Ferrodeplezione
La deplezione di ferro in un paziente sovraccaricato si può ottenere attraverso due modalità: la salassoterapia ripetuta o la terapia chelante del ferro. La prima modalità si applica ai soggetti con sovraccarico di ferro non anemici, la seconda è l’unica opzione nei soggetti anemici con sovraccarico di ferro, politrafusi e non.
Salassoterapia
La salassoterapia rappresenta il trattamento di scelta dell’emocromatosi genetica e consta di una fase di induzione, per ridurre il ferro totale dell’organismo a livelli normali, e una fase di mantenimento per evitare il reinstaurarsi del sovraccarico. Nella fase di induzione la salassoterapia si esegue rimuovendo circa 400-500 ml di sangue ogni 7-10 giorni, misurando il livello di Hb prima di ogni salasso e il livello di ferritina ogni 4 salassi. Ovviamene l’intensità della terapia deve tener conto di età, sesso, e presenza di comorbidità. La terapia deve essere proseguita finche si è raggiunta la deplezione di ferro (ferritina sierica intorno a 50 ng/ml). La durata del trattamento è variabile, in relazione all’entità del sovraccarico; considerando che 400 ml di sangue contengono circa 200 mg di ferro, il trattamento può variare da qualche mese a oltre un anno. Raggiunta la deplezione, il paziente deve essere seguito nel tempo e deve essere impostata una terapia di mantenimento a vita. Il mantenimento in genere richiede 2-4 salassi l’anno. La finalità è di mantenere la ferritina nel range normale (50-100 ng/ml) (EASL 2022; Brissot P et al, 2018; Adams P et al, 2018).
La ferrodeplezione è in grado di prevenire la cirrosi nei pazienti diagnosticati in fase pre-cirrotica, di migliorare il controllo del diabete, la pigmentazione cutanea e la sintomatologia soggettiva di astenia e apatia. Anche i livelli di transaminasi si normalizzano con il trattamento, mentre l’artropatia ha un decorso indipendente dalla ferrodeplezione. L’emocromatosi giovanile, se diagnosticata precocemente, richiede la stessa terapia dell’emocromatosi classica e la risposta può essere ottimale. In questi casi la salassoterapia è indicata anche in età pediatrica. In caso la diagnosi sia stata tardiva e siano presenti complicanze, quali cardiomiopatia sintomatica, i salassi tradizionali possono essere impraticabili per intolleranza emodinamica alla deplezione di volume. In tali condizioni si può ricorrere a procedure isovolemiche (eritrocitaferesi), oppure si rende necessario iniziare con farmaci ferro-chelanti e impostare la salassoterapia solo quando la condizione clinica lo consente.
Non esistono dati certi che dimostrino la necessità di salassoterapia nell’emocromatosi diagnosticata in fase iniziale pre-clinica, quando solo i dati biochimici sono alterati e non sono presenti sintomi o segni di danno d’organo. Al contrario, alcuni studi hanno evidenziato la non progressività della condizione per molti anni, mettendo in dubbio la necessità di terapia precoce. Ciononostante, le ultime linee guida di diverse società scientifiche suggeriscono comunque l’inizio della terapia con valori di ferritina superiori ai valori normali. In favore di una terapia precoce è uno studio retrospettivo che ha riportato una mortalità ridotta per eventi cardiovascolari e tumori extraepatici in paragone alla popolazione di controllo per gli omozigoti HFE C282Y con ferritine basali <1000 ng/ml, quando ferrodepleti (Bardout Jacquet E et al, 2015). Un altro studio randomizzato che ha paragonato la salassoterapia impostata precocemente rispetto a nessun trattamento ha dimostrato un miglioramento dell’astenia e della qualità della vita nei pazienti trattati (Ong SY et al, 2015).
La salassoterapia è mal tollerata se non del tutto controindicata nei pazienti in fase cirrotica avanzata, con scompenso cardiaco o anemia concomitante (es b-talassemici eterozigoti). Tali pazienti possono beneficiare di un trattamento chelante del ferro.
Terapia chelante del ferro
Per ridurre il sovraccarico di ferro nei soggetti anemici l’unica possibilità è la chelazione del ferro. La chelazione è anche indicata nei pazienti con emocromatosi e scompenso cardiaco, anemia o altre patologie concomitanti in cui la salassoterapia non risulti praticabile. Scopo della chelazione è ridurre il ferro totale e, in particolare, le specie tossiche del ferro quali non-transferrin-bound-iron (NTBI) responsabile del labile iron pool (LIP), causa dei danni d’organo.
Purtroppo, al momento non esiste un farmaco ferro-chelante ideale, e le (poche) alternative disponibili hanno profili variabili di sicurezza ed efficacia.
La deferoxamina (DFO) è stato il primo chelante utilizzato in clinica sin dagli anni ‘70, per cui esiste un’ampia esperienza con l’uso di questo farmaco. Storicamente è stato usato soprattutto nei pazienti con b-talassemia omozigote in regime trasfusionale cronico ed è stato il primo farmaco che ha modificato la storia naturale di questi pazienti. Il farmaco ha una struttura esadentata relativamente specifica per il ferro, che viene legato in rapporto 1:1. La DFO è in grado di legare anche alluminio e zinco. I limiti principali della DFO sono rappresentati dall’emivita breve, e dalla necessità di somministrazione per via parenterale. Lo schema più utilizzato è l’infusione continua sottocutanea mediante micro-pompa portatile per 8-12 ore/die al dosaggio di 25-40 mg/Kg. In alternativa, soprattutto nel sovraccarico grave, la DFO può essere usata per via endovenosa ad alto dosaggio per cicli brevi, dopo posizionamento di un catetere centrale (Angelucci E et al, 2008). La DFO lega il ferro circolante e tissutale e il chelato viene eliminato nelle urine e parzialmente nelle feci. L’acido ascorbico ne potenzia l’azione. Gli effetti collaterali del trattamento cronico con DFO per via sottocutanea sono dolore e irritazione locale. Ad alte dosi si possono manifestare deficit visivi e alterazioni dell’udito su base neurotossica, in genere reversibili con la sospensione del farmaco. Sono necessari comunque periodici controlli nei pazienti sottoposti a trattamento cronico. E’ stato segnalato il rischio (raro) di infezioni da Yersinia enterocolitica e Vibrio vulnificus, germi particolarmente avidi di ferro, favorite dalla mobilizzazione dell’elemento stesso.
L’introduzione nei protocolli terapeutici di chelazione con DFO ha migliorato significativamente la sopravvivenza dei pazienti talassemici. Sfortunatamente il trattamento è impegnativo e richiede una stretta compliance da parte del paziente, non raramente difficile da ottenere soprattutto durante alcune fasi particolarmente delicate (es. la transizione dall’adolescenza all’età adulta).
L’introduzione dei chelanti orali ha molto migliorato l’adesione alla terapia.
Il Deferiprone (DFP) è un chelante bidentato (3 molecole legano un atomo di ferro) disponibile per via orale, usato soprattutto nei pazienti in cui DFO è controindicata o non efficace. Il farmaco è ampiamente utilizzato in particolare nei paesi asiatici. A dosi adeguate (75 mg/Kg/die in tre dosi refratte) è in grado di ridurre il sovraccarico di ferro epatico e soprattutto miocardico (Hider RC & Hoffbrand AV, 2018). Gli effetti collaterali principali sono la neutropenia, reversibile con la sospensione del farmaco, e la rara ma grave agranulocitosi. Uno studio che ha rivisto tutti i casi riportati nei trial clinici e nei programmi di sorveglianza post-marketing ha descritto 161 casi di agranulocitosi (1,5%) nessuno mortale, e 250 casi di neutropenia (5,5%) rispettivamente. Il 78% dei casi di agranulocitosi si osservava nel primo anno di trattamento in modalità dose-indipendente (Tricta F et al, 2016). Il controllo dell’emocromo (settimanale nei primi sei mesi, quindicinale negli ulteriori 6 mesi, quindi mensile) è richiesto per il monitoraggio del farmaco. Tossicità gastrointestinale, alterazione delle transaminasi e artralgie sono altre possibili complicanze. Il DFP può essere usato in terapia alternata o combinata con la DFO (es. DFO 20-60 mg/kg/die sottocute e DFP 75-100 mg/kg/die in tre dosi refratte), anche perché i due farmaci rimuovono il ferro con meccanismi diversi. La terapia di combinazione si utilizza nei pazienti con sovraccarichi importanti, in presenza di sintomatologia cardiaca o di sovraccarico cardiaco grave, ancorché asintomatico (Cappellini MD et al, 2014).
Il Deferasirox (DFS) è l’ultimo chelante orale introdotto in commercio. E’ un tridentato con una vita media molto più lunga dei farmaci precedenti per cui è somministrabile in un’unica dose orale. Il dosaggio varia da 10 a >30 mg/Kg/die a seconda della formulazione (sospensione orale o le più recenti compresse), dell’entità del sovraccarico, e dell’obiettivo terapeutico che può essere l’ottenimento di un bilancio negativo oppure la stabilizzazione di un sovraccarico modesto. L’efficacia del DFS è stata dimostrata in studi clinici randomizzati paragonabile a quella della DFO in soggetti politrasfusi, anche pediatrici, e non solo in soggetti affetti da b-talassemia ma anche da altre emopatie congenite e acquisite che richiedono terapia trasfusionale. Il farmaco è in grado di ridurre i livelli sierici di ferritina, la concentrazione di ferro epatico (LIC) e il pool labile di ferro (LIP), nonché di rimuovere il ferro cardiaco (Pennell DJ et al, 2011). Gli effetti collaterali includono tossicità gastrointestinale, generalmente lieve e reversibile sebbene siano stati riportati casi di sanguinamento grave, e rialzo della creatinina, anch’esso in genere di scarso significato clinico. Va peraltro sottolineato che i pazienti con creatinina elevata erano esclusi dai trial registrativi e che il farmaco non deve quindi essere usato in presenza di insufficienza renale o in associazione ad altri farmaci nefrotossici. In ogni caso si consiglia un controllo settimanale della funzionalità renale almeno nelle prime settimane di trattamento. La nuova formulazione di deferasirox in compresse rivestite si è dimostrata più accettabile per i pazienti rispetto alla formulazione in compresse dispersibili in un trial clinico (ECLIPSE) che includeva pazienti politrasfusi sia per talassemia che per mielodisplasie (Taher AT et al, 2017).
L’esperienza accumulata negli anni con l’uso dei diversi chelanti riguarda ormai anche la loro associazione nei casi con maggior sovraccarico. Per una trattazione più approfondita si rimanda alle linee guida internazionali per il trattamento della talassemia (Cappellini MD et al, 2014; Taher AT et al, 2018).
Bibliografia
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