I dati del gruppo europeo EBMT evidenziano come i linfomi non Hodgkin rappresentino attualmente la più frequente indicazione al trapianto di cellule staminali emopoietiche (Ljungman P et al, 2010). Nella maggior parte dei pazienti viene utilizzato il trapianto autologo, anche se il numero di trapianti allogenici è in aumento, sia per la progressiva riduzione della mortalità associata ai regimi di condizionamento a intensità ridotta (RIC) sia per le evidenze di una maggiore efficacia del trapianto allogenico rispetto al trapianto autologo, legata in parte, almeno per alcuni istotipi, ad un effetto graft-vs-lymphoma (GvLy).
Linfomi non Hodgkin B indolenti
Il ruolo del trapianto autologo come terapia di consolidamento alla prima linea nei NHL follicolari è stato esplorato da alcuni studi condotti in epoca pre-Rituximab e da uno studio prospettico italiano includente il Rituximab. Tutti gli studi hanno incluso pazienti con linfoma follicolare a cattiva prognosi. Gli studi del gruppo tedesco GLSG (Lenz G et al, 2004) e del gruppo francese GOELAMS (Deconinck E et al, 2005) hanno mostrato che la terapia sequenziale ad alte dosi (HDS) come consolidamento della chemioterapia di prima linea determina una migliore sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto al mantenimento con alfa-interferone, ma non consente di migliorare la sopravvivenza (OS) di questi pazienti. Lo studio italiano GITMO/IIL ha confrontato in maniera prospettica la terapia R-HDS vs la chemioterapia CHOP-R, dimostrando che la miglior PFS nel primo braccio dipende sostanzialmente dal maggior numero di risposte molecolari complete che essa induce; anche in questo caso tra i due bracci di trattamento non si osserva alcuna differenza in termini di OS (Ladetto M et al, 2008). Oggi il ruolo del trapianto autologo come consolidamento della prima linea nei linfomi follicolari a cattiva prognosi è messo in forte discussione sia per le implicazioni in termini di effetti a distanza (seconde neoplasie) sia per i dati di efficacia e sicurezza della terapia di mantenimento con Rituximab (Salles GA et al, 2010).
Lo studio randomizzato internazionale CUP ha esplorato il ruolo del trapianto autologo nei NHL follicolari in ricaduta (Schouten HC et al, 2003). I risultati dello studio suggeriscono un beneficio delle HDS rispetto alla chemioterapia convenzionale, con una sopravvivenza a 4 anni del 46% per i pazienti trattati con chemioterapia vs il 71% dei pazienti sottoposti a trapianto autologo con cellule “unpurged” e il 77% del pazienti trapiantati con cellule “purged”. Il valore di questo trial è stato peraltro messo in discussione sia per l’esiguo numero di pazienti arruolati e valutabili (di molto inferiore al programmato), sia perché non esiste dimostrazione che questi dati siano applicabili anche in epoca Rituximab.
Il trapianto allogenico è stato impiegato nei pazienti <65 anni, in genere ricaduti dopo trapianto autologo. Le analisi retrospettive dell’EBMT (Robinson SP et al, 2002) e dell’MD Anderson Cancer Center (Khouri IF et al, 2008), e lo studio prospettico del gruppo inglese (Faulkner RD et al, 2004), hanno confermato che il trapianto allogenico condizionato con regime RIC (+/- alemtuzumab per indurre la T-deplezione) determina tassi di mortalità contenuti (tra il 10 e il 16%) ed è in grado di ridurre efficacemente il rischio di ricaduta, indicando che nel linfoma follicolare esiste un efficace effetto GvLy. Un’analisi dell’EBMT ha confrontato i risultati del trapianto autologo e di quello allogenico in due coorti di pazienti: pur presentando fattori prognostici più sfavorevoli, il gruppo di pazienti sottoposti a trapianto allogenico aveva un minor rischio di relapse, il che determinava a 3 anni dal trapianto una miglior PFS rispetto al gruppo sottoposto a trapianto autologo (Robinson SP et al, 2007).
Linfomi non Hodgkin B aggressivi
Nel linfoma mantellare, l’impiego in prima linea delle HDS seguite da trapianto autologo di cellule staminali si è dimostrato superiore rispetto alla chemioterapia convenzionale sia in epoca pre-Rituximab (Dreyling M et al, 2005) sia con l’impiego dell’anticorpo monoclonale anti-CD20 (Gianni AM et al, 2003). Nei pazienti con malattia ricaduta o refrattari alla terapia di prima linea il beneficio del trapianto autologo è molto limitato. I pazienti con ricaduta chemiosensibile possono beneficiare del trapianto allogenico con condizionamento ridotto. In un’esperienza preliminare su 18 pazienti condotta presso l’MD Anderson Cancer Center il trapianto allogenico condizionato con fludarabina, ciclofosfamide e l’impiego di alte dosi di Rituximab è risultato sicuro (0% di mortalità trapianto-correlata) e ha determinato una probabilità di sopravvivenza a 3 anni dell’82% (Khouri IF et al, 2003). Studi su casistiche più ampie hanno mostrato risultati meno brillanti ma comunque incoraggianti: nell’esperienza dell’EBMT su 279 pazienti è stato individuato un gruppo di pazienti a buona prognosi (età inferiore a 45 anni, buon performance status e malattia chemiosensibile) per il quale la probabilità di OS e PFS a 3 anni risultano rispettivamente del 70% e del 66% (Robinson SP et al, 2006).
Nel linfoma B diffuso a grandi cellule l’impiego in prima linea delle HDS seguite da trapianto autologo è stato proposto come consolidamento della remissione in pazienti ad alto rischio o con fattori prognostici sfavorevoli.Un’estesa metanalisi di 13 studi comprendenti oltre 2000 pazienti, tutti trattati in epoca pre-Rituximab, ha messo in evidenza che le HDS determinano tassi superiori di remissione completa ma nessun significativo beneficio in termini di OS e EFS (Greb A et al, 2004). Un’analisi ad interim di uno studio tedesco che ha randomizzato pazienti giovani con linfoma B aggressivo ad alto rischio a ricevere uno schema HDS (MegaCHOEP + Rituximab) o uno schema di terapia convenzionale intensificato (8 x R-CHOEP-14) ha messo sorprendentemente in evidenza che il braccio di terapia ad alte dosi determina percentuali di EFS peggiori rispetto alla terapia convenzionale (56,7% vs 71%, p=0,05), indicando che in epoca Rituximab il ruolo delle HDS come terapia di prima linea nel linfoma B diffuso a grandi cellule è ancor più controverso (Schmitz N et al, 2009).
La superiorità del trapianto autologo rispetto alla chemioterapia convenzionale è stata invece dimostrata, in epoca pre-Rituximab, nella popolazione dei pazienti con malattia ricaduta chemiosensibile (Philip T et al, 1995). Gli studi successivi hanno peraltro mostrato che i pazienti che ricadono dopo essere stati trattati con Rituximab sono più difficilmente recuperabili con schemi di terapia ad alte dosi (Gisselbrecht C, 2009). Alla luce di questi dati, pertanto, il ruolo del trapianto autologo nel linfoma B diffuso a grandi cellule presenta ancora delle controversie.
Anche nel caso dei pazienti con linfoma B diffuso a grandi cellule il trapianto allogenico è stato proposto come terapia di salvataggio nei pazienti giovani, con caratteristiche prognostiche sfavorevoli, spesso ricaduti dopo trapianto autologo. Le casistiche sono in genere limitate, eterogenee e comprendono pazienti trattati sia con regimi di condizionamento classici che ridotti. I benefici del trapianto in termini di PFS sembrano essere limitati dalla mortalità non legata a ricaduta (Non-Relapse Mortality), che in questa categoria di pazienti si aggira attorno al 30%, principalmente legata alla GVHD. A titolo di esempio, la casistica raccolta dall’EBMT su 101 pazienti con linfoma B diffuso a grandi cellule ricaduto dopo trapianto autologo ha mostrato, ad un follow-up mediano di 3 anni, una OS del 51%, una PFS del 42% e una NRM del 28%. Il rischio di relapse dopo trapianto allogenico appare inoltre considerevole (33%), indicando, probabilmente, una minor importanza dell’effetto graft-vs-lymphoma nei linfomi B ad alta cinetica (van Kampen R et al, 2009).
Linfomi non Hodgkin T/NK
Il ruolo del trapianto, autologo e allogenico, è stato particolarmente studiato nei linfomi T, sebbene si tratti di una patologia più rara rispetto ai NHL B, in quanto manca a tutt’oggi una terapia di prima linea ottimale. Il trapianto autologo come consolidamento della chemioterapia di prima linea ha mostrato dei benefici, anche se solo alcuni studi hanno documentato un miglioramento della sopravvivenza di questi pazienti (Reimer P et al, 2004) e, cosa più rilevante, una proporzione consistente di pazienti non riesce a giungere al trapianto in quanto progredisce durante la chemioterapia di induzione. In un trial prospettico condotto su 83 pazienti con linfoma T avanzato solo il 66% è riuscito ad arrivare al trapianto autologo in remissione completa o parziale: questo limite riduce il valore di tale procedura nel trattamento dei linfomi T, e la sopravvivenza in questi pazienti non supera il 50% (Reimer P et al, 2009).
Nell’esperienza italiana del gruppo GITIL (Corradini P, 2004) su 17 pazienti con linfoma T ricaduto/refrattario l’impiego di un regime RIC seguito da trapianto allogenico ha determinato risultati molto incoraggianti, con una sopravvivenza a tre anni dell’81% e una mortalità molto ridotta (6%). Anche il gruppo francese SFGM-TC ha documentato l’efficacia del trapianto allogenico a condizionamento ridotto in pazienti con linfoma T ricaduto/refrattario: nella loro casistica di 71 pazienti la sopravvivenza a 5 anni è del 57% e la curva mostra un plateau che sembrerebbe indicare che l’effetto GvLy sia in grado di contenere le ricadute di malattia post-trapianto (Le Gouill S et al, 2008).
Recenti studi prospettici si sono posti l’obiettivo di indagare se il trapianto autologo e quello allogenico abbiano un diverso ruolo nel consolidamento dei pazienti giovani con linfoma T in prima remissione: i risultati di questi studi sono attesi e serviranno a definire in maniera più chiara il trattamento ottimale dei NHL T.
Università degli Studi di Verona, Professore Onorario di Ematologia, già Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, della UOC di Ematologia e del Dipartimento di Medicina
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