Highlights sul mieloma multiplo dai congressi ASCO e EHA 2021

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Novità nella terapia di I linea

 

I dati di due importanti studi di fase III, MAIA e CASSIOPEIA, aggiornati e riportati ai congressi ASCO e EHA 2021, avranno un significativo risvolto nel trattamento del paziente affetto da mieloma multiplo (MM) di nuova diagnosi.

Facon T. et al, hanno presentato come “late breaking abstract” all’EHA21 un aggiornamento dello studio randomizzato di fase III MAIA (follow-up mediano: 56 mesi), in cui pazienti con MM di nuova diagnosi non candidabili a trapianto autologo (età mediana: 73-74 anni), sono stati trattati con lenalidomide-desametasone (Rd) o Rd in associazione a daratumumab (DRd). DRd, come già dimostrato in precedenza, ha confermato un incremento dei tassi di risposte globali (ORR, 93% vs 82%) e di remissione complete (RC, 51% vs 30%), così come un prolungamento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto al vecchio standard of care Rd (mediana, NR vs 34,4 mesi; PFS a 5 anni, 52,5% vs 28,7%; HR 0,53, p<0,001). Il dato più interessante presentato però riguarda la sopravvivenza globale (OS): dopo un follow-up di circa 5 anni, DRd ha dimostrato una riduzione del rischio di morte statisticamente significativa e pari al 32% rispetto a Rd (OS a 5 anni: 66,3% vs 53,1%). L’aggiunta di daratumumab a Rd, come già accaduto in precedenza con VMP, dimostra quindi non solo di prolungare il tempo della prima remissione, ma anche la sopravvivenza globale.

Nell’ambito del trattamento del paziente candidabile a trapianto autologo invece, Moreau P. et al, hanno presentato all’ASCO i dati relativi alla seconda parte dello studio di fase III CASSIOPEIA. Nella prima parte dello studio, pazienti con MM di nuova diagnosi e candidabili a trapianto autologo sono stati randomizzati a ricevere un regime di induzione e consolidamento con bortezomib, talidomide e desametasone (VTd) o VTd in associazione a daratumumab (DVTd). Al termine della fase di consolidamento, 886 pazienti sono andati incontro ad una seconda randomizzazione atta al confronto tra daratumumab quale terapia di mantenimento (16 mg/kg ogni 8 settimane per un massimo di due anni) e la sola osservazione. La somministrazione di daratumumab come terapia di mantenimento ha dimostrato una riduzione statisticamente significativa del rischio di morte o progressione rispetto alla sola osservazione (HR: 0,53; p<0,001), con una PFS mediana dall’inizio della terapia di mantenimento non raggiunta nel braccio sperimentale vs 47 mesi nel braccio della sola osservazione. Gli autori riportano anche maggiori tassi di malattia minima residua (MRD) negativa a favore del braccio di trattamento con daratumumab rispetto al braccio di controllo (59% vs 47%). Il dato più interessante però riguarda l’interazione tra terapia di induzione e consolidamento e quella di mantenimento. Il beneficio indotto dalla somministrazione di daratumumab come terapia di mantenimento in termini di PFS infatti, si è osservato soltanto nei pazienti che non avevano ricevuto daratumumab durante la fase di induzione e consolidamento (VTd-D vs VTd-osservazione, HR: 0,32), mentre l’utilizzo continuativo di daratumumab nei pazienti che già erano stati trattati con daratumumab durante la prima parte dello studio non ha dimostrato alcun vantaggio in termini di PFS (DVTd-D vs DVTd-osservazione, HR: 1,02). Analogamente, nei pazienti che avevano ricevuto daratumumab durante le fasi di induzione e consolidamento, la terapia continuativa con daratumumab non ha prodotto tassi di MRD negatività superiori rispetto alla sola osservazione (64% vs 57%), mentre nei pazienti del braccio VTd, il mantenimento con daratumumab ha incrementato i tassi di MRD negatività rispetto alla sola osservazione (53% vs 36%).

 

Sono ben tre le presentazioni orali ASCO/EHA21 incentrate sulla terapia di I linea dei pazienti con MM definito ad alto rischio sulla base delle caratteristiche biologiche della malattia. Gay F. et al. hanno riportato all’ASCO i risultati dell’analisi di sottogruppo, focalizzata sui pazienti con dati di citogenetica (FISH) e arruolati e trattati nell’ambito del protocollo FORTE, atta a valutare l’efficacia dei tre regimi di induzione, intensificazione e consolidamento, ossia carfilzomib, lenalidomide e desametasone (KRD) con (KRD-ASCT) o senza trapianto autologo (KRD12) o carfilzomib, ciclofosfamide e desametasone associato a trapianto autologo (KCd-ASCT), e a comparare due strategie di mantenimento, lenalidomide o lenalidomide e carfilomib (R vs KR), nei pazienti a rischio standard (nessuna anomalia citogenetica ad alto rischio), a rischio alto (almeno una anomalia citogenetica ad alto rischio) o “double-hit” (almeno 2 anomalie citogenetiche ad alto rischio). Per ciò che riguarda le terapie di induzione, intensificazione e consolidamento, KRD-ASCT ha dimostrato di prolungare la PFS rispetto a KRD12 e KCD-ASCT sia nei pazienti a rischio standard che in quelli considerati ad alto rischio o con MM “double hit”. KRD-ASCT ha anche prodotto più alti tassi di pazienti con MRD negatività sostenuta per almeno 12 mesi rispetto a KRD12 e KCD-ASCT. Per ciò che concerne la terapia di mantenimento invece, l’associazione KR ha prolungato la PFS dall’inizio della terapia di mantenimento rispetto alla terapia con lenalidomide (R) sia nei pazienti a rischio standard (PFS a 3 anni: 90% vs 73%) che in quelli a rischio alto (PFS a 3 anni: 69% vs 56%) o con MM “double-hit” (PFS a 3 anni: 69% vs 42%). Sebbene i pazienti con MM ad alto rischio presentino ancora una sopravvivenza inferiore a quella osservata nei pazienti a rischio standard, i dati riportati con l’utilizzo di KRD-ASCT e KR risultano da una parte promettenti in relazione alle opzioni terapeutiche attualmente disponibili per pazienti ad alto rischio, e dall’altro sottolineano come questa popolazione rappresenti quello che viene definito un “unmet medical need”.

Sono stati presentati poi due studi prospettici disegnati appositamente per pazienti ad alto rischio e che hanno testato l’utilizzo di due diversi regimi intensivi a quattro o cinque farmaci. Weisel K. et al. hanno presentato all’EHA21 i dati preliminari dei primi 50 pazienti trattati con la combinazione KRD + isatuximab (Isa-KRD) quale terapia di induzione, consolidamento e mantenimento (IsaKR), con o senza trapianto autologo (in base alla elegibilità dei singoli pazienti), dimostrando una PFS a 2 anni pari al 76%. Kaiser M. et al. invece hanno testato la combinazione di daratumumab, ciclofosfamide, bortezomub, lenalidomide e desametasone (DCVRd) come induzione, seguita da trapianto autologo, consolidamento con DRVd e mantenimento con DRd, per pazienti ad alto rischio, inclusi pazienti con leucemia plasmacellulare primitiva. I risultati preliminari sui 107 pazienti arruolati, presentati all’EHA, mostrano come la maggior parte dei pazienti abbia risposto alla terapia di induzione con DCVRd (ORR: 99%; RC: 23%; MRD negatività: 41% ), con un significativo approfondimento delle risposte successivamente al trapianto autologo (RC: 52%; MRD negatività: 64%).

Nonostante le differenze di definizione della popolazione ad alto rischio inclusa nei diversi studi, i risultati riportati con le combinazioni IsaKRd e DCVRd sono certamente promettenti; tuttavia, un più lungo follow-up è necessario per verificare che i tassi di risposte ottenuti si mantengano nel tempo e per valutare se questi approcci intensivi si tradurranno in PFS e OS simili a quelli dei pazienti a rischio standard.

 

Novità nel trattamento del mieloma recidivato e refrattario (RR)

 

L’utilizzo dei farmaci immunomodulanti (IMiD), degli inibitori del proteasoma e degli anticorpi monoclonali nelle prime linee di terapia ha permesso di prolungare sensibilmente la sopravvivenza dei pazienti con MM; tuttavia, i pazienti che recidivano dopo aver ricevuto combinazioni di questi farmaci o ne sono refrattari, rappresentano oggi una sfida terapeutica, in particolare i pazienti cosiddetti “triple e penta-refractory”, ossia refrattari ad uno o più IMiD e PI e ad un anticorpo anti-CD38, la cui prognosi è purtroppo infausta. A tal proposito, l’individuazione di nuovi target neoplastici e di nuove farmaci risulta fondamentale per offrire a tali pazienti delle alternative terapeutiche efficaci. Anticorpi bispecifici e “chimeric antigen receptor T-cell” (CAR-T) rappresentano due tecnologie farmacologiche di particolare interesse e il cui sviluppo potrebbe cambiare radicalmente l’approccio terapeutico al MM.

Di particolare interesse sono i risultati relativi alla sicurezza e all’efficacia di tre anticorpi bispecifici, due diretti contro il B-cell maturation antigen  (BCMA) espresso sulle plasmacellule di mieloma e contro il CD3 espresso dai linfociti T, teclistamab e elratanab, e uno diretto contro il GRPC5D espresso sulle plasmacellule di mieloma e contro il CD3 espresso dai linfociti T, talquetamab, testati in pazienti con RRMM altamente pre-trattati (mediana di precedenti linee di terapia da 5 a 8, la maggior parte “triple-class refractory”).

Per ciò che concerne teclistamab (studio MAJESTIC-1, presentato all’EHA21 da Van De Donk N. et al.), si è osservata una ORR pari al 65% dei pazienti trattati alla recommended phase 2 dose (RP2D, 1500 mcg/kg s.c.), con un tasso di RC/sRC del 40%. Per ciò che concerne le principali tossicità osservate con gli anticorpi bispecifici, ossia la cytokine release syndrome (CRS) e la neurotossicità (ICANS), il 70% dei pazienti ha sviluppato una CRS di grado 1-2, con un tempo mediano di insorgenza dei sintomi di 2 giorni e una mediana di durata degli stessi di 2 giorni, mentre non sono stati osservati casi di CRS di grado 3-4. Soltanto nell’1% dei pazienti trattati sono stati riportati sintomi neurologici.

Lo studio di fase 1 MAGNETISMM-,1 presentato sempre all’EHA21 da Costello C. et al., ha investigato invece dosi crescenti (80 à 1000 mcg/kg) di elranatamab, altro anticorpo bispecifico diretto contro BCMA e CD3 a somministrazione settimanale s.c. Analogamente a quanto osservato con teclistamab, il 73% dei pazienti trattati con elranatamab ha sviluppato una CRS (grado 1-2, nessun caso di grado 3-4) mentre il 20% dei pazienti ha sviluppato sintomi neurologi, tutti di grado 1-2 (ICANS, 20%). La RP2D di elranatamab è risultata la dose massima testata, ossia 1000 mcg/kg, alla quale l’83% dei pazienti ha ottenuto almeno una risposta parziale. Gli autori riportano come anche 4 pazienti precedentemente trattati con un farmaco anti-BCMA abbiano sviluppato una risposta a elranatamab.

 

Sono diversi i farmaci in corso di sviluppo, alcuni peraltro già approvati dagli enti regolatori, diretti contro BCMA, tra CAR-T, anticorpi bispecifici e anticorpi monoclonali coniugati; alla luce di ciò, appaiono ancora più importanti i risultati preliminari riportati da Krishnan A. et al., circa l’utilizzo di talquetamab, anticorpo bispecifico diretto contro GPRC5D e CD3, in pazienti con RRMM, di cui il 24% trattati in precedenza con farmaci anti-BCMA. Il profilo di tossicità è risultato in linea con quello di altri anticorpi bispecifici, con tossicità ematologica di grado 3-4 osservata soprattutto nei primi cicli di terapia (neutropenia, 60%; anemia 27%; trombocitopenia, 20%) e CRS nel 73% dei pazienti, per lo più di grado 1-2 (grado 3-4 nel 2% dei pazienti). Interessante notare come si siano osservati casi di CRS “ritardata” (tempo mediano di insorgenza pari a 2 giorni, intervallo 1-22 giorni). Peculiare è anche la tossicità dermatologica, osservata nel 77% dei pazienti trattati con talquetamab, anche in questo caso prevalentemente di grado 1-2. Promettenti i dati di efficacia: il 70% dei pazienti ha ottenuto una risposta almeno parziale e la maggior parte di essi una risposta parziale molto buona (VGPR, 50%) o la RC (10%).

I dati di efficacia ottenuti con questi anticorpi bispecifici sono estremamente promettenti e ne giustificano lo sviluppo, attualmente in corso, in studi di fase 2 e 3.

 

Per ciò che concerne le CAR-T invece, Mounzer M. et al. hanno presentato all’EHA21 i dati preliminari dello studio CARTITUDE-2 in cui cilta-cel, CAR-T anti-BCMA ad alta avidità, è stato somministrato a 20 pazienti, tutti refrattari a lenalidomide e con 1-3 linee di precedenti terapie (coorte A). Nonostante il breve follow-up (6 mesi), sono rilevanti i dati di efficacia: 95% di ORR e 75% di RC (45% sRC). Anche con cilta-cel le principali tossicità rilevate sono di natura ematologica (grado 3-4: neutropenia 90%, anemia 40% e piastrinopenia 35%), la CRS (85%, grado 3-4 10%) e neurologica (ICANS, 15%).

A cura di:

Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino

Roberto Mina
Roberto Mina
Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute, Università degli Studi di Torino, SC Ematologia U, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino
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