Nello scenario delle nuove strategie terapeutiche in tema di leucemie acute mieloidi (LAM) presentate all’ultimo ASH (dicembre 2021), venetoclax (VEN) è stato oggetto di numerosi report in associazione a differenti farmaci in diversi subset di pazienti (pts).
Tra le associazioni più promettenti, quella presentata da Daver et al (Abstract 371) in uno studio di fase I/II, mirato a valutare l’utilizzo di VEN e azacitidina (AZA) in combinazione a magrolimab, anticorpo anti-CD47 bloccante il segnale “don’t eat me” sui macrofagi, in pts con LAM di nuova diagnosi (ND) anziani/unfit o ad alto rischio, e con LAM recidivata /refrattaria (R/R). In studi precedenti, magrolimab aveva dimostrato efficacia in associazione con AZA nei pts di ND, indipendentemente dallo stato mutazionale della p53. Sono stati osservati degli alti tassi di RC/RCi (94%) e tassi di RC (81%) nei pts con LAM di ND, di cui la maggior parte (82%) con rischio avverso. Tutti i pts hanno raggiunto la risposta dopo il ciclo 1. La combinazione è stata sicura, ben tollerata e con delle tossicità attese, tra le quali l‘anemia è quella comparsa più precocemente. Dati ulteriori sono attesi allo scopo di verificare se la combinazione contribuirà a migliorare anche outcomes particolarmente sfavorevoli come le LAM con mutazione di TP53. Lo studio è attualmente ongoing (Slides 1-3).
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Shah MV et al (Abstract 36) hanno valutato l ‘efficacia dell’utilizzo di venetoclax-based therapy in pts con prognosi particolarmente sfavorevole come quelli affetti da neoplasie mieloidi therapy-related (t-MN), considerando che gli studi con VEN disponibili ad ora includevano solo una piccola parte dei pts con t-LAM e la sua efficacia nella t-MDS non è nota. Per quanto l’utilizzo di venetoclax-based therapy possa indurre delle remissioni, incluso l’ottenimento di MRD negatività in un sottogruppo di pazienti, tuttavia la progressione di malattia è stata osservata nell’83% dei pts, con sopravvivenza libera da progressione (PFS) e sopravvivenza globale (OS) complessivamente insoddisfacenti. Pertanto, la terapia delle T-MN continua a rappresentare un “unmet need” (Slides 4-5).
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La sopravvivenza a lungo termine dei pts con LAM R/R FLT3-mutata (FLT3+) trattati con gilteritinib (GILT), è limitata dallo sviluppo di mutazioni conferenti resistenza ai farmaci nei cloni persistenti FLT3+. Daver et al (Abstract 691) hanno valutato la combinazione VEN + GIL presentando i risultanti finali, gli endpoint di sopravvivenza e la clearance molecolare alla dose raccomandata di fase due (RP2D). Le citopenie osservate sono state un evento comune, ma gestibile con opportune modifiche del dosaggio di VEN o GILT. Tale combinazione ha consentito il raggiungimento di un elevato mCRc indipendentemente dall’antecedente esposizione a TKI, e una OS mediana incoraggiante. La clearance della mutazione FLT3 è stata osservata nella maggior parte dei pazienti, associandosi a una OS più lunga (Slides 6-7).
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Short NJ et al (Abstract 696) hanno presentato i dati dello studio di fase I/II mirato a valutare l’efficacia e la sicurezza della associazione VEN+AZA+GIL in pts con LAM R/R FLT3+ o di nuova diagnosi anziani/unfit per chemioterapia intensiva. Tale associazione è risultata efficace e particolarmente incoraggiante in prima linea, dove il tasso di risposta è stato del 100% senza recidive osservate fino ad oggi. Il dosaggio di gilteritinib a 80mg al giorno è stato associato a un migliore profilo di sicurezza/efficacia ed è stato selezionato per studi futuri; tuttavia, anche con questa dose più bassa la mielosoppressione è stata un evento comune e richiedente la riduzione di dosaggio di AZA e VEN (Slides 8-9).
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Chen et al (Abstract 35) hanno presentato l’analisi ad interim di uno studio prospettico, monocentrico a singolo braccio, valutante il ruolo della combinazione VEN+decitabina (DECI) nei giovani adulti con LAM di ND con rischio avverso secondo ELN 2017. L’obiettivo primario dello studio è di determinare il tasso complessivo di risposta (ORR) e dimostrare la superiorità di VEN+DECI rispetto al controllo storico (HC) della citarabina (ARA-C) in combinazione con Ida (12 mg/m2). Ad ora la combinazione VEN+DECI ha dimostrato tassi più elevati di CR rispetto alla coorte HC. I risultati preliminari indicano che la combinazione è efficace, ben tollerata, con alte percentuali di CR, basse di infezioni e di morti precoci (Slide 10).
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Grenet J et al (Abstract 32) hanno presentato i dati emersi dal confronto CPX-351 (daunorubicina/citarabina liposomiale) vs HMA+VEN come terapia di prima linea nella LAM di ND in uno studio retrospettivo multicentrico. Le differenze di outcome tra i due trattamenti non erano stati confrontati in precedenza. Tale analisi ha dimostrato una differenza statisticamente significativa di OS a favore di CPX-351, sia nella coorte complessiva dei pts e sia in diversi sottogruppi clinici (p53mut, precedente terapia con HMA, rischio avverso secondo ELN, precedente malattia mieloide), mentre non è stata osservata alcuna differenza nell’ottenimento delle RC+RCi e nella relapse-free survival. Il vantaggio di sopravvivenza nel gruppo CPX-351 potrebbe tuttavia essere dovuto al maggior numero di HSCT effettuati nei pts trattati con CPX-351 (Slides 11-12).
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Lachowiez C et al (Abstract 701) hanno presentato i risultati estremamente promettenti di uno studio di fase II, ottenuti con la combinazione di FLAG-IDA+VEN nella terapia di induzione e consolidamento di pts con LAM di ND. Le ORR osservate sono state 98%, con 92% di RC MRD-negative; il 66% di questi pazienti ha ricevuto trapianto allogenico. Tale combinazione ha consentito l’ottenimento di elevati tassi di RC MRD-negative, con un profilo di sicurezza atteso, con delle risposte durature e outcome più favorevole rispetto alle coorti storiche di terapia intensiva convenzionale; va sottolineato che i pts con mutazione di TP53 così trattati continuano ad avere un outcome sfavorevole rispetto ai pts p53 wild type (Slide 13-14).
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Pollyea DA et al (Abstract 224) hanno discusso l’efficacia e la sicurezza della combinazione VEN+HMA in pts con LAM di ND con citogenetica sfavorevole e TP53wt o TP53mut. I dati sono stati estrapolati da uno studio di fase 3 in corso (NCT02993523) che ha confrontato i pts trattati con VEN+AZA o placebo (Pbo)+AZA e uno studio di fase 1b (NCT02203773), in cui i pts sono stati trattati con VEN e un HMA (AZA o decitabina). Dallo studio è emerso che nei pts con citogenetica sfavorevole/intermedia e p53wt, il trattamento con VEN+AZA o VEN+HMA è stato associato a tassi di remissione più elevati e a una durata della risposta (DoR) e OS prolungate rispetto ai pts trattati con AZA single agent. Al contrario, per i pts trattati in modo simile con citogenetica a rischio sfavorevole + TP53mut, il miglioramento delle percentuali di risposta non si è tradotto in un miglioramento della DoR o OS. Non sono state rilevate nuove tossicità (Slides 15-16).
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Vi è grande curiosità per i risultati che potrebbero derivare dallo studio OMNIVERSE presentato da Ravandi F et al (Abstract 2314). Trattasi di uno studio di fase 1b che prevede l’utilizzo di AZA orale più VEN in pts con LAM R/R o di ND. E’ uno studio multicentrico, in aperto, diviso in 2 parti. Gli obiettivi dello studio sono valutare la sicurezza e stabilire la dose massima tollerata (MTD) di AZA orale+VEN, prima in pts con LAM R/R non idonei a ricevere terapia intensiva (parte I), e successivamente in pts con LAM di ND di età > 75 anni, o quelli di età compresa tra ≥18-74 anni con comorbidità che precludono l’uso di IC o HSCT (parte II ) (Slide 17).
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Nello studio randomizzato ALFA-1401/Mylofrance 4, presentato da Lambert J et al (Abstract 31), si è valutato se la sostituzione dell’antraciclina con gemtuzumab ozogamicina (GO) per la terapia dei pts anziani con LAM di ND a rischio standard ed elegibili a chemioterapia, potesse migliorarne la sopravvivenza libera da eventi (EFS). Le conclusioni sono state che l’uso in prima linea di GO in sostituzione dell’idarubicina, in combinazione con citarabina, non è vantaggioso per i pts più anziani con LAM a rischio standard de novo. Sebbene il GO sia stato utilizzato secondo uno schema a dose ridotta, il suo utilizzo rimane associato a tossicità significative, a una EFS e una OS più brevi (Slides 18-19).
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Venditti A et al (Abstract 2359) hanno presentato i dati aggiornati dello studio GIMEMA AML1310 dopo un folllow-up mediano di oltre 6 anni. Tale valutazione ha confermato il vantaggio a lungo termine dell’utilizzo di una strategia terapeutica risk and MRD oriented. Per i pts appartenenti alle categorie di rischio favorevole o intermedio e MRD negativi, un eccesso di tossicità è stato prevenuto mediante trapianto autologo, la cui utilità è stata confermata in entrambi i sottogruppi. Al contrario, i pazienti ad alto rischio e quelli MRD positivi hanno ricevuto trapianto allogenico con ASCT, con beneficio notevole di OS e sopravvivenza libera da malattia (DFS) a 6 anni. L’efficacia di un tale approccio si è tradotta in una bassa non-relapse mortality nei pazienti trapiantati (Slides 20-21).
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Jain AG et al (Abstract 217) hanno presentato i primi dati relativi alla risposta anticorpale osservata tra i 46 pts affetti da LAM e da sindromi mielodisplastiche (MDS) riiceventi un vaccino anti-Covid a mRNA presso il Moffitt Cancer Center. Lo studio ha sostenuto l’opportunità del proseguimento e della potenziale utilità della vaccinazione seriale, in quanto i livelli di anticorpi aumentano “drasticamente” dopo la seconda dose di vaccino mRNA, con una buona efficacia nei pts scarsamente reattivi dopo la prima dose. Il tasso di sieroconversione non è stato influenzato da età, sesso, razza, stato di malattia, tempo di vaccinazione dalla diagnosi della malattia, numero di linee di terapia precedenti. I risultati devono essere comprovati in una coorte più ampia e diversificata (Slide 22).
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Divisione di Ematologia e Trapianto di CSE, Ospedale V. Fazzi, Lecce
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli
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