Dopo la presentazione di Peter Hillmen al virtual EHA congress tenutosi lo scorso 9-17 Giugno 2021 (Hillmen P et al, 2021) è stato pubblicato il 26 luglio scorso sul Journal of Clinical Oncology (Byrd J et al, 2021) il lavoro dal titolo: “Acalabrutinib Versus Ibrutinib in Previously Treated Chronic Lymphocytic Leukemia: Results of the First Randomized Phase III Trial”. Un editoriale di accompagnamento ha commentato i risultati dello studio, mettendone in luce le principali ricadute applicative (Stephens DM, 2021).
I principali risultati
a. Caratteristiche dei pazienti. Lo studio ha incluso 533 pazienti con leucemia linfatica cronica (LLC) che avevano ricevuto una mediana di due precedenti linee di terapia. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi omogenei per caratteristiche clinico-biologiche e sottoposti alla terapia orale con acalabrutinib 100 mg x 2 /die (268 pazienti) o con ibrutinib 420 mg/die (265 pazienti). I pazienti inclusi nel protocollo erano ad alto rischio citogenetico in quanto dovevano avere all’arruolamento la delezione 17p coinvolgente TP53 e/o la delezione 11q coinvolgente ATM. I pazienti, di età mediana di 66 e 67 anni nei due bracci e con un performance status ECOG di 0-1 o 2 rispettivamente nel 92% e 8% dei casi, sono stati seguiti per un periodo mediano di 40,9 mesi.
b. Efficacia del trattamento. In entrambi i bracci la sopravvivenza libera da progressione (PFS) è risultata pari a 38,4 mesi [95% CI, 33,0 – 38,6 con acalabrutinib e 33,0 – 41,6 mesi con ibrutinib], con una mediana di sopravvivenza globale non raggiunta.
c. Eventi avversi di interesse clinico con acalabrutinib in confronto con ibrutinib.
Ricadute applicative
La migliore tollerabilità di acalabrutinib, unitamente alla sua pari efficacia ad un follow-up mediano di 40,9 mesi, suggerisce che questo inibitore di BTK, più selettivo di ibrutinib, possa essere il farmaco di scelta nei pazienti nei quali il medico ematologo scelga la terapia di durata indefinita sino a progressione con questa classe di farmaci, in particolare nei pazienti con precedenti patologie cardiovascolari. E’ stato infatti riportato che la comparsa di FA e di ipertensione può portare ad una aumento di morbilità e mortalità (Dickerson T et al, 2019).
La lunga durata di osservazione dei pazienti arruolati nei trial clinici di ibrutinib è un fattore da tenere in considerazione nella scelta terapeutica, soprattutto nei pazienti con 17p- o con mutazioni di TP53 che presentano dati di efficacia molto buoni ad un follow-up di 6,5 anni (Ahn IE et al, 2020). Allo stesso modo, la convenienza della somministrazione giornaliera e l’assenza di interferenza con inibitori di pompa protonica possono rappresentare elementi a favore di ibrutinib, che l’ematologo dovrà considerare assieme alle strategie alternative, nel disegno della miglior strategia terapeutica per il singolo paziente.
Prospettive
Mentre la terapia della LLC ricaduta o refrattaria è oggi incentrata su due strategie terapeutiche approvate, vale a dire la terapia di durata fissa con l’inibitore di BCL2 venetoclax associato al rituximab e la terapia di durata indefinita con gli inibitori di BTK ibrutinib o acalabrutinib, sono già all’orizzonte o in fase avanzata di sperimentazione nuove molecole appartenenti a quest’ultima classe di farmaci. Di particolare interesse sono il nuovo inibitore di BTK zanubrutinib, che si lega in maniera più selettiva e irreversibile al sito di legame C481 di BTK, già approvato da FDA per la macroglobulinemia di Waldenstrom e pirtobrutinib (in precedenza noto come LOXO-305) che interferisce con BTK attraverso un legame reversibile non-covalente e dimostra attività anche in presenza di mutazioni del BTK (Mato AR et al, 2021).
Fonte:
Bibliografia
Professore Ordinario di Ematologia, Università degli Studi di Ferrara
Professore Emerito di Ematologia, Università Sapienza, Roma
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