Sebbene il 70% dei pazienti con Leucemia Mieloide Acuta (LAM) raggiunga la remissione morfologica completa (RC) con chemioterapia di induzione intensiva (Mandelli F et al, 2009), circa il 50% di questi pazienti sviluppa una recidiva (Walter RB et al, 2015). La previsione del rischio di recidiva è perciò una sfida importante nell’ambito delle LAM.
E’ stato chiaramente dimostrato che le anomalie citogenetiche (Dohner H et al, 2017; Medeiros BC et al, 2010) ed alcune mutazioni somatiche (Dohner H et al, 2017; Rucker FG et al, 2012; Papaemmanuil E et al, 2016) sono indici prognostici utili nella stratificazione prognostica dei pazienti.
Tuttavia, fatta eccezione per la mutazione NPM1 (Ivey A et al, 2016; Kronke J et al, 2011), altre mutazioni somatiche non sono generalmente utilizzate nella pratica clinica come marcatori di malattia minima residua (MRD) poiché alcune mutazioni – DNMT3A, TET2 e ASXL1 – sono spesso di origine pre-leucemica e la loro persistenza non sempre definisce persistenza di malattia (Pløen GG et al, 2014; Genovese G et al, 2014; Klco JM et al, 2015).
Getta et al, (Getta BM et al, 2017) hanno recentemente dimostrato che mutazioni somatiche persistenti prima del trapianto allogenico di cellule staminali (allo-SCT) sono associate a prognosi sfavorevole.
Un recente studio retrospettivo di Morita et al, (Morita K et al, 2018) ha valutato se il grado di clearance delle mutazioni somatiche in RC dopo terapia di induzione poteva essere un fattore predittivo di recidiva in pazienti trattati per LAM.
Sono stati analizzati tramite sequenziamento genico campioni che provenivano da 131 pazienti trattati con idarubicina più citarabina (IA) in tre diversi trial dal 2010 al 2015.
Sono stati definiti tre livelli di clearance delle mutazioni (MC) sulla base della frequenza allelica (VAF) delle mutazioni residue in RC (MC2.5 se almeno una mutazione persisteva con un VAF di 2,5%; MC1.0 se almeno una mutazione persisteva con un VAF dell’1% e completa clearance della mutazione [CMC] se non c’erano mutazioni persistenti). È stato usato come primo cut off VAF il 2,5% in quanto corrisponde al 5% di cellule mutate con una condizione di RC all’esame morfologico (Morita K et al, 2018); Klco et al, (Klco JM et al, 2015) hanno utilizzato lo stesso valore limite. La MRD è stata valutata anche mediante citometria a flusso sullo stesso midollo in RC.
Le caratteristiche cliniche dei 131 pazienti con LAM sono elencate nella Tabella I. L’età media della coorte era di 51 anni; 118 pazienti (90%) avevano LAM de novo e 13 (10%) LAM secondaria. Sulla base della classificazione European Leukemia Net (ELN), un paziente (1%) aveva un rischio favorevole, 96 (73%) avevano un rischio intermedio e 30 (23%) presentavano una citogenetica ad alto rischio.
I geni più frequentemente mutati erano NPM1 in 37 pazienti (28%), seguiti da DNMT3A in 32 (24%), FLT3 in 29 (22% di cui 18 [62%] come ITD e 11 [38%] TKD) e CEBPA in 20 pazienti (15%;). Il VAF mediano delle mutazioni di pre-trattamento era di 0,30 (IQR: 0,17-0,42).
Tabella I: Caratteristiche cliniche della coorte in studio ed associazione univariata con gli outcome di sopravvivenza
Il VAF mediano delle mutazioni nel midollo in RC era 0,06 (IQR: 0,02-0,17). MC2.5 è stato raggiunto in 75 pazienti (57%), MC1.0 in 64 (49%) e CMC in 59 (45%). Il tasso di MC variava per i diversi geni mutati. Le mutazioni in NPM1, CEBPA e FLT3 hanno mostrato un’alta percentuale di MC al contrario delle mutazioni di ASXL1, DNMT3A, TET2, TP53 e SRSF2. Le mutazioni nei fattori di trascrizione ematopoietica o nei geni recettoriali delle tirosin chinasi avevano frequenze MC più elevate, mentre le mutazioni associate alla emopoiesi clonale di potenziale indeterminato (CHIP), come quelle che interessavano i geni responsabili della metilazione del DNA e dello splicing di RNA, avevano tassi di MC inferiori. L’età media dei pazienti che non raggiungevano la CMC era significativamente superiore a quella dei pazienti che hanno raggiunto la CMC (non CMC / CMC, 52 anni [IQR: 47-57 anni] vs 44 anni [IQR: 31-53 anni]; p<0,001), che è in accordo con le frequenti mutazioni somatiche che sono coinvolte nei circuiti CHIP, metilazione del DNA e RNA splicing nei pazienti anziani. La frequenza MC delle mutazioni FLT3 era alta (tasso CMC del 94%) e non era influenzata dall’uso di sorafenib (tasso di CMC, 100% v 94% con o senza sorafenib; P = 0,999) (Figura I) (Morita K et al, 2018).
Figura I: Frequenza di mutazioni somatiche in pretrattamento ed in caso di remissione completa (RC)
Inoltre, il tasso di MC non era influenzato dal numero di mutazioni di pre-trattamento; tuttavia, il VAF mediano delle mutazioni del pre-trattamento era più alto in coloro che non raggiungevano la CMC rispetto a quelli che hanno raggiunto la CMC (mediana, 0,41 [IQR: 0,31-0,47] vs 0,25 [IQR: 0,14-0,36]; p<0,001).
Con una durata mediana di follow-up di 35,2 mesi (IC al 95%, da 28,3 a 39,7 mesi), 51 pazienti (39%) hanno avuto una recidiva e 49 (37%) sono deceduti. I pazienti che hanno raggiunto MC1.0 o CMC hanno avuto EFS, OS e CIR migliore di quelli che non hanno raggiunto questi livelli MC (Figura II), in misura statisticamente significativa. Non c’era alcuna differenza significativa in nessuno dei risultati sopra riportati in caso di MC2.5. In un sottogruppo di pazienti secondo il rischio citogenetico ELN, MC1.0 e CMC sono stati associati a EFS, OS e CIR significativamente migliori nel gruppo a rischio sfavorevole, mentre non è stata osservata alcuna associazione significativa tra MC e outcome di sopravvivenza nel gruppo a rischio intermedio. L’impatto prognostico della MC è diventato significativo nel gruppo di rischio citogenetico intermedio definito da ELN quando sono state rimosse le mutazioni correlate a DNMT3A o CHIP, il che suggerisce che frequenti mutazioni di DNMT3A nel gruppo a rischio intermedio (27%) hanno determinato l’assenza di significativo impatto prognostico della MC.
Figura 2: Impatto prognostico della clearence delle mutazioni al giorno +30. Event free survuval (EFS) dei pazienti che raggiungono la remissione completa in accordo ai tre livelli di mutazioni somatiche residue
(D-F) Overall Survival (OS) in accordo a (D) MC2.5, (E) MC1.0, and (F) CMC.
(G-I) Incidenza cumulativa di recidiva (CIR) in accordo a (G) MC2.5, (H) MC1.0, and (I) CMC. Follow up mediano di 28,5 mesi (95% CI, 24,0 – 35,2 mesi), 28,5 mesi (95% CI, 24,0 – 34,6 mesi), e 28,3 mesi (95% CI, 23,3 – 35,2 mesi) per coloro che raggiungono rispettivamente MC2.5, MC1.0, e CMC,. P aggiustato per test multipli utilizzando il metodo di Bonferroni.
È stato analizzato il ruolo dell’allo-SCT in pazienti con e senza mutazioni persistenti (Figura III). Tra i pazienti che non hanno raggiunto la CMC, l’allo-SCT ha migliorato la OS, anche se la significatività statistica era borderline (OS a 2 anni, 69,6% con allo-SCT vs 51,1% senza allo-SCT; P = 0,0495; Figura IIIA). Anche il beneficio in termini di sopravvivenza di allo-SCT in pazienti non-CMC era significativo nel gruppo a rischio intermedio definito da ELN (OS a 2 anni, 82,9% v 57,3% [IC 95%, 35,0% – 74,5%]; P = 0,0105).
Al contrario, un beneficio di sopravvivenza associato ad allo-SCT non è stato osservato nei pazienti che hanno raggiunto la CMC (P = 0,343; Figura IIIB).
Figura III: Impatto prognostico del trapianto di cellule staminali (SCT) alla prima remissione completa (RC1). (A) Overall survival (OS) per i pazienti che non raggiungono la completa clearance delle mutazioni (CMC) alla remissione completa in accordo con l’esecuzione del SCT. (B) OS dei pazienti che raggiungono la CMC alla remissione in accordo con l’esecuzione del SCT.
I pazienti che hanno raggiunto la MC con un VAF dell’1% hanno avuto una sopravvivenza significativamente migliore e un minor rischio di recidiva, vantaggio che è stato più pronunciato quando le mutazioni correlate al CHIP sono state rimosse dall’analisi. L’analisi multivariata ha dimostrato che sia la MRD a flusso che la MC erano fattori significativi per la sopravvivenza e il rischio di recidiva nella LAM. Questi dati supportano il concetto che le mutazioni somatiche, in particolare le mutazioni non pre-leucemiche, possono servire come marcatori MRD molecolari nella LAM.
I dati attuali estendono significativamente i risultati riportati da Klco et al, (Klco JM et al, 2015) che hanno dimostrato come l’MC2.5 al giorno 30 era associato a EFS e OS significativamente migliori in 50 pazienti con LAM trattati con citarabina e antracicline. Nello studio di Morita et al, MC2.5 non ha avuto un impatto prognostico statisticamente significativo. Questa discrepanza nel cutoff VAF può essere attribuibile alla differenza nell’intensità del trattamento, diversità tecniche ed algoritmi bio-informatici e dal fatto che gli approcci consolidativi erano diversi tra le due coorti. Sebbene il taglio ottimale VAF resti da determinare, dati coerenti tra due coorti indipendenti sostengono fortemente il significato prognostico della MC in pazienti con LAM.
In sintesi, la clearance delle mutazioni somatiche al 30° giorno, in particolare nei geni non pre-leucemici con un VAF pari a 1%, è stata associata ad una sopravvivenza significativamente migliore e ad un minor rischio di recidiva nei pazienti trattati in induzione per LAM e la MC può essere uno strumento promettente, insieme alla citofluorimetria a flusso, con cui identificare i pazienti con LAM ad alto rischio di recidiva.
Fonte
BIBLIOGRAFIA
Divisione di Ematologia, Ospedale Cardarelli di Napoli
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