in sindrome di Richter. Il rischio di evoluzione in sindrome di Richter risulta particolarmente elevato quando la trisomia 12 si associa all’utilizzo del recettore IGHV 4-39 con la HCDR3 stereotipata (Rossi D et al, 2009b). Clinicamente, nei pazienti con trisomia 12 e mutazione di NOTCH1, l’utilizzo di rituximab in associazione a fludarabina e ciclofosfamide non ha determinato gli stessi benefici osservati per la trisomia 12 isolata, con una prognosi peggiore e una minore sopravvivenza globaleĀ  in risposta alla chemio-immunoterapia (OS a 10 anni 21-45%) (FoĆ  R, Guarini A, 2013; Shahjahani M et al, 2015; Del Giudice I et al, 2012; Scarfò L et al, 2016).

 

11q-

A cura di: Antonio Urso, Antonio Cuneo – Ematologia UniversitĆ  di Ferrara

Questa anomalia può essere individuata nel 7-25% dei casi a seconda dello stadio della malattia.
I pazienti con 11q- mostrano in genere una malattia contrassegnata da adenopatie estese (comprese masse bulky) e, negli studi iniziali, presentavano un’etĆ  mediana inferiore ai 60 anni con un intervallo libero da trattamento e una sopravvivenza più brevi rispetto ad altre LLC (Dƶhner H et al, 1997).
Da un punto di vista biologico i casi di LLC con 11q-, si associano a stato mutazionale IGHV non mutato, CD38+ (Dewal GW et al, 2003), oltre che instabilitĆ  genomica, come dimostrato dallo sviluppo di alterazioni cromosomiche aggiuntive mediante analisi del cariotipo (Fegan C et al, 1995).

Il segmento comunemente deleto include il gene dell’atassia teleangectasia (ATM) che ĆØ coinvolto nel processo di trasduzione del segnale attivato in risposta a rotture del DNA. Il rimanente allele ATM ĆØ mutato in circa il 30% delle LLC con 11q-, l’inattivazione del secondo allele ATM si associa ad un ulteriore riduzione della sopravvivenza (Austen B et al, 2007).
Inoltre il segmento comunemente deleto comprende nella maggioranza dei casi (80-90%) il gene BIRC3 (regolatore negativo della via alternativa di signaling NF-kB), mentre solo una piccola percentuale presenta mutazioni di BIRC3. A differenza di ATM la presenza di delezioni o mutazioni a carico di BIRC3 non sembrerebbe alterare la prognosi delle LLC 11q- (Rose-Zerilli MJ et al, 2014).

Secondo alcuni autori sarebbe possibile stratificare le LLC 11q- sulla base della percentuale di positivitĆ  della FISH per tale lesione citogenetica, permettendo di individuare in pazienti non trattati chi presenterĆ  un intervallo libero da trattamento, sopravvivenza e risposta al trattamento migliore nonostante la presenza della 11q- (Marasca R et al, 2013; Jain P et al, 2015).

In diversi trial clinici la presenza di 11q- si associava a percentuali di risposta completa più bassa e a una breve sopravvivenza libera da progressione (Catovsky D et al, 2007; Grever MR et al, 2007; Eichhorst BF et al, 2006).Ā Tuttavia, l’aggiunta di rituximab alla tradizionale chemioterapia con fludarabina e ciclofosfamide nei pazienti più giovani ha migliorato la percentuale di risposta completa e la sopravvivenza libera da progressione (Tsimberidou AM et al, 2009; Hallek M et al, 2010) e vi ĆØ evidenza non ancora consolidata che il trapianto di midollo osseo allogenico con condizionamento a ridotta intensitĆ  potrebbe superare l’impatto prognostico sfavorevole dell’11q- nella LLC (Sorror ML et al, 2008). Negli studi più recenti, anche grazie all’introduzione di regimi di chemio-immunoterapia efficaci, il valore prognostico avverso della delezione 11q ĆØ risultato di minore importanza, essendo mantenuto nell’analisi del gruppo cooperatore tedesco (Pflug N et al, 2014) ed assente perchĆ© superato da altri marcatori più riproducibili nell’International prognostic index (International CLL-IPI working group, 2016).

 

17p-/TP53 mutato

A cura di: Maurizio Cavallari, Antonio Cuneo – Ematologia UniversitĆ  di Ferrara

Il gene oncosoppressore TP53, sito al locus 17p13, codifica per la proteina p53. Una mutazione a carico di TP53 ovvero la delezione 17p13 (aploinsufficienza) determinano la perdita della funzione della proteina p53. Questa condizione ha come ripercussione la perdita del controllo del ciclo cellulare, a causa del ruolo di sorveglianza che p53 svolge sul processo di replicazione del DNA. La funzione di p53 si esplica in caso di danno al DNA, venendo attivata attraverso ATM e determinando l’arresto del ciclo cellulare e l’apoptosi (Berger AH et al, 2011).
In corso di LLC la del17p13 ĆØ spesso associata ad una mutazione inattivante dell’allele TP53 residuo, mentre la mutazione a carico di TP53 può avvenire indipendentemente dalla del17p13 e determinare l’obsolescenza di p53 attraverso un effetto dominante negativo oppure attraverso un processo di duplicazione di un segmento cromosomico contenente TP53 mutato (disomia uniparentale) (Zenz T et al, 2008).
Le anomalie della via di TP53 sono alla base della resistenza all’apoptosi e della instabilitĆ  genetica, per cui i pazienti portatori di del17p13 hanno spesso anomalie cromosomiche complesse e molteplici lesioni genetiche (Stilgenbauer S et al, 2014; Haferlach C et al, 2007; Herling CD et al, 2016). L’impatto prognostico sfavorevole sulla OS della del17p13 ĆØ stato ben documentato oltre 20 anni fa da Dohner et al (Dohner H et al, 1995) ed un ruolo simile ĆØ stato definito per la mutazione di TP53 indipendentemente dalla presenza della del17p13 (Gonzalez D et al, 2011; Zenz T et al, 2010; Rossi D et al, 2009b). Piccoli cloni recanti la mutazione a carico di TP53 (<20% delle cellule), studiati mediante tecniche di next generation sequencing, sono stati riconosciuti parimenti responsabili di un peggiore outcome (Rossi D et al, 2014). Numerosi lavori sono concordi nel definire un impatto sfavorevole sui principali indicatori di outcome (PFS, OS) sia della del17p13 che della mutazione di TP53 in relazione al trattamento con alchilanti, analoghi purinici ed anti-CD20 indipendentemente dalla presenza di M-IGHV e di uno stadio precoce (Martinelli S et al, 2016). Le anomalie di TP53 sono state associate inoltre ad elevata probabilitĆ  di chemiorefrattarietĆ  (Dohner H et al, 1995; Zenz T et al, 2010; Oscier D et al, 2010) e ad un aumentato rischio di progressione nel contesto di pazienti con LLC recidiva/refrattaria trattata con inibitori del pathway del BCR (Byrd JC et al, 2013; Woyach JA et al, 2014).
La forza dell’impatto prognostico sfavorevole delle mutazioni di TP53/del17p13 ĆØ stata universalmente accettata, e recentemente inserita nel sistema di stratificazione prognostica CLL-IPI (International CLL-IPI working group, 2016). Questo ha avuto notevoli ripercussioni sulla scelta terapeutica giĆ  alla I linea di trattamento, in quanto la presenza di mutazioni di TP53/del17p13 suggerisce di evitare trattamenti chemio-immunoterapici e di prediligere trattamenti che sfruttino un meccanismo citotossico p53-indipendente (NCCN, 2017; Cramer P et al, 2016). L’impiego dei nuovi inbitori del pathway del BCR e degli anti-BCL2 hanno apportato un significativo incremento delle risposte al trattamento nei pazienti portatori delle mutazioni di TP53/del17p13 mitigando l’impatto su PFS ed OS di queste aberrazioni (Byrd JC et al, 2015; Furman RR et al, 2014; Roberts AW et al, 2016).

 

Cariotipo complesso

A cura di: Maurizio Cavallari, Francesca Maria Quaglia e Antonio Cuneo

Per definizione, il cariotipo complesso (CC) ĆØ caratterizzato dalla presenza di almeno tre aberrazioni cromosomiche all’interno di uno stesso clone, identificate mediante analisi citogenetica convenzionale (Mayr C et al, 2006; Haferlach C et al, 2010) e rappresenta una condizione a significato prognostico sfavorevole nei pazienti affetti da LLC. Studi di confronto tra FISH e citogenetica convenzionale hanno evidenziato che nel 25-37% dei casi di LLC con FISH ā€œnegativaā€ ĆØ possibile riscontrare la presenza di anomalie citogenetiche non altrimenti identificabili e che nel 20% dei casi queste sono inquadrabili in un CC, evidenziando una possibile sottostima del rischio citogenetico (Rigolin GM et al, 2012). Diversi studi hanno documentato l’associazione del CC con numerose anomalie genetiche, di cui le più frequenti sono a carico di TP53, ATM, FBXW7 e MYD88, una condizione che riflette un’instabilitĆ  genomica sottostante (Rigolin GM et al, 2016; Le Bris Y et al, 2016; Herling CD et al, 2016; Puiggros A et al, 2017).
Inoltre sono state riportate comuni associazioni con marcatori prognostici sfavorevoli consolidati, quali le aberrazioni di TP53 (Haferlach C et al, 2007; Baliakas P et al, 2014; Herling CD, 2016; Le Bris Y et al, 2016; Rigolin GM et al, 2016; Rigolin GM et al, 2017; Puiggros A et al, 2017; Rigolin GM et al, 2017), lo stato mutazionale IGHV non mutato (Haferlach C et al, 2007; Baliakas P et al, 2014; Le Bris Y et al, 2016; Rigolin GM et al, 2017; Puiggros A et al, 2017), l’espressione del CD38 (Baliakas P et al, 2014; Puiggros A et al, 2017; Rigolin GM et al, 2017), la presenza di delezioni di ATM (Baliakas P et al, 2014; Le Bris Y et al, 2016; Puiggros A et al, 2017; Rigolin GM et al, 2017) ed uno stadio di malattia avanzato (Puiggros A et al, 2017; Rigolin GM et al, 2017).
L’impatto prognostico sfavorevole del CC ĆØ stato correlato a una peggiore overall survival (OS) (Badoux XC et al, 2011a; Badoux XC et al, 2011b; Rigolin GM et al, 2015; Le Bris Y et al, 2016; Herling CD et al, 2016; Puiggros A et al, 2017; Rigolin GM et al, 2017), a un peggiore time to first treatment (TFT) (Rigolin GM et al, 2017) e ad una inferiore progression free survival (PFS) (Badoux XC et al, 2011a; Badoux XC et al, 2011b; Le Bris Y et al, 2016), con un potere predittivo negativo sulla sopravvivenza, indipendente dall’indice prognostico CLL-IPI, nei pazienti non pretrattati (Rigolin GM et al, 2017).
L’introduzione della target therapy ha riacceso l’attenzione clinica sul ruolo prognostico del CC, evidenziandone un possibile significato sfavorevole indipendente nei pazienti con LLC recidivata o refrattaria trattati con ibrutinib o con venetoclax (Thompson PA et al, 2015; Anderson MA et al, 2017).

 

Evoluzione clonale nella LLC

A cura di: Sara Martinelli

Moderne metodiche di sequencing hanno documentato come alcune lesioni possano rappresentare eventi ā€œprimariā€ (driver) coinvolgenti l’intera popolazione clonale (13q-, +12, mutazioni di NOTCH1 o di MYD88), mentre altre (17p-/mutazioni TP53, 11q-/mutazioni di ATM, mutazioni SF3B1) spesso rappresentano lesioni che compaiono con l’evoluzione clonale (Puente XS, López-OtĆ­n C, 2013).Ā E’ noto che una frazione di LLC acquisisce anomalie cromosomiche durante la storia naturale della malattia.Ā In uno studio prospettico (Stilgenbauer S et al, 2007;
Goldin LR et al, 2007) 11 pazienti su 64 (17%) seguiti per una mediana di 42 mesi hanno mostrato evoluzione clonale con una del(17)(p13) in 4 casi, del(6)(q21) in 3 casi, del(11)(q23) in 2 casi, +(8)(q24) in 1 caso ed evoluzione da 13q- eterozigote a omozigote in tre casi. La comparsa tardiva di 11q- nella LLC ĆØ stata associata con l’evoluzione della malattia (Cuneo A et al, 2002). Un recente studio di sequenziamento dell’intero esoma eseguito su un’ampia coorte di pazienti alla diagnosi e poi alla recidiva ha dimostrato come l’evoluzione clonale post-terapia rappresenti la regola piuttosto che l’eccezione nella LLC: nel 30% dei casi il clone predominante alla recidiva era giĆ  identificabile a livello subclonale prima del trattamento e in una buona parte dei restanti casi era comunque possibile individuare precocemente, con analisi mirate di deep sequencing, almeno una delle lesioni genetiche ā€œdriverā€ della recidiva (Landau DA et al, 2015). Pertanto l’analisi dell’architettura clonale della malattiaĀ  pre-terapia può anticipare l’evoluzione delle lesioni genetiche alla recidiva. Lo stesso lavoro ha evidenziato come la trisomia 12, del(13q) e del(11q), considerate eventi primari precoci, tendano a rimanere stabilmente clonali anche alla recidiva nonostante pattern complessi di evoluzione clonale; al contrario le mutazioni di TP53 e la del(17p), in genere subclonali all’esordio, risultano nettamente più rappresentate alla recidiva testimoniando un vantaggio di sopravvivenza sotto la spinta selettiva esercitata dalla terapia. Lo stesso vantaggio selettivo non ĆØ stato documentato per altre lesioni ā€œtardiveā€ quali le mutazioni di SF3B1 e ATM (Landau DA et al, 2015). Nello stesso paziente può esserci una eterogeneitĆ  clonale tra il sangue periferico ed il microambiente linfonodale; quest’ultimo può contribuire alla selezione di anomalie genetiche sfavorevoli che possono poi apparire anche nel sangue periferico alla recidiva (Del Giudice I et al, 2016).

 

Diagnosi

A cura di: Enrico Lista, Francesca Maria Quaglia e Antonio Cuneo

La LLC viene diagnosticata nella maggior parte dei casi in occasione di esami del sangue routinari in pazienti asintomatici. Una minoranza dei casi mostra già alla diagnosi un quadro clinico conclamato con adenopatie e/o splenomegalia, segni di insufficienza midollare secondaria a diffusione della malattia, sintomi sistemici e, raramente, localizzazioni extranodali (vide infra). Dopo aver escluso la presenza di infezioni in grado di determinare linfocitosi reattiva (Tabella IV), si procede con gli esami di laboratorio necessari per la diagnostica differenziale dei disordini linfoproliferativi cronici (Tabella V), o con la rara linfocitosi B persistente policlonale (Salcedo I et al, 2002), condizione più frequente nelle giovani donne fumatrici che presenta tendenza alla distribuzione familiare.
La diagnostica della LLC si basa sulla valutazione combinata dell’esame emocromocitometrico, dell’analisi citofluorimetrica per la determinazione dell’immunofenotipo e dell’analisi morfologica dello striscio di sangue periferico.
La morfologia tipica mostra piccoli linfociti a cromatina addensata (Figura III) e le ombre di Gumprecht, che rappresentano linfociti rotti durante la preparazione dello striscio a causa di una loro intrinseca fragilitĆ , determinata dalla riduzione della proteina del citoscheletro vimentina (Nowakowski GS et al, 2010).

 

Cuneo_leucemia_linfatica_cronica_Tabella_4

Tabella IV: Condizioni associate a linfocitosi reattiva.

 

Tabella V: Caratteristiche di laboratorio distintive dei disordini linfoproliferativi cronici.

 

Figura III. a) LLC tipica. Si noti la presenza di piccoli linfociti con ombre di Gumprecht (*); b) LLC atipica (mixed-cell type). Si noti la presenza di una maggioranza di piccoli linfociti e di un grande linfocito (**).

 

Per la definizione diagnostica della LLC, secondo le linea guida del 2008 dell’International Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia (iwCLL), devono essere soddisfatti due criteri (Hallek M et al, 2008):

  • conta B-linfocitaria assoluta nel sangue periferico di ≄5000/mL, con una morfologia di piccoli linfociti maturi;
  • dimostrazione della clonalitĆ  dei linfociti B circolanti mediante citoflorimetria del sangue periferico.

L’analisi immunofenotipica, secondo lo ā€œscore Matutesā€, consente di porre diagnosi di LLC in presenza di una espansione di elementi CD19+, CD5+, CD23+, con CD22 e/o CD79b debolmente positivo e debole espressione delle immunoglobuline di superficie (sIg) associata a restrizione delle catene leggere (rapporto K/ >3 o <3) e negativitĆ  per FMC7.Ā E’ utile l’applicazione dello score immunofenotipico che, attribuendo 1 punto a CD5+, CD23+, CD22/CD79b+ debole o negativo, sIg+ debole e FMC7-, identifica, in presenza di uno score ≄3, oltre il 95% dei casi di LLC (Matutes E et al, 1994; Moreau EJ et al, 1997), permettendone la distinzione rispetto alle altre sindromi linfoproliferative (Tabella V).

Recentemente ĆØ stata proposta una modifica del classico score Matutes, in considerazione dell’alta espressione del CD200 nella LLC. Il nuovo punteggio diagnostico, definito ā€œCLL Flow Scoreā€ si basa sulla formula:

%CD200+ + %CD5/CD23 – %CD79b+ – %FMC7+

Un valore superiore allo zero depone per la diagnosi di LLC. Il nuovo score ha lo scopo di assicurare l’alta sensibilitĆ  dello score Matutes, aumentandone però la specificitĆ . (Kƶhnke T et al, 2017). Se ne attende l’eventuale recepimento da parte delle linee guida.
Forme aventi solo linfoadenopatie con biopsia positiva per LLC, ma con una conta periferica assoluta B linfocitaria minore di 5000/µL, vengono classificate come Linfoma a Piccoli Linfociti (Small Lymphocytic Lymphoma, ā€œSLLā€). Quindi, lo SLL si distingue dalla LLC solo per l’assenza di linfocitosi, avendo però le identiche caratteristiche patologiche e immunofenotipiche della LLC. Perciò le due forme sono considerate due manifestazioni cliniche della stessa patologia.
La diagnostica viene completata con le indagini indicate in Tabella VI, necessarie per una corretta stadiazione, la stratificazione in gruppi a prognosi distinta e per una corretta programmazione della terapia.

 

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Tabella VI: Valutazione diagnostica nella LLC.

 

Nella classificazione attuale, pazienti con una conta linfocitaria assoluta minore di 5000/µL e assenza di manifestazioni di malattia (linfoadenomegalie, organomegalie), ricevono una diagnosi di Linfocitosi B Monoclonale (Monoclonal B lymphocytosis,Ā ā€œMBLā€). Tale condizione si ritrova nel 12% degli individui sani (Nieto WG et al, 2009).

L’aggiornamento WHO distingue due forme di MBL:

  • la MBL ā€œlow-countā€ definita da una conta di linfociti LLC periferici < 500/µL, caratterizzata da una minima o nulla possibilitĆ  di progressione e che non richiede un follow-up ematologico ma solo generale (Vardi A et al, 2013; Rawstron AC et al, 2010);
  • la MBL ā€œhigh-countā€ con conta linfocitaria compresa tra 500 e 5000/µL, che richiede un follow-up ematologico periodico e ha delle caratteristiche cliniche e genetico/molecolari molto simili alle LLC di stadio RAI 0 (Morabito F et al, 2013).

 

Clinica

a) Manifestazioni principali

Circa il 70% dei pazienti viene diagnosticato in seguito ad esami ematici routinari che dimostrano linfocitosi asintomatica, con obiettività negativa o con adenopatie diffuse a poche sedi (Johnson JB et al, 2009). Può essere presente già alla diagnosi ipogammaglobulinemia. Negli stadi intermedi compaiono, nelle principali sedi superficiali, adenopatie non dolenti, di consistenza parenchimatosa, non dura, associate o meno a splenomegalia. Gli stadi avanzati contemplano, per definizione, la presenza di anemia o piastrinopenia secondarie a infiltrazione midollare. Le stadiazioni di Rai e di Binet (Rai KR et al, 1975; Binet JL et al, 1981) sono riassunte nella Tabella VII, ove è anche riportata la sopravvivenza media nei diversi stadi di malattia.

 

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Tabella VII: Classificazione di Rai e di Binet.

 

E’ importante escludere la natura autoimmune dell’anemia e della piastrinopenia prima di assegnare un paziente allo stadio III-IV di Rai o C di Binet (Oscier D et al, 2004) in quanto ĆØ noto che la prognosi degli stadi avanzati ĆØ migliore se la citopenia ĆØ di origine autoimmune piuttosto che da infiltrazione midollare (Zent CS et al, 2008).Ā Le moderne terapie citostatiche e di supporto, unite al miglioramento delle condizioni generali di salute della popolazione adulta, hanno determinato un significativo allungamento dell’aspettativa di vita negli stadi avanzati rispetto ai dati storici (Shanafelt TD et al, 2009; Abrisqueta P et al, 2009; Kristinsson SY et al, 2009).
I sintomi, quando presenti, possono essere riferiti alla presenza di adenopatie massive o di imponente epatosplenomegalia e alla presenza di insufficienza midollare con segni legati all’anemia o alla piastrinopenia. Può manifestarsi astenia non associata ad anemia significativa. Sintomi sistemici, quali febbre >38°C senza cause apparenti, dimagramento >10% di peso corporeo, sudorazione profusa, prurito, dolori muscolari sono presenti alla diagnosi in una minoranza dei casi, mentre possono comparire più frequentemente nelle fasi avanzate di malattia e/o di resistenza al trattamento. La malattia può esordire con complicanze infettive, espressione di deficit del sistema immunitario legato alla malattia e alle terapie.Ā L’anemia emolitica autoimmune può comparire in qualunque fase della malattia; in generale la disregolazione del sistema immunitario, incentrata sui meccanismi presentati in Tabella VIII, può manifestarsi con le patologie a genesi autoimmune elencate in Tabella IX (Dearden C et al, 2008).

 

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Tabella VIII: Difetti immunitari nella leucemia linfatica cronica (LLC).

 

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Tabella IX: Complicanze autoimmuni nella leucemia linfatica cronica (LLC).

 

b) Quadro evolutivo

A cura di: Francesca Maria Quaglia e Antonio Cuneo

Il decorso clinico e la sopravvivenza dei pazienti affetti da LLC sono variabili: alcuni soggetti rimangono asintomatici e non richiedono trattamento per anni, mentre altri presentano andamento clinico aggressivo, difficilmente controllabile dalla terapia. La gestione clinica dei pazienti affetti da LLC ĆØ assai migliorata negli ultimi anni, grazie all’introduzione di utili marker prognostici, di nuovi agenti terapeutici e al miglioramento delle terapie di supporto. Tuttavia, negli stadi clinici più avanzati sono presenti manifestazioni sistemiche correlate all’anemia e alla trombocitopenia e al coinvolgimento di organi e apparati (fegato, milza, reni e midollo osseo). Linfoadenomegalie superficiali e splenomegalia sono presenti nel 90% dei casi; un’epatomegalia si riscontra nel 50% dei casi. Spesso la causa del decesso ĆØ una malattia intercorrente, poichĆ© i pazienti sono solitamente soggetti anziani (Castoldi G e Liso V, 2013).

 

– Infezioni

A cura di: Francesca Maria Quaglia e Antonio Cuneo

Le complicanze infettive sono state da sempre tra le principali cause di morbiditĆ  e mortalitĆ  nei pazienti affetti da LLC (Kjellander C et al, 2016; Andersen MA et al, 2019; Eichhorst B e Hallek M, 2019). La patogenesi dell’aumentato rischio infettivo nella LLC ĆØ multifattoriale: entrano in gioco fattori legati alla malattia, fattori legati all’ospite e alle terapie specifiche effettuate (Montserrat E e Campo E, 2006). La LLC ĆØ caratterizzata da una profonda disregolazione immunitaria (Vitale C et al, 2021; Moreno C et al, 2021). Sono state descritte alterazioni dell’immunitĆ  cellulo-mediata (Maharaj K et al, 2017), alterazioni del complemento (Randhawa JK e Ferrajoli A, 2016) e della via immunitaria umorale, con frequente ipogammaglobulinemia (Freeman JA et al, 2013; Friman V et al, 2016). Soprattutto negli stadi avanzati, i pazienti sono soggetti ad infezioni recidivanti, sia a causa della neutropenia da infiltrazione midollare, sia come conseguenza delle terapie che possono aggravare il deficit immunitario intrinseco della LLC (Castoldi G, Liso V, 2013).

Gli agenti alchilanti e gli analoghi delle purine si associano prevalentemente ad infezioni batteriche. Una complicanza infettiva frequente ĆØ l’Herpes zoster (Kjellander C et al, 2016). Sono state descritte, nei pazienti in terapia con anticorpi monoclonali (mAb) anti-CD20, riattivazioni di HBV (Riedell P e Carson KR, 2014; Eichhorst B e Hallek M, 2019) e rari casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) da JC virus (Herold T et al, 2012). L’uso su larga scala, al di fuori dei trial clinici, delle nuove terapie target recentemente approvate per la LLC sta facendo emergere infezioni opportunistiche da Legionella pneumoniae, Listeria monocytogenes, Candida e Aspergillus (Williams AM et al, 2018; Chamilos G et al, 2018). Il medico ematologo deve essere in grado di prevenire e riconoscere precocemente le infezioni, per mettere in atto tutte le strategie necessarie a salvaguardare un paziente fragile quale quello affetto da LLC (Mauro FR et al, 2021). Il rischio di infezioni opportunistiche da Cryptococcus neoformans (Baron M et al, 2017), Mucor (Pouvaret A et al, 2019) e Fusarium spp, di riattivazioni di HBV e di polmoniti gravi da Pneumocystis jirovecii (Kreiniz N et al, 2018) in pazienti in trattamento con ibrutinib ĆØ stato evidenziato in numerosi case report e case series (de Weerdt I et al, 2017; Brown JR, 2018; Varughese T et al, 2018). Idelalisib in associazioni terapeutiche o in popolazioni di pazienti non precedentemente autorizzate ĆØ stato associato ad un aumento degli eventi avversi gravi e dei decessi per cause infettive, principalmente polmoniti da P. jirovecii e Citomegalovirus (CMV) (de Weerdt I et al, 2017).

L’uso profilattico di farmaci antimicrobici (Brown JR, 2018) e la terapia di supporto con immunoglobuline endovena (IVIG) non ĆØ definito in modo uniforme (Randhawa JK e Ferrajoli A, 2016). Le linee guida sono nazionali, non sempre universalmente applicabili, e basate su opinioni di esperti che raccomandano una profilassi infettiva in specifiche circostanze. Altre evidenze derivano dai trial clinici e da revisioni della letteratura (Pagano L et al, 2017; Tadmor T et al, 2018; Reinwald M et al, 2018; Maschmeyer G et al, 2019; NCCN Guidelines for CLL/SLL, 2022). Nel 2018 l’International Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia (iwCLL) ha introdotto nella revisione delle Linee Guida (Hallek M et al, 2018) un breve aggiornamento sulla valutazione iniziale e sulla profilassi delle complicanze infettive, prima e durante la terapia della LLC. Nel 2019 sono state pubblicate le raccomandazioni della SocietĆ  Italiana di Ematologia per il controllo delle infezioni nei pazienti affetti da LLC trattati con ibrutinib o idelalisib (Zinzani PL et al, 2019; Cuneo A et al, 2019). Un breve paragrafo ĆØ dedicato alle complicanze infettive anche nelle nuove linee guida ESMO (Eichhorst B et al, 2021). Utile ĆØ il ricorso ad alcuni tipi di vaccinazioni (Randhawa JK e Ferrajoli A, 2016; Brown JR, 2018; Svensson T et al, 2018; Eichhorst B e Hallek M, 2019; Eichhorst B et al, 2021; NCCN Guidelines for CLL/SLL, 2022).

Vi è in questo momento un urgente bisogno di linee guida che si basino sui risultati dei trial ma comprendano anche dati tratti dalla pratica clinica, per un adeguato utilizzo dei nuovi farmaci e per la gestione delle loro tossicità, in particolare degli eventi avversi infettivi (Molica S, 2017; Brown JR, 2018; Iskierka-Jażdżewska E e Robak T, 2019).

Negli ultimi 2 anni la malattia COVID-19 ha coinvolto tutto il mondo ed ha avuto un enorme impatto anche sulla gestione dei pazienti con LLC. Dal momento che la pandemia persiste e sembra lontana dalla risoluzione, poichĆ© il virus continua a mutare, sono necessari ampi studi prospettici ben disegnati sull’andamento clinico, sull’outcome, sull’efficacia di specifiche terapie e sulle tempistiche della vaccinazione contro SARS-CoV-2 nei pazienti con LLC e COVID-19 (Chatzikonstantinou T et al, 2021).

 

Seconde neoplasie

A cura di: Enrico Lista, Francesca Maria Quaglia e Antonio Cuneo

I pazienti affetti da LLC presentano un rischio aumentato rispetto alla popolazione generale di sviluppare neoplasie secondarie (ematologiche e non-ematologiche), che ne rappresentano una delle principali cause di morte (Dasanu CA, Alexandrescu DT, 2007; Zheng G, et al 2019; Meacham PJ et al, 2020; Fürstenau M et al, 2021). Dati di registro dei primi anni ’90 riportavano un significativo aumento del rischio di sviluppare neoplasie secondarie nei pazienti con LLC rispetto alla popolazione generale (Travis LB et al, 1992). L’incidenza di neoplasie secondarie nella LLC ĆØ di 1,2-2,2 volte maggiore di quella attesa in una popolazione di pari etĆ  (Tsimberidou AM et al, 2009b). Un ampio studio retrospettivo su più di 16000 pazienti affetti da LLC arruolati nel programma ā€œSurveillance, Epidemiology and End Results (SEER)ā€ seguiti con un follow-up di 5,2 anni, ha mostrato un’incidenza di neoplasie secondarie nell’11% dei pazienti (Hisada M et al, 2001). Altri recenti studi retrospettivi hanno riportato l’incidenza di neoplasie secondarie nei pazienti lungo sopravviventi con LLC (Kumar V et al, 2019; Lenartova A et al, 2020).

Anche la linfocitosi B monoclonale ĆØ associata ad un aumentato rischio di neoplasie secondarie non ematologiche (Solomon BM et al, 2012).

Da molto tempo è noto che le forme più frequenti sono le neoplasie cutanee (Turk T et al, 2020; Mulligan SP et al, 2019; Ishdorj G, et al, 2019), con un rischio aumentato di 8 volte rispetto alla popolazione generale, (Manusow D e Weinerman BH, 1975), e a seguire i tumori prostatici, mammari, gastrointestinali e polmonari (Travis LB et al, 1992).

I fattori di rischio e i meccanismi patogenetici che giustificano l’aumentata incidenza di neoplasie, sono diventati più chiari negli ultimi anni (Vitale C et al, 2021). Innanzitutto, il fattore etĆ . Considerando l’elevata etĆ  mediana alla diagnosi (70 anni) dei pazienti con LLC, che per la maggior parte rimangono sotto sorveglianza per anni, non ĆØ sorprendente che durante il corso della loro malattia possano manifestarsi altre neoplasie e che queste impattino in modo significativo sulla prognosi. Strati et al. (Strati P et al, 2017) ha riportato i risultati su una coorte prospettica di 1143 pazienti con nuova diagnosi di LLC: dopo un follow up mediano di 6 anni si erano registrati 225 decessi e la causa di morte era una neoplasia secondaria nel 19% dei pazienti (Vitale C et al, 2021).

Indubbiamente, oltre al fattore etĆ  entrano in gioco i precedenti trattamenti (Vitale C et al, 2021; da Cunha-Bang C et al, 2021), anche se i dati non sono sempre concordanti. Uno studio ha riportato una assenza di diversa incidenza di neoplasie secondarie nei pazienti non trattati e trattati con clorambucile (Callea V et al, 2006). Il contributo dei precedenti trattamenti ĆØ stato analizzato da Falchi e colleghi, che hanno analizzato 797 pazienti con LLC con sopravvivenza maggiore di 10 anni (Falchi L et al, 2016). In questa coorte, l’incidenza cumulativa di neoplasie secondarie era simile nei pazienti che avevano ricevuto un trattamento per la LLC rispetto ai pazienti non trattati (36%), e la terapia per la LLC non era associata al verificarsi di altre neoplasie in analisi multivariata. Al contrario, una vasta analisi population-based sui dati di 38754 pazienti con LLC, derivanti dal database SEER (Surveillance Epidemiology and End Results), mostrava un rischio aumentato di neoplasie secondarie nei pazienti che avevano ricevuto precedentemente una chemioterapia rispetto ai pazienti non trattati (Kumar V et al. 2019). Tuttavia, quando l’analisi veniva ristretta ai pazienti con diagnosi di LLC tra il 2003 e il 2015, periodo in cui era stato notato un complessivo aumento di neoplasie, non ĆØ stato riscontrata differenza nel rischio di tumori solidi tra pazienti trattati e non trattati.

Dibattuti sono i dati riguardanti l’effetto dello schema FCR (fludarabina, ciclofosfamide e rituximab). E’ noto infatti che il trattamento con agenti alchilanti e analoghi purinici predispone allo sviluppo di neoplasie. L’aggiunta del rituximab inoltre potenzia lo stato di immunosoppressione. Dati storici non associano l’utilizzo degli analoghi delle purine a un significativo incremento del rischio di neoplasie secondarie (Jennifer A e Woyach JA, 2009). Uno studio (Cheson BD et al, 1999) ha confrontato il numero di neoplasie secondarie osservate e attese in 724 pazienti con LLC recidivata/refrattaria (R/R) trattati con fludarabina con un follow-up mediano di 7,4 anni: si evidenziava un maggior numero di neoplasie secondarie rispetto a quelle attese in soggetti sani, ma non rispetto ai pazienti affetti da LLC non trattati. L’utilizzo di terapie contenenti fludarabina correla invece con una maggiore incidenza di leucemia acuta mieloide (LAM) e mielodisplasie (SMD) secondarie (Morrison VA et al, 2002; Tam CS et al, 2006). Uno studio dell’MD Anderson (Benjamini O et al, 2015) ha mostrato che il trattamento di prima linea con FCR si associava a un rischio di 2,38 volte aumentato di sviluppare neoplasie secondarie rispetto alla popolazione generale. In particolare, l’incidenza di LAM e SMD era del 5,1% durante il follow-up di 4,4 anni, in linea con i dati precedenti (Zhou Y et al, 2012). I fattori di rischio erano l’etĆ  maggiore di 60 anni e il sesso femminile. La maggiore incidenza nelle donne potrebbe spiegarsi con la maggiore mielotossicitĆ  causata da differenze di farmacodinamica della chemio-immunoterapia (CIT).

Anche alte dosi cumulative di ciclofosfamide sono state associate a un aumentato rischio di SMD-LAM (Benjamini O et al, 2015; Zhou Y et al, 2012; Xu Y et al, 2013). La fludarabina potenzia il danno al DNA indotto dagli agenti alchilanti e ne riduce la capacitĆ  di riparazione. Ciò si traduce clinicamente in un tempo minore allo sviluppo di SMD/LAM dopo terapia con agenti alchilanti (Yamauchi T et al, 2001; McLaughlin P et al, 2005). Bisogna però sottolineare che l’incidenza delle SMD ĆØ probabilmente sovrastimata a causa di un quadro di citopenie ritardate e dei cambiamenti displastici indotti dalla chemioterapia. Il follow-up del trial CLL8 che confrontava FC e FCR in prima linea ha mostrato, a una mediana di osservazione di 5,9 anni, un’incidenza di seconde neoplasie del 15,3%, di cui il 40,4% di neoplasie solide, 14% di neoplasie cutanee, 17,6% di neoplasie ematologiche e il 27,9% di trasformazioni in sindrome di Richter .

L’incidenza non risultava aumentata rispetto alla popolazione generale di pari etĆ  (Fischer K et al, 2016).

L’incidenza e i fattori di rischio per le neoplasie secondarie sono stati recentemente valutati in una coorte di 691 pazienti trattati con ibrutinib o acalabrutinib (Bond DA et al, 2020). Dopo un follow up mediano di 44 mesi, il 20% dei pazienti riceveva una diagnosi di neoplasia cutanea non-melanoma e il 9% di altre neoplasie, complessivamente responsabili del 13% dei decessi. In questa coorte di pazienti un rischio inferiore di neoplasie secondarie era associato in analisi multivariata a un livello più alto al baseline di linfociti T CD8+, indicando una correlazione tra la funzione immunitaria e la carcinogenesi in questa popolazione di pazienti (Vitale C et al, 2021). Il ruolo importante svolto dallo stato di immunosoppressione tipico della LLC – in particolare la disfunzione delle cellule T – era giĆ  stato individuato anni fa (Greene MH et al, 1978). Al di lĆ  dell’impatto dei trattamenti, infatti, proprio le complesse alterazioni immuni che caratterizzano la LLC si possono manifestare clinicamente in modo rilevante non solo come fenomeni autoimmuni e aumentato rischio infettivo (vedicomplicanze infettive ma anche con un aumentato rischio di neoplasie secondarie (Dasanu CA, Alexandrescu DT, 2007; Falchi L et al, 2016; Vitale C et al, 2021).

Sono stati fatti alcuni tentativi per identificare possibili correlazioni tra lo sviluppo di neoplasie secondarie e i parametri biologici della LLC. In una analisi retrospettiva su 2028 pazienti con LLC, Tsimberidou e colleghi (Tsimberidou AM et al, 2009b) hanno riportato che livelli elevati di β2-microglobulina e LDH, ma non la presenza di anomalie citogenetiche, erano fattori predittivi indipendenti per lo sviluppo di neoplasie. Tuttavia, nella giĆ  citata analisi sui lungo sopravviventi di Falchi et al. (Falchi L et al, 2016) la β2-microglobulina non risultava un fattore predittivo indipendente, probabilmente per le differenze nelle popolazioni dei pazienti. Ulteriori studi dovrebbero valutare l’impatto dei noti fattori prognostico-predittivi, ma anche dei parametri immunologici, sullo sviluppo di neoplasie secondarie (Vitale C et al, 2021). Il Gruppo della Mayo Clinic ha analizzato retrospettivamente in modo specifico per lo sviluppo di neoplasie secondarie 962 pazienti con LLC (Maddocks-Christianson K et al, 2007). Dopo un follow up mediano di 3,3 anni, il 2,9% dei pazienti sviluppava una seconda malattia linfoproliferativa e ciò non si associava a caratteristiche biologiche della LLC, come l’espressione di ZAP70 o CD38, lo stato IGHV o alterazioni citogenetiche.

In generale le neoplasie secondarie a LLC hanno un decorso più aggressivo e una sopravvivenza inferiore rispetto alle forme non associate a LLC, in particolare le neoplasie mammarie, prostatiche, cutanee e del colon-retto (Solomon BM et al, 2013; Royle JA et al, 2011; Girschik J et al, 2008). La causa della differente prognosi ĆØ probabilmente legata alla minor efficacia del sistema immunitario che favorisce cosƬ l’invasione locale e le metastasi. Sembrano svolgere un ruolo importante anche le precedenti terapie per la LLC. ƈ possibile, infatti, che la deplezione T cellulare indotta dalla fludarabina sia responsabile del diverso comportamento biologico delle cellule neoplastiche. A tal proposito si ĆØ notato che le forme secondarie al trattamento con fludarabina sembrano avere un decorso più sfavorevole (Benjamini O et al, 2015). Al contrario ĆØ possibile che neoplasie mammarie in corso di ibrutinib presentino una progressione inferiore, grazie all’effetto di ibrutinib sulle cellule del microambiente (Varikuti S et al, 2020).

E’ inevitabile che la presenza di un’altra neoplasia possa avere un impatto sulla prognosi complessiva di un paziente. Nella giĆ  citata analisi di Tsimberidou et al. (Tsimberidou AM et al, 2009b), i pazienti con anamnesi di altra neoplasia al momento della presentazione della LLC avevano un OS significativamente più breve rispetto a quelli che non presentavano un’anamnesi di altra neoplasia. Gli autori però non valutavano in modo specifico la sopravvivenza dei pazienti che sviluppavano una neoplasia secondaria dopo la diagnosi di LLC rispetto a chi non presentava una neoplasia secondaria. Tra i 12041 pazienti con LLC dello Swedish Cancer Registry, Toro e colleghi (Toro JR et al, 2009) riportavano 236 casi di neoplasie cutanee non-melanoma, tra cui 111 carcinomi a cellule squamose. Questi pazienti avevano un OS significativamente inferiore rispetto ai pazienti con LLC senza storia di questi tumori. Tuttavia, ĆØ necessario sottolineare che l’etĆ  mediana alla diagnosi di LLC per i pazienti con neoplasie cutanee non-melanoma era significativamente più alta rispetto a quella dei pazienti senza storia di questi tumori (78,5 vs. 71 anni). Infine, Royle et al. (Royle JA et al, 2011) riportavano in una coorte di 13580 pazienti con diagnosi di LLC in Australia tra il 1983 e il 2005 una incidenza di neoplasie secondarie del 2,17. Un 65% dei decessi era attribuito alle neoplasie secondarie. Complessivamente i pazienti con LLC avevano tasso di mortalitĆ  di 2,5 volte superiore rispetto alla popolazione generale.

Sono necessari ulteriori studi per chiarire se le neoplasie secondarie abbiano davvero una evoluzione più aggressiva, determinando quindi un peggior outcome, nei pazienti con LLC rispetto alla popolazione generale (Vitale C et al, 2021) e come questo possa essere influenzato dalle terapie.

 

– Trasformazione istologica

A cura di: Francesca Maria Quaglia e Antonio Cuneo

La sindrome di Richter (SR) rappresenta lo sviluppo di un linfoma aggressivo in un paziente affetto da LLC (Agbay RLM et al, 2016). E’ una condizione relativamente rara, che può verificarsi nel 5-10% dei pazienti affetti da LLC (Rossi D et al, 2008). La forma più frequente (90-95% dei casi) ĆØ la SR variante Diffuse Large B-cell lymphoma (DLBCL). Più raramente (5-10% dei casi) ĆØ possibile lo sviluppo di un Hodgkin lymphoma (HL) (Tsimberidou AM et al, 2006a). Si parla in questo caso di SR variante Hodgkin, HvRS (Tadmor T et al, 2014). La SR ĆØ caratterizzata da un rapido deterioramento clinico con brusca comparsa di sintomi sistemici, aumento asimmetrico dei linfonodi, splenomegalia ed epatomegalia, versamenti nelle cavitĆ  sierose e cachessia. La diagnosi, sospettata clinicamente, laboratoristicamente e radiologicamente, necessita della conferma istologica su biopsia di un linfonodo ingrandito (Rossi D e Gaidano G, 2009).

Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti nella comprensione delle basi genetiche e molecolari della SR (Tadmor T e Levy I, 2021). L’accumulo di molteplici lesioni genetiche suggerisce che nella SR vi sia una instabilitĆ  genomica che predispone le cellule neoplastiche alla trasformazione (Fülƶp Z et al, 2003). Una preoccupazione ha riguardato il possibile aumento di incidenza di SR tra i pazienti trattati con inibitori di Bruton tyrosine kinase (BTKi) o inibitori di BCL2 (BCL2i). Nei primi trial clinici con i nuovi farmaci ĆØ stata descritta una incidenza del 2–15% di SR nei pazienti con LLC recidivata/refrattaria (R/R) trattati con ibrutinib, idelalisib o venetoclax. Questi dati allarmanti erano probabilmente dovuti al reclutamento di pazienti con malattia R/R pluritrattati o addirittura in un iniziale stadio di trasformazione. Nei trial clinici che hanno coinvolto pazienti con LLC trattati in prima linea con nuovi farmaci, l’incidenza di SR era dello 0–4%, indicando quindi che non c’è un aumento del numero di casi di SR durante la terapia con questi efficaci agenti biologici (Tadmor T e Levy I, 2021).

L’analisi del riarrangiamento dei geni IGHV-D-J ha evidenziato che la maggior parte (80%) delle SR variante DLBCL ĆØ clonalmente correlata alla precedente LLC e ne rappresenta una vera trasformazione con outcome sfavorevole (Tadmor T e Levy I, 2021). Circa il 20% delle SR variante DLBCL presenta riarrangiamenti diversi IGHV-D-J rispetto alla LLC originaria e si configura quindi come una forma non clonalmente correlata (Rossi D e Gaidano G, 2016), con un outcome simile a quello di un DLBCL de novo (Tadmor T e Levy I, 2021). Solo una frazione delle HvRS ĆØ clonalmente correlata alla precedente LLC. Circa il 50-60% delle HvRS presenta riarrangiamenti diversi IGHV-D-J rispetto alla LLC originaria e risulta quindi una patologia non clonalmente correlata (linfoma di Hodgkin de novo) (Rossi D e Gaidano G, 2016).

Non esiste consenso sul miglior approccio terapeutico per i pazienti con SR, che presentano risposte limitate alle terapie standard e sopravvivenza mediana di 8-12 mesi (Tsimberidou AM et al, 2006b; Pagel JM, 2017).  Nuovi farmaci e nuove combinazioni terapeutiche potrebbero risultare efficaci per la SR, in aggiunta alla tradizionale chemio-immunoterapia. Risultati promettenti sono stati ottenuti anche con gli anticorpi bi-specifici e le CAR-T cells. Ad oggi, però, il trattamento della SR si basa su dati derivati da studi clinici non randomizzati, su numeri ancora troppo piccoli di pazienti e rimane quindi un unmet clinical need di primaria importanza.

La trasformazione in leucemia a prolinfociti (prolymphocytic leukemia, PLL) ĆØ una evenienza poco frequente e si contraddistingue per la comparsa nel sangue periferico e nel midollo osseo di cellule linfoidi definite prolinfociti in quota superiore al 55%. Nel 1973 Catovsky, Galton e colleghi ridefinirono il concetto di PLL, identificandone i sottotipi B e T (B-PLL e T-PLL). Nonostante la presentazione clinica simile, caratterizzata da rapido decadimento fisico, linfocitosi, splenomegalia e prognosi infausta, i sottotipi B e T sono diversi per il loro specifico fenotipo, la citogenetica e le caratteristiche molecolari (Castoldi G e Liso V, 2013). Per quanto riguarda la B-PLL gli aspetti chiave sono la sua eterogeneitĆ  biologica e la possibilitĆ  che si tratti di una trasformazione aggressiva di diverse malattie linfoproliferative. La sua raritĆ  preclude al momento conclusioni adeguate sugli aspetti biologici e sulle migliori strategie terapeutiche (El Hussein S et al, 2021).

La T-PLL rappresenta una delle maggiori sfide tra le malattie ematologiche rare. Nuovi studi stanno chiarendone le basi biologiche e le conseguenti ricadute terapeutiche (Braun T, et al. 2021).

 

Terapia della LLC

La terapia della LLC viene definita nell’ambito di un articolato processo decisionale, che deve tener presente tutti i seguenti aspetti:

a) quando iniziare il trattamento;
b) l’etĆ  e le condizioni cliniche generali del paziente;
c) le caratteristiche cliniche della malattia;
d) alcune caratteristiche biologiche;
e) i risultati dei trial clinici.

 

a) Inizio della terapia

Esiste evidenza, ben documentata (CLL Trialists’ Collaborative Group, 1999), che il trattamento precoce degli stadi iniziali o intermedi nei pazienti con malattia stabile e asintomatica non prolunga la sopravvivenza rispetto ad una vigile attesa seguita dalla terapia somministrata al momento dell’evoluzione clinica. Questi dati, riferiti ad un’epoca in cui la terapia disponibile era il clorambucile, non hanno ad oggi trovato smentita nonostante la disponibilitĆ  da almeno un decennio di agenti di maggiore efficacia rispetto al clorambucile, quali fludarabina, alemtuzumab, bendamustina e combinazioni di chemioterapia e rituximab. Il trattamento in fase iniziale espone il paziente al rischio di infezioni e, in un 2% circa dei casi, al rischio di morte correlabile al trattamento, a fronte di una probabilitĆ  di rimanere asintomatici con malattia stabile, pari al 49% dopo 11 anni per i pazienti in stadio A di Binet (Dighiero G et al, 1998). Un trial che ha randomizzato ad un trattamento precoce con fludarabina rispetto alla classica vigile attesa i pazienti con fattori di rischio biologico sfavorevole (IGHV non mutato, FISH sfavorevole, CD38+) che, in media, richiedono terapia dopo 2-6 anni dalla diagnosi (Shanafelt TD et al, 2010; Morabito F et al, 2009), non ha prodotto alcun vantaggio di sopravvivenza nei pazienti trattati (Hoechstetter MA et al, 2017). Analoghi risultati sono stati ottenuti impiegando il regime FCR (vide infra) rispetto alla vigile attesa in pazienti in stadio iniziale con LLC ad alto rischio di progressione (Herling CD et al, 2020).

Un recente studio (studio CLL12), ha arruolato pazienti asintomatici, ma ad alto rischio di progressione, paragonando la classica vigile attesa alla terapia orale con l’inibitore della Bruton tirosin chinasi ibrutinib (vide infra). Lo studio ha dimostrato una più lunga sopravvivenza libera da eventi nei pazienti che ricevevano ibrutinib, un numero di eventi avversi paragonabile nelle due braccia del protocollo, con tuttavia una percentuale di fibrillazione atriale significativamente più alta nel braccio interventistico, in assenza di differenze della sopravvivenza (Langerbeins P et al, 2021).

Vi ĆØ pertanto attualmente unanime consenso sul concetto di non trattare i pazienti asintomatici, in stadio iniziale o intermedio che non presentano adenopatie massive, indipendentemente dalla presenza alla diagnosi di uno o più fattori di rischio biologico. I principali criteri che pongono indicazione all’inizio della terapia (Hallek M et al, 2018) sono elencati in Tabella X.

 

Tabella X: Criteri per iniziare il trattamento nella LLC*.

 

b) EtĆ  e condizioni cliniche

I dati demografici dimostrano che il paziente con LLC ha un’aspettativa di vita inferiore alla popolazione di pari etĆ  (Shanafelt TD, 2009) e che questa differenza può non essere evidente nei casi diagnosticati ad un’etĆ  >75 anni (Shanafelt TD et al, 2010).
Nella programmazione della terapia ĆØ importante tener presente le condizioni del paziente e sono oggi disponibili alcuni strumenti di valutazione oggettiva, quali il Cumulative Illness Rating Scale, riprodotto in Tabella XI (Parmelee PA et al, 1995), che, pur non essendo stati concepiti per saggiare la tollerabilitĆ  alla chemioterapia, sono ampiamente utilizzati nei trial clinici. Ad esempio, non venivano arruolati nello studio che valutava l’efficacia di FCR rispetto a FC i pazienti con un CIRS >6 (Extermann M et al, 1998; Hallek M et al, 2010)

 

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Tabella XI: Cumulative Illness Rating Scale. (Da Panmalee PA et al, 1995).

 

Importanza nella scelta della terapia ĆØ da riservare alla valutazione della funzionalitĆ  renale, non solo come livelli di creatinina e azotemia, ma valutando la clearance della creatinina che, se < 70 ml/min, deve imporre cautela nell’impiego dei moderni regimi di chemioimmunoterapia impieganti fludarabina. Di pari importanza ĆØ la storia anamnestica relativa a pregresse infezioni, specialmente nei pazienti pretrattati.

 

c) Le caratteristiche cliniche della malattia

Il paziente può richiedere trattamento per una chiara espansione della malattia a livello emato-midollare, oppure per un prevalente progressivo coinvolgimento linfonodale (Grever MR et al, 2007). Talora i pazienti con LLC richiedono terapia per condizioni indirettamente collegate alla malattia, in particolare per le manifestazioni autoimmuni riportate in Tabella IX. Tra queste le più frequenti sono rappresentate dall’anemia emolitica autoimmune (AEA) o dalla piastrinopenia autoimmune. L’approccio terapeutico dell’AEA, che può presentarsi alla diagnosi o, più frequentemente, durante il decorso della malattia e nei pazienti pretrattati (Mauro FR et al, 2000), ĆØ incentrato sull’utilizzo degli steroidi, che producono risposte globali nel 90% dei casi, con scomparsa dell’emolisi nel 60-70% dei casi. In caso di mancata risposta allo steroide si può utilizzare l’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab in combinazione con citostatici (ciclofosmamide), o inibitori di BTK e di BCL2 (vide infra) (Go RS et al, 2017;Ā Vitale C et al, 2021), come riportato nella proposta di algoritmo terapeutico schematizzata in Figura IV (Dearden C, 2008).

 

Figura IV: Trattamento dell’anemia emolitica autoimmune nella LLC.

Ā 

d) Caratteristiche biologiche

In generale, la conoscenza dei fattori prognostici o predittivi di risposta ĆØ utile nell’orientare medico e paziente sulle strategie terapeutiche.

Al momento del trattamento di prima linea o alla ricaduta, la determinazione della delezione 17p e delle mutazioni di TP53 sono oggi assolutamente necessarie per programmare una terapia diversificata, incentrata su inibitori del signaling intracellulare o di BCL2 (vide infra).

E’ anche necessario determinare in laboratori qualificati e accreditati lo stato mutazionale delle porzioni variabili del gene immunoglobulinico (IGHV) in quanto nei pazienti con IGHV non mutato la chemioimmunoterapia ĆØ meno efficace.Ā  Nella pratica clinica si possono inoltre presentare frequentemente condizioni nelle quali la terapia di induzione prescelta o il numero totale di cicli di chemioimmunoterapia da somministrare può essere il frutto di un ragionamento che soppesa le condizioni generali del paziente, il grado di aggressivitĆ  della malattia e la tolleranza al trattamento.

 

e) I risultati dei trial clinici

L’efficacia e la tollerabilitĆ  dei regimi chemio/immunoterapici, comunemente impiegati nel passato e oggi ormai largamente superati dai moderni trattamenti con agenti biologici ĆØ riassunta in Tabella XII (prima linea) e in Tabella XIII (successive linee di trattamento).

 

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Tabella XII: Efficacia e tollerabilitĆ  dei principali schemi di chemioimmunoterapia di prima linea.

 

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Tabella XIII: Efficacia e tollerabilitĆ  dei regimi di chemioimmunoterapia di seconda linea nella LLC.

 

A partire dal 2013 si sono imposti all’attenzione della comunitĆ  scientifica, in uno scenario in rapidissima evoluzione, i dati relativi all’efficacia e alla sicurezza di farmaci biologici che interferiscono con il signaling intracellulare mediato dalla Bruton tirosin chinasi (BTK) o dalla fosfatidil-inositolo-3-chinasi-delta (PIK3D) o con l’attivitĆ  di BCL2 (Figura V), oggi impiegati anche in combinazione nell’ambito di trial clinici, che hanno portato all’approvazione da parte dell’agenzia europea dei medicinali (EMA) della combinazione di ibrutinib e venetoclax (vide infra) . I meccanismi di azione di questi composti e i fattori biologici ad oggi noti in grado di determinare l’insorgenza di farmaco-resistenza sono stati oggetto di eccellenti articoli a cui si rimanda il lettore (Wiestner A et al, 2015; Merino D et al, 2018; Thangavadivel S et al, 2021; Ong F et al, 2022).

 

Figura V: Farmaci biologici che interferiscono con il signaling intracellulare o con l’attivitĆ  di BCL2.

 

Sono quindi entrati nella pratica clinica corrente in Italia gli inibitori di BTK ibrutinib e acalabrutinib, l’inibitore della PIK3D idelalisib, l’inibitore di BCL2Ā  venetoclax ed ha ottenuto l’approvazione FDA ed EMA l’inibitore BTK di seconda generazione zanubrutinib. I dati dei principali studi relativi a queste molecole sono riassunti nelle tabelle XIV (prima linea) Ā  e nelle tabelle XV (pazienti recidivati o refrattari). L’inibitore di PIK3D idelalisib ĆØ oggi di utilizzo assai limitato per le problematiche legate ad eventi avversi immuno-mediati (colite, grave aumento delle transaminasi) e il lettore ĆØ rimandato alla trattazione di Brown per la dettagliata descrizione delle sua caratteristiche di efficacia e tollerabilitĆ  (Brown JR et al, 2022).

 

Tabella XIVa: Efficacia e tollerabilitĆ  degli inibitori di BTK ibrutinib acalabrutinib e zanubrutinib nella terapia di prima linea della LLC.

 

Tabella XIVb: Efficacia e tollerabilitĆ  dell’inibitore PIK3D idelalisib e rituximab nella terapia di prima linea della LLC.

 

Tabella XIVc: Efficacia e tollerabilitĆ  dell’inibitore di BCL2 venetoclax con l’anticorpo monoclonale anti CD20 obinutuzumab nella terapia di prima linea della LLC.

Ā 

Tabella XVa: Efficacia e tollerabilitĆ  degli inibitori BKT approvati da EMA nella LLC recidivata/refrattaria.

 

Tabella XVb: Efficacia e tollerabilitĆ  dell’inibitore di BCL2 venetoclax nella LLC recidivata/refrattaria.

Ā 

I risultati dei trial clinici devono essere trasferiti ai pazienti comuni tenendo conto che, di norma, la popolazione affetta da LLC ha un’etĆ  mediana più alta (Figura VI) e un numero di comorbiditĆ  maggiore rispetto a quelle dei pazienti arruolati negli studi (Figura VII), dato che può comportare un aumento degli eventi avversi e delle sospensioni anche con i nuovi farmaci biologici (Ghia P and Cuneo A, 2016).

 

Figura VI: Frequenza della LLC nella popolazione statunitense stratificata per fasce d’etĆ  a confronto con l’etĆ  mediana dei pazienti affetti da LLC arruolati in alcuni trial clinici.

 

Figura VII: Numero medio di comorbidità nei pazienti affetti da LLC stratificati per età.

 

Terapia:Ā considerazioni generali

L’approccio attuale alla terapia della LLC tiene conto delle seguenti considerazioni:

1) La combinazione di fludarabina e ciclofosfamide con l’aggiunta di rituximab (FCR) migliora la sopravvivenza nel paziente giovane e/o in buone condizioni generali rispetto alla migliore chemioterapia, rappresentata da fludarabina e ciclofosfamide (Hallek M et al, 2010). La combinazione alternativa che associa bendamustina e rituximab appare meglio tollerata e per lo meno altrettanto efficace rispetto a FCR nei pazienti anziani (i.e.≄65 anni) Ā in buone condizioni di salute (Eichhorst B et al, 2016). Entrambe le terapie possono ottenere remissioni profonde con negativitĆ  della malattia minima residua in una parte significativa dei casi (Eichhorst B et al, 2014). In particolare, i pazienti senza delezione 17p, senza mutazioniĀ TP53Ā e con IGHV mutato possono avere remissioni complete e durature nel 60-70% dei casi con il regime FCR (Fisher K et al, 2015;Ā Thompson PA, 2016;Ā Rossi D, 2015). Nei pazienti con 17p- o mutazioni di TP53 questa terapia, al pari di altre chemioimmunoterapie, ĆØ di scarsa efficacia e non deve quindi essere usata (vide infra). Il regime chemioimmunoterapico FCR rappresenta lo standard contro il quale debbono confrontarsi nell’ambito dei trial clinici le nuove terapie con agenti biologici.

2) Il controllo della sintomatologia, ottenibile con terapie meno aggressive, può essere vantaggioso nella popolazione anziana (Eichhorst BF et al, 2009). Studi retrospettivi hanno dimostrato un prolungamento della sopravvivenza rispetto a controlli storici nei pazienti anziani trattati con fludarabina in associazione a rituximab (Woyach JA et al, 2013). Inoltre, nei pazienti con comorbiditĆ , l’aggiunta al clorambucile del nuovo anticorpo monoclonale anti CD20 obinutuzumab ha consentito di ottenere risposte complete con negativizzazione della malattia minima residua in una parte significativa dei casi, di migliorare la sopravvivenza rispetto al clorambucile da solo e di prolungare la sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto all’associazione del clorambucile con l’anticorpo anti CD20 di prima generazione rituximab (Goede V et al, 2014). Infine, l’aggiunta dell’anticorpo monoclonale anti CD20 ofatumumab al clorambucile ha consentito di ottenere un aumento significativo della percentuale di risposte alla terapia con negativizzazione della malattia minima residua in una parte dei casi ed un prolungamento della PFS (Hillmen P et al, 2015). Questi dati, nel complesso, hanno consentito di stabilire che i regimi clorambucile e obinutuzumab o bendamustina e rituximab, regimi chemioimmunoterapici Ā largamente impiegati nel passato, rappresentano lo standard contro il quale debbono confrontarsi nell’ambito dei trial clinici le nuove terapie con agenti biologici nei pazienti anziani e/o con comorbiditĆ 

3) Le terapie con nuovi farmaci biologici, impiegati in prima linea, hanno inoltre fornito importantissime informazioni, illustrate in dettaglio nelle tabella XIV e qui di seguito riassunte, che hanno cambiato l’approccio terapeutico della LLC:

  • Ibrutinib, assunto per via orale ed in via continuativa migliora la sopravvivenza rispetto al solo clorambucile (Burger I et al, 2015).
  • Ibrutinib migliora la PFS, ma non la sopravvivenza globale rispetto alla chemioimmunoterapia nel paziente anziano (Woyach JA et al, 2018;Ā Moreno et al, 2019). La PFS migliora nettamente con ibrutinib, soprattutto nei pazienti con IGHV non mutato e, in misura meno evidente, ma significativa, nei pazienti con IGVH mutato (Ahn IE, Brown JR, 2022).
  • Acalabrutinib, un inibitore BTK di seconda generazione più selettivo di ibrutinib, migliora la PFS, ma non la sopravvivenza globale, rispetto a clorambucile e obinutuzumab (Sharman JP et al, 2020; Sharman JP et al, 2022).
  • Ibrutinib migliora la PFS rispetto a FCR nei pazienti giovani e in buone condizioni soprattutto nei pazienti con IGHV non mutato e, in misura meno evidente, ma significativa, nei pazienti con IGVH mutato . La sopravvivenza ĆØ migliore con ibrutinib, ma non ĆØ disponibile il dato stratificato per profilo mutazionale IGHV (Shanafelt TD et al, 2019; Shanafelt TD et al, 2022).
  • Venetoclax e l’anticorpo monoclonale anti CD20 obinutuzumab producono risposte profonde con negativizzazione della malattia minima residua (i.e. <10-4 cellule residue nel sangue periferico) e migliorano la PFS, ma non la sopravvivenza, rispetto alla combinazione clorambucile e obinutuzumab nel paziente con comorbiditĆ . Il vantaggio di PFS ĆØ molto evidente nei pazienti con IGHV non mutato (Fischer K et al, 2019) ed ĆØ meno evidente, ma significativo, nei pazienti con IGHV mutato (Al-Sawaf O et al, 2021). Questa terapia, diversamente dalle altre terapie con inibitori di BTK, viene somministrata per un periodo definito (12 cicli ogni 28 giorni).
  • Nei pazienti con 17p- la terapia di prima linea deve avvalersi degli inibitori di BTK (ibrutinib, acalabrutinib o, zanubrutinib, e dell’inibitore di BCL2 venetoclax con o senza obunutuzumab. Queste terapie si sono dimostrate efficaci nei pazienti con 17p- o mutazione di TP53 (Hallek M et al, 2021).
  • I risultati di tutte le chemioimmunoterapie, sia nel giovane che nell’anziano, sono decisamente deludenti nei pazienti con delezione 17p e/o con mutazione di TP53. In questi pazienti i risultati ottenuti in prima linea non vanno oltre una mediana di 18 mesi di PFS con alemtuzumab (oggi non più in commercio) e alte dosi di steroide, o un modesto 18% di pazienti liberi da progressione a 3 anni con FCR. L’unica opzione che può ottenere una prolungata remissione in questi pazienti ĆØ il trapianto allogenico (Roeker LE et al, 2020).

4) Nei pazienti con LLC ricaduta o refrattaria le nuove terapie orali che bloccano il signaling mediato dal BCR o BCL2 hanno prodotto risultati di grandissimo interesse in termini di risposta, sopravvivenza libera da progressione e tollerabilitĆ  (Tabelle XV) e hanno cambiato il paradigma di trattamentoĀ  di questa fase della malattia, essendo efficaci anche in presenza di malattia plurirecidivata e/o refrattaria ed in presenza della delezione 17p (FoĆ  R e Guarini A, 2013;Ā Byrd JC et al, 2013;Ā Furman RR et al, 2014). La chemio-immunoterapia non ha più alcun ruolo nella LLC recidivata o refrattaria. Ā Ibrutinib, acalabrutinib e zanubrutinib, che inibiscono BTK, rappresentano assieme all’inibitore orale di BCL2 venetoclax associato all’anticorpo monoclonale anti CD20 rituximab i farmaci di scelta per la LLC recidivata e refrattaria (Roberts AW et al, 2015;Ā Stilgenbauer S et al, 2016; Hallek M et al, 2021; Brown JR et al, 2022; Seymour JF et al, 2018). Nei pazienti refrattari a questi nuovi farmaci ĆØ oggi da considerare l’impiego, non ancora autorizzato dagli enti regolatori, dell’inibitore non covalente di BTKĀ  pirtobrutinib, che ĆØ in grado di superare la resistenza agli altri inibitori di BTK e di produrre riposte nella maggior parte dei casi (Mato AR et al, 2021).

 

Terapia di prima linea

La chemioimmunoterapia ha oggi un ruolo sempre più limitato e marginale nella terapia della LLC (Walewska R et al, 2022; Wierda WG et al, 2022) e le principali opzioni nelle varie tipologie di pazienti sono qui di seguito illustrate. Oggi è possibile scegliere trattamenti da utilizzare sino a progressione (inibitori di BTK) e trattamenti di durata definita (venetoclax associato ad anti CD20 o chemioimmunoterapia) (Figura VIII).

 

Figura VIII: Principali opzioni per la Terapia di prima linea nel paziente con LLC nel 2023.

 

a) Pazienti in buone condizioni di salute e senza delezione 17p- o mutazione di TP53

Le nuove terapie biologiche rappresentano oggi la terapia di prima linea di scelta nella maggior parte dei pazienti ai quali si possono offrire terapie orali con inibitori di BTK in via continuativa, vale a dire sino a progressione o a sviluppo di tossicitĆ  significative, ovvero una terapia di durata definita (1 anno) utilizzando l’inibitore di BCL2 venetoclax in combinazione con l’anticorpo monoclonale anti CD20 obinutuzumab

Gli inibitori di BTK ibrutinib o acalabrutinib sono sicuramente da preferire nei pazienti con profilo IGHV ā€œnon-mutatoā€, alla luce dei risultati dei trial clinici che ne hanno dimostrato la netta superioritĆ  di PFS rispetto a FCR (Shanafelt TD et al, 2018) e rispetto a clorambucile ed obinutuzumab (Sharman JP et al, 2020). Come detto, il lungo follow-up dei trial clinici ha consentito di dimostrare un vantaggio di queste terapie in termini di PFS anche nei pazienti con IGHV mutato, che tradizionalmente si riteneva potessero rispondere altrettanto bene alla chemioimmunoterapia. EMA ha approvato l’inibitoreĀ  della BTK di seconda generazione zanubrutinib sulla base di studi che ne hanno documentato un netto vantaggio rispetto alla cheimioimmunoterapia (Tam CS et al, 2022b).

Una approvazione allargata a tutti i pazienti con LLC ĆØ stata riconosciuta da EMA alla combinazione dell’inibitore di BCL2 venetoclax e obinutuzumab che, in un confronto con clorambucile e obinutuzumab in pazienti con comorbiditĆ , ha dimostrato un netto vantaggio di PFS (Fischer K et al, 2019). In Italia venetoclax e obinutuzumab sono rimborsati per i pazienti non candidabili a FCR. Vista la superioritĆ  di questa combinazione rispetto alla chemio-immunoterapia in tutti i sottotipi genetici della LLC il concetto di candidabilitĆ  a FCR può tenere conto non solo delle comorbiditĆ  del singolo paziente, ma anche della superiore efficacia di questa terapia biologica di durata definita.

I principali effetti collaterali di queste terapie biologiche sono riassunti nel paragrafo dedicato alla LLC recidivata-refrattaria.

Qualora si opti per un regime di chemio-immunoterapia, limitatamente ai pazienti con un profilo genetico ā€œfavorevoleā€, vale a dire con IGHV mutato, si può utilizzareĀ  la combinazione fludarabina (F), ciclofosfamide (C) e rituximab (R), secondo lo schema FCR (Keating MJ, 2005;Ā Hallek M et al, 2010), in quanto questo trattamento ha per la prima volta documentato un allungamento della sopravvivenza rispetto al migliore standard chemioterapico, rappresentato dalla combinazione FC, che a sua volta si era dimostrata superiore a F e a C in precedenti studi, riassunti in Tabella XII.
I pazienti trattati con FCR nel trial CLL8 presentavano una sopravvivenza libera da progressione pari al 38% e una sopravvivenza pari al 69,4% dopo una mediana di osservazione di 5,9 anni (Fischer K, 2012a). E’ importante notare che i pazienti con caratteristiche genetiche favorevoli (IGHV mutato e assenza di 11q- e 17p-) possono ottenere risposte durature in circa i 2/3 dei casiĀ  (Fischer K, 2016;Ā Rossi D, 2015;Ā Thompson PA, 2016).

La terapia FCR richiede uno stretto monitoraggio ematologico e, di norma, profilassi antinfettiva e antivirale. In caso di neutropenia o tossicitĆ  ematologica al momento della ripresa terapeutica ĆØ obbligatoria la riduzione della dose del 20%, anche ripetuta in caso di ulteriore successiva citopenia.

Si consideri che nei due principali studi che hanno descritto l’efficacia di FCR (Keating MJ et al, 2005;Ā Hallek M et al, 2010):
– l’etĆ  mediana dei pazienti era di 58-61 anni, con 11-13% di pazienti >70 anni;
– il 74% dei pazienti ha completato la terapia con i previsti 6 cicli nei succitati studi;
– non ĆØ stata documentato vantaggio di sopravvivenza nei pazienti >70 anni (Hallek M et al, 2010);
– si sono osservate neutropenie tardive nell’anno seguente la sospensione del trattamento nel 10-20% dei casi pazienti, con infezioni nel 10% dei pazienti (Strati P et al, 2013);
– in uno studio con lungo follow-up condotto all’MDACC (Benjamini O et al, 2015), l’incidenza di mielodisplasia o leucemia secondaria era pari al 5,1%.

La combinazione bendamustina e rituximab si è dimostrata efficace e relativamente maneggevole (Fischer K et al, 2012). Questa combinazione ha ottenuto un 31,5% di risposte complete (RC) con una PFS di 43,2 mesi e oggi può rappresentare, qualora si opti per la chemioimmunoterapia,  una valida alternativa a FCR, limitatamente al paziente meno giovane o anziano in buone condizioni con IGHV mutato (Eichhorst B et al, 2016).

 

b) Pazienti con comorbiditĆ 

Nei pazienti anziani non pre-trattati ibrutinib ha dimostrato grande efficacia e buona tollerabilitĆ . Questa terapia si ĆØ dimostrata superiore rispetto alle combinazioni di chemioimmunoterapia ed ĆØ pertanto raccomandata in questi pazienti. Come giĆ  riportato sopra, l’inibitore più selettivo di BTK acalabrutinib, sia da solo che in associazione ad obinutuzumab, ha prodotto un netto vantaggio di PFS rispetto alla chemioimmunoterapia Ā in pazienti anziani o con comorbiditĆ  (Sharman JP et al, 2020; Sharman JP et al, 2022) al pari di zanubrutinib, approvato recentemente da EMA (Tam CS et al, 2022b). Non sono disponibili dati di confronto nei pazienti che effettuano terapia di prima linea, tuttavia acalabrutinib si ĆØ dimostrato meglio tollerato nei pazienti recidivati-refrattari rispetto a ibrutinib, al pari di zanubrutinib. Mentre la terapia orale con ibrutinib o acalabrutinib deve essere somministrata sino a progressione, la combinazione di durata definita (12 mesi) venetoclax + obinutuzumab produce un netto vantaggio rispetto alla chemioimmunoterapia e rappresenta quindi un’importante opzione (Fischer K et al, 2019; Al-Sawaf O et al, 2021).

Qualora si opti per la chemioimmunoterapia nei pazienti anziani e in presenza di comorbiditĆ , il clorambucile associato agli anticorpi monoconali anti CD20 può rappresentare un’opzione terapeutica nei pazienti senza delezione 17p-/mutazione di TP53 e con IGHV mutato. La sua associazione con rituximab ha prodotto risposte complete nell’8-19% dei casi, con una PFS di 15-34 mesi, con tossicitĆ  limitata. Il clorambucile con il nuovo anticorpo anti CD20 obinutuzumab ha consentito di ottenere risposte complete nel 22% dei casi con negativizzazione della malattia minima residua in oltre il 20% dei casi, dimostrandosi significativamente più efficace della combinazione clorambucile e rituximab in termini di profonditĆ  della risposta con negativizzazione della malattia minima residua e di PFS, con un tempo al successivo trattamento di 42,7 mesi. Con un più lungo follow-up ĆØ stato riportato un vantaggio di sopravvivenza a favore di clorambucile e obinutuzumab rispetto a clorambucile e rituximab (Goede V et al, 2018).

 

c) Terapia di prima linea nei pazienti con delezione 17p o mutazioni di TP53

Nei pazienti con 17p- o con mutazione di TP53 l’approccio terapeutico moderno prevede l’utilizzo di ibrutinib, oppure acalabrutinib, idelalisib (solo in pazienti non candidabili ad altre terapie) o venetoclax da solo o in associazione con obinutuzumab (Hallek M, Al-Sawaf O, 2021).

Questi farmaci hanno prodotto risultati molto buoni in questo gruppo di LLC ad ā€œalto rischioā€ (Tabelle XIV), cambiandone la storia naturale rispetto all’era della chemioimmunoterapia.

Nei trial che impiegavano le terapie target con ibrutinib, acalabrutinib, idelalisib e rituximab o venetoclax con o senza obinutuzumab sono state descritte risposte obiettive:

– nel 97% di 33 pazienti trattati con ibrutinib, che evidenziavano pochissimi eventi di progressione ad una mediana di osservazione di 24 mesi (Farooqui MZ et al, 2015);
– in tutti i 9 pazienti trattati con idelalisib e rituximab, in assenza di progressione (O’Brien SM et al, 2015).

Gli ottimi risultati dimostrati da venetoclax nei pazienti recidivati o refrattari con 17p- (si veda la Tabella XV) (Stilgenbauer S et al, 2016) hanno portato all’indicazione all’impiego in prima linea di questa molecola nei pazienti che hanno fallito ibrutinib o in caso di controindicazioni all’impiego di un inibitore del BCR. La PFS stimata a 48 mesi in 23 pazienti con 17p- trattati con acalabrutinib era pari al 76% (Sharman JP et al, 2022). Venetoclax in combinazione con obinutuzumab ha prodotto risposte profonde con malattia minima residua non rilevabile (Al-Sawaf O et al, 2021).

Quindi, nella pratica clinica odierna, la terapia di prima linea di questo sottotipo di LLC si deve avvalere di ibrutinib, acalabrutinib, di venetoclax con o senza obinutuzumab o di idelalisib e rituximab nei rari casi nei quali queste terapie risultassero controindicate.

EMA ha anche approvato l’inibitoreĀ  della BTK di seconda generazione zanubrutinib che in uno studio che includeva 110 pazienti ha evidenziato progressione o morte nel 14% dei pazienti ad un follow-up mediano di 30,5 mesi (Tam CS et al, 2022b).

La chemioimmunterapia non deve essere utilizzata in questo sottotipo di LLC. Infatti i dati storici con i regimi chemioimmunoterapici appaiono decisamente insoddisfacenti in presenza di aberrazioni di TP53. Il classico FCR migliora la sopravvivenza libera da progressione rispetto a FC, ma solo il 18% dei pazienti risultava libero da progressione a 3 anni in uno studio (Hallek M et al, 2010). Il trattamento con alemtuzumab, associato o meno a desametazone o a metilprednisone ad alte dosi, ha dimostrato efficacia in questi pazienti, che tuttavia vanno incontro a progressione in tempi relativamente rapidi con una PFS mediana di 18 mesi in uno studio (Pettitt AR et al, 2012). La gestione degli eventi avversi, in particolare delle problematiche infettive, ha sempre limitato l’uso di questa terapia a centri esperti e alemtuzumab non ĆØ oggi più in commercio per questa indicazione. Discreta ĆØ anche risultata l’efficacia e la tolleranza della combinazione fludarabina e alemtuzumab in prima linea nei pazienti ad alto rischio (Mauro FR et al, 2014).Ā  Il trapianto di midollo ĆØ un’opzione da considerare in questi pazienti secondo raccomandazioni condivise dalla comunitĆ  scientifica (Dreger P et al, 2014).

 

Terapia dei pazienti con LLC recidivata o refrattaria

L’efficacia e la tollerabilitĆ  dei regimi di chemioimmunoterapia utilizzati in passatoĀ  nel paziente recidivato o refrattario hanno oggi un puro valore storico e sono riassunte in Tabella XIII, mentre i risultati ottenuti con i farmaci biologici ibrutinib, acalabrutinib, zanubrutinib, pirtobrutinib (al momento non ancora approvato dagli enti regolatori) Ā idelalisib associato a rituximab e venetoclax associato a rituximab sono riassunti nelle Tabelle XV.

I principali dati di efficacia e tollerabilitĆ  di questi farmaci sono qui di seguito esposti:

a) Di grandissimo interesse ĆØ la dimostrazione di una elevata percentuale di risposte con un 75% di PFS a 26 mesi ottenuta nella LLC recidivata o refrattaria con l’inibitore della BTK ibrutinib (Byrd JC et al, 2013), che agisce interferendo con il BCR signaling e le interazioni con il microambiente, mobilizzando i linfociti dalle sedi linfonodali coinvolte e inducendone l’apoptosi (Ten Hacken E et al, 2015). A 5 anni, la PFS mediana nella popolazione totale era di 51 mesi, nella popolazione con IGHV non mutato era di 43 mesi e nella popolazione con 17p- di 26 mesi (O’Brien S et al, 2018). Ibrutinib si ĆØ dimostrato in grado di prolungare la PFS e la sopravvivenza globale (OS) rispetto ad ofatumumab nella LLC recidivata o refrattaria (Byrd JC et al, 2019). Il farmaco, in genere ben tollerato, produce frequentemente una linfocitosi periferica, anche marcata, che regredisce in alcuni mesi e che non pregiudica l’efficacia del trattamento.

b) Analoga efficacia e migliore tollerabilitĆ  rispetto a ibrutinib ĆØ stata ottenuta con l’inibitore più selettivo della BTK acalabrutinib, come documentato in un trial di fase III che ha messo a confronto i due farmaci, in una popolazione cheĀ  aveva ricevuto una mediana di 2 precedenti linee di terapia (Byrd JC et al, 2021).

c) L’inibitore più selettivo della BTK zanubrutinib ha prodotto un aumento della percentuale di risposta alla terapia e della durata della PFS ed ĆØ risultato meglio tollerato in un confronto testa a testa con ibrutinib (Brown JR et al, 2022).

d) La pubblicazione di dati che documentano la superioritĆ  di idelalisib e rituximab rispetto al solo rituximab in termini di PFS e OS in una popolazione ad alto rischio per caratteristiche cliniche (numerose precedenti linee di trattamento, etĆ  avanzata, comorbiditĆ ) e biologiche (alta percentuale di pazienti con delezione 17p e/o 11q-) (Sharman JP et al, 2019) ha consentito negli anni scorsi l’impiego di questa combinazione. A causa della sua scarsa tolleranza legata all’emergenza di eventi avversi immuno-mediati (vide infra) questa terapia deve essere oggi riservata a rari casi di pazienti che non possono essere avviati a terapia con ibrutinib o acalabrutinib e a venetoclax.

e) Venetoclax ha prodotto risposte nel 79% dei casi in pazienti ad alto rischio (17p-) e pluritrattati, con un 20% di risposte complete e 5% di negativizzazione della malattia minima residua ed una PFS pari al 69% a 15 mesi (Roberts AW et al, 2015). Nello studio dedicato ai pazienti con delezione 17p (Stilgenbauer S et al, 2018), la percentuale di risposte (77%) e la PFS stimata a 24 mesi pari al 54% rappresentano un ottimo risultato.
Nel trial che ha paragonato venetoclax e rituximab (VR) per un periodo di 2 anni con la combinazione classica ed ampiamente utilizzata bendamustina e rituxmab (BR) sono emersi alcuni aspetti importanti (Seymour JF et al, 2018;Ā Kater AP et al, 2019; Seymour JF et al, 2022):

  • VR migliora la sopravvivenza e la PFS rispetto a BR;
  • VR ottiene risposte con negativizzazione della malattia minima residua nella maggior parte di pazienti giĆ  a partire dal 9 mese;
  • Il 67% dei pazienti ha terminato i due anni previsti di trattamento e ha sospeso come da protocollo la terapia. Dopo una mediana di 9,9 mesi dalla sospensione di VR, solo il 12% dei pazienti ha mostrato progressione e gli aggiornamenti del follow-up del 2019 e del 2022 hanno dimostrato che il 68% e 51% dei 130 pazienti che avevano completato i primi due anni di terapia era libero da progressione dopo un follow-up mediano dalla sospensione di 24 e 36 mesi.

Oltre alla neutropenia e le infezioni, osservate con qualunque terapia della LLC, tra le tossicitĆ  specifiche di questi farmaci occorre considerare con attenzione:

a) la fibrillazione atriale e l’ipertensione arteriosa, oltre ai sanguinamenti e la diarrea, quasi sempre di grado lieve, per ibrutinib (Byrd JC et al, 2015); La fibrillazione atriale di tutti i gradi, i sanguinamenti e l’ipertensione si verificano con frequenza inferiore con acalabrutinib e con zanubrutinib. Acalabrutinib può indurre cefalea di grado lieve in 1/3 dei pazienti (Byrd JC et al, 2021);b) severi fenomeni su base infiammatoria e/o disimmune per idelalisib, quali diarrea e/o colite anche ad insorgenza tardiva, polmonite interstiziale anche di grado severo, infezioni polmonari da Pneumocystis jiroveciiĀ e/o da Cytomegalovirus e aumento delle transaminasi (Louie CY et al, 2015;Ā CoutrĆ© SE et al, 2015). La terapia di profilassi con cotrimoxazolo e trimetoprim ĆØ obbligatoria, al pari del monitoraggio della viremia da Cytomegalovirus;
c) la sindrome da lisi tumorale con venetoclax, che richiede misure preventive e attento monitoraggio.

Di fatto, questi agenti orali, molto efficaci, rappresentano oggi il trattamento di scelta nei pazienti refrattari e plurirecidivati, mentre gli schemi tradizionali di chemioimmunoterapia non trovano oggi più alcuno spazio nella terapia della LLC, anche in presenza di  una risposta prolungata alla terapia di prima linea (Cuneo A et al, 2018).

Negli anni passati si riteneva che, qualora ci si fosse orientati verso l’impiego della chemioimmunoterapia per la terapia di seconda linea occorreva considerare che si poteva proporre la ripetizione di un trattamento chemioimmunoterapico qualora la durata della remissione fosse risultato Ā di almeno 36 mesi (Eichhorst B et al, 2021;Ā Tam CS, 2014) e che non si doveva ripetere FCR.

Alcuni dati di valore ormai storico della chemioimmunoterapia nella LLC recidivata/refrattaria son qui di seguito riassunti:

  • bendamustina e rituximab si sono dimostrati di discreta efficacia e relativamente ben tollerati, anche in pazienti pretrattati con regimi contenenti fludarabina (Fischer K et al, 2011);
  • le alte dosi di metilprednisolone in associazione a rituximab hanno mostrato una discreta efficacia in pazienti pretrattati con delezione 17p (Castro JE et al, 2009).

 

Il trapianto di midollo allogenico nella LLC

Il trapianto di midollo osseo allogenico ha dimostrato di poter indurre risposte cliniche prolungate (Dreger P et al, 2010), con progressiva negativizzazione del residuo leucemico in una parte dei casi grazie all’effetto immunomediato (Sorror ML et al, 2008). La sopravvivenza a 5 anni ĆØ di circa il 50% e la non-relapse mortality del 20% circa. La tossicitĆ  si manifestaĀ con graft versus host diseaseĀ (GVHD) acuta di grado ≄2 nel 50% circa dei casi e con GVHD cronica estesa nel 50% circa dei casi, sia nei pazienti trapiantati da fratelli HLA identici che da donatori non famigliari HLA-identici, con durata mediana della GVHD di 25 mesi (Sorror ML et al, 2008).

L’opzione trapiantologica deve essere presa in considerazione e discussa nei pazienti resistenti o recidivati che hanno risposto a ibrutinib o idelalisib o venetoclax in alternativa alla prosecuzione della terapia, specialmente in caso di presenza di delezione 17p/mutazioni di TP53 (Dreger P et al, 2014). Candidati a un approccio trapiantologico sono i pazienti giovani e in buone condizioni che non abbiano risposto o che siano progrediti dopo terapia con inibitori del BCR signaling o con venetoclax (Dreger P et al, 2018).

Le principali opzioni di terapia della LLC recidivata/refrattaria sono riassunte in Figura IX e consentono di scegliere tra trattamenti da utilizzare in via continuativa e trattamenti di durata definita.

 

Figura IX: Principali opzioni di terapia della LLC recidivata/refrattaria nel 2023.

Ā 

Nuove terapie di combinazione

I miglioramenti della sopravvivenza della LLC ottenuti grazie alle nuove terapie, che consentono di ottenere risposte profonde con negativizzazione della malattia minima residua (MRD=minimal residual disease), hanno generato una serie di studi che hanno testato l’efficacia e la sicurezza di terapie che combinano inibitori di BTK e di BCL2 per periodi di trattamento definiti, al fine di ottenere risposte profonde e prolungate con una terapia di durata definita. Un’eccellente revisione dell’argomento ĆØ stata presentata nella sessione educazionale sulla LLC del congresso dell’American Society of Hematology 2022 e si rimanda il lettore alla trattazione in extenso di Ahn (Ahn IE et al, 2022). Il razionale alla base dell’impiego di queste combinazioni deriva dal fatto che gli inibitori della BTK e di BCL2 colpiscono in preferenza compartimenti distinti e agiscono con meccanismi di azione complementari. Infatti gli inibitori di BTK mobilizzano le cellule dal comparto linfonodale, facendo venir meno l’effetto protettivo della nicchia, inibiscono la proliferazione e sensibilizzano i linfociti all’effetto pro-apoptotico dell’inibitore di BCL2 (Deng J et al, 2017).

Qui di seguito vengono riassunti i dati dei primi studi che hanno portato all’approvazione da parte di EMA della combinazione ibrutinib e venetoclax:

  • uno studio condotto all’MD Anderson Cancer Center ha utilizzato la combinazione che associa ibrutinib per 3 cicli, seguita dall’associazione ibrutinib e venetoclax per 24 cicli in 80 pazienti non precedentemente trattatiĀ  e ad alto rischio (i.e. con 17p-, 11q-, IGHV non mutato o di etĆ  ≄65 anni) (Jain N et al, 2019). Gli autori hanno riportato remissioni complete nell’88% dei pazienti dopo 12 cicli di terapia di combinazione, con eradicazione della MMR a livello midollare nel 61% dei pazienti. Con un follow-up mediano di 38.5 mesi la PFS a 36 mesi era pari al 93% con una sopravvivenza globale del 96% (Jain N et al, 2021);
  • in un altro studio internazionale (CAPTIVATE), 159 pazienti di etĆ  ≄ 18 e ≤ 70 anni sono stati trattati con ibrutinib per 3 cicli, seguita dall’associazione ibrutinib e venetoclax per 12 cicli (Tam CS et al, 2022a). La risposta completa ĆØ stata ottenuta nel 55% dei pazienti, una MRD non rilevabile nel 77% dei casi nel sangue periferico e nel 60% nel midollo osseo, con una PFS stimata a 24 mesi pari al 95% ed una sopravvivenza pari al 98%;
  • infine, lo studio GLOW ha paragonato il regime che prevedeva ibrutinib per 3 cicli, seguito dall’associazione ibrutinib e venetoclax per 12 cicli con il regime che impiegava 6 cicli di clorambucile e obinutuzumab in pazienti anziani (≄ 65 anni) o con comorbiditĆ . Con un follow-up di 4 anni, la PFS nel braccio ibrutinib+venetoclax era pari al 74.6%, rispetto al 24.8% nel braccio clorambucile + obinutuzumab (dati presentati da Neimann C, abs # 93, al congresso della societĆ  americana di ematologia del 2022 e pubblicato da Kater A et al. al seguente link: Fixed-Duration Ibrutinib-Venetoclax in Patients with Chronic Lymphocytic Leukemia and Comorbidities | NEJM Evidence).

Pur se approvata da EMA il posizionamento di questa nuova combinazione nell’algoritmo terapeutico della LLC ĆØ ancora da definire (Lipsky AH, Lamanna N, 2023).

 

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A cura di:

Professore Ordinario di Ematologia, UniversitĆ  degli Studi di Ferrara

Professore Associato di Ematologia, UniversitĆ  degli Studi di Ferrara

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