Inotuzumab e chemioterapia non-intensiva come terapia di prima linea per pazienti anziani con leucemia acuta linfoblastica (LAL) Ph-
Nel numero di gennaio c.a. di Lancet Oncology è stato pubblicato il manoscritto “Inotuzumab ozogamicin in combination with low-intensity chemotherapy for older patients with Philadelphia chromosome-negative acute lymphoblastic leukaemia: a single-arm, phase 2 study” (Kantarjian H et al, 2018), in cui i colleghi dell’MD Anderson Cancer Center hanno valutato l’efficacia e la fattibilità di una terapia di prima linea basata sulla combinazione di una chemioterapia non-intensiva (i.e. mini-hyper-CVD) con l’inotuzumab ozogamicina (INO) nei pazienti anziani (>60 anni) con LAL Ph-.
Lo studio prevedeva una fase di run-in, per la determinazione della “dose-limiting toxicity”: Nella versione emendata e definitiva, INO veniva somministrato al dosaggio di 1,3 mg/m2 per la prima dose e di 1 mg/m2 nelle somministrazioni successive. INO è stato somministrato per i primi 4 cicli. Inoltre, nei pazienti CD20+, è stato utilizzato contestualmente il rituximab, sempre per i primi 4 cicli.
In un periodo compreso tra novembre 2011 e aprile 2017, sono stati arruolati 52 pazienti (età mediana: 68 anni, range 64-72) di cui 48 “treatment-naive” (4 pazienti erano già in remissione di malattia prima dell’arruolamento). I criteri di inclusione prevedevano l’assenza di infezioni in atto resistenti a terapia antibiotica, di cardiopatie e di disfunzioni d’organo.
L’obiettivo primario era la sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 2 anni e l’obiettivo secondario la sicurezza della combinazione.
La risposta (RC) al trattamento è stata valutata morfologicamente ed è stata altresì determinata la malattia minima residua (MMR) mediante citofluorimetra a fusso a 6 colori.
Dei 48 pazienti che non avevano ricevuto precedenti trattamenti, 47 (98%) hanno ottenuto una risposta; la MMR, disponibile per 46 di essi, era negativa nel 78% al momento della remissione, e nel 96% entro i primi 3 cicli. Tre pazienti hanno eseguito trapianto allogenico.
Con un follow-up mediano di 29 mesi e considerando la casistica complessiva, 34/52 pazienti (65%) sono vivi in prima RC, 6 pazienti sono recidivati e 18 sono deceduti, di cui 12 in RC; non sono state osservati decessi precoci (i.e. entro le prime 4 settimane). La PFS a 2 anni è del 52% (mediana: 35 mesi) e l’overall survival del 66% (mediana: non raggiunta).
Per ciò che concerne la tossicità, la neutropenia prolungata si è verificata nel 12% dei casi, mentre la piastrinopenia prolungata si è verificata nell’81% dei pazienti. Infine, la tossicità epatica di qualsiasi grado si è verificata nel 100% dei casi: in 4 pazienti (8%, un paziente post-trapianto allogenico) si è registrata una VOD (veno-occlusive disease), che ha portato all’emendamento definitivo del protocollo.
Complessivamente, questi sono ad oggi i migliori risultati pubblicati in casistiche di pazienti anziani con LAL Ph-, e dimostrano l’efficacia di un approccio basato su una chemioterapia non-intensiva in combinazione con l’immunoterapia.
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A cura di:
Ematologia, Università “Sapienza”, Roma