Covid-19 e ITP: traduzione in italiano della guida sintetica alla gestione dei pazienti pubblicata da ASH

Sul sito dell’ASH è disponibile una sezione di approfondimento sulla gestione dei pazienti con patologie ematologiche in relazione alla pandemia da COVID-19.
Su richiesta di ASH, ho curato assieme a James Bussel (New York), Doug Cines (Philadelphia) e Nichola Cooper (Londra) la sezione dedicata all’ITP, continuamente aggiornata e disponibile al link:
https://www.hematology.org/covid-19/covid-19-and-itp
Di seguito riportiamo la traduzione italiana aggiornata al 9 aprile 2020.
1) Nell’ambito dell’attuale pandemia da COVID-19, nel caso di un paziente adulto con nuova diagnosi di ITP che richiede l’inizio di un trattamento per piastrinopenia severa, quale opzione terapeutica sceglieresti?
Nell’ambito della pandemia da COVID-19, dovrebbero essere preferiti trattamenti per ITP che sono efficaci ma non immunosoppressivi, come le immunoglobuline endovena (IVIG) e i TPO-RA (eltrombopag o avatrombopag, quest’ultimo non ancora disponibile in Italia). In quei pazienti che necessitino di un incremento urgente della conta piastrinica, è preferibile somministrare IVIG al dosaggio di 1g/kg per 1-2 giorni, con somministrazioni ripetute se necessario, mentre si attende la risposta ai TPO-RA. I pazienti ricoverati potrebbero trarre beneficio da una dose quotidiana inferiore (0,4-0,5 mg/kg) di IVIG. In ogni caso, nei pazienti che non presentano emorragie o sanguinamento dalle mucose (wet purpura), si potrebbe utilizzare come unico trattamento un TPO-RA a somministrazione orale (eltrombopag), dati i potenziali rischi di esposizione connessi a ripetute infusioni di IVIG in strutture ospedaliere o sanitarie.
In caso di pazienti con sanguinamento o ad alto rischio di sanguinamento può essere associato anche acido tranexamico. È importante ricordare che in assenza di altri fattori di rischio la maggior parte dei pazienti con ITP non presenta sanguinamenti gravi con conta piastrinica ≥ 10-20.000/mL. Di conseguenza, per i pazienti che sono generalmente stabili, è consigliabile ridurre la frequenza della verifica della conta piastrinica ed evitare visite non necessarie, per ridurre il rischio di contrarre l’infezione nelle strutture sanitarie.
2) È consigliabile modificare il regime di trattamento nei pazienti con ITP cronica in relazione alla pandemia da COVID-19?
No, se sono stabili con basse dosi di farmaci immunosoppressivi. Cambiare trattamento oltre a richiedere un monitoraggio più frequente, potrebbe essere associato a un fallimento terapeutico. Il cambio di terapia potrebbe così risultare maggiormente pericoloso che lasciarla immutata. Nei pazienti in trattamento con alte dosi di corticosteroidi o di farmaci immunosoppressivi, l’uso dei TPO-RA e/o delle IVIG potrebbe consentire la riduzione graduale e la possibile sospensione di tali farmaci. Rituximab dovrebbe essere evitato, e dosi minori di ciclosporina potrebbero essere altrettanto efficaci del dosaggio intero.
3) Il monitoraggio dell’emocromo e le soglie per iniziare il trattamento dovrebbero essere più flessibili considerando il rischio più elevato per i pazienti connesso al doversi recare fisicamente nelle strutture ospedaliere per prelievi di sangue e terapie?
La maggior parte dei pazienti con ITP dovrebbe essere gestita telefonicamente o tramite email in relazione ai sintomi, con una frequenza ridotta del monitoraggio dell’emocromo, anche se per alcuni pazienti (ad esempio i più anziani, coloro che assumono agenti anti-piastrinici, quelli con una storia di sanguinamento maggiore o altri fattori di rischio) e per quelli la cui condizione è instabile potrebbe essere necessario un monitoraggio più stretto della conta piastrinica. In alcuni Paesi, il pericolo maggiore per i pazienti consiste nel doversi recare presso le strutture sanitarie, nelle quali il rischio di infezione è notevolmente aumentato.
4) Come tratteresti un paziente ospedalizzato con ITP che sviluppa una grave infezione da COVID-19?
Se un paziente con ITP ospedalizzato e positivo al COVID-19 presenta una riduzione della conta piastrinica a livelli pericolosi, ad esempio inferiore a 10-20.000/mL, gli dovrebbero essere somministrate IVIG, e una trasfusione piastrinica in caso di sanguinamento maggiore. Se il paziente è già in trattamento con un TPO-RA, la dose potrebbe essere aumentata o potrebbe essere associato un secondo agente, ad es. aggiungere romiplostim a eltrombopag o avatrombopag o aggiungere eltrombopag o avatrombopag a romiplostim. L’utilizzo di corticosteroidi a breve termine (1-5 giorni) potrebbe essere preso in considerazione per aumentare la conta piastrinica, ma l’esito sui pazienti positivi a COVID-19 non è noto.In pazienti con infezione da COVID-19 si può riscontrare solo raramente una piastrinopenia severa, che risulta associata purtroppo ad un esito sfavorevole. È indicato uno studio della coagulazione includente i parametri per la CID o per escludere altre cause. La piastrinopenia può risultare maggiormente associata alla gravità dell’infezione più che ad un aggravamento dell’ITP, e comportare un aumento della morbilità e della mortalità, anche se generalmente non riferibili ad emorragie. L’uso dell’eparina a basso peso molecolare o dell’eparina non frazionata come parte dell’armamentario terapeutico per il trattamento dell’infezione da COVID-19 rimane controverso. In ogni caso, l’eparina a basso peso molecolare e l’eparina non frazionata sono comunemente utilizzate nella profilassi antitrombotica dei pazienti con malattia acuta o ricoverati in terapia intensiva, a causa del loro aumentato rischio di trombosi. In attesa di dati più consolidati derivanti dall’esperienza clinica e dai trial clinici in corso, il rapporto rischio/beneficio dell’utilizzo della terapia eparinica nei pazienti affetti da COVID-19 rimane incerto e deve essere valutato caso per caso.
5) Cosa succede se il paziente è stato sottoposto a splenectomia?
Non ci sono dati che suggeriscano che i pazienti splenectomizzati siano più vulnerabili a COVID-19. Tuttavia, le infezioni virali possono subire complicanze da superinfezioni batteriche. Pertanto, in presenza di febbre la gestione di un paziente splenectomizzato dovrebbe essere quella consueta, con somministrazione di antibiotici per via endovenosa e uno stretto monitoraggio, poiché si può sviluppare rapidamente una sepsi severa.
A cura di:
Fondazione Progetto Ematologia, affiliata alla Divisione di Ematologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza