La mastocitosi sistemica è una rara forma di neoplasia mieloproliferativa che viene diagnosticata sulla base dei criteri della WHO2016 e suddivisa in forme diverse con la mastocitosi sistemica aggressiva e la mastocitosi sistemica associata ad altra neoplasia ematologica pari a circa il 10-20% di tutte le forme di mastocitosi sistemica. La classificazione prevede la identificazione di sintomi cosiddetti “C”, ovvero segni e sintomi che identificano un danno d’organo a carico del midollo osseo, del fegato, della milza, dell’intestino e dello scheletro: quando questi sono presenti si definisce una forma di mastocitosi sistemica aggressiva.
Emily Linag et al (Abstract n.2567) hanno messo a confronto le presentazioni cliniche di 87 pazienti con mastocitosi sistemica avanzata, di cui 15% con forma aggressiva, 72% associata ad altra neoplasia ematologica e 13% con leucemia a mastociti. E’ stato osservato che i casi con mastocitosi associata ad altre neoplasie ematologiche (SM-SHN) avevano più frequentemente alterazioni delle conte cellulari nel sangue periferico con aumento di leucociti, monociti ed eosinofili rispetto alle altre varianti. La leucemia a mastociti si caratterizzava inoltre per una maggiore dipendenza trasfusionale piastrinica, mentre le forme di mastocitosi associata ad altre neoplasie ematologiche e di leucemia a mastociti avevano più frequentemente danno epatico. Sebbene in una casistica ancora limitata, questi dati informano ulteriormente sulle peculiarità di presentazione clinica delle diverse varianti di mastocitosi sistemica.
Hoerman G et al (Abstract n.1495) hanno presentato i dati relativi all’analisi di 120 pazienti con diagnosi di mastocitosi sistemica analizzati con whole genome sequencing (WGS) e whole transcriptome sequencing (WTS). Lo studio a messo in evidenza due aspetti di interesse: il primo che l’uso di queste metodologie di sequenziamento NGS era spiccatamente inferiore alla PCR convenzionale nella identificazione della mutazione KITD816V che veniva identificata nel 21% dei pazienti mediante WGS e nel 46% mediante WTS rispetto al 98% con PCR. Pertanto questi risultati indicano chiaramente che le metodiche di sequenziamento NGS non devono essere utilizzate nell’iter diagnostico della mastocitosi sistemica e che la PCR resta il test più appropriato, sebbene l’uso della digital PCR potrebbe ulteriormente migliorare la performance diagnostica. La scarsa sensibilità delle metodiche NGS, oltre alle caratteristiche della tecnica di per sé, potrebbe essere da attribuirsi alla bassa carica mutazionale per la rarità dei mastociti. Un secondo risultato dello studio è l’osservazione che il 21% dei pazienti presentava alterazioni cromosomiche comprendenti variazioni del numero di copie, LOH, e anche un cariotipo complesso. E’ stato dimostrato che i pazienti con mastocitosi sistemica che presentano le cosidette mutazioni “SAR”, ovvero mutazioni di SRSF2, ASXL1 e RUNX1, costituiscono una categoria prognosticamente sfavorevole in termini di sopravvivenza globale. Lo studio corrente ha confermato che soggetti SAR-pos hanno sopravvivenza ridotta che viene ulteriormente peggiorata dalla co-presenza di un’alterazione cariotipica.
La Alfa Triptasemia (HaT) è una condizione genetica recentemente identificata caratterizzata da un aumentato numero di copie del gene TPSAB1 che codifica per gli alleli alfa e beta. È caratterizzata da un modesto aumento nei livelli di triptasi sierica e da segni variabili da attivazione dei mastociti in particolare episodi ricorrenti di anafilassi (Figura I).
Figura I. Combinazioni di possibili genotipi per TPSB2 e TPSAB1
La prevalenza riportata nella popolazione generale è fino al 5% ma può aumentare al 20% nella mastocitosi sistemica, pertanto è stato suggerito che possa rappresentare una variante germline che predispone allo sviluppo nella mastocitosi sistemica. In uno studio presentato da Vanderwert FI et al (Abstract n.1500) sono state studiate due corti di pazienti, una con sintomi da attivazione mastocitaria ma nessuna evidenza di mastocitosi sistemica, la seconda con una diagnosi di
mastocitosi sistemica. Nella coorte uno, il 66% dei pazienti rispetto al 9% della coorte due sono risultati positivi per HaT. Non sono state evidenziate differenze significative tra le due coorti circa livelli di triptasi sierica e le manifestazioni di tipo anafilattico. Questi dati suggeriscono quindi che HaT è presente in circa il 10% dei pazienti con mastocitosi sistemica e che la analisi genetica per HaT dovrebbe essere considerata come parte del percorso diagnostico in pazienti che presentano segni di anafilassi o comunque sintomi da rilascio di mediatori mastocitari e che non abbiano alcuna evidenza o sospetto di mastocitosi sistemica.
Due studi recentemente pubblicati in Nature Medicine (De Angelo DJ et al; Gotlib J et al) hanno riportato i risultati del trattamento di pazienti con mastocitosi sistemica avanzata (mastocitosi aggressiva, mastocitosi AHN, e leucemia a mastociti) utilizzando un nuovo inibitore di KIT, avapritinib. I risultati dei due studi, PATFINDER studio di fase I, ed EXPLORER studio di fase 2, rispettivamente, hanno portato all’approvazione di avapritinib da parte di FDA.
All’ASH 2021, Deininger MW et al (Abstract n.318) hanno presentato i risultati di uno studio sulle modificazioni delle mutazioni in pazienti arruolati in EXPLORER. Nello studio si sono osservati 14 pazienti (20%) che hanno mostrato progressione clinica sotto trattamento, di cui 10 con mastocitosi AHN e 4 con leucemia a mastociti, dopo una mediana di trattamento di 9,5 mesi (Figura II).
Figura II. Progressione dei pazienti durante trattamento con avapritinib
Una riduzione della carica allelica >50% di KITD816V si è osservata nell’88% dei pazienti, e dopo una mediana di 15 mesi di trattamento risultava non quantificabile nel 43%. Nell’83% dei casi che hanno mostrato progressione clinica, la carica allelica di KIT mutato risultava comunque non aumentata, e non si evidenziava alcuna mutazione di KIT aggiuntiva. Anche la risposta midollare circa la quota di mastociti presente non risultava aumentata. Queste osservazioni suggeriscono quindi che la progressione sotto avapritinib in casi con mastocitosi AHN sia dovuta all’espansione del clone AHN piuttosto che a quello mastocitario.
In un altro studio presentato come poster, George TI et al (Abstract n.2565) hanno riferiti i risultati dell’effetto di avapritinib nei pazienti inclusi nello studio PATHFINDER sulla massa midollare di mastociti, sulla loro morfologia e aspetti di immunoistochimica, la cellularità globale del midollo e la fibrosi, così come su alcuni parametri ematologici. Si è osservato che già ad 8 settimane di trattamento, e ancor più marcatamente alla 24° settimana, l’infiltrato mastocitario midollare si riduceva del 64% e 73% rispettivamente, assieme ad un miglioramento della morfologia mastocitaria con riduzione dei megacariociti anomali (spindle cells) e dei mastociti son espressione aberrante di CD25 e CD30. La cellularità midollare si riduceva dal 86% allo screening al 59% alla 24° settimana. Si osservava alla 24° settimana un certo grado di riduzione della fibrosi, mentre la osteosclerosi non appariva sostanzialmente modificata. Anche i leucociti circolanti totali, i monociti e gli eosinofili tendevano a ridursi. Globalmente, i risultati di questi due studi in pazienti con mastocitosi sistemica avanzata trattati con avapritinib suggeriscono un possibile effetto disease-modifying del trattamento.
Gotlib J et al (Abstract n.3636) hanno presentato il disegno di uno studio di fase 2 con bezuclastinib (CGT9486), un potente e selettivo inibitore di KITD816V, in pazienti con mastocitosi sistemica non avanzata. In vitro, bezuclastinib si è dimostrato capace di inibire KIT mutato negli esoni 9, 11, 17 e 18 oltre che la classica D816V, e in una fase 1/2 si è dimostrato attivo in pazienti con tumori gastrointestinali e mutazione di KIT. Lo studio prevede una fase di dose finding e una di espansione con random di bezuclastinib + terapia convenzionale (best supportive care) versus placebo + terapia convenzionale.
Mesa RA et al (Abstract n.37) hanno presentato i risultati dello studio TouchStone il cui obiettivo era la valutazione dell’impatto della mastocitosi sistemica sulle attività funzionali giornaliere, lo stato lavorativo, il ricorso ai servizi del sistema sanitario e i farmaci utilizzati, in un approccio real world negli Stati Uniti. Lo studio ha contemplato l’uso di una survey on-line che includeva diverse metodologie di self reported outcome. Hanno aderito 56 pazienti con mastocitosi sistemica. Lo studio ha messo in evidenza una significativa riduzione della qualità di vita e della capacità lavorativa rispetto ai controlli, un maggior ricorso alle visite e alle prescrizioni terapeutiche. L’88% dei partecipanti era dotata di epinefrina per l’uso di emergenza. Il 30% riferiva di aver fatto ricorso al pronto intervento almeno una volta per anafilassi nel corso del 2019. In uno studio parallelo di Mesa RA et al (Abstract n.5), per il TouchStone SM Survey Working Group, sono stati analizzati i dati relativi ai medici che avevano in cura pazienti con mastocitosi sistemica, i quali hanno risposto ad un questionario on-line comprendente 47 voci sia epidemiologiche che relative alla diagnosi, alla percezione della malattia e alla gestione di questa stessa. Sono stati coinvolti 119 esperti. Di questi il 74% utilizza la ricerca della mutazione di KITD816V, sebbene ritenga che la frequenza di positività nella pratica sia inferiore a quella descritta in letteratura (Figura III).
Figura III. Prevalenza della mutazione KITD816V
La maggioranza dei medici ha affermato che i pazienti con mastocitosi sistemica soffrono di depressione più comunemente della popolazione generale e hanno capacità lavorative ridotte. Questi risultati preliminari aiutano a comprendere l’impatto della mastocitosi sistemica sul paziente e sul sistema sanitario.
Professore ordinario di Ematologia, Direttore della SODc di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Direttore della Scuola di Specializzazione dell'Università degli Studi di Firenze.
Professore Associato, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli studi di Firenze
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