ITP: ruolo dei CD8+ nella mancata risposta al rituximab

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Nei pazienti con trombocitopenia immune (ITP) non rispondenti al trattamento con l’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab è possibile evidenziare un’attivazione di linfociti T CD8+ splenici, suggestiva di un coinvolgimento di queste cellule nella patogenesi della piastrinopenia. Queste le conclusioni di uno studio (Audia S et al. Blood, 2013; 122: 2477-86) condotto sulle cellule spleniche ottenute da 12 pazienti con ITP non rispondenti al trattamento con rituximab, splenectomizzati dopo una mediana di 7 mesi dalla somministrazione di rituximab.

Rispetto ai controlli (11 pazienti con ITP non trattati con rituximab), gli autori dello studio hanno riscontrato nei casi non rispondenti una espressione dei marker di attivazione dei linfociti T CD8+ significativamente maggiore. Complessivamente, in questi pazienti è stata osservata una polarizzazione preferenziale verso un fenotipo Th1 e Tc1, associata a un aumento della frequenza delle cellule T effettrici CD8+ memoria. Inoltre, i linfociti T CD8+ splenici dei pazienti non rispondenti presentavano un pattern oligoclonale del T-cell receptor repertoire, con un numero di alterazioni significativamente maggiore rispetto ai controlli.

«I meccanismi coinvolti nella mancata risposta al rituximab nei pazienti con ITP non sono ancora stati identificati», scrivono gli autori della ricerca. «I nostri risultati suggeriscono che la milza può essere il sito della distruzione delle piastrine da parte di cellule T CD8+, poiché le piastrine sono localizzate nei cordoni della polpa rossa, rivestiti da linfociti CD8+. Tuttavia, una risposta clinica alla splenectomia in questa categoria di pazienti rituximab-resistenti si osserva in solo circa il 60% dei casi, per cui meccanismi aggiuntivi di distruzione piastrinica devono anche essere ipotizzati». Nonostante l’interesse patogenetico di questi dati, la mancanza di marker di attivazione e polarizzazione nei linfociti CD8+ circolanti dei pazienti, rispondenti o meno al rituximab, non ne permette l’utilizzo come fattore predittivo di risposta al rituximab. Inoltre, in assenza di dati sul fenotipo degli splenociti dei pazienti trattati con rituximab e rispondenti (i quali non vengono splenectomizzati) non è possibile stabilire se i pazienti non rispondenti esibiscano una malattia preferibilmente T-mediata di base o se questa venga direttamente o indirettamente indotta dalla somministrazione di rituximab.

Fonte: Bloodhttp://bloodjournal.hematologylibrary.org/

 

PubMed link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23963041

A cura di:

www.ematologiainprogress.net

Redazione Ematologia in progress
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