Molte vie di segnalazione che partono dal B-cell receptor (BCR) sono coinvolte nell’attivazione, proliferazione e sopravvivenza dei linfociti B normali e patologici (Young RM, 2013). L’attivazione del BCR a seguito del legame con l’antigene determina la fosforilazione di CD79A e B e successivo reclutamento di molte tirosin-chinasi intracellulari, tra cui SYK, LYN, SRC e BLNK. A loro volta queste chinasi determinano fosforilazione di molecole cruciali quali la tirosin-chinasi di Bruton (BTK), la protein-chinasi C (PKC) e la fosfoinositide 3 chinasi (PI3K). Questa cascata di segnalazione porta in ultimo all’attivazione di ERK, NF-kB e AKT, implicati nell’attivazione di fattori di trascrizione, proliferazione cellulare e chemiotassi (Figura I).
Figura I: Schema del B cell receptor (BCR), del co-recettore CD19 e dei vari intermediari nella trasmissione del segnale che vengono attivati a seguito del legame del BCR con l’antigene. BLNK, B-cell linker protein; BTK, Bruton tyrosine kinase; CARD11, caspase recruitment domain-containing protein 11; CBM, CARD11–BCL-10–MALT1; CIN85, Cbl-interacting protein of 85 kDa; DAG, diacylglycerol; IKK, inhibitor of NF-κB kinase; IgH, immunoglobulin heavy chain; IgL, immunoglobulin light chain; IP3, inositol trisphosphate; MALT1, mucosa-associated lymphoid tissue lymphoma translocation protein 1; MAPK, mitogen-activated protein kinase; mTOR, mammalian target of rapamycin; NF-κB, nuclear factor-κB; NFAT, nuclear factor of activated T cells; PI3K, phosphoinositide 3-kinase; PIP2, phosphatidylinositol-4,5-bisphosphate; PIP3, phosphatidylinositol-3,4,5-trisphosphate; PKCβ, protein kinase Cβ; PLCγ, phospholipase Cγ; SFK, SRC family kinase.
La recente scoperta di farmaci che agiscono su alcuni componenti di questa via di segnalazione ha aperto la strada al loro impiego nei linfomi. Ibrutinib (inibitore di BTK) e idelalisib (inibitore di PI3Kδ) hanno recentemente ottenuto l’approvazione di AIFA come agenti singoli, rispettivamente nel linfoma mantellare recidivato/refrattario e nel linfoma follicolare refrattario ad almeno due precedenti linee di trattamento (entrambi sono inoltre stati approvati nella leucemia linfatica cronica con specifiche indicazioni); ci sono inoltre dati di efficacia di questi farmaci in combinazione con rituximab, chemioterapia e agenti immunomodulatori come la lenalidomide.
Linfoma follicolare
Ibrutinib e idelalisib come agenti singoli
Uno studio di fase 1 ha dimostrato l’efficacia dell’inibitore orale di PI3Kδ idelalisib, a dosi pari o superiori a 150 mg due volte al giorno, in vari linfomi indolenti (Flinn I, 2014a). Il farmaco è quindi stato testato in uno studio di fase 2 su 125 pazienti con linfoma indolente (72 pazienti con linfoma follicolare), ricaduti dopo almeno due precedenti linee di trattamento includenti rituximab. Il tasso di risposta è stato del 57% nell’intera popolazione e del 54% nei pazienti con linfoma follicolare (Gopal AK, 2014a), con una durata mediana della risposta di circa un anno (Gopal AK, 2014b). Il trattamento è stato in genere ben tollerato; tra le tossicità di grado 3 sono stati segnalati diarrea/colite e aumento delle transaminasi nel 13% dei pazienti. Analoghi risultati sono stati ottenuti con l’inibitore di PI3Kδ/γ duvelisib, risultato efficace nel 65% dei pazienti, inclusi 5 casi di linfoma follicolare con risposta completa (Flinn I, 2014b).
I risultati ottenuti con ibrutinib come agente singolo sono stati inferiori: in 40 pazienti con linfoma follicolare ricaduto/refrattario il tasso di risposta globale è stato del 30% con 1 solo caso di risposta completa; inoltre, i pazienti con resistenza a una precedente linea di terapia includente rituximab hanno dimostrato scarsa risposta (Bartlett NL, 2014).
Studi di combinazione
In pazienti con linfoma indolente ricaduto/refrattario la combinazione di idelalisib 150 mg due volte al giorno e rituximab, bendamustina, oppure rituximab-bendamustina è risultata efficace nel 75%, 88% e 79% dei pazienti trattati, rispettivamente; la combinazione idelalisib-rituximab-bendamustina ha determinato un tasso di risposte complete (RC) del 43% (De Vos S, 2014). L’associazione tra rituximab, idelalisib e lenalidomide è stata inaspettatamente gravata da severe inattese reazioni infusionali (ipotensione, aumento delle transaminasi, rash, necessità di supporto rianimatorio), che hanno determinato la chiusura anticipata di uno studio di fase 1 in pazienti con linfoma follicolare ricaduto (Smith MS, 2014).
Linfoma mantellare
Ibrutinib e idelalisib come agenti singoli
Ibrutinib è stato impiegato in uno studio di fase 2 su 111 pazienti con linfoma mantellare recidivato/refrattario, a cattiva prognosi (mediana di 3 precedenti linee di trattamento, il 50% ad alto rischio MIPI, il 40% già sottoposto a chemioterapia intensiva HyperCVAD e/o trapianto autologo). Il 68% dei pazienti ha ottenuto una risposta e il 21% una RC, entro pochi mesi dall’inizio della terapia (Wang ML, 2013). Con un follow-up mediano di 27 mesi, il 20% dei pazienti è ancora in trattamento e la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e globale (OS) a 2 anni sono rispettivamente pari al 31% e 47% (Wang ML, 2015a). Il trattamento è stato ben tollerato, determinando tossicità ematologica di grado severo nel 10-15% dei pazienti, inclusi casi di ematoma subdurale in pazienti che contemporaneamente ricevevano aspirina o anticoagulanti orali: l’impiego di anticoagulanti orali è sconsigliato in associazione a ibrutinib. I meccanismi di resistenza a ibrutinib non sono ancora stati chiariti e sembra che solo una piccola parte dei pazienti che non rispondono o progrediscono abbia sviluppato mutazioni di BTK o di PLC-gamma, a differenza di quanto dimostrato nella leucemia linfatica cronica con resistenza a ibrutinib. La resistenza a ibrutinib rappresenta un fattore molto sfavorevole, e la sopravvivenza media dei pazienti che sospendono il farmaco è di pochi mesi indipendentemente dai trattamenti successivamente adottati (Cheah CY, 2015).
Idelalisib è stato studiato in pazienti con linfoma mantellare ricaduto/refrattario, impiegando dosi variabili da 50 a 350 mg una o due volte al giorno. In pazienti che ricevevano almeno 150 mg due volte al giorno si è ottenuta risposta nel 69% dei casi, con una PFS di soli 4 mesi: la minore durata di efficacia rispetto a quanto ottenuto nel linfoma follicolare è stata imputata alla maggior espressione e alla up-regolazione di PI3K nelle cellule del linfoma mantellare (Kahl BS, 2014).
Studi di combinazione
La combinazione di ibrutinib 560 mg al giorno e rituximab è stata impiegata in 50 pazienti con linfoma mantellare ricaduto (mediana di 3 linee precedenti di trattamento), ottenendo impressionanti risultati (88% risposta globale, 44% RC), con tossicità modesta e attesa (Wang ML, 2015b). L’associazione ibrutinib, rituximab e bendamustina è stata impiegata in 48 pazienti con linfomi ricaduti di varia origine, dei quali 17 con linfoma mantellare (5 di essi non avevano ricevuto precedenti trattamenti): il 72% dei pazienti ha risposto al trattamento con una PFS mediana superiore a 2 anni. Tra i pazienti con linfoma mantellare si è osservata risposta nel 94% dei casi e risposta completa nel 76% dei pazienti trattati (Maddocks K, 2015). Sulla base di questi dati è stato avviato uno studio randomizzato di fase 3 per confrontare rituximab e bendamustina con o senza ibrutinib nei pazienti con linfoma mantellare di nuova diagnosi ed età >65 anni.
Linfoma B diffuso a grandi cellule
Ibrutinib e idelalisib come agenti singoli
Nei linfomi B diffusi a grandi cellule (DLBCL), evidenze precliniche hanno suggerito che il sottotipo Activated B-Cell (ABC) sia più dipendente del sottotipo Germinal Center (GCB) dalla via di segnalazione del BCR. Coerentemente, in un piccolo studio di fase 2 su DLBCL ricaduti, ibrutinib è risultato efficace nel 37% dei pazienti ABC e solo nel 5% di quelli GCB: le risposte sono state ottenute sia nei pazienti con mutazioni di CD79B, MYD88 o CARD11 che nei pazienti non mutati (Wilson WH, 2015). I risultati ottenuti fino ad oggi con altri inibitori della via del BCR sono stati deludenti: l’inibitore di SYK fostamatinib (Flinn I, 2015) e l’inibitore di PKC-β enzasturin (Robertson MJ, 2007) hanno determinato risposte di breve durata e solo in una minoranza dei pazienti trattati.
Studi di combinazione
Nel già citato studio di combinazione tra ibrutinib, rituximab e bendamustina (Maddocks K, 2015), il tasso di risposta nei 16 pazienti con DLCBL ricaduto (11 dei quali appartenenti al sottotipo ABC) è stato del 37% e quello di RC del 31%. L’associazione di ibrutinib 560 mg al giorno alla chemioterapia R-CHOP è stata efficace e ben tollerata in 24 pazienti con DLBCL alla diagnosi, la maggior parte dei quali ha completato i 6 cicli programmati di trattamento, ottenendo una risposta nel 95% dei casi, inclusi tutti i pazienti con genotipo ABC (Younes A, 2014). È stato quindi avviato uno studio randomizzato di confronto tra R-CHOP con ibrutinib vs placebo in pazienti di nuova diagnosi con DLBCL di tipo ABC. Inoltre, sono in corso studi di fase 1/2 per esplorare la combinazione di vari schemi intensificati di chemioterapia (DA-EPOCH, ICE, DHAP) in associazione a rituximab e ibrutinib in pazienti con DLBCL ricaduti/refrattari.
BIBLIOGRAFIA
Università degli Studi di Verona, Professore Onorario di Ematologia, già Direttore della Scuola di Specializzazione in Ematologia, della UOC di Ematologia e del Dipartimento di Medicina
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