L’inibitore di JAK ruxolinitib presenta un effetto bloccante sulla differenziazione e la funzionalità delle cellule dendritiche (DC) che causa un’alterata attivazione dei linfociti T. Questi risultati, in grado di spiegare la notevole attività antinfiammatoria e immunomodulante degli inibitori di JAK utilizzati nel trattamento della mielofibrosi (MF) e delle malattie autoimmuni, provengono da uno studio (Heine A et al. Blood, 2013, 122:1192-1202) condotto in vitro e in vivo su DC umane e modelli murini.
Lo sviluppo in vitro di DC umane derivate dai monociti è risultato quasi completamente bloccato dall’aggiunta di ruxolitinib durante la fase di differenziazione, mentre le DC esposte allo stesso farmaco solo durante il periodo di maturazione indotta dal lipopolisaccaride (LPS) mostravano una ridotta attivazione, con riduzione della produzione di interleuchina 12 e dell’espressione dei marker di attivazione (CD40, CD54, CD80, CD83, CD86 e HLA-DR). Come conseguenza, le DC esposte all’azione di ruxolitinib mostravano una ridotta capacità di indurre risposte T-cellulari allogeniche e antigene-specifiche. Nei topi trattati con ruxolitinib e immunizzati con OVA/CpG, inoltre, era presente una attivazione e proliferazione in vivo di linfociti T CD81 OVA-specifici marcatamente ridotta e un’alterazione della capacità di clearance virale dopo infezione con adenovirus.
«I pazienti con MF mostrano uno stato iper-infiammatorio caratterizzato da elevati livelli di citochine pro- infiammatorie e pro-angiogeniche», scrivono gli autori della ricerca. «Il trattamento con ruxolitinib normalizza lo stato pro-infiammatorio e migliora i sintomi costituzionali, indipendentemente dallo stato mutazionale di JAK2, suggerendo che potenziali effetti sul sistema immune e DC possano essere alla base dell’efficacia terapeutica». I dati riportati in questo studio forniscono anche la base per ulteriori indagini sul possibile ruolo di ruxolitinib come nuovo farmaco immunomodulante nei pazienti con alterate risposte immuni, inclusa la GVHD e la sepsi. D’altra parte, i pazienti trattati a lungo termine con ruxolitinib andrebbero attentamente monitorati per le possibili complicanze infiammatorie e lo sviluppo di neoplasie, a causa degli effetti inibitori del farmaco sulle risposte protettive T cellulari.
Fonte: Blood – http://bloodjournal.hematologylibrary.org/
PubMed link: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23770777
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