Inquadramento e trattamento dei linfomi con localizzazione al sistema nervoso centrale

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Il sistema nervoso centrale (SNC) rappresenta una localizzazione poco frequente nei linfomi, ma è di grande importanza affrontare l’argomento sia per l’impatto prognostico negativo generalmente associato alla presenza di malattia in tale sede sia per le peculiarità del trattamento.

Il SNC può essere interessato da localizzazione linfomatosa in tutte le sue componenti (meningi, parenchima cerebrale, midollo spinale, radici nervose): si parla di linfomi primitivi del SNC (LPSNC) quando non è dimostrabile il coinvolgimento di alcuna altra sede nodale, extranodale e midollare, altrimenti si tratta di localizzazioni secondarie al SNC che possono essere presenti fin dalla diagnosi o, più frequentemente, presentarsi alla recidiva di malattia.

Dal punto di vista istologico la maggior parte delle localizzazioni primitive o secondarie al SNC sono rappresentate dal linfoma B diffuso a grandi cellule (DLBCL), ed è ad esso che ci si riferirà in questo approfondimento. E’ noto che anche il linfoma mantellare possa presentarsi, alla diagnosi o in recidiva, con localizzazioni SNC: la frequenza di tale coinvolgimento è inferiore al 5% dei casi. Le localizzazioni cerebrali di linfomi indolenti o di linfomi T sono pressoché aneddotiche.

 

Trattamento dei linfomi a primitiva localizzazione al sistema nervoso centrale

Il LPSNC rappresenta circa il 4% dei tumori primitivi del SNC e circa il 5-6% di tutti i linfomi extranodali, con una incidenza di circa 4 casi per milione per anno. La maggior parte dei casi è diagnosticata dopo la quarta decade di vita, con uguale incidenza tra maschi e femmine. Il fattore di rischio più noto per lo sviluppo del LPSNC è l’immunodepressione, incluso l’AIDS. La maggior parte dei casi giunge all’attenzione medica per lo sviluppo di sintomi (cefalea, segni neurologici focali, convulsioni, alterazioni comportamentali), molto rara è l’identificazione occasionale in corso di imaging neuroradiologico per altre ragioni. La diagnosi deve essere sempre istopatologica, tramite neurobiopsia stereotassica; nei casi in cui ciò non sia possibile o agevole si può ricorrere all’esame del liquido cefalo-rachidiano. La stadiazione deve includere una RM dell’encefalo e del midollo spinale, l’analisi chimico-fisica, citomorfologica e immunofenotipica del liquor (a meno di controindicazioni legate a marcata ipertensione endocranica) e una stadiazione sistemica (TAC o PET) per confermare la natura primitiva del linfoma. Nei maschi è anche opportuna la valutazione obiettiva ed ecografica dei testicoli (Grommes C & DeAngelis LM, 2017). La prognosi del LPSNC può essere stimata utilizzando lo score dell’IELSG, basato su 5 parametri (età, performance status, LDH, protidorrachia e coinvolgimento cerebrale profondo) che consentono di definire 3 categorie di rischio (0-1 vs 2-3 vs 4-5 fattori di rischio con sopravvivenza a 2 anni rispettivamente dell’80%, 48% e 15%) (Ferreri AJ et al, 2003).

Il cardine del trattamento del LPSNC è l’impiego del methotrexate a dosi adeguate ad attraversare la barriera emato-encefalica (almeno 1,5 gr/mq, più comunemente sono usate dosi da 3,5 a 8 gr/mq), con aggiunta di altri agenti in relazione a età e comorbidità. Altre modalità di trattamento (resezione chirurgica estesa, radioterapia panencefalica) erano comuni in passato ma gravate da pesante neurotossicità e alta tendenza alla recidiva. Nei pazienti giovani (<70 anni) lo studio randomizzato IELSG32 ha dimostrato che l’aggiunta di rituximab e thiotepa al backbone rappresentato da methotrexate e citarabina ad alte dosi (schema MATRix) aumenta la probabilità di remissione completa e la sopravvivenza libera da recidiva (Ferreri AJ et al, 2016). Una seconda randomizzazione dei pazienti rispondenti al regime di induzione nello stesso protocollo ha dimostrato simile sopravvivenza per pazienti consolidati con trapianto autologo o radioterapia panencefalica, con minore neurotossicità e minori conseguenze cognitive nel gruppo dei pazienti trapiantati (Ferreri AJ et al, 2017). Nei pazienti anziani o unfit sono stati impiegati con successo schemi basati sull’associazione di methotrexate, procarbazina, rituximab ± vincristina (Morris PG et al, 2013), methotrexate, rituximab e temozolomide (Omuro A et al, 2015) o schemi non basati sul methotrexate (specie nei pazienti con insufficienza renale severa) e includenti alchilanti (procarbazina, temozolomide), lenalidomide e più recentemente ibrutinib (Lionakis MS et al, 2017).

 

Fattori di rischio per la recidiva dei linfomi DLBCL al sistema nervoso centrale

La recidiva al SNC è un evento raro nei DLBCL (2-5% dei casi), tipicamente associato a una prognosi sfavorevole a breve termine. L’incidenza delle localizzazioni secondarie al SNC sembra essere diminuita negli ultimi decenni a seguito dell’introduzione del rituximab, sia per un miglior controllo della malattia in prima linea, sia per la documentata capacità di tale farmaco di penetrare la barriera ematoencefalica (Zhang J et al, 2014). Le recidive al SNC insorgono in genere precocemente, poco dopo il termine del trattamento di prima linea o anche durante il suo svolgimento, e nel 40-50% dei casi sono accompagnate da recidiva anche in altre sedi sistemiche, il che determina una prognosi ancor più scadente (Uni M et al, 2015).

Data la difficoltà di trattamento delle recidive al SNC è cruciale identificare al basale quali pazienti siano a maggior rischio di svilupparle, in modo da adottare strategie di profilassi. Lo score CNS-IPI, sviluppato su oltre 2000 pazienti con DLBCL e poi ampiamente validato in studi clinici e nella real-life, si basa su 6 parametri, i medesimi 5 dello score IPI (età, stadio Ann Arbor, localizzazioni extranodali, performance status, LDH) più il coinvolgimento di reni e/o surreni: la probabilità di andare incontro a recidiva al SNC entro 2 anni dalla diagnosi è dello 0,8% per i pazienti con 0-1 fattori di rischio, del 3,9% per i pazienti con 2-3 fattori di rischio e del 12% per i pazienti con ≥4 fattori di rischio (Schmitz N et al, 2016). Altri fattori di rischio clinico-biologici per la recidiva al SNC comprendono le localizzazioni a testicolo, ovaie, utero e mammella, e la presenza di riarrangiamenti o iperespressione dei geni MYC, BCL2 e/o BCL6 (Savage KJ et al, 2016).

Per i pazienti ad alto rischio clinico (CNS-IPI ≥4) o biologico (ad es. double o triple hit) è raccomandata la valutazione basale delle localizzazioni SNC mediante neuroimaging e/o analisi del liquor cefalo-rachidiano, preferibilmente abbinando valutazione citomorfologica e immunofenotipica (Benevolo G et al, 2012; Alvarez R et al, 2012). Peraltro, visto il decremento dell’incidenza delle recidive SNC nell’era rituximab e il fatto che i medesimi pazienti siano già candidati a strategie di profilassi durante o immediatamente dopo il trattamento di prima linea, l’utilità della valutazione del liquor alla diagnosi nei pazienti ad alto rischio senza sintomi neurologici rimane oggetto di dibattito (Qualls D et al, 2019).

 

Strategie di profilassi della recidiva dei linfomi DLBCL al sistema nervoso centrale

Tradizionalmente la profilassi delle recidive al SNC nel DLBCL è consistita nella somministrazione intratecale di methotrexate, citarabina e prednisone/prednisolone in varie combinazioni. Tuttavia, la chemioterapia intratecale non raggiunge concentrazioni misurabili nel parenchima cerebrale e vi sono crescenti evidenze che nei pazienti ad alto rischio trattati con R-CHOP questo tipo di profilassi sia inadeguata (Tomita N et al, 2015). Fanno eccezione i pazienti con DLBCL a localizzazione testicolare, per i quali la profilassi intratecale è parte integrante del trattamento insieme alla chemioimmunoterapia sistemica e alla radioterapia del testicolo controlaterale (Vitolo U et al, 2011). Per tutte le altre sedi di localizzazione del DLBCL all’esordio (midollo osseo, ossa, seni paranasali, mammella, utero, ovaio, pelle, etc…) le evidenze a supporto della profilassi intratecale sono molto scarse.

Nello studio randomizzato francese di confronto tra gli schemi ACVBP e CHOP, il primo braccio, includente 2 infusioni di methotrexate a 3 gr/mq, era associato a un numero significativamente inferiore di recidive isolate al SNC e a un conseguente significativo beneficio in termini di PFS (Tilly H et al, 2003). Pur in assenza finora di evidenze da studi randomizzati in epoca rituximab, l’impiego di uno o due cicli di methotrexate ad alte dosi sembra diminuire l’incidenza delle recidive SNC ed è sempre più impiegato come strategia di profilassi nei pazienti ad alto rischio sia giovani/adulti (Abramson JS et al, 2010; Ferreri AJ et al, 2015a) che anziani (Pfreundschuh M, 2010). Rimane aperta la questione del timing di tali cicli rispetto al programma R-CHOP: dato che le recidive al SNC sono generalmente molto precoci è stato proposto di intercalare la somministrazione di methotrexate al giorno 15 tra un ciclo e l’altro di R-CHOP-21 (Qualls D et al, 2019), pur riconoscendo in questa strategia il rischio di aumentare in modo significativo la tossicità ematologica ed extraematologica.

Non ci sono evidenze che l’impiego di citarabina ad alte dosi o l’aggiunta di etoposide al trattamento standard (R-CHOEP) siano di beneficio come strategie di profilassi della recidiva del DLBCL al SNC.

 

Trattamento dei linfomi DLBCL con localizzazione o recidiva secondaria al sistema nervoso centrale

I principi di trattamento dei linfomi con localizzazione o recidiva secondaria al SNC sono sovrapponibili a quelli del LPSNC. Se possibile in base alle condizioni del paziente, all’età e ai trattamenti precedentemente ricevuti, il backbone è rappresentato dalla combinazione di methotrexate e citarabina ad alte dosi, con l’eventuale associazione di altri farmaci in grado di attraversare la barriera ematoencefalica (ad es. procarbazina, ifosfamide, thiotepa, carmustina). In uno studio prospettico su pazienti con recidiva SNC di DLBCL ed età <65 anni il salvataggio con cicli alternati basati su methotrexate ad alte dosi + ifosfamide e citarabina ad alte dosi + thiotepa e consolidamento con trapianto autologo nei pazienti responsivi ha determinato un tasso di sopravvivenza a 2 anni del 63% e un tasso di sopravvivenza libera da recidiva del 51% (Korfel A et al, 2013). Analogamente uno studio italiano prospettico ha evidenziato l’efficacia del trattamento con methotrexate ad alte dosi, citarabina, rituximab e citarabina liposomiale intratecale seguito da consolidamento con trapianto autologo condizionato con carmustina e thiotepa: il 63% dei pazienti ha ottenuto una remissione completa e la sopravvivenza a 5 anni era del 41% per l’intera coorte e del 68% per i pazienti sottoposti a trapianto (Ferreri AJ et al, 2015b). Più recentemente, uno schema di trattamento intensivo, rappresentato dalla sequenza di 3 cicli MATRix seguiti da 3 cicli con rituximab, ifosfamide, carboplatino ed etoposide e poi trapianto autologo, è stato impiegato in 79 pazienti di età 18-70 anni con DLBCL e localizzazione o recidiva secondaria al SNC, ottenendo una PFS a 1 anno del 58% nell’intera coorte e un’incoraggiante PFS a 2 anni del 71% nei pazienti con localizzazione SNC al momento della diagnosi iniziale (Ferreri AJ et al, 2021). Altri farmaci che si sono dimostrati potenzialmente utili in questo difficile setting sono la lenalidomide (Rubenstein JL et al, 2018), l’ibrutinib e gli inibitori del checkpoint immune (Nayak L et al, 2017).

 

 

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A cura di:

Sezione di Ematologia del Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Verona

Università degli Studi di Verona, Professore Onorario di Ematologia, già Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, della UOC di Ematologia e del Dipartimento di Medicina

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