La recidiva dopo ottenimento di remissione completa (RC) o la refrattarietà alla terapia di induzione rappresentano ancora oggi il principale fattore prognostico sfavorevole nella leucemia mieloide acuta (LAM).Non oltre il 10-15 % dei pazienti recidivati o refrattari riesce a ottenere la guarigione e tale possibilità, a parte casi aneddotici, è strettamente correlata alla possibilità di effettuazione di un trapianto allogenico (allo-SCT) di cellule staminali emopoietiche (Ferrara et al, 2004). E’ comunque da sottolineare che non tutti i pazienti in recidiva hanno lo stesso outcome clinico; infatti, come all’esordio di malattia, esistono fattori prognostici che consentono di definire diversi gruppi di rischio. Come indicato in Tabella I (Ferrara et al, 2004; Breems DA et al, 2005), la citogenetica sfavorevole all’esordio, la durata della prima RC < 6-12 mesi, l’età e la precedente terapia post-remissionale rappresentano in diversi studi i principali fattori in grado di influenzare l’ottenimento e la durata della seconda RC (RC2).
Tabella I: Principali fattori prognostici della LAM in recidiva
Sulla base di questi parametri, mediante un’analisi multivariata su oltre 600 pazienti, il gruppo cooperativo HOVON-SAKK ha elaborato una stratificazione in 3 gruppi (Breems DA et al, 2005) con sopravvivenze significativamente differenti a 1 e 5 anni (Figura I).
Figura I. Stratificazione prognostica della LAM in recidiva secondo lo score HOVON/SAKK (2)
E’ da osservare che in questo modello la durata della RC1 (soprattutto se inferiore a 6 mesi) e la citogenetica sfavorevole all’esordio costituiscono i fattori prognostici sfavorevoli più rilevanti. Per quanto specificamente riguarda i pazienti anziani, una RC1 di durata inferiore a 12 mesi rappresenta di per sé un fattore prognostico sfavorevole di tale rilievo da non giustificare l’avvio di una terapia di aggressiva di salvataggio, indipendentemente dalle caratteristiche clinico-biologiche iniziali di malattia. Infatti, il vantaggio in termini di sopravvivenza della terapia aggressiva rispetto al semplice supporto in questa categoria di pazienti con LAM è limitato a non oltre 1-2 mesi (Ferrara et al, 2004), come indicato nella Figura II.
Figura II. Sopravvivenza dei pazienti anziani con LAM in recidiva e durata della RC1 < 12 mesi trattati con chemioterapia aggressiva di salvataggio o terapia di supporto. Il vantaggio della terapia di reinduzione è limitato a poche settimane e clinicamente irrilevante (1
E’ evidente quindi che questi studi non rappresentano mero esercizio statistico, ma possono aiutare nella selezione terapeutica, al fine di evitare terapie potenzialmente letali o comunque associate a inaccettabile tossicità e/o ospedalizzazione in determinate categorie di pazienti. In altre parole, la stratificazione prognostica dei pazienti con LAM in recidiva consente di individuare i candidati ideali a terapie sperimentali, basate sull’impiego di agenti dotati di meccanismo di azione alternativo al trattamento convenzionale.
Strategie terapeutiche per la LAM in recidiva
A tutt’oggi non esiste un regime standard di polichemioterapia per la LAM in recidiva, anche se virtualmente la totalità degli schemi impiegabili non può prescindere dall’impiego di dosi intermedio-alte di citosina arabinoside (ARA-C), come indicato nella Tabella II. E’ inoltre ancora in discussione, per lo meno in alcuni pazienti con donatore compatibile, l’opportunità stessa di somministrare una terapia di salvataggio prima di effettuare allo-SCT (Feldman EJ, Gergis U, 2012).
Tabella II:Regimi chemioterapici di salvataggio di più comune impiego nella LAM
Ciò perché la reinduzione con chemioterapia aggressiva può determinare tossicità non ematologica in grado di pregiudicare il successivo trapianto allogenico. In ogni caso, l’atteggiamento terapeutico comune, soprattutto nella LAM con blastosi midollare oltre il 15-20 %, è quello di sottoporre comunque il paziente a chemioterapia di salvataggio (Ofran Y, Rowe JM, 2012). In Europa è molto popolare il regime MEC (mitoxantrone, etoposide, ARA-C) , introdotto dal gruppo di Roma oltre 20 anni fa (Duval M et al, 2010), ma è di comune impiego anche lo schema FLAG (fludarabina, ARA-C, G-CSF), elaborato su dati di farmacocinetica secondo i quali la quale la fludarabina potenzia l’attività antileucemica dell’ARA-C, incrementando la quota di ARA-CTP, che è suo il metabolica attivo (Amadori S et al, 1991). Nello stesso tempo, nello schema FLAG viene attenuata la tossicità soprattutto extra-ematologica dell’ARA-C, impiegata a dosi inferiori rispetto alla mono-somministrazione. Il ruolo del G-CSF è quello di sincronizzare le cellule in fase S (rendendole così più sensibili all’attività citotossica dell’ARA-C) e di abbreviare la fase di neutropenia post-chemioterapia. Diversi gruppi adottano uno schema FLAG potenziato mediante l’aggiunta di antracicline per 2 o 3 giorni (idarubicina o mitoxantrone). Negli Stati Uniti, ancora oggi, dosi intermedio-alte di ARA-C rappresentano invece il regime terapeutico di impiego più comune, tanto da essere considerate il braccio standard contro cui confrontare terapie sperimentali. In ogni caso, e a prescindere dallo schema polichemioterapico, i pazienti in RC2 e clinicamente eleggibili vanno sottoposti a trapianto allogenico, qualunque sia la fonte di cellule staminali emopoietiche. Un problema dibattuto e ancora oggi irrisolto è quale strategia terapeutica offrire ai pazienti che, dopo terapia di salvataggio, non riescono a ottenere la RC2. In uno studio retrospettivo condotto su oltre 1000 pazienti con LAM allotrapiantati non in RC, è stato dimostrato che la possibilità di guarigione dopo allo-SCT in pazienti non in RC è del 19% (Jackson GH, 2004). Anche in questo studio, è stato possibile stratificare i pazienti in 4 gruppi prognostici in base alle seguenti caratteristiche: CR1 < 6 mesi, presenza di blasti circolanti, donatore non HLA identico, performance status secondo Karnovsky e citogenetica ad alto rischio. La sopravvivenza a 3 anni era del 42 % nei pazienti a score 0 e 6 % nei pazienti con score 3 o > 3 (Figura III).
Figura III. Sopravvivenza di oltre 1000 pazienti con LAM allotrapiantati in recidiva e stratificati secondo diversi fattori prognostici (CR1 < 6 mesi, presenza di blasti circolanti, donatore non HLA identico, performance status secondo Karnovsky e citogenetica ad alto rischio) (4)
Infine, per quanto riguarda i pazienti in recidiva, è ancora da considerare il particolare subset delle recidive dopo trapianto allogenico; in questi casi il dubbio più rilevante è la somministrazione o meno di un secondo allotrapianto. I dati da registro e l’esperienza clinica indicano che il parametro più rilevante di cui tenere conto è la durata della RC dopo allogenico; in particolare, una RC post-alloSCT inferiore a 12 mesi determina una sopravvivenza a 12 mesi inferiore al 10 %, per cui appare opportuno in questi pazienti ad altissimo rischio l’uso di terapie sperimentali (Oran B, de Lima M, 2011; Thakar MS, Forman SJ, 2009).
Conclusioni
Mentre la recidiva di LAM rimane un fattore prognostico estremamente negativo e gli attuali risultati terapeutici del tutto insufficienti, essa rappresenta un forte stimolo alla sperimentazione clinica di nuovi farmaci. In particolare, esistono determinate categorie di pazienti (Tabella III) in cui la somministrazione di chemioterapia convenzionale di salvataggio è del tutto inaccettabile in termini di rapporto rischio/beneficio, in quanto il vantaggio in termini di sopravvivenza (peraltro assente nella maggior parte dei casi) non giustifica la grave tossicità e la prolungata ospedalizzazione o, addirittura, la morte del paziente. In questi casi va fatto ogni sforzo di inserimento dei pazienti in protocolli di terapia sperimentale, basati possibilmente su farmaci dotati di meccanismo d’azione alternativo alla chemioterapia o in associazione ad essa.
Tabella III: Pazienti con LAM in recidiva candidati a terapia sperimentale
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli
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