EHA-21, Copenhagen, 9-12 giugno 2016. Selezione degli abstract più rilevanti in tema di leucemie acute.

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Leucemia acuta linfoblastica

Overall survival in relapsed/refractory B-cell acute lymphoblastic leukemia patients receiving inotuzumab ozogamicin vs standard care in the phase 3 INO-VATE study
Kantarjian HM et al. Abstract: LB2233
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135344/hagop.p.kantarjian.overall.survival.in.relapsed.refractory.b-cell.acute.html?f=p16m3l12052)

In questo studio vengono riportati i risultati di uno studio randomizzato, nel quale l’anticorpo monoclonale  inotuzumab ozogamicin (INO) (anti-CD22 coniugato con calicheamicina) è stato confrontato all’attuale standard of care (SOC) nella terapia della leucemia acuta linfoblastica (LAL) in recidiva (sia prima che seconda). La SOC includeva FLAG (regime usato più frequentemente), alte dosi di ARA-C e mitoxantrone o alte dosi di ARA-C. La dose di INO impiegata è stata di 1,8 mg/m2/ciclo (0,8 mg/m2 al giorno 1; 0,5 mg/m2 giorni 8 e 15, ogni 21–28 giorni (≤6 cicli). Circa il 15% dei pazienti in entrambi i bracci di randomizzazione aveva una LAL Ph+. L’analisi per intention-to-treat ha incluso 326 pazienti totali con eccellente bilanciamento dei due bracci per quanto concerne le caratteristiche iniziali. L’hazard ratio (HR) per la sopravvivenza globale (OS) tra INO e SOC è stato 0,77 (97,5% CI, 0,58‒1,03) con P 1-sided = 0,0203; la OS mediana 7,7 mesi per INO [95% CI, 6,0‒9,2] vs 6,7 [95% CI, 4,9‒8,3] mesi per SOC. L’obiettivo quindi di dimostrare un miglioramento statisticamente significativo a livello di 0,0104 (prefissato nello studio) non è stato raggiunto. L’analisi di sopravvivenza ha però dimostrato che la OS a 2 anni era del 23% (95% CI, 16‒30%) per INO vs 10% (95% CI, 5‒16%) per SOC (Fig. I).

ALFA-0702_CLARA_Impact_of_Clofarabine_Consolidation_on_DFS_Figura1

Figura I

In base a ciò, è stata applicata una differente metodologia statistica, definita “restricted mean survival time” (RMST), che mostrava una OS mediana di 13,9 mesi per INO vs 9,9 per SOC, con raggiunta significatività statistica. La PFS inoltre era significativamente più lunga per INO vs SOC (HR, 0,45 [97.5% CI, 0,34‒0,61]; 1-sided P<0,0001), con PFS mediana di 5,0 mesi [95% CI, 3,7‒5,6] vs 1,8 [95% CI, 1,5‒2,2] mesi. Tutti gli altri endpoint considerati nel trial (risposta obiettiva, negatività per MRD e rate di fattibilità del trapianto allogenico) erano migliori nel braccio INO. La conclusione degli autori è stata che INO è superiore a SOC in termini di OS e PFS nella terapia della LAL recidivata/refrattaria.

Per ulteriori dettagli si rimanda alla recente pubblicazione: Kantarjian HM et al. Inotuzumab Ozogamicin versus Standard Therapy for Acute Lymphoblastic Leukemia. N Engl J Med. 2016 Jun 12. [Epub ahead of print].

 

Blinatumomab improved overall survival in patients with relapsed or refractory philadelphia negative B-cell precursor acute lymphoblastic leukemia in a randomized, open-label phase 3 study (Tower)
Topp MS et al. Abstract: S149
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135182/max.topp.blinatumomab.improved.overall.survival.in.patients.with.relapsed.or.html?f=m3)

Blinatumomab (blina) è un anticorpo monoclonale bispecifico “T-cell engager”, in grado di legarsi al CD19 (cellule B) e contemporaneamente al CD3 (cellule T) e quindi di esercitare un meccanismo di citotossicità verso cellule leucemiche CD19+. I dati degli studi di fase 2 sono stati estremamente incoraggianti nei pazienti con leucemia acuta linfoblastica a precursori B (BCP-ALL) in recidiva o refrattaria, per cui il farmaco è stato testato in uno studio internazionale di fase 3, denominato “Tower”, del quale all’EHA sono stati riportati i dati di una analisi ad interim prestabilita dopo 248 decessi (75%). L’endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale (OS) in confronto allo standard of care (SOC) in pazienti adulti con Ph- R/R BCP-ALL.

I pazienti con BCP-ALL refrattari o in recidiva (prima recidiva inclusa solo se la durata della prima RC era <12 mesi) sono stati randomizzati 2:1 a ricevere blina o SOC e stratificati per età, precedente terapia e precedente trapianto allogenico (allo-SCT). Blina è stato somministrato in infusione continua per 4 settimane alla dose 9 µg/die alla settimana 1 del ciclo 1, poi di 28 µg/die con 2 settimane di intervallo. Gli endpoint secondari erano CR e CR con incompleto recupero ematologico (CRi).

405 pazienti sono stati randomizzati (271, blina e 134 SOC, con caratteristiche ben bilanciate: età mediana (37 vs. 37); mediana di blasti midollari (80% vs. 79%); numero di linee precedenti (56% vs. 52%) e precedente allo-SCT (35% vs. 34%). La sopravvivenza mediana è stata di 7,8 mesi (95%CI: 5,7, 10,0) per blina e 4,0 mesi (95%CI: 2,9, 5,4) per SOC (stratified log-rank test p=0,011; hazard ratio=0,71), come indicato nella Figura II.

BLINATUMOMAB_IMPROVED_OVERALL_SURVIVAL_IN_PATIENTS_Figura2

Figura II

Il miglioramento della OS è stato consistente in tutti i sottogruppi e la percentuale di CR e CRi nettamente migliore per blina vs SOC, CR (39% vs 19%; p<0,001) e CR/CRh/CRi (46% vs 28%, p=0,001). Gli outcome di safety sono anche stati simili nei due gruppi. La conclusione degli autori è che blina è sicuramente più efficace in termini di sopravvivenza e di response rate rispetto all’attuale chemioterapia standard di salvataggio.


Adults and children (1-45 years) with pH-negative all have almost identical outcome in risk-stratified analysis of NOPHO ALL2008
Toft N et al.  Abstract: LB173
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135343/nina.toft.adults.and.children.281-45.years29.with.ph-negative.all.have.almost.html?f=m3s139782)

Lo scopo di questo studio è stato di valutare la event-free survival (EFS) da una serie di 1509 pazienti pediatrici ed adulti (1-45 anni) trattati uniformemente con il protocollo NOPHO ALL2008. I dati sono stati ottenuti da uno studio cooperativo internazionale che ha coinvolto Svezia, Norvegia, Islanda (solo bambini), Finlandia (solo bambini), Danimarca, Lituania ed Estonia diagnosticati tra luglio 2008 e dicembre 2014 con LAL Ph-. Ad un follow-up mediano per i pazienti in CR1 di 4 anni (75% range: 2,4-5,9), 16 pazienti (3 tra 18 e 45 anni) sono morti in induzione e 50 pazienti (12 tra 18 e 45 anni) sono morti in CR1. La EFS a 5 anni è stata 88% per la fascia di età tra 1-9 anni, 79% per l’età tra 10-17 e 73% per il gruppo 18-45 anni (p <0,001). E’ da sottolineare che nell’analisi per gruppi di rischio un outcome peggiore per i pazienti adulti è stato osservato solo nel gruppo intermedio, come indicato nella Tabella I.

ADULTS_AND_CHILDREN_(1-45 YEARS)_Tabella1bis

Tabella I

La conclusione degli autori è che la prognosi dei pazienti adulti è migliorata notevolmente con l’adozione del protocollo pediatrico NOPHO ALL2008 e che non vi è rilevante differenza tra popolazione pediatrica e giovani adulti, nonostante in questi ultimi vi sia una chiara prevalenza di forme a rischio intermedio-alto.

 

Impact of disease burden on long-term outcome of CD19-targeted car modified T cells in adult patients with relapsed B-all
Jae Park J et al. Abstract: S498
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135254/jae-hoo.park.impact.of.disease.burden.on.long-term.outcome.of.cd19-targeted.html?f=p6m3e968o12135)

Studi precedenti hanno definitivamente dimostrato alte percentuali di risposta in pazienti adulti con B-LAL recidiva o refrattaria (R/R) in seguito alla somministrazione di cellule CAR T (CD19-targeted 19-28z chimeric antigen receptor modified T cells), indipendentemente dal burden iniziale di malattia. Lo scopo di questo studio è stato di investigare la correlazione tra burden leucemico pre-trattamento e tossicità ed efficacia a lungo termine.
A tale scopo, sono stati analizzati i dati relativi a 46 pazienti trattati in uno studio di fase 1 (NCT01044069). Tutti i pazienti erano stati sottoposti a biopsia osteo-midollare prima della terapia e sono stati divisi in 2 coorti in base alla percentuale di blasti midollari: malattia minima (<5% blasti) vs. malattia morfologica (≥ 5% blasti).

Di 46 pazienti trattati, 21 avevano malattia minima e 25 morfologica. Le principali caratteristiche clinico-ematologiche erano simili tra i due gruppi, tranne una minore percentuale di pazienti con recidiva dopo trapianto allogenico nel gruppo malattia minima (29 vs. 48%). Le percentuali di CR e di ottenimento della negatività della MRD erano 91% and 71% nella coorte con malattia minima vs. 75% and 65% nei pazienti con malattia morfologica. La sindrome severa da rilascio citochinico (CRS) è stata osservata esclusivamente nei pazienti con malattia morfologica (44% vs. 0%), mentre la neurotossicità di grado 3/4 nel 14% dei casi con malattia minima vs. il 40% dell’altro gruppo. La sopravvivenza globale non è ancora differente in misura significativa nelle due coorti (73% vs. 57%) dopo un follow-up mediano di 12 mesi (range, 1-45), ma è da rilevare che tra i pazienti con malattia minima non vi è stata alcun decesso o recidiva oltre i 12 mesi. Infine, la sopravvivenza stimata a 6 mesi per i pazienti con MRD negativa è 92% per la malattia minima vs. 65% per quella morfologica. I dati sono riassunti nella Figura III.

IMPACT_OF_DISEASE_BURDEN_Figura3

Figura III

Questi dati confermano l’efficacia antitumorale delle cellule 19-28z CAR T nei pazienti adulti con R/R LAL indipendentemente dal burden iniziale di malattia, ma dimostrano una maggiore efficacia e profilo di tossicità più vantaggioso in quelli con malattia minima (<5% di blasti midollari).
 

Leucemia acuta mieloide

CPX-351 treatment of previously untreated older aml patients with high risk AML markedly increases the response rate over 7+3 in patients with FLT3 mutations
Lancet J et al. Abstract: S502
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135258/jeffrey.lancet.cpx-351.treatment.of.previously.untreated.older.aml.patients.html?f=m3)

In questo studio vengono riportati i risultati di una sottoanalisi dello studio di fase III in fase di completamento NCT01696084, che confronta CPX-351 (una formulazione liposomica in nanoscala 5:1 molare di citarabina e daunorubicina) vs il trattamento standard 7+3 in pazienti di età 60-75 anni con LAM ad alto rischio (de novo con citogenetica sfavorevole oppure secondaria). La schedula del CPX-351 era 100 unità/m2 ai giorni 1, 3 e 5. La risposta all’induzione (includendo sia RC che RCi) è stata correlata con lo status mutazionale all’esordio (FLT3 ITD/TKD+, NPM1+, CEBPA+). Nei 309 pazienti arruolati, lo status mutazionale è stato determinato in circa il 90% dei casi, e 44/309 (16%) sono risultati positivi per FLT3, 26/309 (9%) per NPM1, e 15/309 (6%) per CEBPA. La percentuale di ottenimento della RC (vedi anche Tabella II) è risultata maggiore nel braccio CPX-351 considerando sia tutta la popolazione di pazienti, sia i diversi sottogruppi FLT3+ (con un p=0,148) e NPM1+. Le conclusioni dell’autore sono che la terapia con CPX-351 sembra determinare una risposta migliore sia nella LAM in generale che in quella associata alla presenza della mutazione sfavorevole di FLT3, e che questi dati, associati con quelli in vitro che evidenziano una maggiore sensibilità a CPX-351 dei blasti FLT3+, forniscono i presupposti per studi con CPX-351 allargati ad un maggior numero di pazienti, in particolare quelli portatori della mutazione FLT3+.

CPX-351_TREATMENT_OF_PREVIOUSLY_Tabella2

Tabella II

 

SGN-CD33A in combination with hypomethylating agents: a novel, well-tolerated regimen with high remission rate in older patients with AML
Fathi A et al. Abstract: S503
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135259/amir.fathi.sgn-cd33a.in.combination.with.hypomethylating.agents.a.novel.html?f=m3)

SGN-CD33A (vadastuximab talirine; 33A) è un anticorpo diretto verso il CD33 coniugato ad un dimero di pirrolobenzodiazepina (PBD) che, una volta internalizzato, è in grado di determinare la morte cellulare. Studi pre-clinici hanno evidenziato un incremento della citotossicità se il 33A è utilizzato in combinazione ad un agente ipometilante (HMA; azacitidina o decitabina). In questo studio di fase I, l’autore descrive i risultati della combinazione di CD33A alla dose di 10 mcg/kg ev somministrato ad ogni ultimo giorno del ciclo di HMA utilizzato al dosaggio standard, con cicli ripetuti ogni 28 giorni, in pazienti con LAM non eleggibili o che avevano rifiutato terapia intensiva. Sessantaquattro pazienti di età mediana 75 anni (range: 60-87) sono stati trattati per una mediana di 15,6 settimane (range: 2-68), con 27 pazienti (51%) ancora in trattamento al momento dell’analisi. In circa il 40-50% dei casi si sono osservate le seguenti tossicità di grado 3-4: neutropenia febbrile; piastrinopenia; anemia; fatigue; nausea; stipsi; riduzione dell’appetito. Su 49 pazienti valutabili, 37 (76%) hanno ottenuto una RC/RCi, con un tempo mediano all’ottenimento della risposta di due cicli e mediana di sopravvivenza libera da recidiva di 6,9 mesi (0+ – 11+); al momento dell’analisi 37 pazienti sono vivi, con un trend di sopravvivenza sovrapponibile per pazienti di età < oppure ≥ a 75 anni. La conclusione è che questa combinazione è ben tollerata e in grado di produrre RC profonde e durature, con percentuali apparentemente migliori della terapia con il solo HMA (Figura IV), per cui è stato programmato uno studio di fase III con 33A + HMA vs HMA da solo.

SGN-CD33A_IN_COMBINATION_Figura4

Figura IV

 

Relative benefit for intensive versus non-intensive induction therapy for patients with newly diagnosed acute myeloid leukemia (AML) using a composite, age-comorbidity-cytogenetic, model
Sorror M et al. Abstract: LB580
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135337/mohamed.sorror.relative.benefit.for.intensive.versus.non-intensive.induction.html?f=p6m3e968o12137)

In questa analisi retrospettiva sono state raccolte le informazioni relative alle caratteristiche cliniche e di laboratorio, comorbidità e sopravvivenza di 1079 pazienti affetti da LAM di nuova diagnosi ottenuti da 5 diverse Istituzioni per il periodo 2008-2012, con lo scopo di valutare l’incidenza di utilizzo di terapia di induzione intensiva vs non intensiva (agenti ipometilanti) e confrontarne i risultati tenendo in considerazione un modello prognostico composito basato su età, comorbidità e citogenetica e precedentemente pubblicato (Blood 2015;126:532). Nella Tabella III sono descritte la distribuzione dell’età dei pazienti e le percentuali di somministrazione di terapia intensiva o non intensiva a seconda delle diverse fasce di età; nella Tabella IV è stato calcolato l’hazard ratio per score prognostico.

RELATIVE_BENEFIT_FOR_INTENSIVE_Tabella3

Tabella III: Regimen intensity per patient age groups

RELATIVE_BENEFIT_FOR_INTENSIVE_Tabella4

Tabella IV: Comparisons of hazard ratios (HR) and 2-year rates of survival between intensive and non-intensive first induction therapies

Viene evidenziato che la percentuale di utilizzo di terapia intensiva diminuisce percentualmente sia con l’aumentare dell’età che con quello dello score composito; tuttavia anche i pazienti con score elevato, se trattati con terapia intensiva, ottengono risultati migliori in termini di sopravvivenza rispetto a quelli trattati con terapia non intensiva. Nella Figura V viene mostrata la sopravvivenza globale di tutta la popolazione analizzata.

RELATIVE_BENEFIT_FOR_INTENSIVE_Figura5

Figura V: Intensive versus non-intensive therapies among patients 70 years old older with AML

Viene concluso che la terapia intensiva dovrebbe essere sempre offerta ai pazienti, anche con età fino a 80 anni quando possibile, e che sarebbero utili studi prospettici per valutare quali potrebbero essere le caratteristiche dei pazienti (salute fisica, cognitiva, sociale) utili a identificare quale sottogruppo potrebbe trarre un reale beneficio di sopravvivenza dall’utilizzo di terapia non intensiva.

 

Persistence of driver mutations during complete remission associates with shorter survival and contributes to the inferior outcomes of elderly patients with acute myeloid leukemia
Rothenberg-Thurley M  et al. Abstract: S146
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135179/maja.rothenberg-thurley.persistence.of.driver.mutations.during.complete.html?f=m3)

E’ noto che esistono alcune mutazioni somatiche in modificatori epigenetici (tra cui DNTMT3A, TET2 ed ASXL1) che possono essere presenti in cloni pre-leucemici in pazienti con LAM e che la loro persistenza potrebbe associarsi a risultati peggiori. In questo studio, l’autore ha analizzato la presenza di una mutazione in 68 geni noti per essere ricorrentemente mutati nelle neoplasie mieloidi in 107 pazienti con LAM (età mediana: 53 anni; range: 20-80), prelevando campioni di midollo osseo o sangue periferico alla diagnosi e dopo ottenimento della remissione ematologica. Delle 426 mutazioni riscontrate in 42 differenti geni all’esordio di malattia (media: 4 mutazioni per paziente; range: 0-10), alla rivalutazione dopo RC 66 mutazioni in 15 geni erano ancora presenti in 40/107 pazienti (37%), mentre 67 pazienti (63%) non presentavano nessuna mutazione persistente. L’analisi della MRD con citometria a flusso o PCR quantitativa per NMP1 o MLL-PTD mostrava livelli comparabili in entrambi i gruppi di pazienti. Quest’ultimo risultato sembra confermare l’ipotesi che le mutazioni rilevate dopo RC sono attribuibili alla persistenza di cloni pre-leucemici piuttosto che a residue cellule leucemiche. La persistenza della mutazione era più frequente in pazienti con età più avanzata (mediana 63 anni vs 48, p<0,001) e si associava ad una sopravvivenza totale e libera da recidiva peggiore, indipendentemente dal tipo di mutazione persistente (vedi Figura VI). Questi dati venivano confermati anche dall’analisi multivariata. Viene concluso che lo studio eseguito ha confermato che la persistenza di una mutazione, attribuibile a sua volta alla persistenza di un clone pre-leucemico, si associa con una sopravvivenza totale e libera da malattia più breve.

PERSISTENCE_OF_DRIVER_MUTATIONS_Figura6

Figura VI
 

Phase III randomized trial of volasertib plus low-dose cytarabine (LDAC) versus placebo plus LDAC in patients aged >65 years with previously untreated AML, ineligible for intensive therapy          
Dohner H et al.  Abstract: S501
(http://learningcenter.ehaweb.org/eha/2016/21st/135257/hartmut.dhner.phase.iii.randomized.trial.of.volasertib.plus.low-dose.html?f=p16m3l9759)

In questo studio vengono riportati i risultati di uno studio randomizzato di fase III in pazienti con LAM non precedentemente trattati e non eleggibili per terapia intensiva che prevedeva l’utilizzo di citarabina a basse dosi da sola o in combinazione con volasertib, un potente e selettivo inibitore della chinasi del ciclo cellulare che ha già dimostrato promettenti risultati con la stessa combinazione in un precedente studio di fase II. I pazienti sono stati sottoposti a terapia con citarabina 20 mg/sc/due volte al giorno nei giorni 1-10 con ciclo da ripetere ogni 28 giorni, e randomizzazione 2:1 di volasertib 350 mg ev nei giorni 1-15 del ciclo vs placebo. Su un totale di 666 pazienti trattati, è stata eseguita un’analisi preliminare su 371 casi (246 V+LDAC; 125 P+LDAC) che ha evidenziato una percentuale di risposta globale non statisticamente superiore (25,2% vs 16,8%), una tendenza sfavorevole della sopravvivenza totale (4,8 vs 6,5 mesi), ed un aumento degli eventi avversi seri (tra cui le infezioni fatali: 16,6% vs 5,1%). A questo punto il blinding è stato rimosso in modo da consentire agli investigatori un dosaggio individuale del farmaco, e le valutazioni statistiche successive hanno evidenziato risultati migliori nel braccio V+LDAC una volta introdotta la possibilità di gestire la dose del volasertib. L’autore conclude che, nonostante i risultati iniziali sfavorevoli, viste le premesse favorevoli dell’effetto anti-leucemico di volasertib ed il migliore outcome dopo l’unblinding, c’è da aspettare la fine dello studio, che è ancora in corso, per poter correttamente stabilire ed interpretare i risultati finali.

 

A cura di:

Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli

Felicetto Ferrara
Felicetto Ferrara
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli, Napoli
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