Numerose esperienze hanno evidenziato come le cellule CAR-T anti-CD19 (linfociti T ingegnerizzati per esprimere un recettore chimerico con specificità per il CD19) siano in grado di indurre un’elevata percentuale di remissioni complete con malattia minima residua (MMR) negativa in pazienti con leucemia linfoblastica acuta B recidivata/refrattaria (LAL B R/R), anche in pazienti recidivati dopo trapianto allogenico di cellule staminali (HSCT). Tuttavia, i fattori associati ad una remissione duratura non sono stati completamente chiariti.
Il gruppo del Fred Hutchinson Cancer Research Centre ha recentemente pubblicato su Blood i risultati di uno studio di fase I/II su 53 pazienti con LAL B R/R trattati con CAR-T anti-CD19 per valutare i risultati a lungo termine e analizzare i fattori associati ad una event-free survival (EFS) duratura (Hay et al, 2019) (NCT01865617, www.clinicaltrials.gov). Le cellule CAR-T utilizzate in questo studio presentano sia un dominio costimolatorio 4-1BB che un dominio CD28 e sono state prodotte e infuse con una ratio CD4:CD8 pari a 1:1 per creare un prodotto uniforme e per cercare di massimizzarne l’efficacia.
In tutti i pazienti è stato possibile il processo di manifattura delle cellule.
Tutti i 53 pazienti arruolati ed eleggibili per l’analisi hanno ricevuto le CAR-T previo trattamento di linfodeplezione con ciclofosfamide, associata o meno alla fludarabina. L’età mediana dei pazienti trattati è stata di 39 anni (range: 20-76), la mediana di trattamenti precedenti è stata di 3 (range: 1-11). Ventitre pazienti su 53 (43%) avevano già eseguito un precedente HSCT. Undici pazienti (21%) avevano una LAL B Ph+, 7 (13%) presentavano un riarrangiamento di MLL e 17 (32%) un cariotipo complesso. Cinque pazienti presentavano una localizzazione di malattia a livello del sistema nervoso centrale (SNC).
In seguito all’infusione, 40/53 pazienti (75%) hanno sviluppato una sindrome da rilascio di citochine (CRS) (in 10 casi di grado ≥3), mentre una neurotossicità di grado ≥3 è stata osservata in 12 pazienti (23%). Nessun decesso per CRS o neurotossicità è stato registrato.
Alla rivalutazione post-infusione, 45/53 pazienti (85%) presentavano una MMR negativa valutata con analisi citofluorimetrica ad alta risoluzione.
Ad un follow-up mediano di 30,9 mesi, la EFS e la sopravvivenza globale (OS) risultavano significativamente migliori nei pazienti che a 28 giorni dall’infusione avevano una MMR negativa rispetto a quelli positivi o che non avevano presentato risposta al trattamento (mediana EFS: 7,6 vs 0,8 mesi, p <0,0001; mediana OS: 20,0 vs 5,0 mesi, p=0,014).
Nei pazienti che ottenevano una MMR negativa al giorno +28, sono risultati predittivi di una EFS duratura la presenza di una minore concentrazione di LDH e una conta piastrinica più alta pre-linfodeplezione (tali dati laboratoristici sembrano correlare con un elevato burden di malattia) e l’incorporazione della fludarabina nel regime di linfodeplezione. Infatti, i pazienti con MMR negativa post-CAR-T e che avevano presentato pre-linfodeplezione un valore di piastrine ≥100.000/μl e di LDH ≤210 U/l e a cui è stata somministrata fludarabina nel regime di linfodeplezione hanno presentato una EFS e una OS a 2 anni del 78% e 86% rispettivamente, contro il 13% e 29% evidenziato in chi non aveva i 3 fattori.
Diciotto pazienti su 45 (40%) con MMR negativa sono stati sottoposti a HSCT ad una mediana di 70 giorni dall’infusione. Ad un follow-up mediano di 28,4 mesi, la EFS e l’OS stimate a 2 anni sono risultate rispettivamente del 61% e 72% per questi pazienti. In analisi univariata, l’HSCT dopo terapia con cellule CAR-T è stato associato ad una EFS più duratura (HR: 0,31 [95%CI: 0,13-0,79] p=0,014); tale dato si è confermato anche in analisi multivariata dopo aggiustamento per valori di LDH, piastrine ed esposizione alla fludarabina.
Dei 45 pazienti con MMR negativa, 22 (49%) sono andati incontro a ricaduta. Il 73% delle ricadute è avvenuto nei primi 6 mesi dall’infusione. Sei/22 (27%) erano CD19 negativi (CD19-) alla recidiva.
L’esposizione alla fludarabina durante la linfodeplezione sembra avere un’influenza sull’espressione del CD19 alla recidiva: tutti i pazienti che hanno presentato una recidiva CD19+ non avevano ricevuto fludarabina mentre tutti i pazienti CD19- l’avevano ricevuta. I regimi di linfodeplezione contenenti fludarabina, infatti, sono correlati ad una espansione maggiore delle CAR-T in vivo e ad una aumentata persistenza delle stesse. In tale contesto, più frequentemente si possono verificare fenomeni di escape antigenico della cellula leucemica dovuta probabilmente alla maggiore pressione immunologica delle CAR-T. A conferma di tale dato, è stato visto come tutti i pazienti con una recidiva CD19- presentavano ancora CAR-T circolanti e non mostravano segni di ripresa dall’aplasia delle cellule B. Al contrario, tutti i pazienti con una recidiva CD19+ non mostravano più la persistenza di CAR-T nel sangue venoso periferico (o queste erano evidenziabili a livelli molto bassi) e mostravano segnali di recupero della fase di aplasia delle cellule B. In quest’ultimo contesto è più facile il riemergere di un clone patologico leucemico CD19+.
Anche questa esperienza conferma che la terapia con cellule CAR-T nelle LAL B R/R è in grado di determinare un alto tasso di remissioni molecolari; tuttavia, il rischio di ricaduta in questa casistica è stato elevato. La valutazione di LDH, piastrine e l’esposizione alla fludarabina potrebbero consentire l’identificazione dei pazienti a più alto rischio di ricaduta, che potrebbero beneficiare di strategie di consolidamento come HSCT o l’utilizzo sequenziale o sincrono di cellule CAR-T con diversa specificità antigenica (ad es. contro il CD22).
Fonte:
Ematologia, Università Sapienza, Roma
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