Le leucemie Mieloidi Acute secondarie
Nella comune accezione clinica (Larson RA, 2007; Godley LA, Larson RA, 2008), la definizione di leucemia mieloide acuta secondaria (s-LAM) comprende le LAM che insorgono dopo una malattia del sangue precedentemente diagnosticata, più spesso una sindrome mielodisplastica (MDS), meno frequentemente una malattia mieloproliferativa (MPD) e le LAM diagnosticate in pazienti con esposizione nota ad agenti mutageni (generalmente chemio e/o radioterapia per antecedenti neoplasie, ematologiche e non). E’ da sottolineare che nella classificazione WHO delle leucemie acute, le LAM secondarie non costituiscono un sottogruppo distinto, in quanto le LAM post-MDS o post MPD/MDS vengono inserite nelle forme con displasia trilineare e quelle secondarie a chemio e/o radioterapia vengono classificate come gruppo a sé stante (Vardiman JW et al, 2002). Queste ultime possono insorgere dopo terapia con agenti alchilanti oppure dopo terapia con inibitori di topoisomerasi 2. Nella prima formulazione della classificazione WHO i due sottotipi sono stati distinti per le diverse caratteristiche cliniche, mentre nell’aggiornamento più recente della stessa classificazione, la sub-categorizzazione è stata eliminata in quanto è prevalso il concetto della omogeneità citogenetica tra le due entità (Vardiman JW et al, 2009). Proprio perché non considerato dalla WHO e per l’eterogeneità dei sottotipi di LAM definiti, diversi autori suggeriscono l’eliminazione del termine “leucemia acuta mieloide secondaria”(Larson RA, 2007).
Leucemia mieloide acuta post-MDS
La distinzione tra MDS avanzata e LAM sia basa ancora oggi sulla percentuale di blasti midollari all’esame morfologico del midollo osseo (blasti 5-20% o > 20%). A tale riguardo va ricordato che la valutazione citofluorimetrica delle cellule CD34 positive non può e non deve sostituire l’esame morfologico e/o la biopsia osteo-midollare per la esatta quantificazione dei blasti mieloidi, in quanto non sempre i blasti mieloidi sono CD34+ e comunque l’esame morfologico è in grado di fornire informazioni aggiuntive. Mentre vi è notevole overlapping per quanto riguarda anomalie molecolari e citogenetiche e manifestazioni cliniche tra MDS avanzate e LAM, i meccanismi genetici che determinano l’evoluzione MDS–>LAM sono ancora oggi poco conosciuti. Sono state identificate mutazioni di diversi geni (FLT3, NPM1, RUNX1, TP53, and NRAS) associate alla trasformazione, ma il ruolo patogenetico dell’entità e del rilievo delle singole mutazioni rimane da definire (Bacher U et al, 2007; Dicker F et al, 2010). Recenti osservazioni hanno chiaramente dimostrato che la virtuale totalità delle cellule midollari nelle LAM post MDS sono clonalmente derivate (Walter MJ et al, 2012). Gli autori suggeriscono perciò che l’evoluzione in LAM di una MDS sia un processo dinamico, associato a mutazioni ricorrenti e selezione clonale. In particolare, come indicato in Tabella I, 11 geni mostrano mutazioni ricorrenti e 4 di essi non sono stati precedentemente implicati nei processi di leucemogenesi. Una osservazione estremamente interessante è che la percentuale di cellule clonali è simile nelle MDS e nelle s-LAM ed è indipendente dalla percentuale di mieloblasti, a dimostrazione della natura preleucemica delle MDS. Altro aspetto rilevante, anche per le potenziali implicazioni terapeutiche, è la dimostrazione di un pattern comune di metilazione e ipermetilazione genica nelle MDS e s-LAM (Figueroa ME et al, 2009).
Tabella I: Geni con mutazioni ricorrenti nelle LAM de novo presenti nel genoma MDS e s-LAM
Dal punto di vista prognostico, l’evoluzione in LAM di una MDS precedentemente diagnosticata viene generalmente considerata sfavorevole in confronto alle forme “de novo” (Burnett AK, 2012; Ganzel C, Rowe JM, 2011). Inoltre, in diversi studi, l’insorgenza post-MDS ha rappresentato un fattore di esclusione da regimi di chemioterapia aggressiva, per cui i dati disponibili in letteratura sono per lo più derivati da analisi retrospettive (Ziogas DC et al, 2011; Dechartres A et al, 2011). Alcuni autori suggeriscono che la citogenetica all’esordio piuttosto che la modalità d’insorgenza rappresenti il fattore di prognosi più rilevante (Ostgård LS et al, 2010; Ferrara F et al, 2010). A tale riguardo va rilevato che, soprattutto nel paziente anziano, è di frequente riscontro la presenza di anomalie displastiche bi- o triseriali anche in forme apparentemente de novo, per cui non si può escludere in questi casi che LAM sia insorta dopo una MDS non diagnosticata (Palmieri S et al, 2006). A conferma di ciò, emerge da diversi studi che le percentuali di remissione completa e le mediane di sopravvivenza sono risultate sovrapponibili alle forme de novo a parità di citogenetica ed età (Bello C et al, 2011; Rizzieri DA et al, 2009). Altro aspetto non definitivamente chiarito è il significato prognostico delle anomalie displastiche: una estensiva analisi del gruppo cooperativo tedesco, ma anche dati da noi pubblicati, suggeriscono che, mentre la displasia triseriale si associa generalmente a citogenetica sfavorevole, di per sé stessa in analisi multivariata non ha rilievo prognostico sfavorevole (Haferlach T et al, 2003b; Ferrara F et al, 2002). Infine, un parametro prognostico che appare ben consolidato è l’intervallo tra la diagnosi di MDS e trasformazione in LAM, nel senso che un intervallo inferiore a 6-12 mesi si accompagna generalmente a prognosi peggiore. Un tentativo di categorizzazione prognostica delle s-LAM è stato recentemente proposto dal gruppo cooperativo germanico SAL (Stölzel F et al, 2011); in questo studio i pazienti venivano suddivisi in tre sottogruppi prognostici (favorevole, intermedio e sfavorevole), in base alla presenza rispettivamente di 0-1, 2 e 3-4 fattori di rischio, costituiti da età, citogenetica, conta piastrinica all’esordio e stato mutazionale del gene NPM1. In questo studio, peraltro, le mutazioni NPM1 non avevano impatto prognostico nella popolazione con età superiore a 60 anni.
Terapia delle LAM-post MDS
Sebbene in diversi trials su pazienti anziani con LAM, i pazienti con malattia evoluta dopo MDS sono stati esclusi, non vi sono ragioni per non somministrare a tali pazienti, se clinicamente eleggibili, una terapia aggressiva convenzionale. I risultati in termini di percentuale di RC e sopravvivenza mediana infatti in diversi studi sono sovrapponibili alle forme “de novo” (Tabella II). I pazienti in RC e clinicamente eleggibili per età e condizioni cliniche vanno avviati a trapianto allogenico, anche da donatore alternativo, data la percentuale elevata di recidiva. Nei pazienti con blastosi midollare limitata (20-30%) e con leucociti < 10.000/mmc, un’alternativa terapeutica consiste nell’impiego degli agenti ipometilanti (in Europa al momento la sola azacitidina), che possono indurre RC in circa il 20 % dei pazienti (Fenaux P et al, 2010; Lübbert M et al, 2012; Cashen AF et al, 2010). L’aspetto interessante della terapia con azacitidina e decitabina consiste nella possibilità da parte di entrambi i farmaci di indurre un controllo della malattia in termini di riduzione del fabbisogno trasfusionale di emazie e piastrine e, almeno in confronto a basse dosi di Ara-C e best supportive care un aumento della sopravvivenza (Fenaux P et al, 2010). Un reale vantaggio di sopravvivenza rispetto alla chemioterapia convenzionale rimane al momento non definitivamente dimostrato, ma in pazienti unfit e/o con citogenetica sfavorevole, in assenza di leucocitosi (globuli bianchi > 10.000/mmc) l’approccio con azacitidina appare senz’altro preferibile (Ferrara F, 2012; Feldman EJ, 2011).
Tabella II: Risultati della terapia “AML like” nelle s-LAM
Leucemia mieloide acuta therapy related (t-LAM)
Le t-LAM costituiscono un gruppo distinto di leucemie mieloidi acute, che insorgono dopo una documentata esposizione ad agenti mutageni. Nella quasi totalità dei pazienti con t-LAM, la leucemogenesi è conseguenza di esposizione a chemio e/o radioterapia (Godley LA, Larson RA, 2008; Feldman EJ, 2011). Non esistono alterazioni citogenetiche specifiche delle t-LAM, ma in questi pazienti le aberrazioni cromosomiche sfavorevoli (soprattutto anomalie del cromosoma 7 e cariotipo complex) sono molto più frequenti che nelle forme de novo e ciò rende ragione della prognosi spesso infausta. Come già accennato in introduzione, nella classificazione WHO le t-LAM costituiscono un gruppo distinto e nell’ultima formulazione è stata eliminata la distinzione tra t-LAM secondarie ad agenti alchilanti e t-LAM secondarie a inibitori di topoisomerasi 2. La spiegazione che gli autori forniscono di tale revisione è che non vi sono sostanziali differenze tra le due forme per quanto riguarda le alterazioni citogenetiche e la prognosi, che rimane comunque sfavorevole, anche se le caratteristiche clinico-ematologiche sono sostanzialmente diverse (Tabella III).
Tabella III: Principali differenze biologiche e cliniche tra LAM secondarie a terapia con alchilanti e LAM secondarie a terapia con inibitori di topoisomerasi 2
Viene comunque raccomandato di specificare nel report diagnostico la aberrazione cromosomica presente nel paziente (Vardiman JW et al, 2002; Vardiman JW et al, 2009). Dal punto di vista morfologico, oltre il 90 % dei pazienti con t-LAM presenta anomalie displastiche bi- o triseriali e può essere presente un certo grado di fibrosi midollare. Nella maggior parte dei casi, le t-LAM secondarie ad alchilanti si sviluppano dopo 5-7 anni dall’esposizione al farmaco e/o radioterapia e vi è correlazione tra la dose e rischio leucemogeno. E’ stato anche molto dibattuto in queste forme di LAM il potenziale ruolo del trapianto autologo (soprattutto per i linfomi Hodgkin e non-Hodgkin), ma diverse evidenze suggeriscono che piuttosto che al condizionamento a trapianto, il rischio di t-LAM è fondamentalmente correlato alle terapie di salvataggio precedentemente somministrate.Diverse evidenze infatti suggeriscono che il danno genetico in un numero non trascurabile di pazienti è già presente prima della procedura di autotrapianto (Smith SM et al, 2003; Hake CR et al, 2007). Il ruolo dello stress genotipico indotto da una o più mobilizzazioni rimane invece incerto (Hershman D et al, 2007). Nella Figura 1 vengono illustrate le diverse condizioni morbose associate a rischio di LAM nell’esperienza della Divisione di Ematologia dell’Ospedale Cardarelli di Napoli nel corso degli ultimi 10 anni. Per quanto concerne le anomalie cromosomiche, le t-LAM post-alchilanti si associano tipicamente ad alterazioni dei cromosomi 7 e 5, con prevalenza di monosomie. Non è rara l’associazione ad altre aberrazioni nell’ambito di cariotipi complessi. Al contrario, nelle t-LAM post-terapia con inibitori di topoisomerasi 2, le alterazioni più frequenti coinvolgono le bande 11q23 e 21q22. Rispetto alle t-LAM post-alchilanti, le forme secondarie a inibitori di topo isomerasi 2 hanno sviluppo più rapido (2-3 anni dopo la terapia), spesso non sono precedute da una MDS, hanno maggiore tendenza alla iperleucocitosi e sono più sensibili alla chemioterapia (Godley LA, Larson RA, 2008; Feldman EJ, 2011; Smith SM et al, 2003).
Figura I. Condizioni morbose associate a rischio di LAM.
La prognosi delle t-LAM è senz’altro meno favorevole rispetto alle forme de novo; la percentuale di RC dopo chemioterapia di induzione convenzionale non è superiore al 40-50 % (meno del 30 % nei pazienti con età superiore a 65 anni) e la mediana di sopravvivenza nella maggior parte delle casistiche è inferiore a un anno. Le ragioni includono la presenza di cariotipi avversi, una scarsa riserva midollare per l’effetto “stem cell poison” delle precedenti terapie e, talora, la persistenza e attività della precedente neoplasia. In una recente analisi del gruppo cooperativo tedesco/austriaco AMLSG, la frequenza di t-AML è stata del 7 % (Kayser S et al, 2011). In questo studio, i pazienti con t-AML mostravano rispetto alle forme de novo una età mediana più elevata, maggiore incidenza di cariotipi sfavorevoli e minore incidenza di mutazioni dei geni NPM1 ed FLT3. Le percentuali di RC non differivano tra t-LAM e LAM de novo, ma i pazienti con forme therapy related avevano più elevata percentuale di recidiva e sopravvivenza inferiore. E’ da sottolineare che solo il 4 % dei pazienti anziani con t-LAM è stato in grado di effettuare trapianto allogenico. Un aspetto rilevante di questo studio è che il peggiore outcome dei pazienti giovani/adulti non era dovuto a più elevata frequenza di forme resistenti, ma a maggiore mortalità in induzione, verosimilmente dipendente da ridotta riserva emopoietica. Al contrario, nei pazienti anziani la percentuale di recidiva era significativamente più elevata, anche per una minore intensità della terapia di induzione e post-remissione (Kayser S et al, 2011).
Nei pazienti con t-LAM, il trapianto allogenico rimane l’unica ragionevole possibilità di guarigione ed è da considerare anche in presenza di citogenetica non sfavorevole (Lübbert M et al, 2009; Litzow MR et al, 2010; Spina F et al, 2012; Saure C et al, 2012). L’unica eccezione è rappresentata dalla leucemia acuta promielocitica “therapy related”, nella quale la combinazione acido trans-retinoico e chemioterapia produce risultati simili alle LAP de novo (Dayyani F et al, 2011).
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A cura di:
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli