Con la determina AIFA (Agenzia italiana del farmaco) del 19 Febbraio 2019 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’8 marzo 2019), ixazomib, inibitore del proteasoma orale, è stato indicato per il trattamento dei pazienti affetti da mieloma multiplo (MM) sottoposti ad almeno una precedente terapia, in combinazione con lenalidomide e desametasone (IRd). In particolare, la combinazione risulta rimborsata “in pazienti con mieloma multiplo recidivato e/o refrattario che non si siano dimostrati refrattari a lenalidomide o ad un inibitore del proteasoma e che abbiano ricevuto ≥ 2 precedenti linee di terapia o almeno 1 precedente linea di terapia con citogenetica sfavorevole [del (17); t (4;14); t(14;16)]”
Tale indicazione, che segue l’approvazione della combinazione ricevuta dall’EMA (Agenzia europea per il farmaco), si basa sui risultati dello studio di fase III TOURMALINE-MM1.
IRd, combinazione tutta orale, arricchisce quindi l’arsenale terapeutico che clinici e pazienti hanno a disposizione per trattamento del MM.
Lo studio TOURMALINE-MM1 (Moreau P et al, 2016) ha arruolato 722 pazienti affetti da MM e sottoposti ad almeno 1 precedente linea di terapia (range di precedenti trattamenti: 1-3), i quali sono stati randomizzati a ricevere lenalidomide e desametasone (Rd) in associazione a ixazomib (IRd) o placebo (Rd-placebo). Tali pazienti potevano essere stati esposti in precedenza ad un farmaco immunomodulante o ad un inibitore del proteasoma, ma non dovevano esserne refrattari.
Il trattamento consisteva in lenalidomide (25 mg, dal giorno 1 al giorno 21 di ogni ciclo) e desametasone (40 mg, nei giorni 1, 8, 15 e 22) associati a ixazomib (4 mg) o placebo somministrati per os nei giorni 1, 8 e 15. Il trattamento veniva ripetuto in cicli di 28 giorni sino ad intolleranza o progressione.
Obiettivo primario dello studio era la progressione libera da malattia (PFS), mentre tra gli obiettivi secondari figurava la PFS nei pazienti ad alto rischio citogenetico, ossia coloro con positività in FISH (fluorescent in situ hybridization) per la t(4;14), t(14;16) e la del(17)
Le caratteristiche dei pazienti nei due gruppi di trattamento (IRd, n=360; Rd-placebo, n=362) erano bilanciate, con una percentuale di pazienti di pazienti definiti ad alto rischio citogenetico simile nei due gruppi (21% vs. 17%). La maggior parte dei pazienti era recidivata dal precedente trattamento, mentre circa ¼ di essi era refrattario alla precedente linea di terapia.
Lo studio ha raggiunto il proprio end-point primario, dimostrando una riduzione statisticamente significativa del rischio di progressione o morte (PFS mediana: 20,6 mesi vs. 14,7 mesi; HR: 0,74; p=0,01) nei pazienti trattati con IRd rispetto ai pazienti del gruppo di controllo (Rd-placebo) (Figura I).
Figura I: Sopravvivenza libera da malattia nella popolazione generale intention-to-treat.
Tale beneficio a vantaggio della combinazione IRd è stato confermato indipendentemente dall’età del paziente, dallo stadio clinico (ISS 1-2 o 3), dal rischio citogenetico e dalla precedente esposizione ad un inibitore del proteasoma o ad un immunomodulante. Nel sottogruppo dei pazienti considerati ad alto rischio citogenetico, la PFS mediana era di 21,4 mesi nei pazienti che hanno ricevuto ixazomib e di 9,7 mesi in quelli che hanno ricevuto placebo (p=0,02).
L’aggiunta dell’inibitore del proteasoma ixazomib all’associazione Rd ha prodotto inoltre un incremento significativo del tasso di risposte (ORR, overall response rate: 78% vs. 72%; p=0,04) e della qualità delle risposte stesse (CR, complete response: 12% vs 7%) rispetto alla sola combinazione Rd (Tabella I).
Tabella I: Efficacia: risposte alla terapia.
Per ciò che concerne la sicurezza della combinazione, non è stata osservata una differenza significativa nel tasso di eventi avversi complessivi (98% vs 99%), eventi avversi di grado superiore a 3 (74% vs 69%) o di eventi avversi seri (47% vs 49%) nei due bracci. Tuttavia, nei pazienti che hanno ricevuto ixazomib è stato osservata un tasso superiore di piastrinopenia (qualunque grado, 31% vs 16%) e di reazioni cutanee (36% vs 23%). L’aggiunta di ixazomib non ha comportato invece un aumento del rischio di insorgenza di neuropatia periferica (27% vs. 22%).
Una successiva analisi post-hoc (Avet-Loiseau H et al, 2017) ha valutato il beneficio dell’associazione di ixazomib a Rd rispetto alla doppietta Rd sulla base dei dati di citogenetica, analizzando 552 pazienti con dati FISH disponibili2. Gli autori dello studio hanno confermano il vantaggio della tripletta IRd nei confronti del braccio di controllo RD-placebo, in termini di PFS, sia nei pazienti a rischio standard (PFS mediana: 20,6 vs. 15,6 mesi; HR: 0,64; p=0,007), sia in quelli ad alto rischio citogenetico (PFS mediana: 21,4 vs. 9,7 mesi; HR: 0,54; p=0,021). Tale beneficio viene confermato in tutte le singole anomalie studiate, inclusa l’amplificazione del braccio lungo del cromosoma 1 (1q21; HR: 0,78).
BIBLIOGRAFIA
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
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