COVID-19 E NEOPLASIE MIELOPROLIFERATIVE CRONICHE: Risposte alle domandi più frequenti

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A cura di esperti identificati dall’American Society of Hematology (ASH)

Drs. Ruben Mesa, Alberto Alvarez-Larran, Claire Harrison, Jean-Jacques Kiladjian, Alessandro Rambaldi, Ayalew Tefferi, Alessandro Vannucchi, Srdan Verstovsek, Valerio De Stefano, Tiziano Barbui.

(Versione 6.0, aggiornata al 4 gennaio 2021, adattata da A.M. Vannucchi)

https://www.hematology.org/covid-19/covid-19-and-myeloproliferative-neoplasms

Le informazioni riportate sono espressione del consenso di questi esperti e non necessariamente di ASH. https://www.hematology.org/covid-19#disclaimer

 

 

In quanto affetto da neoplasia mieloproliferativa cronica (MPN) sono a più alto rischio di contrarre il COVID-19?

Ad oggi non ci sono molte informazioni circa l’esito dei soggetti con MPN che abbiano contratto l’ infezione da COVID-19. In generale, si ritiene che i pazienti con mielofibrosi che appartengono alla classe di rischio intermedio-2 o alto possano essere a maggior rischio di eventi avversi se contraggono l’infezione con COVID-19. Inoltre una recente analisi di dati raccolti in uno studio retrospettivo europeo (Barbui e collaboratori, Blood Cancer Journal 2020; in corso di stampa) suggerisce che i pazienti con trombocitemia essenziale possono avere una maggior frequenza di complicazioni trombotiche quando abbiano contratto l’infezione da COVID-19 e che una rapida riduzione della conta piastrinica dopo la diagnosi di COVID-19 si accompagni ad un esito meno favorevole.

 

Quali possono essere le complicazioni legate al COVID-19 circa il rischio trombotico nei pazienti con NPM e se e come debba essere modificato il trattamento?

Nella popolazione generale, in corso di infezione da COVID-19 sono descritti eventi trombotici ad elevata incidenza, specialmente nelle forme più avanzate dell’infezione. L’aumentato rischio di complicazioni trombotiche può essere particolarmente importante per i pazienti con MPN che già di per sé hanno un’aumentata incidenza di questi eventi trombotici, così come di manifestazioni emorragiche, dovuti alla malattia ematologica di base. Tenendo presente che non ci sono ancora dati robusti circa l’aumento delle manifestazioni trombotiche correlate a COVID 19 in pazienti con MPN ciò che segue rappresenta l’opinione condivisa di noi esperti, mentre si attendono ulteriori informazioni da studi clinici in corso.

 

Nei pazienti con MPN senza documentata infezione da COVID-19 e asintomatici: in considerazione del rischio di base di eventi trombotici in questi soggetti e la possibilità concreta di un’infezione intercorrente da COVID-19 senza sintomi, suggeriamo di attenersi strettamente alle indicazioni attuali miranti alla riduzione del rischio trombotico nei pazienti con MPN, incluso il mantenimento del valore ematocrito inferiore al 45% nella policitemia vera, l’uso di farmaci anti-aggreganti in tutti i soggetti con policitemia vera e trombocitemia essenziale che ne abbiano indicazioni, e l’uso di farmaci citoriduttori per mantenere il più possibile aderenti ai criteri del European Leukemia Net il valore ematocrito, la conta dei leucociti e la conta piastrinica.

 

Nei pazienti con MPN con infezione da COVID-19 nota o sospetta: l’approccio terapeutico ai pazienti con COVID-19 con manifestazioni gravi o critiche circa la prevenzione degli eventi trombotici sta evolvendo rapidamente ed è oggetto di molti studi. Tutti i pazienti ospedalizzati dovrebbero ricevere dosi profilattiche di eparina/eparina a basso peso molecolare; fino dall’inizio della pandemia in alcuni centri sono state somministrate dosi intermedie o un regime a doppia dose di eparina a basso peso molecolare in pazienti con COVID-19 grave, pur in assenza di eventi trombotici noti, sia empiricamente o nell’ambito di uno studio clinico. A fine dicembre 2020, uno studio clinico multicentrico di dosi piene di anticoagulante per i pazienti con malattia COVID-19 critica è stato interrotto sia per segni di inefficacia che per possibile tossicità. Questo studio non aveva arruolato pazienti a rischio preesistente di ipercoagulabilità, come pazienti con MPN, pertanto è difficile estrapolare i dati, ma si ritiene che al momento attuale i pazienti senza un chiaro evento trombotico in atto non dovrebbero ricevere terapia anticoagulante a dosaggio pieno, se non all’interno di uno studio clinico. La possibilità di un’embolia polmonare dovrebbe essere sospettata in caso di ulteriore peggioramento della funzione respiratoria anche in assenza di altre evidenze cliniche di trombosi venosa profonda, accompagnata ad un incremento rapido del D-Dimero. Sono stati riportati casi sporadici di trattamento efficace mediante trombolisi di embolia polmonare massiva o sub-massiva in pazienti MPN con COVID-19. Il rischio di sanguinamento in corso di terapia anticoagulante è maggiore nei pazienti con MPN, specialmente in quelli con una precedente storia di emorragia o che presentino un aumento estremo delle piastrine o una piastrinopenia. Il rischio è ancora più elevato nei pazienti che abbiano una insufficienza epatica (INR superiore a 1,5) o grave insufficienza renale (creatinina clearance inferiore a 30 ml per minuto per metro quadro). Raccomandiamo che i pazienti MPN con COVID-19 ospedalizzati siano valutati accuratamente da uno specialista ematologo per la gestione degli scenari complessi che riguardano il rischio trombotico e di sanguinamento.

 

Deve essere modificata la terapia citoriduttiva con l’obiettivo di ridurre il rischio di sviluppare una malattia COVID-19 grave in pazienti con diagnosi di MPN?

NO. Al momento non esistono dati che suggeriscono che farmaci non immunosoppressivi come idrossiurea (oncocarbide), interferone-alfa, anagrelide, possano aumentare il rischio di contrarre l’infezione da COVID-19 o una forma grave di questo stesso. Pertanto non raccomandiamo modificazioni delle terapie in atto. Un buon controllo della malattia è infatti importante per evitare un ulteriore aumento del rischio trombotico nel caso in cui un paziente MPN dovesse contrarre l’infezione. I pazienti che hanno una malattia stabile possono essere seguiti mediante visite di telemedicina e utilizzare laboratori più prossimi alla loro residenza, se possibile, specialmente in quelle regioni in cui l’infezione è molto diffusa nella comunità. I pazienti che ricevono regolarmente salassoterapia per il controllo della policitemia vera possono ridurre la frequenza o saltare una seduta di salasso se sono stabili e asintomatici; al contempo si raccomanda un aumento dell’assunzione di liquidi, se tollerata, in modo da ridurre la viscosità ematica.

 

Deve essere modificata o sospesa la terapia con JAK inibitori (ruxolitinib, fedratinib, altri) con l’obiettivo di ridurre il rischio di sviluppare una malattia COVID-19 in pazienti con diagnosi di MPN?

NO. Le informazioni ottenute da uno studio europeo in pazienti con COVID-19 (Barbui e collaboratori Leukemia 2020, in stampa) suggeriscono fortemente che la sospensione di ruxolitinib in corso di infezione da COVID-19 possa essere deleteria e dovrebbe essere evitata comunque, a meno che non vi siano indicazioni forti contrarie. L’effetto degli inibitori di JAK sullo sviluppo o il peggioramento del COVID-19 non è conosciuto. Sta di fatto che JAK inibitori sono stati suggeriti come possibile terapia per ridurre gli effetti negativi della tempesta citochinica in pazienti con COVID-19 grave, sebbene i risultati di precedenti studi osservazionali non siano stati confermati in uno studio di fase tre che peraltro ha utilizzato solo basse dosi di ruxolitinib. La cessazione immediata dei JAK inibitori in un paziente con MPN e malattia ben controllata può determinare una progressiva splenomegalia e una condizione generale di debilitazione, o più raramente scatenare una tempesta citochinica, condizioni tutte queste che hanno il rischio potenziale di aggravare a loro volta il decorso clinico della malattia COVID-19. Nel caso in cui la terapia con ruxolitinib debba essere sospesa, per i pazienti che ricevono almeno 5 mg per 2 volte al giorno, la dose dovrebbe essere ridotta in maniera molto cauta e graduale. Si menziona che i risultati favorevoli sull’uso di ruxolitinib come farmaco antinfiammatorio e anticitochinico in pazienti con polmonite da COVID-19 – pazienti non-MPN – sono stati riportati in piccoli studi clinici, nei quali si è osservato un miglioramento del decorso clinico e una più rapida dimissione dall’ospedale. Comunque uno studio randomizzato, sponsorizzato (RUXCOVID) non ha mostrato alcun beneficio nel trattamento della polmonite grave da COVID-19. Resta peraltro sconosciuto se queste ultime osservazioni possano avere impatto anche per i pazienti con MPN che ricevono una terapia cronica con ruxolitinib.

 

Come devono essere gestiti al meglio i pazienti con nuova diagnosi di MPN, per i quali si pone il problema del trattamento nel corso della corrente pandemia?

Si raccomanda che la gestione e la presa in carico del paziente con MPN durante la pandemia avvenga come di norma, eventualmente ricorrendo alle visite di telemedicina se fattibile e ritenuto adeguato. Le esperienze effettuate fino ad oggi sottolineano l’importanza di una presa in carico continuativa dei pazienti con MPN, includente anche le terapie mediche, in accordo alle linee guida locali.

 

Deve essere modificata o sospesa la terapia per la MPN in pazienti che hanno sviluppato il COVID-19?

NO, fatta eccezione per le possibili interazioni farmacologiche. In pazienti che iniziano ad assumere farmaci per trattare il COVID-19 e stanno ricevendo ruxolitinib, si può prendere in considerazione una riduzione della dose di ruxolitinib specialmente se il paziente riceve lopinavir/ritonavir, ma va evitata la sospensione rapida di ruxolitinib per prevenire un improvviso peggioramento della tempesta citochinica legata contestualmente alla mielofibrosi e alla infezione COVID-19. Non è necessario modificare empiricamente la terapia citoriduttiva convenzionale con idrossiurea (oncocarbide), interferone-alfa, anagrelide, nei pazienti MPN che hanno sviluppato COVID-19.

 

I pazienti con MPN dovrebbero ricevere il vaccino COVID-19 quando disponibile?

Nutriamo la speranza che il vaccino per COVID-19 possa essere rapidamente approvato e reso disponibile ai pazienti con MPN. Per quanto riguarda le considerazioni generali sui pazienti con patologie ematologiche che siano da considerarsi immunocompromessi, si rimanda alle pagine apposite sul sito ASH ( https://www.hematology.org/covid-19/ash-astct-covid-19-and-vaccines). I pazienti con MPN hanno un ampio spettro di funzionalità immunologica, da essere affatto o solo minimamente da considerarsi immunocompromessi (come la maggioranza dei pazienti con trombocitemia essenziale e policitemia vera e alcuni con mielofibrosi), ad altri che possono invece avere un certo grado di immuno-compromissione (come i pazienti con mielofibrosi in fase avanzata o che hanno ricevuto recentemente un trapianto di cellule staminali da donatore). E’ verosimile che non vi sia alcun rischio aggiuntivo per i pazienti con MPN nel ricevere un vaccino a mRNA o vaccini con virus incompetenti/non replicanti, quando saranno disponibili. Il grado di immunodepressione ha verosimilmente poco impatto sulla sicurezza nel ricevere il vaccino quanto piuttosto può determinare una scarsa capacità dei vaccini nel generare una risposta immunologica protettiva. Sono stati descritti soggetti con storia precedente di allergia grave che hanno sviluppato reazioni al vaccino, particolarmente pazienti con mastocitosi sistemica e cosiddette sindromi MPN-overlap. Suggeriamo ai pazienti di riferirsi all’ematologo curante per qualsiasi dubbio essi possono avere nel ricevere un vaccino per COVID-19.

 

A cura di:

Professore ordinario di Ematologia, Direttore della SODc di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Direttore della Scuola di Specializzazione dell'Università degli Studi di Firenze.

Alessandro M. Vannucchi
Alessandro M. Vannucchi
Professore ordinario di Ematologia, Direttore della SODc di Ematologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Direttore della Scuola di Specializzazione dell'Università degli Studi di Firenze.
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